Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.
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venerdì 14 marzo 2008
GLI ANABATTISTI NEL TRIVENETO
Per voler vivere secondo gli insegnamenti biblici, quanti Italiani tra i perseguitati…!
Sicuramente molti di voi avranno sentito parlare degli Amish, alcuni anche dei Mennoniti, forse non tutti degli Hutteriti (o Società dei Fratelli). In comune hanno che sono persone dalla fervente religiosità, che vivonom in comunità molto chiuse e semplici, che rinnegano in vari livelli il progresso e il contatto con il mondo esterno, e che sono presenti principalmente in America Settentrionale, tra gli Stati Uniti e il Canadà, ma anche in america latina.
Ben pochi sanno però che queste fedi, giudicati da molti ana-cronistiche e un po’ naif, hanno in comune un’altra cosa importante: le radici.
Tutte queste comunità e fedi religiose derivano a vario titolo dagli Anabattisti del XVI secolo.
Nel periodo della Riforma protestante moltissime persone sincere si erano rese conto degli eccessi del clero cattolico e della falsità di molte dottrine, ma c’era molto disaccordo su come bisognava procedere per sensibilizzare il mondo su queste verità, e inoltre non tutti concordano sugli insegnamenti biblici da seguire.
Ecco perché fiorirono una serie di movimenti diversi, tra cui gli Anabattisti, che si distinguevano per il loro zelo nel predicare, la loro sincerità nella lettura della Bibbia e il loro desiderio di vivere insieme in comunità appartate dove professare liberamente la loro dottrina. Tra le altre cose gli Anabattisti rifiutavano di abbracciare le armi, si tenevano separati dal mondo e scomunicavano i peccatori. Studiavano diligentemente la Bibbia e si attenevano in altre norme morali.
Ciò che distingueva nettamente la loro fede da altre confessioni, e che diede loro il nome, era la convinzione che il battesimo fosse per gli adulti e non per i bambini. Considerato che Gesù si battezzo a quasi 30 anni, e che numerosi passi delle Sacre Scritture insegnavano che il battezzando deve capire l’importanza del passo che compie e deve aver già dato prova di essere un discepolo, c’è chiedersi come mai a tale intendimento non ci siano arrivati anche i cattolici.
A partire soprattutto da 1520 si formarono numerose comunità anabattiste un po’ per tutta l’Europa continentale, dapprima in Svizzera, poi in Moravia (ora Repubblica Ceca), nei Paesi Bassi, in Germania e Austria. Sin dai primi momenti, anche in Italia erano presenti molti anabattisti, soprattutto tra le montagne trentine e venete, anche se non si hanno riscontri se vi fossero vere e proprie comunità.
La differenza sostanziale con i loro correligionari d’oltralpe stava nel fatto che qui non godevano dell’aiuto, del sostegno, o perlomeno della tolleranza dei principi o dei governanti locali, anzi. Furono aspramente perseguitati sin dal nascere del loro movimento e, nella seconda metà del sedicesimo secolo, furono oggetto delle turpi attenzioni del parossismo inquisitorio cattolico.
Gli Anabattisti alla fine furono perseguitati un po’ ovunque, e quanto anche i luterani iniziarono a osteggiarli più o meno ferocemente, le loro comunità furono tutte oggetto di aspra repressione. Molte comunità furono presto cancellate, alcune pressocchè pacificamente, altre con la forza. Già nel 1535 Muenster, forse la comunità più grande, dopo un lungo assedio era stata messa a ferro e fuoco con un atroce costo di vite umane.
Altrove, come in Olanda (dove l’anabattista Menno Simmons diede origine ai Memmoniti) e in Moravia, godette di più tolleranza e durarono un po’ di più. Tuttavia, entro il diciassettesimo secolo, erano del tutto sparite dall’Europa. Pochi sparuti gruppi di temerari provarono a stabilirsi oltreoceano, dove trovarono finalmente un po’ di pace. Tornado in Italia, tra gli esponenti maggiori del movimento c’erano l’altoatesino Jacob Hutter, che fondò poi gli hutteriti, Giulio Gherlandi, lanternaio nato in provincia di Treviso nel 1520, il sarto Francesco della Sega, detto Fraosto, nato a Rovigo nel 1528, il prestigioso medico Niccolò Buccella di Padova (forse coetaneo dei primi due), Antonio Pizzetto, modesto proprietario terriero nato a Vicenza negli anni ’50 del XVI secolo, e molti altri, tra cui Giovanni Paolo Alciati della Motta, Giovanni Berardino Bonifacio, marchese d’Oria, e Fausto Sozzini. Tutti erano noti per il loro zelo e la loro predicazione e tutti invariabilmente furono aspramente perseguitati. I pochi che sfuggirono perché rimasti in esilio all’estero.
In particolare il Gherlandi, il Della Sega ed il Pizzetto furono tutti e tre arrestati, bestialmente torturati e, dopo un processo farsa, condannati alla pena capitale per annegamento, sentenza eseguita nel canale dell’Orfano (nella laguna veneta). Nel 1562 il primo, a soli 42 anni. Tre anni dopo gli altri due. E’ vero, gli Amish, i Mennoniti e gli Hutteriti forse sono un po’ fuori dal tempo, e forse col passar dei secoli le loro dottrine si sono un po’ allontanate dalle verita delle Sacre Scritture. Ma la prossima volta che ne sentirete parlare, pensate alla loro sincerità, a quanto questa gli sia costata in passato, e al fatto che forse nelle loro vene scorre anche
un po’ di sangue italiano.
NEGARE LE DOTTRINE CATTOLICHE GLI COSTO' LA VITA.
"con noi o senza di noi verrà l’alba, poi il tramonto ed ancora l’alba, e sarà sempre uno spettacolo magnifico” (proverbio orientale)
Negare le dottrine cattoliche gli costò la vita.
Doveva conoscere bene il verso del Vangelo che dice "L'uomo non deve vivere di solo pane" (Luca IV,4), lui fornaio da una famiglia di fornai da generazioni. E si impegnò parecchio nella sua breve vita per metterlo in pratica.
Si dice che avesse una tale) conoscenza biblica da poterne citare versetti diffusamente a memoria e nei suoi numerosissimi scritti, solo pochi nei quali pervenuti fino a noi, un biografo dice: "Quanto a questo suo modo di comportare spiegava la carta, e da un lato scriveva, dall'altro notava luoghi della Scrittura, e, spesso sono più i luoghi notati nel margine che non le sue parole. Faceva piuttosto miracolosamente che altrimenti, perocché mostrava di avere ogni cosa nella memoria e non giungere parola insieme che fosse in due o tre luoghi o dell 'uno' o , altro Testamento".
Non solo. Al suo processo dei testimoni d'accusa dovettero riconoscere la sua erudizione, dato gli attribuirono il possesso e la conoscenza di “molti libri contagiosi». Dato che fu processato due volte per la sua instancabile predicazione, e che pare sia riuscito a convertire oltre che numerosi suoi compaesani persino alcune monache di un vicino convento di clausura, viene da chiedersi dove trovasse il tempo di lavorare e badare alla sua famiglia di moglie due figli, il giovane Fanino (o Fannio) Fanini Faenza (RA).
Nato da famiglia agiata intorno al 1520 da padre fornaio con bottega avviata e madre nobile, quando il padre morì nel 1546, pur avendo un fratello la sorella, oltre all'attività paterna ereditò quasi tutti i possedimenti di famiglia. Sposò nel 1542 Barbara Baroncini, anch' essa di famiglia benestante, ed ebbe due figli, Gian Battista e Giulia (entrambe deceduti prematuramente dopo morte del padre rispettivamente a 18 e 30 anni).
Venuto a contatto in giovane età con scritti e predicatori calvinisti, lui che conosceva così bene la Bibbia e che aveva già notato le enormi incongruenze degli insegnamenti cattolici verso gli scritti sacri, non tardò ad abbracciarne la fede, convinto che fossero più vicini alla verità di altri, soprattutto del clero cattolico.
Quasi subito, divorato da sacro zelo, iniziò a renderne partecipi altri senza le dovute cautele. Insegnava in modo enfatico con prediche semplici, ma efficaci.
Alcune delle sue idee riguardavano la negazione dei sacramenti come quelli dell’eucarestia e dell’ordinazione (“…non fu mai altro sacerdote che Cristo…”), della messa e dell’intercessione dei santi, della recita del rosario e della pratica del digiuno, tutte dottrine non fondate sulle Sacre Scritture.
Arrestato a 27 anni per eresia fu graziato dalla pena di morte ma condannato all’esilio dallo Stato Pontificio. Per nulla intimorito si mise predicare per tutta la Romagna e in particolare a Lugo, Imola e Bagnacavallo.
