Ordini Cavallereschi Crucesignati

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sabato 11 ottobre 2008

IL FONDATORE DELL'ORDINE DEL TEMPIO ERA VERAMENTE LUCANO

di Vito Ricci
Il sigillo dell'Ordine del Tempio
I Templari, argomento sempre di gran fascino e moda, sono oramai arrivati dappertutto, persino sulle pagine di un giornale economico-finanziario. È infatti del 30 agosto un articolo apparso sul prestigioso quotidiano “Il Sole 24ore”, nelle pagine dell’inserto “Il Sole 24ore Sud”. L’articolo in questione ha per titolo “Il fondatore dei Templari? Era un lucano” (clicca qui per scaricare l'articolo in formato PDF) e presenta una scoperta d’archivio da parte dello storico (così viene presentato dall’articolista, devo dedurre che si tratti di un docente universitario di Storia medievale) Mario Moiraghi il quale, nel suo libro “L’italiano che fondò i Templari. Hugo de Paganis, cavaliere di Campania”, Ancora, 2005, disquisisce di una nuova tesi secondo la quale il fondatore dell’ordine del Tempio non sarebbe, come ritenuto dalla storiografia ufficiale, il francese Hugues de Payns (o Payens) cavaliere dello Champagne, ma un italiano, un lucano di Forenza in provincia di Potenza, figlio dei signori di quella città Pagano e Emma de Paganis, nobili salernitani trasferiti in Lucania. L’autore inoltre sostiene anche che l’ordine templare non fu fondato nel 1118, come si è sempre ritenuto da parte dei medievisti, ma qualche anno dopo il 1100 come sarebbe testimoniato da una lettera del 1103 inviata da Hugo de Paganis a suo zio Leonardo Amarelli di Rossano Calabro per comunicargli la morte del proprio figlio Alessandro avvenuta in Terra Santa. Partendo da questo recente articolo ho fatto delle ricerche e su Internet ho trovato un’intervista del 2004 allo “storico” Moiraghi che può essere consultata al seguente indirizzo: www.tonyassante.com/renzoallegri/templari/indice.htm. Ebbene da tale intervista apprendiamo in primo luogo che Moiraghi non è un medievista, un docente universitario di Storia medievale, come sembra essere presentato dall’articolo de “Il Sole 24ore Sud”, ma un architetto, si tratta quindi di un semplice appassionato di Medioevo. Dalla lettera del 1103 scritta da Hugo de Paganis (la volgarizzazione in italiano dal latino fatta redigere dalle famiglia Amarelli può essere consultata a questo indirizzo Internet: www.esoteria.org/documenti/misteri/renneslechateau/templari.htm) Moiraghi deduce che Hugo e suo cugino Alessandro erano membri dei Templari, ordine già operativo alla stesura della lettera. In base a che cosa Moiraghi fa tale deduzione? Al semplice fatto del racconto che Hugo e Alessandro si siano recati dal re di Gerusalemme Baldovino I a porgergli le condoglianze per la morte del fratello Goffredo di Buglione? Dal tenore del testo non emerge in alcun modo l’esistenza di un’organizzazione di cavalieri, questa è una considerazione del Moiraghi, probabilmente rifacendosi alla notizia storicamente appurata dei nove cavalieri che fondarono l’embrione dell’Ordine templare nel 1118. Moiraghi sostiene di aver preso visione della lettera, di averne constatato l’autenticità, di averla fotografata. Inoltre afferma anche di una segnalazione da parte di una professoressa inglese dell’esistenza di un monaco del 1100 chiamato Simone di Saint Bertin che aveva scritto di Hugo de Paganis, fondatore di un ordine cavalleresco per la difesa della Terra Santa. “Si tratterebbe di documenti nuovi e inconfutabili”, asserisce Moiraghi nell’intervista. L’appropriazione da parte dei francesi dell’origine dell’Ordine templare sarebbe dovuta alla falsificazione dei testi del cronista Guglielmo di Tiro procurata dai transalpini a seguito della versione delle cronache dal latino al francese, in questo modo Hugo de Paganis di Guglielmo di Tiro divenne Hugues de Payns cavaliere dello Champagne. Secondo Moiraghi Hugo de Paganis sarebbe sepolto nella chiesa di Giacomo a Ferrara, notizia riportata in un documento del 1621 di Marco Antonio Guerini dove è scritto a chiare lettere che Hugo de Paganis “diede principio all’Ordine dei Templari” (www.templars.it/ugodepaganiL.html). La questione è troppo delicata e con i Templari, l’ho capito con la mia esperienza, occorre andare molto cauti, con i piedi di piombo, prima di fare un’affermazione, anche quando sembra essere avallata da ineccepibili documenti. Vorrei svolgere qualche considerazione su tale questione da semplice appassionato di storia medievale. Mi sono occupato delle vicende dei Templari in Puglia, ricerca pubblicata dal sito “Storiamedievale.net” diretto dal prof. Raffaele Licinio, medievista dell’Università di Bari e direttore del Centro Studi Normanno Svevi. In autunno tali ricerche dovrebbero essere pubblicata in forma cartacea.A parte i dubbi già espressi in merito alla data di fondazione dei Templari antecedente di una quindicina d’anni quella convenzionalmente accettata dalla scienza medievistica, devo sottolineare