Ordini Cavallereschi Crucesignati

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sabato 16 febbraio 2008

RIFLESSIONI SUI GIOVANI E LA POLITICA D'OGGI

di Angelo Scialpi (Componente Comitato Scientifico)

La politica deve pensare ai giovani
Mi piace, ma questo è sempre più evento raro, registrare quando qualcuno riesce a fare critica, a commentare, a riflettere, a donare dei personali punti di vista, dettati dalla libertà di pensiero e dalla ragionevolezza. Molto spesso si tratta di grida di allarme, purtroppo, oppure della consapevolezza che la questione è rovinata del tutto.
Per comprendere le verità occorrono le diversità, tanto tutto è ormai inquadrato e privo di autonomia operativa. Non possiamo sottrarci dall’interagire con la società, anche quella in difficoltà, come quella dei giovani: gli adulti di domani. Emergono sempre più diffusamente episodi di bullismo, di mobbing e quindi di dispersione scolastica e civile. Il dubbio che sorge è se tutto questo non sia il risultato di una governance non adeguata, di una mission non sentita, di un accountability (bilancio sociale) non accertato. Le cose non degenerano da sole, tanto meno all’improvviso!
Ci si chiede spesso: “ Ma i giovani, dove stanno andando?”
Molti dicono che si muovono e che sono in cammino; tanti dicono che sono fermi; altri dicono che sono stati cacciati da casa, o meglio estromessi da qualsiasi attività sociale, politica, associativa, culturale, imprenditoriale, forse anche religiosa. Però sanno fare tante altre cose (ma molti possono essere veramente bravi) che non sempre sono gradite agli adulti.
Ho sentito alcuni giovani parlare di politica. Sono distanti, e sentono distanti gli stessi politici. Un abbandono o un disinteresse? I nostri giovani hanno poche possibilità di realizzarsi, di riuscire ad ottenere persino un posto di lavoro. Qualcuno è anche felice quando riesce a guadagnare 500 euro al mese per comprarsi il nuovo cellulare, fare benzina e recarsi in discoteca. Ma è anche vero che non potranno mai sposarsi, avere una famiglia, crescere dei figli. Il dubbio per il loro futuro è forte, e in questo gli adulti non possono non sentirsi responsabili. La politica non può continuare a non considerarli, demandando alla scuola ogni possibile soluzione e trascurando una intera generazione.
Una società si evolve, cambia, si trasforma, ma non possiamo permettere che si ribalti del tutto, magari a favore di chi decide di venire a vivere in Italia, magari anche da clandestino. Ma questa è storia diffusa, sia se si parla di immigrazioni che di emigrazione, specialmente in materia di artigianato e di industria manifatturiera. Si produce altrove ciò che un tempo era di origine italiana.
Il rischio che questa situazione possa ritorcersi contro di noi tutti è davvero dietro l’angolo, ad un passo da noi, ad un secondo di distanza. Ad osservarli si rimane disarmati perchè non hanno parole, non si rendono conto della gravità della situazione in cui vivono e continuano a vivere. Sono, molto spesso, alle prese con problemi più grandi di loro che noi adulti, forse, non abbiamo mai incontrato e conosciuto. Si prova un senso di rabbia nel vedere barattata la ricerca di una vita con l’agire diverso dei nostri giovani. Sembra di assistere ad un saccheggio dell’anima collettiva.
Si vive nel gruppo! Lo si ricerca e si vuole appartenere a tutti i costi. Il gruppo ha una valenza ben superiore all’amico del cuore di una volta, al fidanzatino, all’amicizia, forse anche alla famiglia. Vedo giovani tristi e arrabbiati perché vittime di esclusioni dai gruppi, vittime della derisione, vittime della solitudine, vittime della nostra incuria di adulti.
Vanno difesi, questi giovani, e vanno ricondotti verso sentieri razionali e di autonomia di pensiero. Non possono essere considerati massa che consuma a beneficio di poche persone, ma a danno della generazione prossima, ma anche delle famiglie e della società tutta che finirà col trovarsi senza cittadini.
Da un lato la realtà amara dei balordi e degli insensibili, dall’altro la difficoltà esistenziale, sfiduciata e sfilacciata, di chi ha contribuito, pur tra mille difficoltà, alla creazione della moderna civiltà italiana.

LA POLITICA DEVE PENSARE AI GIOVANI

di Angelo Scialpi, (del Comiotato Scientifico)


