Ordini Cavallereschi Crucesignati

Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.

giovedì 1 novembre 2007

4 novembre Sacrario dei Caduti a S. Ambrogio

Cari colleghi,
vi informo delle manifestazioni orgnizzate dal Comune di Milano per la ricorrenza in oggetto.

2 novembre ore 10 Basilica di S. Ambrogio --> S. Messa in suffragio dei Caduti celebrata dall'Arcivescovo SE Dionigi Tettamanzi
4 novembre ore 09.30 Sacrario dei Caduti a S. Ambrogio --> Alzabandiera e deposizione di corona

Vista la situazione che coinvolge la nostra Unione e per la quale speriamo di avere notizie positive già dalla prossima settimana quando la Finanziaria andrà in Senato, sarebbe bellissimo se la partecipazione UNUCI fosse numerosa, a Milano come in Lombardia e in tutta Italia.

E per sottolineare la nostra presenza cosa è meglio che indossare la nostra Grande Uniforme Invernale (esclusa ovviamente per le Forze di Polizia): sciarpa, sciabola, decorazioni, guanti e .. stemma UNUCI ben visibile sul taschino della giacca.
Partecipate numerosi per l'Italia, per le Forze Armate, per l'UNUCI
Cap. Elio PedicaCeremony Manager & Webmaster of UNUCI LombardiaVia Bagutta 12 - 20121 Milanomobile 335.7693638web: http://www.unucilombardia.org/ email: unucilombardia@unucilombardia.orgSede: Via Bagutta 12, Milanotel./fax +39.02.76008863
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mercoledì 31 ottobre 2007

Il Galeone dell'AMORE

Le mie poesie,
Il Galeone, ha gettato le sue ancore sul fondo della più perduta stiva, perforando il Gran Cuore Nero…


Lasciami libero con la mia miseria
Lasciami libero con la mia solitudine.
Lasciami libero col il mio dolore.
Forse ritroverò me stesso. Ti prego!

Fuco d’amore, ha gustato il miele di un immenso campo fiorito,
ai confini dell’infinito, fermo sul bocciolo di una rosa nera
che in attesa, si apra. Conto le lune per succhiare
il nettare dai petali profumati…

Addio piccola sirena dal flauto Magico.
Addio regina indiscussa dei pensieri dell’uomo e dell’amore,
volge al destino non più gli assilli o le forti emozioni,
la dea nera, nel gioco infantile ha distrutto
e seppellito tutto. Bisbetica sacerdotessa.
Con un giogo d’Amore.

Non succedeva da molti anni.
Ho acceso il mio flebile lumicino
alla luce della tua splendida stella.
Non stupirti della tua luminosità,
asciuga l’ultima rugiada, il
fiore inumidito si eleverà
verso l’azzurro infinito…
“omnia vincit amor”

Per la mia donna bruna.
Se potessi tramutarmi in fiore,
nella musica sinfonica del prato,
suonerei l’armonia policroma
dei giardini incantati, per la donna mia.
Se potessi e incantato mi concedesse
d’essere tramutato in stella, luce
sarei per la mia donna bruna.
Se potessi essere impeto e fragore,
tutto tempesterei ed annullerei
per viver ipnotizzato, solo nel
sogno con la mia donna bruna.
Se perdessi la luce degli occhi,
forte stringerei i denti
e, nel buio della notte umana,
menestrello sarei per la donna mia.
Siccome mortale io sono
Canto così alla mia donna bruna.

Sotto i ponti l’acqua scorre.
Il cielo e il mare mutano.
Il vento incostante cambia rotta.
La luna cambia viso,
l’ordito le stagioni…
Solo il mio amore resta immutato.
Abbiamo scritto le più
belle pagine d’amore
in questi pochi mesi…
nel libro della vita.
Le leggeremo insieme?
Vuoi!

La tua bellezza selvatica
alimentata dal mio amore,
splende di una luce
che
non conoscerà mai
tenebre.

Volersi bene…
e poi il mio Amore…
quando per gli altri cesserà…
per Te vivrà oltre l’eternità!...