che la tesi di Moiraghi nel ritenere il fondatore dei Templari italiano non è affatto nuova. Già nel XVII secolo degli studiosi l’avevano esposta. Dal libro di Paolo Lopane “I Templari. Storia e leggenda.”, 2004 a pagina 15 apprendiamo che nel 1610 lo storico Filiberto Campanile sosteneva che Hugo era nato a Nocera dei Pagani in Campania e discendeva da un tale Albertino di Bretagna, mentre nel 1651 Pietro Maria Campi affermava che Hugo fosse nativo di Piacenza. In tempi più a noi vicini a sostenere l’origine italiana è stato Domenico Rotundo, anch’egli semplice appassionato di Storia medievale, nel libro del 1983 “Templari, misteri e cattedrali”. Tale autore sembra indulgere molto all’esoterismo neo-templarista. Oltre alla lettera del 1103 scritta da Hugo allo zio, Rotundo, riprendendo Filiberto Campanile, afferma che un discendente di Hugo, un certo Tommaso dei Pagani, della signoria di Forenza in Basilicata, fu signore di Casalvieri in Ciociaria e che suo fratello Giovanni nel 1239 era signore di Atina, Santopadre, e San Giovanni Incarico. Nell’Archivio Capitolare di Veroli Rotundo trovò un documento ove è scritto che i Pagani ciociari (in particolare Giovanni) erano Templari e titolari della chiesa di San Egidio di Ceprano data in affitto ai Templari dal Capitolo di Veroli. Quindi, secondo Rotundo, i discendenti di Hugo erano templari e di conseguenza e a maggior ragione avrebbe dovuto esserlo lo stesso Hugo.Insomma la teoria di Moiraghi non è poi tanto nuova. Devo mettere in evidenza come sia Moiraghi che Rotundo non sono degli storici di professione, non hanno esaminato i documenti alla luce della filologia e delle altre scienze storiche. Mi chiedo come mai i medievisti italiani, i ricercatori universitari intendo, non si siano mai occupati di tale vicenda vista la mole di documenti esistenti in merito, il fascino indubbio della materia e la possibilità di fama e prestigio che deriverebbe da una ricerca che potenzialmente potrebbe sconvolgere la storia della fondazione dell’ordine dei Templari, lasciandola sempre a ricercatori “dilettanti”. Vorrei conoscere in merito l’opinione di uno studioso autorevole come il prof. Franco Cardini che di Templari e Crociate si è occupato nell’attività universitaria. Inoltre l’origine italiana è sempre stata minoritaria e la si ritrova sovente quasi esclusivamente in siti neo-templaristi ed esoterici (www.cavalieritemplari.it/ugodepagani.html).Ad essere rigorosi, in questa delicata vicenda i dubbi sono molto più numerosi delle certezze, e in tal senso e alla cautela sembra protendere Simonetta Cerrini, medievista dell’Università della Sorbona di Parigi, come riportato nell’articolo “Il Sole 24ore Sud”. Probabilmente Hugo de Paganis esistette realmente, fu crociato in Terra Santa, ma, secondo me, non lo si può identificare con il fondatore dei Templari. Un atto del conte di Champagne del 1100 reca la firma di Hugues de Payns e questi sarebbe morto nel 1136 in Terra Santa o a Reims come riportato da un documento dell’epoca nell’anagrafe mortuaria di quella città. E poi i cavalieri che dettero origine al nucleo primigenio dei Templari sembrano essere dal nome tutti francesi, come mai il loro capo era un italiano? Una straordinaria coincidenza tra due cavalieri crociati dal nome simile? Hugo de Paganis sarebbe il nome latinizzato di Hugues de Payns, o Hugues de Payns sarebbe il nome francesizzato del lucano Hugo de Paganis? O sono verosimilmente due persone distinte? La questione resta aperta, ma l’origine italiana appare poco probabile. Sarebbero auspicabili ricerche da parte di storici medievali di mestiere per chiarire definitivamente, ammesso che si possa dire definitivamente, l’origine del fondatore dei Templari.Nell’articolo “Il fondatore dei Templari? Era un lucano” Francesco Lambo, assessore alla Cultura del Comune di Forenza, è inorgoglito da fatto che il suo paese avrebbe dato in base alle ricerche di Moiraghi (presumibilmente aggiungo io) i natali al fondatore dell’Ordine del Tempio e sostiene di volersi impegnare “per avere nel nostro borgo una ‘presenza Templare’ esclusiva, certificata dagli storici, in modo da incrementare pure i flussi turistici”. Bisognerebbe ricordare all’assessore Lambo che a Forenza i Templari ci furono veramente ed è documentato che ebbero la chiesa di S. Martino dei Poveri, sita extra moenia, con case, un forno, un mulino, vigneti e terreni, indipendentemente da Hugo de Paganis.Breve nota a margine e una dovuta precisazione. Accanto all’articolo citato ve n’è un altro dal titolo “La sede operativa era in Puglia” ove si asserisce che la domus templare a Bari era la chiesa di San Clemente. Si tratta di un errore grossolano, come dimostrerò nel mio libro sui Templari in Puglia, ampliamente commesso dagli studiosi che in passato hanno confuso i Templari con un altro ordine, i canonici del Tempio del Signore, “Templum Domini” in latino, solo per la similitudine dei nomi ma completamente distinti.

