Intervista al Presidente del Consiglio
Regionale della Lombardia Raffaele Cattaneo
Il ruolo delle autonomie locali –
Il dibattito sul Titolo V della Costituzione
di
Antonio Laurenzano
E'
in corso nel Paese un dibattito a più voci sulla Riforma del Titolo
V della Costituzione, quello che disegna le autonomie locali:
regioni, province e comuni. la Legge di riforma del 2001 modificò
sostanzialmente il riparto delle competenze legislative e finanziarie
fra Stato e Regioni nell'intento di dare allo Stato italiano una
fisionomia più' "federalista", si tratta ora di
riequilibrare il rapporto fra i vari livelli di governo e renderli
compatibili con l'autonomia di spesa e fiscale.
Per
fare luce su un tema di vitale importanza per il futuro delle
comunità' locali e quindi dei cittadini, ne parliamo con il
Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, Raffaele
Cattaneo.
-Quale
utilità hanno le Regioni? I livelli intermedi di governo locale
servono davvero o sono soltanto enti inutili, come spesso vengono
dipinti dai mass media all'opinione pubblica?
Il
dibattito è stato riaperto dal neo premier Matteo Renzi che ha
ributtato sul tavolo il tema delle riforme costituzionali. Il
Consiglio regionale ne ha discusso il 13 e il 25 febbraio durante ben
due sedute tematiche nelle quali, su mia proposta, abbiamo
approfondito il tema delle riforme approvando un ordine del giorno e
un allegato condiviso a Roma con i Presidenti di tutti i Consigli
regionali italiani. Il tema delle riforme istituzionali è certamente
di grande attualità nel dibattito politico ed è sotto gli occhi di
tutti il formidabile attacco che in questi mesi si sta attuando nei
confronti delle autonomie locali: dal patto di stabilità che ha
amputato la capacità di azione dei comuni, alla prospettata
cancellazione delle province, trasformata poi nella mera
eliminazione dei livelli elettivi.
-Ma
l’attacco alle autonomie locali è soltanto una variabile della
“spending review”? Qual è la vera posta in gioco?
Contrastare
la deriva in atto è necessario innanzitutto per una ragione ideale:
senza più alcun livello istituzionale tra il cittadino singolo e lo
Stato, senza corpi intermedi, società di mezzo, autonomie locali e
sociali ci sarà solo meno libertà reale, meno difese dalle
invadenze dello Stato e meno benessere per tutti. Non è certo un
nuovo centralismo che potrà risolvere i problemi del Paese. Ma è
ancor più grave che sfugga ai più nel dibattito attuale - tutto
centrato sul tema dei costi della politica, delle indennità, degli
sprechi (che certo, sia ben chiaro, vanno contrastati) - la
consapevolezza che le autonomie rappresentano un baluardo reale per
la libertà di tutti.
-Qual
è il ruolo dei corpi intermedi nel rapporto fra Stato e cittadino?
In cosa si concretizza la loro centralità istituzionale?
Una
società senza corpi intermedi è una società più debole e più
esposta a tentazioni autoritarie. Il rischio che stiamo correndo è
altissimo: sacrificare le autonomie locali, buttandole via senza
renderci conto del danno che facciamo alla vita concreta di tutti.
Ambiti come la sanità, scuola, agevolazioni per le imprese, regole
per il commercio, il territorio, l'ambiente, giusto per fare alcuni
esempi, sarebbero veramente gestiti meglio delegando le competenze a
Roma anziché sul territorio? Ecco perché la Lombardia sul tema del
Senato delle Regioni, riforma del Titolo V e revisione degli assetti
dei livelli intermedi di governo ha ritenuto di lanciare una
proposta. Innanzitutto, sul superamento del bicameralismo perfetto,
attraverso la costituzione di un Senato delle Regioni e delle
Autonomie che dovrà essere composto per almeno due terzi da
rappresentanti provenienti dalle Regioni e per il terzo rimanente
dagli Enti locali, entro un numero complessivo non inferiore a 80 e
non superiore a 200, tenendo conto della popolazione di ciascuna
Regione.
-A
quali risultati dovrebbe pervenire la Riforma del Titolo V? Si
arriverà a un nuovo e più equilibrato rapporto fra Stato e Regioni?
Sulla
riforma del Titolo V, l'idea è quella di lasciare la potestà
legislativa esclusiva dello Stato solo per le materie sulle quali vi
è un oggettivo e prevalente interesse nazionale. È anche opportuno
riflettere sulla riduzione del numero attuale delle Regioni italiane
con l’obiettivo di costituire enti regionali più ampi (si può ad
esempio scendere da 20 a 9), mantenendo le province o comunque enti
di area vasta elettivi in numero inferiore all'attuale (50/60 anziché
107) e limitando al minimo la creazione di città metropolitane (ne
bastano 3).
-La
Regione Lombardia come si pone nel dibattito in corso a difesa delle
autonomie locali?
La
Lombardia all’interno di questo dibattito per prima ha tenuto una
posizione costruttiva e di contenuto, consapevole del suo ruolo di
traino del regionalismo italiano. Il mio auspicio è che ora anche in
sede di Conferenza delle Regioni sia possibile ottenere una posizione
unanime di tutti i governatori, così come già avvenuto durante la
Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative. Solo una
posizione forte e univoca di tutte le Regioni potrà contribuire a
preservare il patrimonio inestimabile delle nostre autonomie.