La tua grazia, la tua bellezza
bruna e felina sono una
visione di sogno e di Amore
senza domani!..

Corsaro nei mari dell’amore.
Ho issato la nera bandiera,
nel galeone pirata che solca
gli oceani della vita,
combatto febbre d’amore,
comando l’arrembaggio
della passione,
lotto contro l’istinto della
natura, dò battaglia ai
sensi ai miei desii, drizzo
la prua armata nelle selvagge
insenature…per la mia
donna bruna.

La mia allegria è una maschera
necessaria per nascondere la
tristezza di un dolore che vincerò
.solo con l’affetto del Tuo Amore
Infinito.Bella mia.

Nel buio dei tuoi occhi neri
c’è la tristezza del mio grande
Amore.

La vita è alito di gioia,
greve ala di velluto è
il dolore.

Le sirene salenti dagli abissi
mi trovano pronto, fermo,
al posto di comando,
filibustiere squaino la spada
appesa alla “vecchia” parete,
trasmetto gli ultimi segnali
tutto sarà distrutto.
Nel tempo che inesorabile fugge!
Addio amore bello.

L’attesa del suo arrivo.
Ipnotizzato nel sogno
Vivo accanto al mio amore
Spirituale la fantastica sinfonia
divina del pensiero, gonfio
di passione, d’amplessi rituali.
Come una rugiada dell’aurora:
i venti e i cieli,
i prati e i colli,
i fiumi e i laghi,
i fiori e le stelle
guardano stupiti il mio cuore,
ammirano l’armonia del mio essere
cantano un vecchio dolore
desidero spegnermi in un soffio
per viver nell’altra riva…
L’attesa del tua arrivo!
Amore bruno.

Se non sorridessi più,
solo tu sapresti il perché.
Se non sorridessi più,
questo rimorso lascerei a te.
Se non sorridessi più,
sarebbe per il male
che solo tu hai saputo
fare a me!...
Perchè tanto male, perché!

Alle mie frasi, silenzi.
Alle mie frasi, il vuoto.
Alle mie frasi senza eco.
Acqua non sbocca da
labbra screpolate, e
le mie frasi cadevano
nella polvere,
in silenzi lunari.
Poi – d’improvviso –
Una pioggia di lacrime,
un lavacro di fiume.

Ho sofferto e
ti ho perdonata,
però, ricordati:
la pietà
non ha ripetizioni.
Ricordati!
Amore bello.

Fermasti il fiume della
disperazione con un giuramento.
Alle domande rispondesti con le
lacrime mute più del tuo silenzio.
La vita, l’amore sono senza parole?
Senza luce?
Perché amore?
Perché? Che peccato! Che peccato!

La brughiera dei miei sogni,
sulle bianche pareti della
stanza vergine, l’arte vince
il freddo della luna, i tocchi
del violino penetrano nel
dolore santificato dalla speranza
e del dolce morire della vita
che satura d’amore donato e
ricevuto… sul tavolo delle passioni…

Tutto d’un fiato…
non sangue ma vino
inebriante scorre nelle mie
vene d’amante, amo la vita e la morte,
la gioia il dolore e la donna.
Ammiro le stelle che cadono
ingoiate nel gorgo infinito
nel letto costruito di spine,
rubate alla corona di Cristo,
riposa la mia passione
logorata, in attesa, della
mia donna bruna!

Salto nel buio…
con le labbra socchiuse
e sorridenti mi avvio verso il Nulla.
Tra strade disselciate,
rotaie divelte e storte,
musiche assordanti e frastornanti,
fili spinati rovesciati,
tronchi d’albero abbattuti,
massi rimossi dal terremoto,
fango e melma accumulati,
postumi di un uragano violento…
con le labbra schiuse e sorridenti
mi avvio verso il Buio.
Dove sei? Sorella mia!

Hai vinto! Sono il rimorso
della tua coscienza, sei fuggita
alla giustizia umana,
ma non sfuggirai a quella divina.
Per questo hai perduto…

Vivere è come sognare
vivere in compagnia,
come i chicchi nella melagrana,…
Amare ed essere amato,
questa, la compagnia nell’Universo,
è in fuga!