Vito Ricci
Nasce a Bari-Palese nel 1971; laureato in Scienze statistiche ed economiche con lode, attualmente è impiegato presso presso l'Università di Bari; dal 1998 al febbraio 2005 ha lavorato a Roma in un'azienda municipalizzata. Appassionato di Storia in generale e particolarmente di quella medievale, soprattutto in relazione alla Puglia e alla Terra di Bari. Autore di ricerche sulla storia e i monumenti di Palese pubblicate su periodici locali e su portali Internet, è collaboratore di “Modugno.it”.
Ha pubblicato il volume Una comunità in cammino verso un futuro glorioso. Cento anni della parrocchia 'San Michele Arcangelo' di Palese, a cura di Vincenzo Auciello, Saverio Di Liso e Vito Ricci, settembre 2003. Tra i suoi articoli di interesse storico: Palese: testimonianze perdute della Preistoria, in «Peter Pan», novembre-dicembre 2001; Un'antica terra di ulivi, in «Il Tarlo», marzo 2004; Il Titolo tra Palese e Santo Spirito, in «Città dell’Uomo», aprile 2004; Le Torri della costa barese, in «Città dell’Uomo», maggio 2004; La chiesa rurale dell’Annunziata, pubblicato sui portali: Modugno.it, Bitonto.org, Bitonto.biz; I saraceni e la Puglia del secolo decimo e Quando Bari era un emirato musulmano, pubblicati su “Modugno.it”.
Collabora con il portale StoriaMedievale.net dove cura la sezione Medioevo Templare e si occupa di recensioni di libri.
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GLI AMICI DELL'A.S.A.P.S. CI CHIEDONO AIUTO

Diamo un aiuto a GuyIl bambino di 10 anni, figlio di un funzionario della Polizia Stradale, è colpito da una grave forma tumorale e dovrà recarsi negli Stati Uniti per un estremo tentativo di cura
Non è la solita catena di Sant'Antonio, non si tratta della solita richiesta di soldi per situazioni non chiare. Questa di cui vi parliamo è una situazione reale e certificata, di cui si fa garante anche Asaps. Si tratta del figlio di un funzionario della Polizia di Stato della provincia di Vicenza, che per ovvi motivi chiamiamo convenzionalmente "Guy".Accompagnato dal suo papà e dalla mamma Guy, 10 anni, dovrà recarsi nelle prossime settimane e per un periodo di almeno due mesi, negli Stati Uniti d’America per essere sottoposto ad una cura per combattere una rara forma tumorale, il “Neuroblastoma addominale metastatico”. Finora il protocollo di cura applicato in Italia, seppur con illusori risultati iniziali, non ha avuto un esito risolutivo, ma si è riscontrato una forma recidivante della malattia. Accertato che nel nostro Paese non sono possibili ulteriori protocolli di cura, i genitori hanno deciso, come ultimo tentativo per la salvezza del figlio, di recarsi nel Texas per una cura, allo stato ancora sperimentale, ma che gli darebbe una possibilità di vita. L’onere economico che si dovrà affrontare per il viaggio, la permanenza e la relativa cura, è nell’ordine dei 180.000 dollari.Chiediamo agli amici e colleghi di dare una mano per questo ultimo tentativo per far guarire il piccolo Guy.
Chi vuole aiutare il bambino può versare il suo contributo sul seguente Conto Corrente Bancario.
UniCredit Banca di VicenzaIT87B0200811811000011132032Causale: Per Guy.

I LUOGHI DEL COMMIATO

Premessa
In una società multi culturale come la nostra, il rito funebre dovrebbe consentire l’espressione di credenze e visioni del mondo alquanto eterogenee. E’ oggi fortemente avvertita l’esigenza di avere a disposizione spazi aperti, multi confessionali che permettano il ricorso a simboli, gesti, pratiche e parole differenti.
Il rito funebre infatti è una potente espressione di identità sociale. L’apertura, la tolleranza e l’accoglienza si esprimono dunque anche nella capacità di consentire, attraverso il rito funebre, il dispiegarsi di altre logiche culturali.

Una realtà sfaccettata, in gran parte secolarizzata, decisamente incanalata nella pluralità dal punto di vista culturale, etnico e religioso non è necessariamente antiritualista: quando abbandona i grandi riti collettivi perché non riesce più a riconoscersi in essi, tende a percepire come problema la mancanza di ritualità e ad inventare altre forme per esprimere contenuti che sono cambiati, ma che rispondono comunque al bisogno di uno spazio, di un tempo e di un linguaggio rituali per la condivisione del dolore.
Ecco quindi che la richiesta di aree cimiteriali e di sale di commiato destinate a onorare degnamente i defunti non proviene soltanto dalle minoranze religiose presenti nella città ma anche dal fermento del mondo civile che, sempre più secolarizzato, chiede ai suoi amministratori di dargli la possibilità di celebrare riti non religiosi, personalizzati, volti a commemorare la vita di chi è scomparso.
Presso l’Ufficio della Consigliera Franca Eckert Coen hanno sede 3 Consulte: quella dei laici, delle religioni, dei cittadini stranieri. Ognuna di queste realtà necessita di attenzione specifica in relazione al commiato, ecco perché le esamineremo separatamente.
Il rito laico