Proprio in quest’ultima cittadina del Ravannate fu arrestato di nuovo nel 1549 dai soldati del Duca Ercole II D’Este per ordine dell’inquisizione e dopo una breve detenzione nel castello di Lugo, tradotto a Ferrara, sottoposta ad un breve processo farsa, condannato a morte, fu ucciso il 25 settembre di quell’anno per impiccagione e rogo.
A nulla valsero le numerose intercessioni di politici, ecclesistici, nobildonne e cavalieri, tra cui Camillo Orsini, persino della stessa moglie del duca
Come a nulla valse un tentativo in extremis della moglie e dei figli piccoli di convincerlo ad abiurare.
Ercole II d'Este, nonostante fosse geloso della sua autonomia giudiziaria, e mal sopportasse le pressioni pontificie, alla fine dovette cedere alle veementi minacce, ai ricatti, e alla paventata incriminazione di sua moglie stessa, Renata d'Este, sospettata (e non senza ragione) di simpatie calviniste.
Alla fine il famigerato inquisitore cardinal Carafa, che sarebbe poi divenuto papa Paolo IV, e 18 mesi dopo la condanna dell’”eretico” ottenne l’esecuzione della pena.
Così, per volere di "Santa" Romana Chiesa, il 22 agosto 1550 nel Castello degli Estensi di Ferrara, Fanino Fanini da Faenza fu prima impiccato e poi arso a soli 30 anni. Il suo delitto? Aver predicato che le dottrine cattoliche non erano basate sulla Bibbia. Morì invano? A giudicare da quanti dopo di lui lo hanno imitato e hanno lasciato la Chiesa Cattolica perché, come lui, si sono interessati più delle verità bibliche che delle tradizioni clericali, direi proprio di no. Tratto da il*"Palazzuolo" Bisceglie.
GIUNGEMMO PURI, FINIMMO IMPURI. (Omar Khayyàm)
Il perseguitato dall'inquisizione cattolica più illustre dopo Galileo Galilei è certamente Giordano Bruno, celebre filosofo e scrittore del XVI secolo, delle menti più illuminate del nostro Paese. La sua statua a Campo de' Fiori a Roma, col suo volto severo seminascosto dal cappuccio di donenicano, ci ricorda il luogo dove fu messo al rogo il 17 febbraio 1600 per volere del Tribunale dell'Inquisizione e di papa Clemente VIII.
Parlare di una così importante figura storica in pochi paragrafi non gli rende l'onore dovuto. Ma non si può non includerlo nella lista di umanisti, pensatori e studiosi che rendendosi conto degli errori dottrinali, della corruzione e delle atroci ingiustizie commesse dal Vaticano,
gli si schierarono contro, pagando con la vita il coraggio delle proprie idee.
Si chiamava in realtà Filippo e nacque a Nola nel 1548, figlio unico di umile famiglia (il padre era militare, un alfiere). Acconsentendo di intraprendere la carriera monastica riuscì, a fatica, a farsi un istruzione presso l'Università di Napoli, gestita in quel tempo dai domenicani. Di mente arguta e di sete insaziabile di sapere, rimase sempre affascinato più dagli studi filosofici e scientifici che da quelli biblici e religiosi. Quando fu ordinato frate a 18 anni col nome di Giordano, quindi, l'ultima delle sue intenzioni come egli stesso ammise al processo, era quella di tutelare l'ortodossia cattolica; a lui interessava la posizione privilegiata per continuare gli studi filosofici. Ma siccome conosceva bene parte della Bibbia, non mancò di stigmatizzare presto non solo l'avversione papale verso gli scienziati e i pensatori di quel tempo, ma alcune dottrine non bibliche, come l'uso di immagini nell'adorazione, l'adorazione di Maria la transustanziazione e la Trinità, anche se quest’ultima più per simpatia verso le idee di Ario, che per le verità scritturali. Non solo. Siccome il convento di San Domenico Maggiore a Napoli non era certo un luogo ameno di pace e meditazione, dato che in tre anni (dal 1567 al 1570) furono collezionate 18 condanne per scandali sessuali, furti e addirittura omicidi, ebbe presto in disprezzo che i frati, e la vita monastica. La ricchissima biblioteca di San Domenico però, insieme alla possibilità di continuare gli studi senza doversi mantenere, lo convinsero a restare in convento. Almeno fino a 28 anni, quando dopo l'ennesimo scontro verbale e ideologico fugge a Roma per evitare accuse di eresia. Accuse che gli verranno formalizzate poco tempo dopo quando a Napoli rinvengono alcuni suoi scritti, costringendolo, insieme ad un'ingiusta accusa d'omicidio, a fuggire anche da Roma e riparare a Genova, abbandonando l'abito talare e riprendendo il nome di battesimo.
La cautela per sfuggire ai persecutori, il lavoro d'insegnante non sempre soddisfacente, e persino la peste a Venezia, lo costringeranno a numerose peregrinazioni nel giro di pochi anni, prima a Savona, poi a Torino, poi da Venezia a Padova, poi a Bergamo, a Milano e infine nella Savoia francese. Trasferitosi a Ginevra si interesserà alle idee calviniste, e si unirà al marchese Caracciolo, anche lui napoletano in fuga dall'Italia, fondatore della comunità evangelica italiana. Ma in realtà Bruno era indifferente a tutte le confessioni religiose: nella misura in cui l'adesione a una religione non pregiudicava le sue convinzioni filosofiche e la libertà di professarle, poteva essere tranquillamente e senza rimorsi cattolico in Italia, calvinista in Svizzera, anglicano in Inghilterra e luterano in Germania. Entrato in conflitto anche lì con intellettuali del posto, e addirittura scomunicato dai calvinisti, si trasferirà presto da Ginevra a Lione, Tolosa e poi Parigi, dove resterà a lungo e scriverà molte delle sue opere, tra cui libri e trattati di filosofia e persino una commedia.
Dopo una parentesi a Londra di due anni, torna a Parigi nel 1585. Ma entrato platealmente in contrasto con professori ed intellettuali soprattutto sulle idee aristoteliche, e persi gli appoggi a corte, ripiega in Germania, prima a Magonza, poi a Wiesbaden, a Marburg e infine a Wittenberg. Il nuovo duca locale decide di rovesciare l'indirizzo degli studi a favore delle idee aristoteliche, e anche per questo Bruno decide di trasferirsi di nuovo, prima sei mesi a Praga, poi di nuovo in Germania, a Tubinga e poi a Helmstedt. Ancora una volta le sue idee filosofiche e suoi scritti dirompenti saranno la causa di appassionanti ammirazioni ma anche di feroci critiche e, infine, fattosi nemici potenti, della scomunica dai luterani. Resterà ancora un po' in città per spostarsi poi a Francoforte. Conosciuti alcuni editori veneziani alla locale fiera del libro accetta di recarvisi per insegnare e pubblicare. Dopo una breve parentesi a Padova si sta bilirà a Venezia a casa del Mocenigo. Entra in conflitto anche con questi per motivi sia economici che di pensiero, verrà denunciato all'inquisizione e arrestato. Dopo un primo processo viene estradato a Roma e lì dopo l'ennesimo processo farsa, per le sue idee e soprattutto per i suoi scritti, viene condannato a morte l'8 febbraio 1600, sentenza eseguita 9 giorni dopo. Eccezionale studioso, eloquente oratore, fine umorista, appassionato insegnante, brillante filosofo e pensatore, nonché scrittore dotto, prolifico ed eclettico, ebbe, ed ha ancora oggi (con tanto di siti web dedicati), ammiratori e disce poli in tutta Europa. Era un precursore, una mente superiore in anticipo sui tempi, con intuito e intendimento estremamente moderni, in campo scientifico, che teologico, che biblico. Ma la sua erudizione e la sua granitica consapevolezza d'essere in possesso della conoscenza e della verità assolute lo resero però anche presuntuoso, arrivista, ambizioso, egocentrico, pieno di sé, con un carattere impossibile e una scarsa propensione ai contatti umani. Finì per farsi scomunicare da tutte e tre le principali re ligioni europee, per farsi nemici ovunque e per preferire il materialismo alla spiritualità. Ma mentre non condividiamo le sue idee, il suo pensiero e i suoi metodi, non possiamo che ammirare il coraggio delle convinzioni e delle denunce, con una coerenza spinta all'estremo sacrificio, un sacrificio che pesa ancora una volta, da più di 400 anni come un macigno, sulla coscienza cattolica. Tratto da il * "Palazzuolo" Bisceglie.
giovedì 13 marzo 2008
IL PRESIDENTE ALFREDO MULE'.