Mi piace, ma questo è sempre più evento raro, registrare quando qualcuno riesce a fare critica, a commentare, a riflettere, a donare dei personali punti di vista, dettati dalla libertà di pensiero e dalla ragionevolezza. Molto spesso si tratta di grida di allarme, purtroppo, oppure della consapevolezza che la questione è rovinata del tutto.
Per comprendere le verità occorrono le diversità, tanto tutto è ormai inquadrato e privo di autonomia operativa. Non possiamo sottrarci dall’interagire con la società, anche quella in difficoltà, come quella dei giovani: gli adulti di domani. Emergono sempre più diffusamente episodi di bullismo, di mobbing e quindi di dispersione scolastica e civile. Il dubbio che sorge è se tutto questo non sia il risultato di una governance non adeguata, di una mission non sentita, di un accountability (bilancio sociale) non accertato. Le cose non degenerano da sole, tanto meno all’improvviso!
Ci si chiede spesso: “ Ma i giovani, dove stanno andando?”
Molti dicono che si muovono e che sono in cammino; tanti dicono che sono fermi; altri dicono che sono stati cacciati da casa, o meglio estromessi da qualsiasi attività sociale, politica, associativa, culturale, imprenditoriale, forse anche religiosa. Però sanno fare tante altre cose (ma molti possono essere veramente bravi) che non sempre sono gradite agli adulti.
Ho sentito alcuni giovani parlare di politica. Sono distanti, e sentono distanti gli stessi politici. Un abbandono o un disinteresse? I nostri giovani hanno poche possibilità di realizzarsi, di riuscire ad ottenere persino un posto di lavoro. Qualcuno è anche felice quando riesce a guadagnare 500 euro al mese per comprarsi il nuovo cellulare, fare benzina e recarsi in discoteca. Ma è anche vero che non potranno mai sposarsi, avere una famiglia, crescere dei figli. Il dubbio per il loro futuro è forte, e in questo gli adulti non possono non sentirsi responsabili. La politica non può continuare a non considerarli, demandando alla scuola ogni possibile soluzione e trascurando una intera generazione.
Una società si evolve, cambia, si trasforma, ma non possiamo permettere che si ribalti del tutto, magari a favore di chi decide di venire a vivere in Italia, magari anche da clandestino. Ma questa è storia diffusa, sia se si parla di immigrazioni che di emigrazione, specialmente in materia di artigianato e di industria manifatturiera. Si produce altrove ciò che un tempo era di origine italiana.
Il rischio che questa situazione possa ritorcersi contro di noi tutti è davvero dietro l’angolo, ad un passo da noi, ad un secondo di distanza. Ad osservarli si rimane disarmati perchè non hanno parole, non si rendono conto della gravità della situazione in cui vivono e continuano a vivere. Sono, molto spesso, alle prese con problemi più grandi di loro che noi adulti, forse, non abbiamo mai incontrato e conosciuto. Si prova un senso di rabbia nel vedere barattata la ricerca di una vita con l’agire diverso dei nostri giovani. Sembra di assistere ad un saccheggio dell’anima collettiva.
Si vive nel gruppo! Lo si ricerca e si vuole appartenere a tutti i costi. Il gruppo ha una valenza ben superiore all’amico del cuore di una volta, al fidanzatino, all’amicizia, forse anche alla famiglia. Vedo giovani tristi e arrabbiati perché vittime di esclusioni dai gruppi, vittime della derisione, vittime della solitudine, vittime della nostra incuria di adulti.
Vanno difesi, questi giovani, e vanno ricondotti verso sentieri razionali e di autonomia di pensiero. Non possono essere considerati massa che consuma a beneficio di poche persone, ma a danno della generazione prossima, ma anche delle famiglie e della società tutta che finirà col trovarsi senza cittadini.
Da un lato la realtà amara dei balordi e degli insensibili, dall’altro la difficoltà esistenziale, sfiduciata e sfilacciata, di chi ha contribuito, pur tra mille difficoltà, alla creazione della moderna civiltà italiana.

venerdì 15 febbraio 2008

LA DANZA DELL'OMBELLICO

Dott. Pietro Vitale
Vicedirettore
Il * “Palazzuolo”
Bisceglie Bari

Questo pezzo mi è stato recapitato personalmente dalla Prof.ssa Anna Vitale, docente di E. Fisica presso il Liceo Sc. “E.Fermi di Bari.

Il mio approccio con la danza del ventre è conseguenza dell'interesse per le discipline orientali e, in particolare, per le tecniche terapeutiche
che hanno come oggetto di studio l'addome considerandolo elemento fondamentale nella ricerca dell'equilibrio psico-fisico. In questa
espressione corporea infatti, l'ombelico che è al centro dell'addome è il punto fisso, il ponte che equilibra e armonizza i movimenti che tendono verso il cielo e la terra e che funge da perno per le diverse rotazioni; movimenti propri della cosidetta danza del ventre.