Gli uomini del nostro tempo, anche quando hanno perso i legami con la propria tradizione, continuano a manifestare l’esigenza di un trascendimento della morte, mediante gesti e parole simboliche, mediante un rito.
Essi esprimono una nuova tendenza che è quella di commemorare i propri morti in modo più personale, parlando di chi non è più, ricordando la sua vita, i suoi affetti, le sue preferenze, il segno da lui lasciato su questa terra. Si tratta di una memoria che ha il suo luogo di elezione nella mente e nel cuore di chi rimane, oltre che nelle tombe o nelle cellette cinerarie di un cimitero o di un crematorio.
Inoltre il rito, che riunisce parenti e amici intorno al morto, sottolinea l’appartenenza di quest’ultimo all’umanità, lo reintegra nel gruppo sociale e familiare, attribuendo così un significato alla sua vita, malgrado quel limite, a dispetto della finitezza.
Infine il rito permette, nella condivisione del dolore, di far percepire ai sopravvissuti che la loro solidarietà alimenta il desiderio di una continuazione della vita, li sottrae alla sofferenza bruta e senza nome, consente di riconoscere e accettare l’accaduto.

L’esigenza di un rito laico volto a commemorare la persona quale era in vita risponde alla cultura della nostra epoca, che molta importanza attribuisce all’individualità di ciascuno. Indipendentemente dalle fedi religiose, molto avvertita è l’esigenza di avere un momento privato per dire addio ai propri cari nel modo che si ritiene più idoneo a commemorare ciò che lo scomparso fu e rappresentò per coloro che lo hanno amato.
La nostra società è fondata sulla convinzione della unicità e insostituibilità di ogni individuo: è pertanto comprensibile che l’addio sia pensato come una commemorazione del significato dell’esistenza, del ruolo sociale, delle relazioni amicali e affettive di chi è scomparso.
Gli elementi di questo rito del commiato sono dunque l’ascolto di musica, il silenzio e la riflessione, la lettura di brani poetici o letterari, i discorsi o gli elogi funebri, alcuni gesti che assumono un significato simbolico.

Riti multi etnici
Inscindibile dalla trattazione delle cerimonie del commiato, e delle sale ove queste dovranno avere luogo, è il tema delle esigenze rituali delle comunità minoritarie dal punto di vista religioso e/o etnico che vivono nel nostro territorio.
Il tema dei riti funebri e delle modalità di sepoltura e dei cimiteri non è stato preso ancora in seria considerazione fino ad oggi nel dibattito sull’immigrazione, probabilmente perché altri problemi appaiono (e forse sono) più urgenti.
Tuttavia è utile ricordare che la prima nozione che viene messa in discussione nel bagaglio culturale del migrante è quella dell’identità, e che i riti della comunità di appartenenza connessi con la vita e la morte sono parte integrante e costitutiva dell’identità di un uomo, qualunque sia la posizione intellettuale che egli assume nei loro confronti, di accettazione, di critica o di rifiuto.
Il problema dell’identità, nell’incontro fra culture diverse, non riguarda, evidentemente, solo l’immigrato, ma anche la società che “accoglie”. Ogni identità, anche quella cosiddetta “etnica”, si definisce in rapporto ad un’alterità, e non è data dalla nascita, ma è una costruzione culturale, fluida e flessibile, sovente invocata per rivendicare qualcosa.
L’intolleranza e il razzismo nascono da un’identità vissuta come rigido confine protettivo tra “noi” e “loro”, dalla percezione di una minaccia nei confronti della propria identità; è pertanto su una concezione più aperta e dialettica di identità che bisogna lavorare per sconfiggerli. L’importanza di un’apertura conoscitiva reciproca fra paese che accoglie e gruppi immigrati su un tema come quello dei riti di morte ha direttamente a che fare con il nocciolo dell’accettazione e con quello del radicamento, dunque, della convivenza possibile tra differenti gruppi.
Oggi in Italia la maggior parte degli immigrati tende a rimpatriare la salma dei propri cari defunti all’estero. Questi rimpatri sono emblematici riguardo all’assenza di una situazione interculturale nel nostro paese. La scelta di rimpatriare la salma può infatti essere letta come il sogno di un ritorno a casa, come legame forte con la propria comunità e terra d’origine, come un rifiuto della terra d’immigrazione e, comunque, come segno di uno scarso radicamento.
D’altronde, perché il rimpatrio non sia una scelta forzata come oggi si presenta, è necessario che il paese che accoglie si preoccupi di creare le condizioni affinché una sepoltura e un rito funebre compatibili con le usanze dell’immigrato siano possibili: il dialogo si crea nel momento in cui ad una richiesta di spazi –ad esempio cimiteriali- viene data una risposta consona da parte delle istituzioni del paese che accoglie.

Tanto più che, col crescere delle generazioni di immigrazione, si verificano nella vita degli immigrati eventi biografici che rendono estranea la pratica del rimpatrio, data per scontata oggi in Italia dai maghrebini e non solo (il più delle volte ottenuta con collette della comunità messe insieme con difficoltà e non immediatamente dopo il decesso): in particolare, non va sottovalutato lo spostamento del proprio nucleo affettivo e familiare in terra d’immigrazione, i matrimoni misti, la presenza di figli e nipoti, l’effettivo tramonto dell’idea del ritorno e l’invecchiamento in terra d’immigrazione.
Pertanto sul versante del rito, una volta superata l’idea di una sorta di “maledizione” del morire “in esilio”, senza aver potuto fare ritorno, è possibile che l’immigrato accetti una forma di costruzione del rito funebre in terra d’immigrazione non come crisi identitaria, ma come positivo fattore di mediazione e integrazione, passando da un sentimento di vergogna per essere sepolto in terra straniera al sentirsi onorato di esserlo.