Torino – Il giorno 16 poteva essere un giorno come un altro ma se non era “la Domenica delle Palme”. Per ricordare questa festività, il Sub-Priorato del Piemonte dell’Ordine di San Fortunato onlus, ha effettuato l’ennesima donazione in favore dei bambini di Torino donando tre scatoloni di giochi e giocattoli, due tavoli prima infanzia, una specchiera e una bicicletta presso la Parrocchia di San Clemente Willibrord della Chiesa Vetero Cattolica dell’Unione di Utrecht – Comunione Anglicana di Torino nella persona di Don Giuseppe BIANCOTTI. “Anche se questa donazione è stata effettuata ad una Chiesa sorella – spiega il Priore del Piemonte Alfredo MULE’ – sono contento che sia andata a buon fine perché non c’è niente di meglio che vedere i bambini sorridere a prescindere dalla razza o dal proprio credo religioso. Noi ci prodighiamo per il miglioramento della condizione umana, in perfetta armonia con l’insegnamento del Santo di Valdobbiadene San Venanzio Fortunato Vescovo di Poitiers, al quale l’Ordine stesso si ispira dal lontano 600 d.C. Questo deve essere l‘impegno del Cavaliere di oggi che con le sue azioni porta il proprio messaggio di solidarietà e quindi di pace in tutto il mondo!” Per il futuro Il Sub-Priorato, oltre alle donazioni di materiale vario in favore di diverse associazioni ed enti cattolici e non della città, ha in progetto di aprire una piccola biblioteca in cui allestire e catalogare tutti i numerosissimi volumi che sono stati donati al Presidente Alfredo MULE’ in questi tre anni di esistenza della sua associazione, il quale spera che anche questo progetto possa andare presto in porto. Per info: chiamare il 3389196038 oppure visitare il sito: www.priorato-osf-to
OPUS DEI,LA MASSONERIA DEL VATICANO
- Pagina massoneria
Cade il governo all’ombra della squadra e compasso Marcello Pamio - 28 gennaio 2008
A cavallo tra la Xa legislatura (finita il 22 aprile 1992) e la XIa legislatura (iniziata il 23 aprile 1992) di Giuliano Amato, s’inserisce l’inchiesta del Procuratore di Palmi, Agostino Cordova. Un’inchiesta delicatissima sui rapporti tra massoneria, ’ndrangheta calabrese e politica, che sviluppò decine e decine di faldoni composti da centinaia di migliaia di pagine! Cordova svolse approfondite indagini sulle obbedienze italiane, arrivando ad accertare che nessuna di esse risultava svolgere le nobili attività dell’arte muratoria, ma che molte invece erano dedite ad attività affaristiche e in alcuni casi illecite, e all’interno delle logge, importanti politici andavano a braccetto con mafiosi e criminali! Tutta la colossale inchiesta del Procuratore di Palmi finì a Roma, e come si sa, Roma è la capitale non solo dell’Italia ma anche degli insabbiamenti giudiziari. Quando infatti si vuol archiviare una inchiesta, basta spostarla lì.
Il 25 aprile il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga attraverso un messaggio televisivo si dimette dalla carica, con ben due mesi di anticipo, e sarà sostituito da Oscar Luigi Scalfaro. Il 23 maggio a Capaci, lungo l’autostrada, 1000 chili di tritolo cancellano in un istante la vita (ma non certo la memoria!) del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Giovanni Falcone, stava indagando - tra le altre cose - sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a pericolosi collegamenti tra mafia e importantissimi circuiti finanziari internazionali.[1] Aveva anche scoperto che alcuni prestigiosi personaggi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di Rito Scozzese Antico e Accettato (R.S.A.A. nonostante il nome ha sede a Washington).
Il 2 giugno al largo di Civitavecchia sul panfilo della Regina Elisabetta II (Sua Maestà ufficialmente è arrivata in Italia per mettere dei fiori sulla tomba di Falcone!) avviene il più grande saccheggio dei patrimoni pubblici d’Italia, per opera dei potentati bancari.In quell’incontro (vero e proprio complotto) i rappresentanti della finanza internazionale (poteri anglo-olandesi e statunitensi) discussero assieme ad esponenti del mondo bancario e societario italiani le privatizzazioni e le riforme politiche per l’Italia, nel contesto del “progetto euro”. Non a caso il Trattato di Maastricht, che codifica il sistema euro-EMU, fu sottoscritto proprio quell’anno.[2] Giulio Tremonti, presente sul panfilo - per sua stessa ammissione - come “osservatore”[3] disse al Corsera che la “crociera sul Britannia simbolizzò il prezzo che il paese dovette pagare tanto per ‘modernizzarsi’ quanto per restare nel club” Tra i partecipanti c'erano i rappresentanti delle banche Barings e S.G. Warburg, Merrill Lynch, Goldman Sachs, Salomon Brothers, Mario Draghi direttore generale del ministero del Tesoro, Beniamino Andreatta dirigente ENI, Riccardo Galli dirigente dell’IRI, ecc. Importanti aziende (come Buitoni, Locatelli, Neuroni, Ferrarelle, Perugina, Galbani, ecc.) sono state svendute ad imprenditori che agivano in comune accordo con l’élite finanziaria anglo-americana, altre (Telecom, ENI, IRI, ecc.) sono state smembrate e/o privatizzate.
Il 19 luglio il giudice Paolo Borsellino salta in aria in via d’Amelio, assieme alla scorta (Emanuela Loi, Walter Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traiana). In settembre 1992 lo speculatore ungaro-statunitense-israeliano George Soros (presente pure lui nel Britannia) lancia un attacco speculativo alla lira. Carlo Azeglio Ciampi (che per i suoi preziosi servigi verrà premiato con la Presidenza della Repubblica) all’epoca è governatore di Bankitalia e Lamberto Dini Direttore Generale. Tale criminoso attacco da parte dell’élite anglo-olandese e statunitense, rappresentata in quella circostanza dall’israelita Soros (agente dei Rothschild), portò ad una svalutazione della lira del 30% e il prosciugamento delle riserve della banca d’Italia che fu costretta (ovviamente era tutto concordato) a bruciare 48 miliardi di dollari nel vano tentativo di arginare la speculazione. L’enorme crisi portò alla scioglimento del Sistema Monetario Europeo (SME).
Nello stesso periodo s’inserisce pure la grandiosa bufala di Tangentopoli che ha avuto altri obiettivi rispetto a quelli paventati mediaticamente. Manipulite è servito ad attaccare obiettivi politici ben precisi, e dare a noi popolo l’illusione di una pulizia che invece non è mai avvenuta. I poteri forti, quelli veri, hanno continuato a lavorare nell’ombra, assolutamente indisturbati… La veloce carriera politica del superpoliziotto Antonio di Pietro, oggi Ministro della Repubblica, dovrebbe far riflettere…Dopo gli assassini dei due grandi magistrati e grazie anche a Manipulite, l’inchiesta Cordova è andata nel dimenticatoio: tutta l’attenzione mediatica è stata dirottata altrove!
Arriviamo ai nostri giorni, perché il 27 marzo del 2007, il procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris inizia una inchiesta da nome particolare Why Not (sulla falsariga di quella di Cordova) proprio sui rapporti tra criminalità organizzata (mafia, n’drangheta, camorra, ecc.), politica e finanza. L’inchiesta parte dalla Calabria ma si estende rapidamente al resto d’Italia e finiscono nel mirino politici (di destra e sinistra), consulenti a livelli altissimi, finanzieri, un generale della Guardia di Finanza, magistrati, affaristi, alcuni spioni dei servizi segreti (il capogruppo del Sismi di Padova e uno del Cesis) e anche dei massoni. Ventisei perquisizioni e venti indagati.
Sono ufficialmente indagati tra gli altri il Presidente del Consiglio Romano Prodi (per abuso d’ufficio), l’ex Ministro della Giustizia Clemente Mastella (per abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti, truffa all’Unione europea e allo Stato italiano).[4] Si tratta di finanziamenti illeciti per milioni di euro alla Compagnia delle Opere che passeranno nelle logge occulte di San Marino, per poi svanire nel nulla, esattamente come l’inchiesta De Magistris! Farà la medesima fine di quella del procuratore Cordova. In una recente intervista al Corsera, De Magistris sfoga denunciando una “strategia della tensione per opera di una manina particolarmente raffinata: poteri occulti e massoneria, soprattutto”. [5] Continua dicendo che da quando ha iniziato “a indagare sui finanziamenti pubblici europei. Da allora, è scattata la strategia delle manine massoniche”.[6]
I media - tutti controllati - hanno veicolato la notizia falsa dell’iscrizione di Mastella nel registro degli indagati per violazione della Legge Anselmi sulle associazioni segrete. Ma la cosa più interessante è che Mastella stesso, prima che le agenzia di stampa lanciassero la notizia falsa, aveva rilasciato una dichiarazione che con le associazioni massoniche lui non ha nulla a che fare! E’ stato avvisato in anticipo dall’amico giornalista o è semplicemente cascato nella trappola che gli è stata preparata per far cadere il suo governo? Quale trappola vi chiedereste? Alla fine sarà tutto più chiaro. De Magistris ha fatto il grave errore di sollevare il velo o grembiulino delle fratellanze occulte e della loro interconnessione con la politica, gli affari istituzionali, il denaro riciclato e la mafia.
