Ordini Cavallereschi Crucesignati

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venerdì 7 marzo 2014

RECLUTAMENTO FEMMINILE,COMANDANTI DONNE DELLA BRIGATA "PINAROLO"

Nota stampa militare del Ten.Col. Domenico OCCHINEGRO
Bari, 7 marzo 2014 - Si è svolto oggi 7 marzo, presso l’Università degli Studi di Bari, alla presenza del Comandante del 2° Comando delle Forze di Difesa (2° FOD), Generale di Corpo d’Armata Vincenzo LOPS e con la partecipazione del Magnifico Rettore dell’Università di Bari Professore Antonio Felice Uricchio, il primo seminario “Donne, Comandanti” organizzato dalla Brigata Pinerolo in collaborazione con l’associazione Apulia Onlus.
logo_uniba-468Il Comandante della Brigata Gen. B. Stefano DEL COL ha aperto i lavori sottolineando l’importanza dell’anno 2000 nel quale si è dato avvio al reclutamento del personale femminile quale naturale esigenza della società e nell’ambito della completa integrazione dello strumento militare con quello dei Paesi Europei e della NATO e dei nuovi scenari di impiego operativo. Le donne, attualmente, sono circa il 7% degli effettivi dell’Esercito e sono ammesse in ogni specialità e incarico al pari degli uomini, con una progressione di carriera identica a quella degli uomini.
Il seminario è stato articolato su due sessioni che  hanno stimolato momenti di riflessione e confronto, anche basati su testimonianze dirette da parte dei Comandanti donne della Brigata Pinerolo, sul modo di interpretare la leadership nel ruolo specifico di comando avvalendosi della partecipazione, tra gli altri, di Ufficiali dello Stato Maggiore dell’Esercito ed esperte della parità di genere in ambiente internazionale.
Sotto il profilo storico,  Antonio CARADONIO Pediatra e scrittore, autore del libro “Petali di Rose” ha sottolineato la figura di Rosalia MONTMASSON moglie di Francesco CRISPI e patriota italiana, unica donna  che partecipò alla spedizione dei Mille. La Dott.ssa LAURA FABIANO, Professoressa di Diritto Pubblico Anglo americano, ha illustrato quello della Dinamicità del concetto di attitudine nella giurisprudenza costituzionale italiana” e la Dott.ssa SANTA SELVAGGI FIZZAROTTI, Presidente Regionale della Croce Rossa, ha introdotto il tema delle “Donne di Croce Rossa ed Esercito Italiano”.

martedì 4 marzo 2014

UNIONE DEGLI ARMENI D'ITALIA-ENTE MORALE

ԻՏԱԼԻՈՅ ՀԱՅՈՑ ՄԻՈՒԹԻՒՆ UNIONE DEGLI ARMENI D’ITALIA Eretto Ente il 12/04/1955 – Decreto del Presidente della Repubblica n°709
Piazza Velasca, 4 – I-20122 Milano E-mail: unionearmeniitalia@virgilio.it | unionearmeni@gmail.com
1 marzo, 2014
Con osservanza, Prof. Baykar SIVAZLIYAN Presidente dell'Unione degli Armeni d'Italia