I riti religiosi
Oggi, il percorso più comune che segue un decesso è ospedale – obitorio – trasporto funebre – rito religioso in chiesa – cimitero (o crematorio). Con l’eccezione, forse, dei veri credenti, per i quali il rito cattolico mantiene il suo profondo significato, tale percorso è sovente vissuto come un insieme di formalità da adempiere, come un momento spoglio e deludente. Va tenuto presente, a questo proposito, che circa il 33,8% degli italiani (dati del 1995) dichiara di credere nell’esistenza di un’anima immortale. Per gli altri, evidentemente, il rito religioso cattolico, fondato sull’idea della salvezza e della sopravvivenza dell’anima, viene sovente scelto per conformismo o per la mancanza di un’alternativa.
Il rito funebre funge da contenitore del cordoglio, sospende il tempo ordinario, il fluire quotidiano degli eventi, e mette pertanto le persone colpite da un lutto di fronte alla possibilità di esprimere, in modo solenne, il dolore, lo sconvolgimento e l’impotenza che l’uomo prova di fronte al mistero della morte.
Anche qualora non vi siano convinzioni salvifiche di fronte alla morte, l’espressione collettiva del dolore è già il riconoscimento di un senso, la presa di coscienza (che può essere sofferta ma salda) dei limiti dell’umano.
E la morte è precisamente, innanzitutto, tale limite, che offre l’orizzonte di significato nel quale l’uomo vive e dà un senso al tempo e alle sue azioni. In un contesto di immortalità, le possibilità sarebbero infinite e il valore dei singoli atti umani completamente diverso. Il riconoscimento della realtà della morte e del senso del limite che ne deriva è dunque uno dei primi contenuti del rito stesso.

La Consulta delle Religioni della città di Roma annovera la partecipazione di 16 realtà religiose differenti, ognuna con i propri riti, ordinamenti e leggi. Una questione centrale a ogni rito funebre religioso è quella che concerne il destino del corpo, oggetto in vita di consistenti investimenti di natura affettiva, estetica, culturale e religiosa. Ai riti funebri di ogni religione si richiede di sancire pubblicamente la forma di congedo prescelta per i corpi.
Se, da una parte, Cristiani delle varie confessioni, Ebrei e Musulmani godono già di aree cimiteriali dedicate e non necessitano di luoghi aggiuntivi per il commiato, diversa è la situazione degli Induisti e dei Bahá'í che vivono nella nostra città. Entrambe le Fedi, allo stato attuale, non dispongono di un luogo per il commiato e necessitano di aree cimiteriali per poter espletare le esigenze della tipologia di sepoltura, dell’orientamento del corpo e dei rispettivi rituali.
Estrapolato da i fratelli ospedalieri.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

...PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2008 - "Servi e apostoli di Cristo Gesù":

L’Amore ci porta naturalmente alla missione: l’Amore trova vie di comunicazione forti e delicate appropriate per manifestarsi, al di là delle barriere e delle difficoltà, fuori e dentro di noi. Supera la timidezza, supera l’indifferenza. Supera le differenze, supera le ferite, le malattie. L’Amore va direttamente al nostro cuore e al cuore del fratello e della sorella. Ci riporta al terreno fertile da dove siamo nati, alla terra promessa in cui avrà stabile dimora la pace e la giustizia: la profondità di ogni cuore di ogni uomo e di ogni donna.
Gesù, dono d’Amore del Padre è la Via più breve all’Amore, Gesù è la Verità più completa sull’Amore, Gesù è la Vita nell’Amore; chi a Lui si fa vicino diventa dono di salvezza nell’Amore per tutti… missionario infallibile!