I nuovi guru dell'informazione difendono l'operato di De Magistris e della Forleo, ma senza spiegare perché c'è stato questo vergognoso attacco alla Giustizia italiana: li difendono a spada tratta senza dire che le loro indagini stavano scoperchiando il vaso di Pandora...Il popolo non deve sapere che se l’Italia è unita (o controllata?) lo si deve ai massoni (la storia del Risorgimento è infatti una storia massonica: Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso, Umberto I erano fratelli. Come pure i primi passi del parlamento italiano: erano massoni Francesco Crispi, Agostino Depretis, Giuseppe Zanardelli, Mameli e il suo inno “Fratelli d’Italia…”). Il popolo non deve sapere tutto questo, e neppure che oggi l’Italia, e tutti i gangli vitali dell’economia della finanza, delle telecomunicazioni, ecc., sono nelle mani di fratelli legati da giuramenti di sangue!
Forse sto esagerando? Durante l’incontro della Gran Loggia del Grande Oriente d’Italia (la prima loggia per obbedienza in Italia con 18 mila fratelli) tenutosi a Rimini dal 13 al 15 aprile 2007, dopo l’inno garibaldino “All’armi” e “C’era una volta il West” di Morricone, il Gran Maestro Gustavo Raffi ha letto il saluto di un grande amico della massoneria, il Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Successivamente, arriva anche il saluto ufficiale del governo Prodi, letto in sala (davanti a migliaia di massoni con grembiulino, il collo cinto da una fascia di raso terminante con un medaglione), dal sottosegretario delle politiche giovanili Elidio De Paoli.[7]
Avete capito? Il governo dello Stato italiano, per voce di De Paoli, saluta i massoni di Palazzo Giustiniani! Cosa questa non strana, perché Prodi è stato (e forse lo è ancora) legato alla più potente banca ebraica privata del mondo, la Goldman Sachs , ed è membro dell’Aspen Institute for Humanistic Studies, di cui ne è stato anche il direttore, passando per la Fabiana (Fabian Society) London School of Economics, ospite sempre gradito anche dall’Opus Dei, la massoneria del vaticano. Sempre a Rimini non poteva mancare all’appuntamento lo storico Paolo Prodi, fratello questa volta di sangue del più famoso Romano, che definisce la massoneria del Grande Oriente come una “delle più importanti agenzie produttrici di etica che abbia creato al suo seno la storia dell’Occidente[8]” Numerosi poi sono stati i prestigiosi relatori delle tre giornate (tra cui il giornalista Oscar Giannino), ma per problemi di spazio non è possibile elencarli tutti.
Per meglio comprendere a che livelli è infiltrata la massoneria, è necessario tornare indietro di qualche anno e precisamente all’11 luglio 2002 quando il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo deposita a Roma, presso un notaio, l’atto costitutivo degli Illuminati, la cui sede si trova al numero 31 in piazza di Spagna.[9] Membri di quest’ordine, che ricorda gli Illuminati di Baviera, sono: Carlo Freccero (già direttore di Rai2 ed ex programmista di Fininvest),[10] Rubens Esposito, (avvocato responsabile degli affari legali per la Rai ), Sergio Bindi (tredici anni consigliere di amministrazione della Rai), il medico Severino Antinori (lo specialista in fecondazione artificiale), il filosofo Vittorio Mathieu (rappresentante dello spiritualismo cristiano), il generale Bartolomeo Lombardo (ex direttore del Sismi) e moltissimi altri. Quindi troviamo uomini legati ai media, all’esercito, alla finanza, all’economica, ecc. Vicina agli Illuminati di Di Bernardo sembra anche essere oggi anche una delle realtà ebraiche più importanti a livello internazionale, un vero e proprio simbolo della “Israel Lobby”. Possiamo ricordare l’Anti-Defamation League, braccio armato del B’nai B’rith (B’B’, la potentissima massoneria ebraica di cui perfino Sigmund Freud ne era membro), l’AIPAC, ecc. Questi sono solamente alcuni nomi dei numerosissimi fratelli che lavorano nel mondo bancario, nel mondo societario, all’interno delle istituzioni, della politica, ecc.
Tutto questo per concludere, che parlare di massoneria, poteri forti, Stato, mafia, poteri bancari, crimine organizzato è la stessa medesima cosa. Non sto dicendo che tutti i massoni sono disonesti, ma come disse qualcuno: “non ho mai conosciuto un criminale che non fosse un massone”. Verità sacrosanta. Il collante tra i vari gruppi appena visti è la tessera di appartenenza a qualche loggia occulta, coperta o meno, di stampo massonico o paramassonico. Anzi possiamo affermare senza paura di smentita, che per giungere ad occupare determinate poltrone o carriere, è necessario appartenere a qualche loggia. Il motivo è presto detto: all’interno di una gerarchia verticistica piramidale si è meglio controllati dai vertici! Ecco perché la caduta del governo Prodi è stata volutamente provocata con lo scopo di distrarre e distogliere l’attenzione pubblica dirottandola su qualcos’altro apparentemente molto più importante.
Il bubbone stava per scoppiare di nuovo, l’ennesima inchiesta della magistratura (questa volta è toccato a De Magistris) stava per concludere che la politica, come la mafia, sono strumenti nelle mani della libera muratoria deviata! E questo non sa da fare e non sa da dire… Passeranno le settimane, i mesi, e poi tutto tornerà come prima: ci sarà un nuovo governo, magari tecnico con Dini o Draghi, nuove promesse agli elettori, nuove illusioni di democrazia, nuovi scontri televisivi (tutti fasulli) tra politici nei teatrini confezionati ad hoc, come per esempio “Porta a Porta”, “Ballarò”, “Matrix”, ecc., il tutto con i sogni tranquilli dell’élite economico-finanziaria, che riposa sempre all’ombra del compasso e della squadra…
Poi verrà un giorno, che un altro spregiudicato e incosciente magistrato aprirà una inchiesta che porterà alla luce, per l’ennesima volta, la collusione tra massoneria, apparati dello Stato e criminalità organizzata, e naturalmente finirà tutto con un attentato, con un cambio di governo e lo spostamento a Roma dell’indagine. Pochi se ne accorgeranno perché il restante popolo sarà intrattenuto, rimbambito e deviato dalla luciferica televisione…Questa è l'Italia!
[1] “Come è stata svenduta l’Italia” di Antonella Randazzo, www.disinformazione.it/svendita_italia2.htm [2] Movimento internazionale per i diritti – Solidarietà, Movisol - www.movisol.org/ulse275.htm#anchor[3] Intervista a Giulio Tremonti, Corriere della Sera del 23 luglio[4] «Contro di me i poteri occulti Ora rischio pallottole e tritolo», Corriere della Sera del 21 ottobre 2007 [5] Idem[6] Idem[7] “Fratelli d’Italia”, Ferruccio Pinotti, ed. BUR[8] Agenzia di stampa Ansa[9] Op. cit. pag 464 [10] Idem
Tratto da: http://www.disinformazione.it/
L'ORDINE DELLA STELLA DELL'EST PER LE MOGLI.
- Pagina massoneria
Chiarezza sulla massoneria Prof. Paolo Franceschetti - 31 dicembre 2007 http://www.paolofranceschetti.blogspot.com/
Molto è stato scritto sulla Massoneria[1], ma pare continui ad esserci molta confusione sull’argomento. Il perché è semplice: la prima caratteristica dell’Ordine è il segreto, ed è inviolabile. In soldoni, dunque, non la si conosce. La cosa sorprendente è che non la conoscono neanche molti massoni. Mi spiego.