Che risveglio!
Chiamai e richiamai,
urlai.
Eri fuggita per sempre da me.
Ed il perché non lo saprò mai. E mai capirò.
Il perdono? Perché?
E’ vero: Dio ha perdonato.
Ed anch’io perdono,
perché anch’io ho peccato.
Ma vale il perdono
di un cuore colmo
di tanto dolore?

Come la foglia secca,
strappata dal vento, cade,
e la pianta, senz’acqua, muore,
così il tuo amore…
Etereo, femmineo, il tuo sentimento
come il sogno che mi hai donato:
Così il tuo amore…

Testamento d’amore. Ho scelto il Salmo della Sapienza,
invano tento di aprire nuove vie al mio cuore
è l’ora dell’Addio, parto tranquillo, lascio
malinconico un testamento: Amate!
Io ritornerò rinnovato e risplenderò nell’Eternità

Piango la mia donna bruna.
Lascia che il mio cuore canti le ferite
della passione, i dolori dei distacchi, le nostalgie
delle lontananze, ho tessuto di spine il manto del corpo freddo,
il gelo scorre nelle mie vene. Cerco il piacere e trovo il dolore,
sogno l’amore e realizzo l’odio, bramo la libertà e mi trovo in catene, anelo la
passione e trovo l’indifferenza, domando il conforto ed ottengo lo scontro, desidero il
possibile e risponde l’impossibile. Piango, amaramente piango e fuggo, solo le stelle del firmamento e d il mio fedele cane mi fanno compagnia. Tu, donna bruna, non piangere, cammina nel solco del sole, avviati alla sommità, lasciami cantare l’inizio della Notte, la sofferenza del cuore, la tristezza dell’animo, le spine che tormentano il corpo: “Non ominia possumus omnes”

Quando partirai per l’Occidente…
Il cielo sarà rosso d’angoscia
Sulla strada dei cipressi…
Uno sguardo soltanto,
rapido come il raggio verde,
basterà per l’addio…
basterà un lacrimare
di stelle sul tuo andare.

Se non sorrido, nessuno lo sa.
Se non sorrido alle colline in fuga,
al sole che muore,
alla stella che si spegne,
alla luna estinta,
al fanciullo che passa,
nessuno lo sa,
tranne Tu, Amore Santo.

Nuvoloso il cielo sarà
quando partirai.
Il mio cuore sarà
gonfio di tristezza…
e
gli occhi umidi di lacrime,
ti dirò:
Addio!

La tristezza
È la meditazione dell’anima.
La gaiezza
quella del corpo.

Le tue lacrime sono secche,
arido è il tuo dolore,
come la tua anima.
Il male ha rotto gli argini
del bene e tutto travolge…
L’umanità è perduta.

Il tuo pianto, le tue lacrime,
sono per me come un torrente
che tutto travolge,
anche il mio cuore.
Non piangere, non piangere, Amore Caro!

Perché insisti pensiero di morte,
compagno della mia solitudine?
Lasciami, ti prego;
quando l’ora verrà,
non mancherò al tuo richiamo;
ma ora se credi, ti prego,
lasciami vivere,
vivere…
Ed io cercherò di essere felice.

I tuoi occhi neri, ho
strabismo di venere,
profondi, intelligenti,
sospettosi, che cercano, scavano…
parlano d’amore di odio, di passione,
di rabbia, desiderio di speranza;
ma gli anni inesorabilmente passano.
Ci sarà speranza per me?
Resterà l’amore?...

I tuoi lunghi silenzi
L’apparente rassegnazione di
Un amore disperato,
un amore senza speranza,
ma ETERNO
come la fede, in una certezza
sublime di un peccato redento
in un sogno di vita e di un Amore
sbocciato dal nulla.
Grazie di esistere, Amore Santo.