Cari fratelli e sorelle, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale (quest’anno domenica 19 ottobre 2008 n.d.r.), vorrei invitarvi a riflettere sull’urgenza che permane di annunciare il Vangelo anche in questo nostro tempo. Il mandato missionario continua ad essere una priorità assoluta per tutti i battezzati, chiamati ad essere "servi e apostoli di Cristo Gesù”, "evangelizzare è la grazia, la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda" (n. 14). Come modello di questo impegno apostolico, mi piace indicare particolarmente san Paolo, l’Apostolo delle genti, poiché quest’anno celebriamo uno speciale giubileo a lui dedicato.
L’umanità ha bisogno di essere liberata e redenta. La creazione stessa - dice san Paolo – soffre e nutre la speranza di entrare nella libertà dei figli di Dio (cfr Rm 8,19-22). Queste parole sono vere anche nel mondo di oggi. La creazione soffre. L’umanità soffre ed attende la vera libertà, attende un mondo diverso, migliore; attende la "redenzione". Dinanzi a questo scenario "sentiamo il peso dell’inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia" (Cost. Gaudium et spes, 4) e preoccupati ci chiediamo : che ne sarà dell’umanità e del creato? C’è speranza per il futuro, o meglio, c’è un futuro per l’umanità? E come sarà questo futuro? La risposta a questi interrogativi viene a noi credenti dal Vangelo. È Cristo il nostro futuro e, come ho scritto nella Lettera enciclica Spe salvi, il suo Vangelo è comunicazione che "cambia la vita", dona la speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell’umanità e dell’universo (cfr n. 2).
San Paolo aveva ben compreso che solo in Cristo l’umanità può trovare redenzione e speranza.
È dunque un dovere impellente per tutti annunciare Cristo e il suo messaggio salvifico. "Guai a me – affermava san Paolo – se non predicassi il Vangelo!" (1 Cor 9,16). Guardando all’esperienza di san Paolo, comprendiamo che l’attività missionaria è risposta all’amore con cui Dio ci ama. Il suo amore ci redime e ci sprona verso la missio ad gentes; è l’energia spirituale capace di far crescere nella famiglia umana l’armonia, la giustizia, la comunione tra le persone, le razze e i popoli, a cui tutti aspirano (cfr Enc. Deus caritas est, 12). È pertanto Dio, che è Amore, a condurre la Chiesa verso le frontiere dell’umanità e a chiamare gli evangelizzatori ad abbeverarsi "a quella prima originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio" (Deus caritas est, 7). Solo da questa fonte si possono attingere l’attenzione, la tenerezza, la compassione, l’accoglienza, la disponibilità, l’interessamento ai problemi della gente, e quelle altre virtù necessarie ai messaggeri del Vangelo per lasciare tutto e dedicarsi completamente e incondizionatamente a spargere nel mondo il profumo della carità di Cristo
Cari fratelli e sorelle, la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale vi incoraggi tutti a prendere rinnovata consapevolezza dell’urgente necessità di annunciare il Vangelo.

LE SOTTILI SFUMATURE DELL'AMORE

di Achille della Ragione

Dedicato ad Elvira
L’amore è una scintilla che muove il sole e l’altre stelle, energia misteriosa che permea l’universo e presiede benevolmente al movimento degli atomi e delle molecole, ma è anche una prodigiosa forma di attrazione tra uomini e donne con delle regole che invano i sapienti hanno cercato di codificare. Dall’antica Grecia ai nostri giorni sono state fatte infinite indagini e sono stati scritti fiumi di inchiostro per definirlo, filosofi, poeti, scienziati lo hanno sviscerato, cantato, vivisezionato per cercare di scandagliare i meccanismi che ne regolano il modo di manifestarsi. Uno stesso amore può vivere fasi diverse, alti e bassi, può essere intenso o duraturo, folle o saggio, disinteressato o pragmatico. Siamo schiavi dei nostri ormoni, di inafferrabili mediatori chimici, siamo debitori all’ambiente ed al nostro codice genetico, ma tutti, almeno una volta nella vita, possiamo provarlo inebriandoci o soffrendo, passando dalla gioia al dolore, dall’esaltazione alla tristezza. I primi contatti con questo ingovernabile sentimento rientrano in un gioco di sensazioni che potremmo definire Ludus, una giocosa altalena di libidine e tenerezza, di attrazione frivola, disimpegnata alla ricerca di una soddisfazione marcata dall’egoismo più che dalla gioia di donarsi. Quando si vive la fase del Ludus si possono amare simultaneamente più persone senza impegnarsi con nessuna. Un grado più spiccato di attrazione che può oscurare il raziocinio e scatenare gli istinti sessuali più potenti è l’Eros, amore appassionato, sensuale, accaparratore, estenuante; è quello più intenso e meno duraturo, le donne lo sognano, gli uomini lo temono. Mania è amore ossessivo, totale, possessivo, irrazionale, dominato dalla gelosia per la persona amata dalla quale si dipende totalmente. Spesso rappresenta l’ultimo grado dell’amore, il più sofferto, quasi ai limiti con la patologia. Filia è un amore affettuoso, rassicurante, fatto di esperienze e sensazioni comuni, che si intrecciano in un dialogo senza parole, fatto di sguardi, di silenzi, di complicità. Ognuno antepone ai suoi i problemi dell’altro, vi è una grande confidenza, massima stima, aiuto reciproco. Agape è amore altruista, delicato, generoso, basato più sull’affetto che sul richiamo della carne. Il contrario dell’Eros, ognuno cerca con premura di entrare nell’universo dell’altro, senza coercizione, né condizionamenti, allo scopo di divenire una cosa sola. Pragma è il sentimento che unisce spesso gli adulti provenienti da altre esperienze fallite, esso si basa sul calcolo, sul dare ed avere, sulla compatibilità più che sull’affettività, senza eccessivi sacrifici. Il sesso costituisce il sale ed il pepe dell’amore, è nello stesso tempo brio, dinamismo, aggressività, ma anche sapore, stabilità, possesso esclusivo. Esso deve fare i conti con la nostra bestialità ed è legato allo scorrere inesorabile del tempo. Fa mutare negli anni gli stadi dell’amore, tramutando l’Eros in Filia o a volte in Mania, più raramente in Agape. L’amore, a differenza dell’innamoramento, che è fugace, può essere eterno, basta saper tenere sempre acceso il sacro fuoco riscaldandosi senza farsi bruciare
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LE SOTTILI SFUMATURE DELL'AMORE