All'attenzione degli organi d'Informazione Comunicato-denuncia contro una politica di armenofobia
diramato dall'UNIONE DEGLI ARMENI D'ITALIA
[Eretto in Ente Morale il 2/04/1955 – Decreto del Presidente della Repubblica n°709]
 Alla cortese attenzione delle autorità e di tutti gli organi di stampa italiani
con la preghiera di darne la più ampia e urgente diffusione possibile!
Segreteria dell'Unione degli Armeni d'Italia
L’Unione degli Armeni d’Italia chiede alle Istituzioni, alla società civile e alla stampa di vigilare e censurare l’armenofobia fomentata dall’Azerbaigian anche in Italia.
A seguito della recente comparsa su alcuni media nazionali di articoli aventi ad oggetto la questione del Nagorno Karabagh e del conflitto sanguinoso che ne è seguito tra l’Armenia e l’Azerbaigian tra il 1991 e il 1994, l’Unione degli Armeni d’Italia intende esprimere il proprio sconcerto nel constatare come, in quegli articoli, venga ripetutamente richiamato, in maniera faziosa e selettiva, un episodio collegato a quel periodo storico, per descriverlo come simbolo tragico di massacri subiti dalle popolazioni civili di etnia azerbaigiana ad opera delle Forze di Auto-Difesa Armene del Nagorno Karabakh.
Trattasi dei fatti avvenuti nel febbraio del 1992 e che prendono il nome dal villaggio di Khojaly situato nella Repubblica del Nagorno Karabagh: gli avvenimenti ci portano all’epoca in cui, in seguito al referendum per l’indipendenza in conformità con la costituzione vigente dell’URSS e dopo la proclamazione dell’indipendenza da parte del parlamento eletto del Karabagh il 6 gennaio 1992, l’Azerbaigian lanciò una vera e propria invasione militare contro la neo-indipendente Repubblica del Nagorno Karabakh. Sin dai primi giorni dell’invasione la popolazione civile armena era soggetta a bombardamenti con missili Grad e bombe a grappolo, in palese violazione del diritto umanitario internazionale. Tra il febbraio e il marzo di quell’anno, il governo della Repubblica del Nagorno Karabagh mise in atto un’operazione militare contro il blocco dell’aeroporto di Khojaly e al fine di neutralizzare le postazioni azere dei lanciarazzi Grad situate all’interno del villaggio di Khojaly. In assenza di forze internazionali di peacekeeping, si trattava di misure considerate necessarie per la sopravvivenza della popolazione armena della regione. Il 25 febbraio l’operazione militare contro Khojaly prese il via, non prima di avere concesso un corridoio umanitario ai civili che avessero voluto lasciare la zona delle operazioni militari. L’informazione circa il corridoio umanitario era stata comunicata dalle autorità armene con largo anticipo, nel rispetto delle norme umanitarie del diritto internazionale, come confermato da alcuni funzionari azeri e dallo stesso presidente azero all’epoca dei fatti Ayaz Mutalibov. Tuttavia, da quanto riportato da fonti ufficiali azere, le autorità azere non fecero nulla per evacuare la popolazione civile dall’area delle attività militari.
Va sottolineato come all’epoca degli avvenimenti, la stampa dell’Azerbaigian riportò i fatti in modo sufficientemente obiettivo, mentre negli anni seguenti l’Azerbaigian, per contrastare la realtà storica dei massacri contro gli armeni a Sumgait, Baku, Kirovabad e altre località dell’Azerbaigian, ha inteso rappresentare i fatti di Khojaly come un genocidio degli azeri da parte armena. Una tale ricostruzione, supportata da documentazione fotografica che si è rivelata in molti casi clamorosamente falsa e con un richiamo al numero delle vittime continuamente aggiornato “al rialzo”, ha trovato smentite in molte dichiarazioni espresse dagli stessi funzionari azeri, da attivisti dei diritti umani, da giornalisti e da abitanti stessi di Khojaly. Al di là del tema storico, come Armeni e cittadini italiani, intendiamo segnalare il preoccupante crescendo di strumentalizzazione mediatica su fatti sopra citati, che contrasta con i canoni di una corretta informazione che sempre devono presidiare il dibattito in una società evoluta e libera quale la nostra. Respingiamo con forza l’uso di fatti storici ad evidente scopo propagandistico, destinato solo ad alimentare una retorica bellicosa e a rinfocolare l’odio tra popoli, ponendosi anche in contrasto con gli sviluppi del processo negoziale sulla questione del Nogorno Kharabagh che è attualmente in corso con la mediazione dell'OSCE; riteniamo, in tal senso, che la ricerca di percorsi condivisi sulla verità storica dei fatti e l’individuazione di soluzioni politiche che garantiscano pace, stabilità e sicurezza nella regione del Caucaso corrispondano all’interesse anche dell’Italia, in nome dei valori democratici, da affermare in ogni ambito.
Non possiamo esimerci da un appello, che rivolgiamo alla stampa, alla società civile e alle Istituzioni italiane, affinché sia mantenuta alta la vigilanza sui rischi che possono derivare, anche alla comunità armena in Italia, da una campagna discriminatoria fomentata con l’uso pubblico di verità manipolate. La secolare presenza degli Armeni in questo Paese è animata da persone e comunità che sempre hanno dato un contributo all’evoluzione della società in ogni campo; alcuni di noi, sono figli e nipoti di coloro che in Italia giunsero sospinti dalla furia genocidiaria che cancellò la presenza armena in Anatolia nel 1915. In questo senso, appare allarmante ed inquietante che si possano utilizzare contro gli Armeni, a proposito degli eventi del Nagorno Karabagh, termini quali genocidio o stragi di massa di civili, avvalendosi di fonti del tutto inattendibili e provenienti da un regime che usa l’armenofobia per consolidarsi e sembra additare indistintamente ogni armeno come un nemico da abbattere.