Sensibile fanciulla bruna,
eterea, chioma fluente,
occhi di rugiada e di cerbiatto,
viso d’angelo, animo eletto,
cuore d’amore,
sentimenti pieni d’affetto.
Pensieri sognanti
per una bimba di sogno.
Tu,
anima della mia vita. Amore Sereno, troppo forse…

martedì 30 ottobre 2007

www.teatrodellecaramelle.blogspot.com

Totò Proibito. Entrò nel mirino della censura!!!!!!!
Storia puntigliosa e grottesca dei rapporti tra il principe De Curtis e la censura.
Autore:
Alberto Anile
Titolo:
Totò Proibito.
Sottotitolo:
Storia puntigliosa e grottesca dei rapporti tra il principe De Curtis e la censura.
Descrizione:
Volume in formato 8° (cm 21 x 14); 234 pagine.
Luogo, Editore, data:
Torino, Lindau, gennaio 2005
Collana:
Le Comete
Disponibilità:
In commercio
Prezzo: Euro
18,50
ISBN:
88-7180-527-5
Appena ottenuto il successo cinematografico, Totò entrò nel mirino della censura. I suoi film furono analizzati e sottoposti segretamente a tagli e modifiche, spesso pesanti. Ad Antonio de Curtis non era permesso irridere i dipendenti pubblici o battibeccare col Padreterno, sfuggire alle guardie, parodiare i celerini o ridere dell'Inferno, e nemmeno scherzare con Peppino sulla Dolce vita di Fellini. «Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira, che gli resta?», si lamentava l'attore ma intanto andava avanti, mentre funzionari e sottosegretari continuavano a «tagliarlo»: mettevano in crisi case di produzione, falcidiavano potenziali incassi e provocavano riunioni e proteste, facendo scoprire all'Italia dell'epoca che anche il cinema popolare di Totò poteva essere considerato sovversivo o diventare lo stendardo di una libertà calpestata. Basato su documenti inediti e confronti filologici, questo libro racconta per la prima volta il lato nascosto del cinema di Totò e riporta alla luce ciò che funzionari e sottosegretari hanno tentato di cancellare per sempre, dalle scene «sconsigliate» prima delle riprese, alle battute eliminate in sala di montaggio. Un Totò segreto, un Totò proibito.
Link suggeriti:
Elenco Tematico Totò
Alberto Anile è giornalista e critico cinematografico, vive a Roma e scrive su «Tv sorrisi e canzoni». Su Totò ha scritto II cinema di Totò (19301946), I film di Totò (1947-1967) e Totò e Peppino, fratelli d'Italia. Con Maria Gabriella Giannice ha scritto La guerra dei vulcani, dedicato al triangolo Magnani-Rossellini-Bergman.

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vai al Modulo d'Ordine / to Order FormTotò Proibito.Storia puntigliosa e grottesca dei rapporti tra il principe De Curtis e la censura.
Autore:
Alberto Anile
Titolo:
Totò Proibito.
Sottotitolo:
Storia puntigliosa e grottesca dei rapporti tra il principe De Curtis e la censura.
Descrizione:
Volume in formato 8° (cm 21 x 14); 234 pagine.
Luogo, Editore, data:
Torino, Lindau, gennaio 2005
Collana:
Le Comete
Disponibilità:
In commercio
Prezzo: Euro
18,50
ISBN:
88-7180-527-5
Appena ottenuto il successo cinematografico, Totò entrò nel mirino della censura. I suoi film furono analizzati e sottoposti segretamente a tagli e modifiche, spesso pesanti. Ad Antonio de Curtis non era permesso irridere i dipendenti pubblici o battibeccare col Padreterno, sfuggire alle guardie, parodiare i celerini o ridere dell'Inferno, e nemmeno scherzare con Peppino sulla Dolce vita di Fellini. «Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira, che gli resta?», si lamentava l'attore ma intanto andava avanti, mentre funzionari e sottosegretari continuavano a «tagliarlo»: mettevano in crisi case di produzione, falcidiavano potenziali incassi e provocavano riunioni e proteste, facendo scoprire all'Italia dell'epoca che anche il cinema popolare di Totò poteva essere considerato sovversivo o diventare lo stendardo di una libertà calpestata. Basato su documenti inediti e confronti filologici, questo libro racconta per la prima volta il lato nascosto del cinema di Totò e riporta alla luce ciò che funzionari e sottosegretari hanno tentato di cancellare per sempre, dalle scene «sconsigliate» prima delle riprese, alle battute eliminate in sala di montaggio. Un Totò segreto, un Totò proibito.
Link suggeriti:
Elenco Tematico Totò
Alberto Anile è giornalista e critico cinematografico, vive a Roma e scrive su «Tv sorrisi e canzoni». Su Totò ha scritto II cinema di Totò (19301946), I film di Totò (1947-1967) e Totò e Peppino, fratelli d'Italia. Con Maria Gabriella Giannice ha scritto La guerra dei vulcani, dedicato al triangolo Magnani-Rossellini-Bergman.
Tratto da Teatro delle Caramelle: teatrodellecaramelle@gmail.com