Dedicato ad Elvira
L’amore è una scintilla che muove il sole e l’altre stelle, energia misteriosa che permea l’universo e presiede benevolmente al movimento degli atomi e delle molecole, ma è anche una prodigiosa forma di attrazione tra uomini e donne con delle regole che invano i sapienti hanno cercato di codificare. Dall’antica Grecia ai nostri giorni sono state fatte infinite indagini e sono stati scritti fiumi di inchiostro per definirlo, filosofi, poeti, scienziati lo hanno sviscerato, cantato, vivisezionato per cercare di scandagliare i meccanismi che ne regolano il modo di manifestarsi. Uno stesso amore può vivere fasi diverse, alti e bassi, può essere intenso o duraturo, folle o saggio, disinteressato o pragmatico. Siamo schiavi dei nostri ormoni, di inafferrabili mediatori chimici, siamo debitori all’ambiente ed al nostro codice genetico, ma tutti, almeno una volta nella vita, possiamo provarlo inebriandoci o soffrendo, passando dalla gioia al dolore, dall’esaltazione alla tristezza. I primi contatti con questo ingovernabile sentimento rientrano in un gioco di sensazioni che potremmo definire Ludus, una giocosa altalena di libidine e tenerezza, di attrazione frivola, disimpegnata alla ricerca di una soddisfazione marcata dall’egoismo più che dalla gioia di donarsi. Quando si vive la fase del Ludus si possono amare simultaneamente più persone senza impegnarsi con nessuna. Un grado più spiccato di attrazione che può oscurare il raziocinio e scatenare gli istinti sessuali più potenti è l’Eros, amore appassionato, sensuale, accaparratore, estenuante; è quello più intenso e meno duraturo, le donne lo sognano, gli uomini lo temono. Mania è amore ossessivo, totale, possessivo, irrazionale, dominato dalla gelosia per la persona amata dalla quale si dipende totalmente. Spesso rappresenta l’ultimo grado dell’amore, il più sofferto, quasi ai limiti con la patologia. Filia è un amore affettuoso, rassicurante, fatto di esperienze e sensazioni comuni, che si intrecciano in un dialogo senza parole, fatto di sguardi, di silenzi, di complicità. Ognuno antepone ai suoi i problemi dell’altro, vi è una grande confidenza, massima stima, aiuto reciproco. Agape è amore altruista, delicato, generoso, basato più sull’affetto che sul richiamo della carne. Il contrario dell’Eros, ognuno cerca con premura di entrare nell’universo dell’altro, senza coercizione, né condizionamenti, allo scopo di divenire una cosa sola. Pragma è il sentimento che unisce spesso gli adulti provenienti da altre esperienze fallite, esso si basa sul calcolo, sul dare ed avere, sulla compatibilità più che sull’affettività, senza eccessivi sacrifici. Il sesso costituisce il sale ed il pepe dell’amore, è nello stesso tempo brio, dinamismo, aggressività, ma anche sapore, stabilità, possesso esclusivo. Esso deve fare i conti con la nostra bestialità ed è legato allo scorrere inesorabile del tempo. Fa mutare negli anni gli stadi dell’amore, tramutando l’Eros in Filia o a volte in Mania, più raramente in Agape. L’amore, a differenza dell’innamoramento, che è fugace, può essere eterno, basta saper tenere sempre acceso il sacro fuoco riscaldandosi senza farsi bruciare
.