Secondo questi studi, localizzati sopra e sotto l'ombelico, sono situati tre punti che corrispondono rispettivamente: alla forza fisica, alla
forza vitale e alla forza di volontà; quest'ultima è collegata a sua volta al chakra della sessualità. Nell'ombelico (non soltanto simbolicamente)
è racchiuso il mistero della vita, della sua sacralità che coinvolge tutti i sentimenti umani e questa danza, facilitando la concentrazione,
suscita la riscoperta di assopite emozioni ancestrali. Le origini di questa danza risalgono presumibilmente al neolitico se non addirittura
al paleolitico, ricollegandosi ad antichi culti religiosi legati alla "madre terra" raffigurata nelle stutuine dal ventre fertile, fianchi e seno
generosi, che propiziavano e celebravano la fertilità nelle antiche società matriarcali della Mesopotamia. Originariamente veniva danzata
in cerchio intorno alla partoriente dalle altre donne che partecipavano simbolicamente al suo travaglio, come ancora avviene in alcune zone
dell'Arabia Saudita e inoltre, veniva utilizzata per propiziare un buon raccolto durante le festività legate alle fasi lunari. Lo spirito creativo
del ventre, collegato al ritmo cosmico della fertilità della terra ci ha lasciato un messaggio che si è perpetuato fino ai nostri giorni e che rimarrà
sempre attuale come espressione dell'essenza femminile. Conoscere questa danza, per una donna occidentale, significa anche aprirsi
ad un linguaggio solo in apparenza estraneo ed esotico. Gran parte della sua vitalità ci è stata tramandata da intrecci di diverse culture
attraverso le immigrazioni che risalgono al V secolo d.c. del popolo nomade ROM. Grazie alla loro natura non conformista che li
portava a vivere ai margini della società, i ROM sono stati meno soggetti ai tabù religiosi che fecero della danza e della sussualità
espressioni da reprimere. La loro vocazione nomade ne ha facilitato la diffusione nel mondo. Assorbendo l'influenza di altre culture,
la danza del ventre si trasformò, assumendo via via caratteri locali. In India e, in particolare, in Rajasthan prese il nome di "Khalbely" o
Capera"; in Egitto prese il nome di "Ghawazee o Ghaziya" derivata dal ritmo "Saidi"; in Turchia prese il nome di "Karcilama" dal ritmo
di 9/8; nei Balcani e in Macedonia prese il nome di "danza Ciocek" e, infine in Russia dove se ne riscontrano tracce nelle danze popolari.
Il momento di maggiore espansione di questa danza fu nel 1983 a Chicago e provocò inizialmente un grosso scandalo a cui seguì un clamoroso successo che la catalogò con il nome di "danza harem", nome che entrò più facilmente nell'immaginario occidentale, alimentando
la moda dell'oriente quale luogo privilegiato della sessualità e dell'erotismo. In realtà, la "danza harem" ha un 'origine molto più antica ed iniziò
come un'arte segreta riservata alle donne, alle compagne di segregazione, per le quali questa danza costituva un passatempo, un gioco di
improvvisazione e complicità femminile, unico piacere rimasto dietro le porte chiuse della loro gabbia d'oro, simbologia che ritroviamo
nel personaggio della giovane sposa Sharazad che racconta le storie delle "Mille e una notte".
Il suo significato antico è strettamente connesso alle sue valenze terapeutiche psico-fisiche che non escludono nè la socializzazione nè
la sensualità. E' una scoperta vedere come la danza del ventre non è solo uno spettacolo che allieta gli uomini, bensì una danza delle
donne per le donne con numerosi effetti benefici per il corpo e per la mente tanto da rappresentare una forma di sintesi tra la musico-
terapia e la danzaterapia. La musica orientale e gli strumenti utilizzati, nella loro varia gamma espressiva, hanno una risonanza
sui ritmi fisiologici, generando emozioni positive e un senso generale di benefico rilassamento. Le cinture ricche di medaglie allacciate
in vita, attraverso movimenti caratteristici (cerchi, otto, onde, cammelli e gabbiani) che coinvolgono busto, fianchi e braccia, lasciano
ampio spazio all'immaginazione e permettono di manifestare liberamente i propri sentimenti seguendo le combinazioni dei passi base.
A livello fisico migliora la circolazione sanguigna, quella del tratto intestinale, l'elasticità della colonna vertebrale (sia a livello cervicale che
lombare) e scioglie le tensioni muscolari di ogni segmento corporeo. Il contesto in cui si danza è quello di gruppi di donne che sviluppando
complicità e unione permettono un naturale confronto sul femminile e le sue dinamiche e problematiche. Ciò assume un valore fonda-
mentale nei momenti critici di trasformazione quali la pubertà e l'adolescenza che possono essere in queste fasi esplorate, elabo-
rate ed accettate con maggiore facilità, oltre a generare effetti fisici stabilizzanti sui disturbi mestruali
più comuni come nelle amenorree e dismenorree. Un 'altro aspetto terapeutico si evidenzia durante il periodo della gravidanza e
post gravidanza, attraverso la sperimentazione di movimenti morbidi, lenti e dolci, durante i quali, le future mamme entrano a contatto con il
nascituro avvertendo la sua presenza e cullandolo morbidamente comunicandogli così un senso di tranquillità .
Concludendo, la danza del ventre può essere praticata a tutte le età e non sono necessarie doti particolari per cimentarsi, questa è la motivazione principale che mi ha spinto a studiarla e praticarla. Il mio intento non è solo di formare delle danzatrici ma di creare un momento
diverso di aggregazione e complicità, ma anche di piacere e rilassamento oltre all'ovvio fascino esotico che non trascura l'elemento culturale
ma che favorisce la riscoperta, la conoscenza e, finalmente, un' atteggiamento tollerante e positivo nei confronti di una cultura che, seppure attigua, viene spesso grossolanamente fraintesa e, a volte, aprioristicamente rifiutata.










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