lunedì 29 ottobre 2007

Viva l'Italia!

L’Inno di Mameli, “far nazioni” e “far canzoni”
Prof. Stefano Pivato - Università di Bologna

Il 24 maggio 1862, all’Her Majesty’s Theatre di Londra, in occasione della Esposizione Universale, viene eseguito l’Inno delle Nazioni. Composto da Giuseppe Verdi, l’inno comprende un’introduzione, un coro, un solo soprano e un finale nel quale si sovrappongono God Save the Queen, la Marsigliese e Fratelli d’Italia.
Vera e propria anticipazione di un inno europeista, quella esecuzione suona non solo come un omaggio del grande compositore di Busseto alle Nazioni liberali dell’Europa ottocentesca, ma sancisce l’ormai avvenuta adozione degli inni nazionali come parte costitutiva dell’apparato rappresentativo e simbolico delle Nazioni. Gli inni nazionali si diffondono a partire dalla fine del XVIII secolo come espressione dell’idea di Stato-Nazione, conseguenza dei processi politici e culturali innescati dalla Rivoluzione francese, e fanno parte di quell’apparato di simboli e di codici che definiscono la rappresentazione estetica ed emotiva dello Stato nazionale: la bandiera, le uniformi dell’esercito, i miti nazionali e l’inno.
In realtà, come afferma Eric Hobsbawm, uno dei maggiori storici del Novecento, se l’Ottocento può essere definito come il secolo del “far nazioni”, nondimeno è il secolo del “far canzoni” che, come la letteratura, devono in un certo modo rappresentare il sentimento intimamente legato alla formazione delle comunità nazionali. Gli inni costituiscono dei preziosi documenti, non solo musicali, che ci testimoniano i difficili percorsi dell’affermazione dello Stato-Nazione e delle dialettiche politiche che si sviluppano al suo interno. Esemplificativa a tale proposito è la vicenda di Fratelli d’Italia, la cui storia inizia l’8 settembre 1847 allorché l’autore stende in poche ore le strofe del futuro inno nazionale italiano. Il Canto degli italiani, questo il titolo all’origine, comincia a circolare nel dicembre del 1847, stampato su fogli volanti e, qualche mese più tardi, risuona sulle barricate delle Cinque giornate di Milano. Autore di quei versi è Goffredo Mameli, nato a Genova il 5 settembre 1827 e dunque all’epoca appena ventenne. Fervente mazziniano, Mameli sarebbe morto il 6 luglio 1849 a seguito delle ferite riportate combattendo in difesa della Repubblica Romana. La biografia politica del giovane compositore non è elemento secondario per comprendere la fortuna di quei versi, che sarebbero stati riconosciuti come inno ufficiale della Nazione italiana solo un secolo più tardi dalla loro originaria stesura. È pur vero che quelle strofe godono di una certa popolarità nei momenti più significativi che precedono l’Unità d’Italia: vengono cantate in occasione delle Cinque giornate di Milano, vengono intonate durante la spedizione dei Mille e nel corso delle guerre di indipendenza.
Tuttavia, al momento della proclamazione del Regno d’Italia è la Marcia reale del capobanda del Reggimento Savoia, Giuseppe Gabetti, ad essere elevata al rango di inno nazionale. In realtà, a partire dall’epilogo unitario, la Marcia Reale e il Canto degli italiani convivono secondo percorsi paralleli a esprimere le due principali ispirazioni del Risorgimento. Se la marcia del capobanda Gabetti continua ad essere suonata nelle occasioni ufficiali, i versi di Mameli sono invece cari a quanti non si riconoscono nell’epilogo moderato del Risorgimento italiano. E, fra questi, lo stesso Giuseppe Verdi che, sia pure in maniera non sempre coerente, aveva mostrato in più di una occasione un’aperta simpatia per le idee repubblicane. Da qui la preferenza