UN COMPLEANNO INDIMENTICABILE

di Antonella Salerno

Un compleanno all’insegna della rimpatriata .
Sono stati i due motivi che mi hanno portato ad organizzare il 17 luglio scorso, questa straordinaria festa .
Il compleanno che si e’ svolto a Bisceglie nella villa di famiglia in via Andria 7,
ha visto la partecipazione di oltre 80 persone . Amici che non vedevo da oltre 10 anni, sono venuti
con i loro bambini di differenti eta’ per farmi gli auguri. Tra gli invitati c’era mia cugina
Annalisa Ricchiuti che vive in Germania .
Mia cugina Angelica Torchetti con suo marito avv. Vittorio Fata, consigliere comunale di Forza Italia
di Bisceglie nonche’ gia’ presidente del consiglio comunale.
Presenti anche le mie amiche giornaliste Lucrezia D’Ambrosio, corrispondente da Molfetta per la
Gazzetta del Mezzogiorno, Maria Teresa De scisciolo e Rosanna Buzzerio.
Tutte ci siamo conosciute a Telemare, l’ emittente televisiva di Molfetta.
Tra gli altri invitatai, c’era il numeroso gruppo della chiesa di Santa Caterina, con cui ho condiviso
momenti indimenticabili quando facevo parte del coro dell’ azione cattolica.
Alla festa sono venuti anche l’ avv.Ruggiero Piazzolla , Gran Maestro dell’ Ordine del Cid Campeador
di Barletta con sua moglie Caterina e il signor Porcelluzzi con la sua consorte, anche loro componenti
dell’ ordine.
La serata si e’ svolta piacevolmente in un ‘atmosfera serena, con tanta voglia di divertirsi e stare insieme .
Molti dei miei amici si sono rivisti dopo anni e parlato dei vecchi tempi, quando si andava a scuola.
Come le mie migliori amiche Laura Pedone e Nicla Papagni, conosciute a scuola quando frequentavo
L’ Istituto d’Arte di Corato.
La mia famiglia, mi ha aiutato moltissimo per organizzare questa festa indimenticabile.
Mio fratello Leo, ha voluto farmi una sorpresa, sparando fuochi d’ artificio, durante tutta la serata.
Mio fratello minore Mauro invece con l’ aiuto di mio padre Carlo Salerno, mi ha aiutato
a decorare la villa con tantissimi palloncini colorati , bandierine e striscioni sui quali c’era scritto
“ Happy Birthday” .
Durante la festa, mia madre Elisabetta Rubini in Salerno ha distribuito a tutti i bambini Trombette ,
cappellini , fiaccole e Poppy Party ( le piccole bottigliette che scoppiano ).
Mia cognata Lucia ha aiutato i miei genotori ad apparecchiare la tavola ricca di piatti colorati provenienti dall’ Inghilterra sui quali c’era scritto Happy Birthday e tante prelibatezze quali: Il calzone di cipolla,
la torta di spinaci , panini, tartine ecc.
Insomma una ricca cena fredda ,buona per tutti i palati e accompagnata da Spumante, Champagne, Vino,
Limoncello, ed altre bevande.
Tutti i bambini hanno ricevuto un simpatico ricordo, delle torce colorate manuali .Un regalo apprezzato anche dagli adulti. Le torce si sono rivelate utili piu’ tardi quando mia zia per sbaglio ha schiacciato il pulsante per attivare l’allarme.
Qualcuno ha pensato di far smettere l’ insopportabile suono spegnendo il contatore.
Per fortuna l’ inconveniente e’ durato sono 3 minuti e dopo una risata generale , si e’ continuato a ballare sullo spiazzale della villa attorniato da alti alberi di pino.
Verzo mezzanotte c’e’ stato il taglio della torta. Il grande dolce e’ stato decorato con 3 rose rosse
e la scritta “ Buon Compleanno Antonella”.
Per quasta speciale occasione ho voluto indossare un paio di orecchie da coniglio rosse con luci che
lampeggiavano e che si adattavano benissimo sul mio meraviglioso abito rosso a tubino molto scollato.
Tutti i miei amici hanno cantato la tradizionale canzone di auguri di Buon Compleanno
con il sottofondo di una speciale candelina che suonava il ritornello augurale, mentre i bambini
hanno acceso tante fiaccole .
Prima del taglio della torta ho spiegato che gli inglesi a chi chiede loro quanti anni compiono rispondono
in due modi : “compio 21 anni un’altra volta “-
Oppure : – “ sono piu’ vecchia dei miei denti e piu’giovane del mio paese”- .
La meravigliosa serata e’ stata ripresa con la mia inseparabile telecamera e macchina fotografica.
Un hobby questo diventato una passione da tanti anni e che mi ha dato l’ opportunita’ di immortalare
tutti gli attimi piu’ belli della mia vita e perche’ no anche degli altri.

CHI ERA MUSSOLINI? COSA E' STATO IL FASCISMO?

<…il fascismo si impose attraverso l’uso sistematico della violenza>. (Paul Corner)

. (Alcide De Gasperi)

Antonio Gramsci al III Congresso dell’Internazionale Comunista a Mosca, svoltosi tra il 22 giugno e il 12 luglio 1921, aveva auspicato che anche in Italia si realizzasse una rivoluzione bolscevica .

. (Gaetano Salvemini)

(Max Gallo)
L’olio di ricino era una delle armi preferite dai fascisti; i casi recidivi venivano trattati col manganello e – come ultima risorsa – con le pallottole. (Richard O. Collin)

(Ardito Desio)

(Antonio Spinosa)

(Matteo Matteotti)

(Silvio Bertoldi).

(Papa Pio XII).

Secondo quanto scrive Francesco Malgari questa era l’opinione di Luigi Sturzo, il padre della Democrazia Cristiana: .

(Paul Gentizon, giornalista svizzero).

(Gianfranco Fini).

(Mihaly Vajda).

(Riccardo Pacifici>.

. (Giorgio Pisanò).

domenica 5 ottobre 2008

UNA DONAZIONE ALLA SCUOLA ELEMENTARE "MIGJENI"

COMUNICATO STAMPA
Donazione di materiale ad una scuola elementare.

(PEC/PEJE) Glociane – E’ stato donato alla scuola elementare “Migjeni”, del villaggio di Glociane, materiale scolastico per un valore di circa 6500 euro: si tratta di 100 sedie, 50 banchi ed 1 fotocopiatrice che sono stati consegnati dal Tenente Colonnello Stefano Mastrangelo (capo ufficio della branca CIMIC), al preside della scuola e ai rappresentanti della municipalità di Peja e di Glociane.
La donazione rientra nel quadro delle attività umanitarie che il Contingente militare italiano della MNTF-W, comandato dal Generale di Brigata Agostino Biancafarina, effettua tramite la propria branca CIMIC (Cooperazione Civile Militare).
Il supporto ad un istituto scolastico multietnico come la scuola elementare “Migjeni”, con oltre 500 alunni provenienti da cinque villaggi limitrofi, testimonia l’impegno del Contingente italiano per la promozione della tolleranza reciproca.