Premessa. Ufficialmente la massoneria viene presentata come un Ordine Iniziatico a carattere esoterico al quale possono appartenere soltanto uomini liberi e rispettabili che si impegnino a mettere in pratica un ideale di pace, di amore, di fraternità. Un associazione che, tendendo al perfezionamento morale dei Fratelli, si propone di conseguire quello della intera umanità:“La loggia massonica, iniziandovi ai suoi misteri, vi invita a diventare uomini d’elite, saggi o pensatori, educati al di sopra della massa degli esseri che non pensano….l’uomo si distingue dal bruto per le sue facoltà intellettuali. Il pensiero lo fa libero:gli dà il dominio del mondo. Pensare è regnare”[2] Ammessi alla massoneria sono solo gli uomini dai 21 anni in su. Vi sono comunque organizzazioni disponibili per i parenti degli iniziati. Tra queste:
- l'Ordine della Stella dell'Est per le mogli; - l'Ordine di De Molay per i figli dai 12 anni; - l'Ordine delle figlie di Job e dell'Arcobaleno per le figlie dai 12 anni.
La Massoneria è strutturata in modo gerarchico. Il cammino personale dei fratelli procede per gradi, e ad ogni livello di iniziazione l’adepto riceve l’insegnamento di verità superiori. Gli adepti privilegiati, o riconosciuti degni, vengono poi iniziati alle dottrine più segrete ed occulte[3]. I progetti e i fini sono quindi comunicati solo al grado in cui ci si trova e, visto che usano il linguaggio dei simboli, sono comprensibili solo a seconda del proprio grado. Questa struttura comporta una conseguenza immediatamente percepibile: chi aderisce a questa associazione lo fa senza conoscerne praticamente nulla, poiché la verità, o lavoro massonico, che poi è il fine stesso dell’associazione, viene conosciuta solo dagli adepti ai gradi più alti.
Non a caso una delle più grandi autorità massoniche Albert Pike[4] ebbe a dichiarare che tutti i massoni di grado inferiore al 32° vengono intenzionalmente ingannati mediante false interpretazioni.
Tale premessa è importante perché questo articolo parte dal presupposto, fondato, che molte persone che a questa associazione appartengono o si avvicinano, effettivamente non la conoscano completamente. Facciamo subito un esempio affinché, anche alcuni massoni, possano subito rendersi conto di quanto poco sappiano sulla loro associazione.
Molti massoni sono assolutamente ignari che al di sopra delle Logge, dei Templi, dei Grandi Orienti e dei Riti esista da sempre una Direzione Iniziatica Universale. Cosa sia questa Direzione Iniziatica Universale ce lo spiega il massone Serge Raynaud De La Ferriere : “…una Massoneria ed un Grande Oriente Universale di carattere esoterico, il cui Consiglio Superiore, composto di veri Iniziati, riceve la linea direttiva dai propri Santi Santuari Esoterici, per subito trasmetterla attraverso intermediari, ad organismi sempre più esoterici. Siamo certi che la maggior parte dei Fratelli massoni si stupirà di questo non avendo mai sentito parlare di tale Direzione Superiore…Questa Direzione Mondiale organizza ed istruisce le varie Associazioni Segrete… Il massone “medio” incontrerà alcune difficoltà nel comprendere…I veri Grandi Maestri non sono sempre coloro che appaiono rivestiti di tutta l’autorità; dietro i poteri rappresentativi, dei titoli e delle funzioni ci sono i Patriarchi, i veri Venerabili, le Potenze che dirigono contemporaneamente tutti i riti del mondo, perché sono veramente alla testa della Massoneria Universale”[5].
Questo è un piccolo esempio. La maggior parte dei massoni non sa di questa Direzione Mondiale (non stiamo parlando della Gran Loggia di Inghilterra), né sa dove sia, né dove siano dislocati nel mondo i c.d. “intermediari” (altrimenti non avrebbe destato sorpresa la scoperta di un archivio di Gelli a Montevideo), ecc… Faccio notare come, proprio nel passo sopra citato, un massone scriva ad altri fratelli definendo la massoneria una “associazione segreta” e non certo riservata!!! La domanda da porsi ora è: ma quelli che sono ai gradi più alti sono i migliori? La risposta la lasciamo all’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giuliano Di Bernardo che ci spiega anche il perché: “I migliori spesso stanno in basso, in un angolo, non vengono mai portati su. Perché sono pericolosi”. In massoneria vi sono brave persone. Sono uomini che credono fortemente nei principi enunciati dall’associazione, nella crescita personale e sperano in una società migliore. Proprio questi “fratelli” sono i primi ad essere ingannati, ma ingannati sino ad un certo punto. Ecco il perché.
Giuramento e Leggi. Per entrare in massoneria si deve prestare un giuramento. Il giuramento massonico di affiliazione, che deve essere prestato sul Volume della Sacra Legge[6] (V.S.L.), è il seguente: “Liberamente, spontaneamente, con pieno e profondo convincimento dell’animo, con assoluta e irremovibile volontà, alla presenza del Grande Architetto dell’Universo, prometto e giuro di non palesare giammai i segreti della Massoneria, di non far conoscere ad alcuno ciò che mi verrà svelato, sotto pena di aver tagliata la gola, strappato il cuore e la lingua, le viscere lacere, fatto il mio corpo cadavere e in pezzi, indi bruciato e ridotto in polvere, questa sparsa al vento per esecrata memoria di infamia eterna. Prometto e giuro di prestare aiuto e assistenza a tutti i fratelli liberi muratori su tutta la superficie della terra, prometto e giuro di consacrare tutta la mia esistenza al bene e al progresso della mia patria, al bene e al progresso di tutta l’umanità, prometto e giuro di adempiere ed eseguire tutte le leggi, i regolamenti e le disposizioni tutte nell’Ordine e di portare ossequio e obbedienza alla suprema autorità e a tutti quanti sono i miei superiori. Prometto e giuro di conservarmi sempre onesto, solerte e benemerito cittadino ossequiente alle leggi dello stato, amico membro della mia famiglia e massone per abbattere sempre il vizio e propugnare la virtú. Prometto e giuro di non attentare all’onore delle famiglie dei miei fratelli. Finalmente giuro di non appartenere ad alcuna società che sia in opposizione con la libera massoneria, sottoponendomi rispetto alle pene personali piú gravi e terribili”.
Come si può notare dalla lettura del testo si tratta di un giuramento molto forte che, seppur a livello simbolico (ma sappiamo che il simbolo per il massone riveste una importanza fondamentale), è un giuramento di morte con cui si promette:
- di non rivelare giammai quanto ti verrà rivelato; - di prestare aiuto e assistenza a tutti i fratelli; - di adempiere ed eseguire tutte le leggi, regolamenti e disposizioni dell’Ordine; - di non appartenere ad alcuna società che sia in opposizione alla libera muratoria.
Il giuramento presenta implicazioni di non poco conto. Vediamo perché. Il giuramento (ricordiamo: liberamente, spontaneamente e volontariamente prestato) prevede che il fratello prometta, tra le altre cose, di adempiere ed eseguire tutte le leggi, regolamenti e disposizioni dell’Ordine. Ovviamente la maggior parte di tali leggi, regolamenti ecc…sono segrete per i profani, ma i massoni le conoscono benissimo. Ad esempio il massone sa benissimo che le Costituzioni dell’Ordine non danno il diritto di espellere i fratelli indegni. Allora perché risentirsi delle critiche che vengono mosse contro la loro associazione? Perché affermare che “non si può fare di tutta un’erba un fascio” quando proprio le loro Costituzioni non prevedono l’espulsione dei delinquenti? Né si può dire che solo negli ultimi anni la massoneria abbia avuto una particolare infiltrazione di uomini senza scrupoli tra le sue “fila”, se già nel 1898 il massone Felice Cavallotti ebbe a dire: “non è vero che tutti i massoni sono delinquenti, ma non ho mai conosciuto un delinquente che non fosse anche massone”. Ma c’è di più.
Tribunale massonico. Premettiamo che all’interno della massoneria vi è un Organo giudicante simile all’organo giudiziario dello stato. Se un massone viola una legge massonica (si macchia di qualche colpa nei confronti di altri fratelli) questo viene denunciato (con tavola d’accusa) al Tribunale massonico. Vi sono anche qui tre gradi di giudizio (con tanto di previsione delle Sezioni Unite) ed, a livello procedimentale, è simile al processo penale: competenza territoriale, connessione, ecc…. Ovviamente le leggi massoniche sono differenti dalle leggi dello stato, come anche le condanne. In soldoni se la cantano e se la suonano tra di loro. Bene, nulla di male, vi sono diverse organizzazioni strutturate in modo analogo, si pensi al tribunale sportivo: se commetti un illecito sportivo ti giudicherà il tribunale sportivo.