del compositore di Busseto per l’inserimento nell’Inno delle Nazioni del Canto degli Italiani anziché della Marcia reale in occasione della Esposizione Universale di Londra. Certo, l’identificazione del suo autore con gli ambienti del repubblicanesimo non deve aver giovato alla fortuna dell’inno nel periodo monarchico. Ma da dove traspariva l’impronta antimoderata dell’inno di Mameli? A ben guardare, la cifra del repubblicanesimo, o forse per meglio dire del giacobinismo di Mameli, si coglie in una serie di riferimenti più storici che immediatamente politici. In definitiva, forse in quei richiami ai modelli del classicismo che la Rivoluzione francese aveva eletto a rappresentazione non solo estetica degli ideali rivoluzionari. Già nella strofa iniziale, secondo uno schema della classicità allora assai in voca nella simbologia repubblicana, la prima citazione storica è dedicata alla figura di Scipione l’Africano (“Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa”). Con tutta evidenza si tratta del richiamo ad un personaggio che non solo aveva contribuito a rafforzare il primato di Roma, ma aveva anche rappresentato un momento di apertura ideale contro il tradizionalismo. In questo senso l’evocazione di Scipione, secondo l’uso della storia elaborato dai rivoluzionari francesi, sta a significare l’elevazione dell’epopea classica a modello di società nuova. In particolare, Scipione simboleggia non già la Roma dei Cesari ma, secondo la vulgata del classicismo giacobino, la grandezza e il riscatto del popolo romano nei confronti dei Cartaginesi di Annibale. La citazione di Scipione non costituisce l’unico debito di Mameli nei confronti di quella cultura della Rivoluzione francese cara agli eredi italiani del giacobinismo. Fin troppo evidente è infatti nel verso “Stringiamoci a coorte...” l’evocazione della Marsigliese (“Formez vos bataillons...”).
Fin qui i debiti con il classicismo e il rivoluzionarismo d’oltralpe di cui i seguaci di Mazzini si proclamano eredi. Mal si adatta dunque a rappresentare il sentimento dell’unità nazionale, avvenuta sotto l’egida della monarchia sabauda, un inno che contiene riferimenti troppo evidenti a una rivoluzione che aveva decapitato nobili e teste coronate.
Ma l’ispirazione repubblicana dell’inno si coglie ancor più chiaramente nella quinta strofa che costituisce un condensato di quei riferimenti storici che l’idea e l’etica repubblicana Ottocentesca considerano come gli antecedenti più significativi dell’idea di italianità. Fuor di metafora i richiami sono alla battaglia di Legnano che, con la sconfitta di Federico Barbarossa nel 1176, segna una delle premesse della affermazione politica dei comuni italiani; e a Ferruccio Ferrucci, nel testo “Ferruccio”, il comandante della Repubblica fiorentina del 1530 celebrato come uno dei precursori dell’idea repubblicana.
Quindi l’invocazione di Balilla che, il 5 dicembre 1746, dà inizio alla rovolta genovese contro gli austriaci, per concludere con la citazione di quei moti popolari che fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, consentono la cacciata dei francesi dalla Sicilia: i Vespri Siciliani. L’inno di Mameli esalta dunque non già il ruolo delle dinastie, ma, conseguentemente alla ispirazione mazziniana, quello dei “popoli”. Questo spiega perché, durante l’unificazione, all’inno ritenuto troppo rivoluzionario, fosse preferita la Marcia reale del Gabetti, vera e propria esaltazione della dinastia sabauda: “Viva il Re! Viva il Re! / Chinate o reggimenti le bandiere al nostro Re / [...] Bei figli d’Italia gridate evviva il Re!”