Ma la domanda è: se un massone commette un reato penalmente rilevante che succede? La domanda è lecita, la risposta imbarazzante, ma illuminante: nulla!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Prima di spiegare meglio questo punto, però, vi racconto una storia (ma ne potrei raccontare anche tante altre, sempre naturalmente con tanto di documentazione) e poi vi dico cosa ha deciso, con sentenza a Sezioni Unite, il Tribunale massonico.
Un giorno un massone viene a sapere che il Gran Maestro avrebbe chiesto ed ottenuto tangenti su affari “profani” di interesse dei Fratelli. La cosa lo sconvolge e, alla prima riunione, si rivolge al Gran maestro con queste parole: “E perciò Fratello XXX, tieni ben presente, almeno questa sera, che le tue risposte ai quesiti che ti verranno posti dovranno essere assolutamente veritiere, chiare e non equivoche e possibilmente documentate e documentabili in modo incontrovertibile. Perché potrei io stesso un giorno essere chiamato dal giudice Vigna a rendere testimonianza, o prendere io stesso l’iniziativa per essere chiamato da tale giudice a testimoniare; e riferirei dettagliatamente le risposte da te date qui, chiamando, ove occorresse, a testimoniare altri illustri fratelli qui presenti questa sera e pronti a servire, come sempre, la verità e la giustizia”.
Ovvero, come si dovrebbe fare tra uomini liberi, rispettabili ed onesti, venuto a conoscenza di un fatto penalmente rilevante commesso da un fratello, chiede a questi chiarimenti. Vi domandate cosa è successo? Ve lo raccontiamo noi. Il malcapitato che aveva chiesto informazioni è stato denunciato al Tribunale massonico e, dopo tre gradi di giudizio, con sentenza del tribunale del Grande Oriente d’Italia, del 28/X/1978, Corte Centrale a Sezioni Unite, viene espulso dalla massoneria con la seguente motivazione:
“di avere, nella riunione del collegio circoscrizionale dei MM. VV. del Lazio, apostrofato con arroganza il Gran Maestro ….., minacciandolo di adire il giudizio profano, violando così anche il principio n. 1 Cap. IV degli Antichi Doveri”.
Due esempi di sentenza massonica: clicca per ingrandire (tutti i nomi dei f.lli sono stati cancellati)
Eccolo! Ora possiamo, finalmente, capire qualcosa in più. Le costituzioni dell’Ordine non prevedono che possa essere espulso un delinquente, ma un uomo onesto pronto a dire quello che sa alla magistratura si. Questo perché chi entra in massoneria giura di non riconoscere legittimità al Tribunale profano (ovvero l’organo giudiziario previsto dalla Costituzione italiana), considerato indegno di giudicare i fratelli, uomini illuminati. In altri termini: un massone non può neanche minacciare di adire l’Organo Giudiziario previsto dalla nostra Costituzione. E chi viola questo dovere viene punito nella maniera più dura.
Tra noi profani tale comportamento viene definito, nel migliore dei casi, omertoso (L'omertà è l'atteggiamento di ostinato silenzio atto a non denunciare reati più o meno gravi di cui si viene direttamente, o indirettamente a conoscenza), e mal si concilia con persone che pretendono di presentarsi al mondo come persone libere, rispettabili che tendono al perfezionamento morale.Con tale giuramento come sorprendersi che tanti aspiranti delinquenti vedano come un Eden la vostra associazione e facciano a gara per entrarvi? Sanno infatti che qualsiasi cosa gli altri fratelli vengano a sapere, non possono cacciarli e non possono denunciarli. Un paradiso per chi vuole delinquere.Ancora una volta riportiamo un esempio importante.
Nel 1992 il procuratore Agostino Cordova apre un’inchiesta sulla massoneria. Gran Maestro in quegli anni è il prof. Giuliano Di Bernardo. Cordova gli chiede di collaborare e Di Bernardo, avendo visto che gli addebiti dell’inchiesta non erano fantasia (connessioni tra mafia, ‘ndrangheta e massoneria) acconsente fornendo al Procuratore gli elenchi degli iscritti. Ha tradito. Vediamo cosa gli è successo dopo. Cosa è successo lo dice Di Bernardo. Il 14 aprile 1993 in una riunione dei membri di Giunta del Grande Oriente pronuncia le seguenti parole: “Volevo comunicarvi le mie decisioni. Ho ricevuto minacce gravissime e con me tutta la mia famiglia. Ho visto mia madre piangere per l’inquietudine che avevano suscitato in lei quelle minacce. Ne hanno ricevute mia moglie ed i miei figli. La mia famiglia è spaventata e vive in costante angoscia. Ho quindi deciso di dimettermi”. (v. il libro di Pinotti, Fratelli d’Italia, a pag 63). Ha collaborato ad una inchiesta giudiziaria che coinvolgeva dei “fratelli” e per costringerlo ad andarsene sono arrivati a minacciare la sua famiglia, figli compresi. Non c’è da stupirsi.
Come abbiamo visto le leggi della massoneria permettono una protezione che non ha eguali tra le associazioni lecite per i criminali. Una società può funzionare solo se tutti i cittadini fanno il loro dovere. Non vi può essere polizia, esercito o altro che possa sostituirsi al controllo sociale. E che controllo può esservi se un gruppo di uomini che, purtroppo, spesso si trova ai vertici del potere, è vincolato da un giuramento di omertà? Ma questo chi entra in massoneria lo sa bene. Anzi, diciamola tutta, molti entrano proprio per questo!
Reati. Ed ora un ultima domanda: tale giuramento, ovvero quello di non riconoscere legittimità all’Organo Giudiziario previsto dalla Costituzione italiana, potrebbe integrare un’ipotesi di reato? A mio parere si. Pensiamo ai massoni che svolgono una professione che li obbliga a prestare il giuramento di osservare e rispettare la Costituzione. Questi, a nostro parere, commettono un reato solo prestando il giuramento per l’ingresso in massoneria.
Si pensi a tutti i militari. Il giuramento militare recita: “Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservare la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”. Nel codice penale vi è l’art. 266. Istigazione di militari a disobbedire alle leggi, che prevede: “Chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l'apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari, è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave delitto, con la reclusione da uno a tre anni”.
E tutti quei fratelli che, pubblici ufficiali, hanno l’obbligo, venuti a conoscenza di un reato, di sporgere denuncia? Il reato poi, permanendo il giuramento e l’affiliazione massonica, è permanente, ovvero non soggetto a prescrizione. Ma anche i massoni che non svolgono una professione soggetta a giuramento, probabilmente commettono un reato. Esiste infatti nel notro ordinamento la figura del concorso morale nel reato. Esiste quindi un reato associativo ai sensi dell’articolo 416 del codice penale. Conoscono il fratello, la professione ed il giuramento fatto. Magari lo presentano, partecipano alla sua iniziazione, sanno che giurando commette un reato, e proprio loro, gli altri fratelli, partecipano e gli danno la sicurezza della copertura a tale reato (un massone può decidere di dire che è massone, ma ha giurato di non fare mai il nome di un altro fratello).
Conclusione. Quanto sino ad ora detto, se poteva essere ignoto ai profani, è perfettamente chiaro e conosciuto ai massoni. Anche quello ai gradi più bassi. Ripeto. Sono sicura che tanti massoni siano brave persone, ma è anche vero tutti hanno accettato di entrare in una associazione ove sapevano perfettamente che non è possibile né cacciare, né denunciare i delinquenti. In una associazione in cui giurano omertà. Se veramente i massoni onesti vogliono essere riconosciuti come tali, e vogliono chiudere le loro porte ai delinquenti, si rifiutino di giurare loro appoggio e protezione. Non ci vuole molto. Basta cambiare una legge. Basta prevedere che il massone, venuto a conoscenza di un reato compiuto da qualsiasi cittadino, massone o no, sia obbligato a denunciarlo alla Procura della Repubblica. Ora ci rivolgiamo, a voi iscritti in massoneria. Voi tutto questo non lo fate; continuate a mantenere leggi che:
- prevedono l’espulsione del fratello che venuto a conoscenza di un reato chiede spiegazioni e dichiara di essere disponibile a collaborare con la Procura della Repubblica per “servire la verità e la giustizia”; - non riconoscono un organo previsto dalla costituzionale - non prevedono mezzi per espellere i delinquenti, così che per voi sia accettabile sedere accanto a ladri, truffatori, assassini, magari chiamandoli “venerabile”
Se continuerete a fare tutto questo, allora vi preghiamo vivamente di non indignarvi per le critiche mosse alla vostra associazione e di mantenere, questa volta si, un decoroso silenzio.
Nota finale. Le sentenze in nostro possesso e citate nel testo dell’articolo sono depositate presso procure e organi di polizia. Verranno mandate scannerizzate a chiunque ne farà richiesta.
[1] L’atto ufficiale della Massoneria moderna si può far coincidere con la fondazione, nel 1717 della Gran Loggia d’Inghilterra, mentre il suo ordinamento fianale risale al 1723 con la pubblicazione delle costituzioni preparate da Anderson[2] Osvald Wirt, La massoneria resa comprensibile ai suoi adepti I l’apprendista, edito da Atanor Roma 1997, pg. 5 [3] Jean Marie Ragon, massoneria occulta ed iniziazione ermetica, edito da atanor 1972, pg. 21 [4] (1809-1901), "Sovrano Gran Comandante del Concilio Supremo del Sud della massoneria Scottish Right" scrisse "Morali e Dogmi dell'Antica e Accettata Scottish Rite della massoneria per il Concilio supremo del 33esimo Grado [5] Serge Raynaud De La Ferriere , il libro nero della framassoneria, edito da Tarantola editore, Lugano pg. 15 [6] che, quindi, nelle logge cristiane è la Bibbia , nelle logge musulmane il Corano, nelle logge braminiche Vedas, nelle logge ebraiche il Pentateuco ebraico, ecc.
Tratto da:http://www.disinformazione.it/
lunedì 10 marzo 2008
AMANTEA: UN ASSEDIO DIMENTICATO
Quando il 27 dicembre 1805 Napoleone Bonaparte, da quel perfetto guerrafondaio che fu, annunziò che la dinastia dei Borbone di Napoli era “incompatibile con la pace dell’Europa”, aveva già pronti i suoi generali per la progettata invasione del Mezzogiorno d’Italia che doveva assicurare un regno al fratello Giuseppe. Naturalmente le collaudatissime Armate di Massena riuscirono a dilagare in poco tempo sino allo stretto antistante la Sicilia, dove s’era ritirato intanto Ferdinando IV con la famiglia. Sul continente restavano solo alcune sacche di resistenza, una delle quali faceva capo ad Amantea, centro che contava poche centinaia di anime. Oggi può apparire persino incredibile che una cittadina tanto piccola abbia saputo prolungare la resistenza ben oltre il limite, consentito dalle modeste opere poliorcetiche costruite a sua difesa. E si stenta quasi a credere che quella che fu sprezzantemente definita una bicoque (bicocca) da Auguste Bigarre, aiutante di campo del suddetto fratello dell’imperatore, sia caduta solamente dopo la resa delle ben più munite fortezze di Gaeta e Civitella del Tronto. Di sicuro l’inopinata sua resistenza fu capace di mandare in bestia i transalpini. La stizza traspare evidente dalle Memoires di Edouard Gachot, imitato in parte da Jacques Rambaud che tentò di ridurne l’epopea a “semplice episodio”, tirando addirittura in ballo l’attenuante della “scarsa efficienza dei mezzi posti in opera dagli assedianti”. Eppure ben altro giudizio aveva espresso il generale Griois, che comandò alla fine del 1806 l’artiglieria di stanza contro Amantea. Egli riconobbe che ad un’eccedenza dei mezzi frances, sistemati in gran numero sulle alture, la città poteva opporre solo “un semplice muro di cinta con un solo bastione… che si prolungava fino al mare”. La sua onestà lo spinse perciò a rendere doverososamente omaggio ai difensori, per la “volontà determinata ed il patriottismo” dimostrati. E a denti stretti pure Rambaud dovette ammettere che quella “energica difesa” degli amanteoti costituì “uno dei più bei serti della loro corona di gloria”. Può quindi affermarsi che vide giusto il calabrese Nicola Misasi quando, all’inizio del XX secolo, paragonò la difesa di Amantea a quella celeberrima di Saragozza, che qualche anno dopo seppe opporsi con altrettanto valore sempre ai francesi. “Perché – si chiedeva allora il romanziere – nessun torto si fece agli Spagnoli del pugnare sotto il vessillo borbonico, come sotto il vessillo borbonico pugnarono i calabresi a Sant’Eufemia e ad Amantea? Perché eroi gli uni e briganti gli altri?”. Parole sacrosante. Come sacrosanto ci pare anche il suo richiamo al fatto che “l’unità d’Italia si farà solo quando ognuno metterà del suo quello che ha nella storia comune”, ponendo una buona volta fine al malvezzo nostrano di offendere sempre le ragioni dei vinti delle guerre civili. E sull’assedio di Amantea gli dette ampia ragione una fonte insospettabile come il colonnello Giuseppe Ferrari, comandante dell’Ufficio storico del Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito, che l’8 aprile 1911 dedicò alla vicenda una monografia rimasta ad oggi insuperata per imparzialità e serietà di studi.
In pratica, l’epopea della cittadina iniziò con la vittoriosa sortita, fatta all’inizio di luglio del 1806 dalla flotta anglo-napolitana nel golfo di Sant’Eufemia e culminata nella battaglia di Maida di cui ci siamo occupati su queste colonne in occasione del suo bicentenario. Alcune fregate del convoglio sbarcarono un gruppo di volontari borbonici ad Amantea, subito evacuata dai polacchi del contingente francese che la presidiavano. L’arrivo di capi massa del calibro di Necco di Scalea e Michele Pezza di Itri (Fra Diavolo), che recavano gli aiuti sperati, ebbe l’effetto di portare alle stelle il morale della gente. Venne eletto governatore un patrizio locale, peraltro gradito pure alle corti di Napoli e di Londra, Rodolfo Mirabelli. Parente di un Alessandro Mirabelli, fucilato senza processo poco tempo prima dagli invasori, egli come primo atto di governo volle premiare ogni calabrese che si era distinto combattendo i polacchi in ritirata. Seguì un periodo di relativa calma, durante il quale fu consumata qualche inevitabile rappresaglia nei confronti dei collaborazionisti ad opera degli elementi più violenti scesi in città. Divenuta il fulcro delle insorgenze antifrancesi di quel versante tirrenico, Amantea fu fatta subito oggetto di alcune puntate esplorative del generale Vernier che voleva saggiarne le capacità di reazione. Tornati successivamente in forze, i soldati napoleonici iniziarono le ostilità dopo aver insediato la loro artiglieria sulle alture, per battere meglio le mura, e aver messo un presidio sulla spiaggia, per bloccare i rifornimenti via mare. Tutti gli abitanti collaborarono eroicamente alla difesa, come dimostra l’episodio di Elisabetta Noto che con le sue grida d’allarme sventò un assalto notturno che fu fortunatamente respinto. Visto che non riuscivano a spuntarla nei ripetuti assalti i francesi fecero confluire altre truppe, ma inutilmente. Purtroppo, alla stregua di tutti gli assedi, il trascorrere del tempo giocava contro i difensori. Infatti, come rilevò nel 1984 Ulderico Nisticò nella sua Storia delle Calabrie, “la sola debolezza di Amantea era la penuria dei viveri”. Sintomatico al riguardo è un altro episodio che vide un certo Francesco Secreto detto Gal-gal tuffarsi in mare – si era nel pieno del mese di gennaio! – nella speranza d’ottenere aiuti dalla flotta inglese che veleggiava al largo, ma che invece non si mosse. Tra attacchi e contrattacchi trascorsero altre lunghe settimane, durante le quali i genieri francesi riuscirono a scavare una galleria fino ad uno dei baluardi, dove piazzarono un’enorme mina. Il 5 febbraio 1806 una tremenda esplosione aprì una spaventosa breccia, attraverso la quale gli assedianti dilagarono nella città. La furiosa battaglia, che s’accese tra le macerie anche a colpi di pietre, si concluse il giorno dopo con l’inevitabile atto di resa. Mentre al Mirabelli fu concesso di trasferirsi con la famiglia in Sicilia, non si usarono riguardi per chi venne ritenuto un brigante. Perciò, con questa sbrigativa accusa moltissimi difensori finirono fucilati senza pietà. Secondo un copione già visto a Lauria, “rea” di un’altra stoica resistenza il 7 agosto precedente, anche Amantea venne punita con la perdita delle prerogative di capo-circondario a favore della vicina Paola. In cambio, però, si guadagnò l’ammirazione di Guglielmo Pepe, che aveva scelto di militare tra le schiere degli invasori transalpini. Egli lasciò scritto d’aver assistito a veri “prodigi di valore” compiuti da quei compatrioti che pure aveva tradito. E, avendo constatato che essi erano asserragliati in una “debole cerchia di mura”e che queste ultime erano difese a loro volta da appena quattro cannoni fatiscenti, giunse ad ammettere d’aver provato tutta la vergogna di stare a “combattere nelle fila dello straniero”. Insomma, il classico pianto del coccodrillo…
AMANTEA: UN ASSEDIO DIMENTICATO