. La “sfortuna” di Fratelli d’Italia nel corso dell’Ottocento non si limita alla sua mancata adozione come inno nazionale, ma anche alla sua scarsa popolarità rispetto ad altri canti risorgimentali. I motivi più popolari che accompagnano le guerre di indipendenza, la spedizione dei Mille o le Cinque giornate di Milano, derivano per gran parte o dalla citazione delle più popolari arie del melodramma o dalla tradizione del patrimonio folcloristico regionale. Da quest’ultimo filone provengono infatti La bella Gigogin e Il povero Luisìn. L’orecchiabilità e il richiamo agli affetti domestici dei due motivi spiega la loro popolarità rispetto all’inno di Mameli, denso di riferimenti storici e letterari e per questo forse di non facile ricettività. La bella Gigogin e Il povero Luisìn non sono gli unici esempi, in Europa, di canzoni che più degli inni ufficiali si prestano a esprimere il sentimento dell’identità nazionale; o comunque sono cantate più frequentemente degli inni stessi. È quanto avviene, ad esempio, in Austria laddove, almeno a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la Marcia di Radetzky gode di una popolarità maggiore rispetto all’inno imperiale Gott erhalte, Gott beschuetze. Ancora oggi, nella memoria collettiva degli austriaci, la Marcia di Radetzky, vera e propria rievocazione del glorioso passato dell’Impero austroungarico, è certamente più nota del meno eroico Terra di montagne e di fiumi che, dal 1947, è l’inno della Repubblica austriaca. Il Canto degli Italiani subisce poi, sempre nell’Ottocento, la rivalità di altri motivi di intonazione politica come, per esempio, l’Inno di Garibaldi, il cui successo deriva non solo dalla mitizzazione dell’eroe dei due Mondi, ma anche dalla appropriazione politica da parte degli internazionalisti pronti a ravvisare in Garibaldi uno dei precursori del socialismo. Troppo radicale per gli ambienti monarchici e moderati, eccessivamente conservatore per anarchici e socialisti, l’inno di Mameli continua a godere di una certa “sfortuna” anche nel Novecento. Nessuna ufficialità è riconosciuta al canto di Mameli e Novaro neppure durante gli anni del fascismo. Anzi, pur mantenendo La marcia reale come inno nelle manifestazioni ufficiali, il regime mussoliniano vieta l’esecuzione di brani al di fuori del repertorio fascista.
Di fatto in quegli anni Fratelli d’Italia, pur continuando ad essere tollerato in patria, viene cantato in certi ambienti dell’antifascismo e più tardi dei partigiani che lo intonano insieme a Fischia il vento.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, probabilmente per attenuare nell’opinione pubblica una presenza ingombrante come quella della monarchia, rea di aver consegnato l’Italia nelle mani di Mussolini, il Governo Badoglio affida alla Leggenda del Piave il ruolo di inno nazionale. Finalmente, il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro della Difesa Cipriano Facchinetti, repubblicano, decreta il canto di Mameli e Novaro come l’inno ufficiale del neonato stato italiano e la messa in soffitta della Marcia reale, sottolineando il definitivo passaggio dal regime monarchico a quello repubblicano sancito dal referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Il Canto degli italiani diviene dunque il nostro inno nazionale. La vicenda di Fratelli d’Italia è esemplificativa della storia degli inni nazionali, le cui fortune riflettono i percorsi delle singole comunità verso il faticoso processo dell’unità nazionale. Al pari della bandiera, dei monumenti e dei vari simboli che costituiscono la rappresentazione dell’immagine e dell’identità di patria, anche l’inno è sottoposto ai mutamenti dei regimi e dei climi politici.

Fratelli d’Italia
l’Italia s’è desta
dell’elmo di Scipio1
s’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma,
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte2,
siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam
popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
bandiera3, una speme:
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte,...

Uniamoci, amiamoci;
l’unione e l’amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio;
uniti per Dio
chi vincer ci può?
stringiamci a coorte,...

Dall’Alpi a Sicilia
dovunque è Legnano4,
ogn’uom di Ferruccio5
Ha il core, ha la mano;
i bimbi d’Italia
si chiaman Balilla6,
il suon d’ogni squilla
i Vespri7 suonò.
Stringiamci a coorte,...

Son giunchi che piegano
le spade vendute:
già l’aquila d’Austria8
le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
il sangue polacco,
bevé col cosacco,
ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte,...


Note
1 L’elmo di Scipio di cui l’Italia, pronta alla guerra d’indipendenza, si è cinta la testa, è quello di Scipione l’Africano che difese Roma repubblicana dal cartaginese Annibale e lo sbaragliò a Zama nel 202 a. C.
2 La coorte, cui gli Italiani sono invitati a stringersi, è la decima parte della legione romana; la Patria chiama alle armi il suo popolo.
3 Nel 1848 l’Italia è divisa in sette Stati, il tricolore diverrà il comune vessillo.
4 La battaglia di Legnano con cui la Lega Lombarda sconfisse Federico Barbarossa nel 1176.
5 La difesa di Firenze dall’assedio dell’imperatore Carlo V nel 1530, in cui si distinse il capitano Francesco Ferrucci (che disse al suo infame assassino Maramaldo: “Tu uccidi un uomo morto”).
6 I moti genovesi contro l’Austria nel 1746, cui partecipò il mitico Balilla, il ragazzo del popolo che diede inizio alla rivolta tirando un sasso contro gli Austriaci.
7 I Vespri siciliani contro i Francesi (dominazione angioina) nel 1282.
8 La quinta strofa annuncia il declino dell’Austria, simboleggiata dall’aquila asburgica; si serviva di truppe mercenarie (spade vendute, ormai deboli come giunchi) e durante le repressioni (come nell’Italia del 1796, così in Polonia nel 1831) si alleò con la Russia (il cossacco), ma si trovò davanti una durissima resistenza popolare (il sangue dei due popoli brucia il cuore dell’aquila).

domenica 28 ottobre 2007

I più Buoni del Mondo

Dicono di Noi -

di Beppe ROSSI - Direttore della Rivista The Lions 108/A Italia

I giudizi elaborati dalle società di rating Dalberg Global Development Advisers e United Nation Global Compact, classificati in una graduatoria dal più autorevole giornale internazionale in materia economica-finanziaria, in Finalcial Times, individuano il Lions Club International come migliore Organizzazione non profit del Mondo.
Queste stime si basano sulle valutazioni espresse da cinquecento importanti Enti che si sono rapportati negli ultimi anni con migliaia di Organizzazioni non profit.
Il Lions Club International risulta essere l’Organizzazione maggiormente quotata, al primo posto, essendo stata valutata la sua forte affidabilità e capacità di conseguire gli obbiettivi che si prefigge, oltre ovviamente l’elevatissima entità dei fondi impiegati od orogati.
Addirittura supera diverse Agenzie delle Nazioni Unite – quali l’Unesco, la Fao, l’Unicef – come pure gli Enti assistenziali del Governo degli Stati Uniti e della Germania, oltre ad altre Associazioni internazionali (Rotary, Wwf, Greenpeace).
Una particolare segnalazione a favore dell’attività dei Lions è venuta sulla lotta alla cecità prevedibile, grazie alla campagna Sight First con la quale sono stati raccolti 200 milioni di dollari per salvare la vista a milioni di adulti e di bambini.

Da Financial Times – (Saturday July 21 Sunday July 22 2007).

1) Lions Club International
2) Envirnmental Defense
3) WRI,
4) TechnoService
5) Rotary International
6) GBC HIV / AIDS
7) Conservation International
8) WWF
9) Care
10) Greenpeace
11) Earthwatch
12) WBCSD
13) Unesco
14) Fao
15) The Nature Conservancy
16) UNHCR
17) GTZ
18) Unicef
19) Usaid
20) Action Aid.

I Lions già sapevano di appartenere alla più grande Organizzazione di servizio nel mondo, ora è stato “certificato” che essa è pure la migliore.
Grazie a tutti i Lions!
Tratto Rivista The Lions 108/A Italia
Grazie a tutti i Lions!