Quando il 27 dicembre 1805 Napoleone Bonaparte, da quel perfetto guerrafondaio che fu, annunziò che la dinastia dei Borbone di Napoli era “incompatibile con la pace dell’Europa”, aveva già pronti i suoi generali per la progettata invasione del Mezzogiorno d’Italia che doveva assicurare un regno al fratello Giuseppe. Naturalmente le collaudatissime Armate di Massena riuscirono a dilagare in poco tempo sino allo stretto antistante la Sicilia, dove s’era ritirato intanto Ferdinando IV con la famiglia. Sul continente restavano solo alcune sacche di resistenza, una delle quali faceva capo ad Amantea, centro che contava poche centinaia di anime. Oggi può apparire persino incredibile che una cittadina tanto piccola abbia saputo prolungare la resistenza ben oltre il limite, consentito dalle modeste opere poliorcetiche costruite a sua difesa. E si stenta quasi a credere che quella che fu sprezzantemente definita una bicoque (bicocca) da Auguste Bigarre, aiutante di campo del suddetto fratello dell’imperatore, sia caduta solamente dopo la resa delle ben più munite fortezze di Gaeta e Civitella del Tronto. Di sicuro l’inopinata sua resistenza fu capace di mandare in bestia i transalpini. La stizza traspare evidente dalle Memoires di Edouard Gachot, imitato in parte da Jacques Rambaud che tentò di ridurne l’epopea a “semplice episodio”, tirando addirittura in ballo l’attenuante della “scarsa efficienza dei mezzi posti in opera dagli assedianti”. Eppure ben altro giudizio aveva espresso il generale Griois, che comandò alla fine del 1806 l’artiglieria di stanza contro Amantea. Egli riconobbe che ad un’eccedenza dei mezzi frances, sistemati in gran numero sulle alture, la città poteva opporre solo “un semplice muro di cinta con un solo bastione… che si prolungava fino al mare”. La sua onestà lo spinse perciò a rendere doverososamente omaggio ai difensori, per la “volontà determinata ed il patriottismo” dimostrati. E a denti stretti pure Rambaud dovette ammettere che quella “energica difesa” degli amanteoti costituì “uno dei più bei serti della loro corona di gloria”. Può quindi affermarsi che vide giusto il calabrese Nicola Misasi quando, all’inizio del XX secolo, paragonò la difesa di Amantea a quella celeberrima di Saragozza, che qualche anno dopo seppe opporsi con altrettanto valore sempre ai francesi. “Perché – si chiedeva allora il romanziere – nessun torto si fece agli Spagnoli del pugnare sotto il vessillo borbonico, come sotto il vessillo borbonico pugnarono i calabresi a Sant’Eufemia e ad Amantea? Perché eroi gli uni e briganti gli altri?”. Parole sacrosante. Come sacrosanto ci pare anche il suo richiamo al fatto che “l’unità d’Italia si farà solo quando ognuno metterà del suo quello che ha nella storia comune”, ponendo una buona volta fine al malvezzo nostrano di offendere sempre le ragioni dei vinti delle guerre civili. E sull’assedio di Amantea gli dette ampia ragione una fonte insospettabile come il colonnello Giuseppe Ferrari, comandante dell’Ufficio storico del Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito, che l’8 aprile 1911 dedicò alla vicenda una monografia rimasta ad oggi insuperata per imparzialità e serietà di studi.
In pratica, l’epopea della cittadina iniziò con la vittoriosa sortita, fatta all’inizio di luglio del 1806 dalla flotta anglo-napolitana nel golfo di Sant’Eufemia e culminata nella battaglia di Maida di cui ci siamo occupati su queste colonne in occasione del suo bicentenario. Alcune fregate del convoglio sbarcarono un gruppo di volontari borbonici ad Amantea, subito evacuata dai polacchi del contingente francese che la presidiavano. L’arrivo di capi massa del calibro di Necco di Scalea e Michele Pezza di Itri (Fra Diavolo), che recavano gli aiuti sperati, ebbe l’effetto di portare alle stelle il morale della gente. Venne eletto governatore un patrizio locale, peraltro gradito pure alle corti di Napoli e di Londra, Rodolfo Mirabelli. Parente di un Alessandro Mirabelli, fucilato senza processo poco tempo prima dagli invasori, egli come primo atto di governo volle premiare ogni calabrese che si era distinto combattendo i polacchi in ritirata. Seguì un periodo di relativa calma, durante il quale fu consumata qualche inevitabile rappresaglia nei confronti dei collaborazionisti ad opera degli elementi più violenti scesi in città. Divenuta il fulcro delle insorgenze antifrancesi di quel versante tirrenico, Amantea fu fatta subito oggetto di alcune puntate esplorative del generale Vernier che voleva saggiarne le capacità di reazione. Tornati successivamente in forze, i soldati napoleonici iniziarono le ostilità dopo aver insediato la loro artiglieria sulle alture, per battere meglio le mura, e aver messo un presidio sulla spiaggia, per bloccare i rifornimenti via mare. Tutti gli abitanti collaborarono eroicamente alla difesa, come dimostra l’episodio di Elisabetta Noto che con le sue grida d’allarme sventò un assalto notturno che fu fortunatamente respinto. Visto che non riuscivano a spuntarla nei ripetuti assalti i francesi fecero confluire altre truppe, ma inutilmente. Purtroppo, alla stregua di tutti gli assedi, il trascorrere del tempo giocava contro i difensori. Infatti, come rilevò nel 1984 Ulderico Nisticò nella sua Storia delle Calabrie, “la sola debolezza di Amantea era la penuria dei viveri”. Sintomatico al riguardo è un altro episodio che vide un certo Francesco Secreto detto Gal-gal tuffarsi in mare – si era nel pieno del mese di gennaio! – nella speranza d’ottenere aiuti dalla flotta inglese che veleggiava al largo, ma che invece non si mosse. Tra attacchi e contrattacchi trascorsero altre lunghe settimane, durante le quali i genieri francesi riuscirono a scavare una galleria fino ad uno dei baluardi, dove piazzarono un’enorme mina. Il 5 febbraio 1806 una tremenda esplosione aprì una spaventosa breccia, attraverso la quale gli assedianti dilagarono nella città. La furiosa battaglia, che s’accese tra le macerie anche a colpi di pietre, si concluse il giorno dopo con l’inevitabile atto di resa. Mentre al Mirabelli fu concesso di trasferirsi con la famiglia in Sicilia, non si usarono riguardi per chi venne ritenuto un brigante. Perciò, con questa sbrigativa accusa moltissimi difensori finirono fucilati senza pietà. Secondo un copione già visto a Lauria, “rea” di un’altra stoica resistenza il 7 agosto precedente, anche Amantea venne punita con la perdita delle prerogative di capo-circondario a favore della vicina Paola. In cambio, però, si guadagnò l’ammirazione di Guglielmo Pepe, che aveva scelto di militare tra le schiere degli invasori transalpini. Egli lasciò scritto d’aver assistito a veri “prodigi di valore” compiuti da quei compatrioti che pure aveva tradito. E, avendo constatato che essi erano asserragliati in una “debole cerchia di mura”e che queste ultime erano difese a loro volta da appena quattro cannoni fatiscenti, giunse ad ammettere d’aver provato tutta la vergogna di stare a “combattere nelle fila dello straniero”. Insomma, il classico pianto del coccodrillo…
domenica 9 marzo 2008
p.alternativamonarchica@email.it
PARTITO DELLA
Alternativa Monarchica
Reggenza Nazionale P.d.A.M.
Cell. 339 601 7911
COMUNICATO STAMPA
9/03/2008
Oggetto: Casta e pizzo elettorale
Il Partito della Alternativa Monarchica comunica di ritenere che recarsi alle elezioni sia come pagare il pizzo alla “casta”. Solo tramite la scelta del non voto in massa, i cittadini italiani possono dare un forte segnale, percepibile anche a livello internazionale, alla “casta” che, a parer nostro, deve sloggiare perché è la causa principale della rovina totale in cui versa il Paese. Ricordiamo inoltre a tutti gli elettori che, per aggirare il referendum in cui i cittadini si espresso contro i finanziamenti ai partiti, la casta partitocratrica elaborò una legge per cui loro percepiscono finanziamenti in base al numero di cittadini che si recano alle urne (e questo è un extra rispetto ai fiumi di soldi che già si mangiano).
Matteo Cornelius Sullivan
Reggente del Partito della Alternativa Monarchica
Davide Pozzi di S.Sofia
Commissario P.d.A.M. per Pavia e Piacenza