Ordini Cavallereschi Crucesignati

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domenica 2 settembre 2018

CERCASI NUOVI SERVI DELLA GLEBA,


il dott. Pietro Vitale, direttore del blog, presenta il dott. Alberto Guidorzi. La Redazione. 

Cassimi amici del blog che mi leggete da sempre. Vi presento il dott. Alberto Guidorzi, autore del pezzo. Alberto, già mio commilitome quando i tempi erano ancora verdi in Caserma....ci siamo ritrovati per caso, ed abbiamo deciso di collaborare. Egli è un Agronomo di lunga esperienza professionale, grande cultore delle tradizioni contadine agroecologiche, del tempo passato e di oggi. Leggiamolo insieme.
Domanda: dott. Guidorzi ci vuole spiegare nel Suo articolo, cosa intende: "i nuovi servi della gleba"?


 Risposta:

Il wwoofing è un acronimo delle parole inglesi “World wide opportunities on organic farms”. In pratica si tratta di uno scambio di buone pratiche agricole tra un contadino e stagisti interessati accolti nella sua azienda. Evidentemente si fa apologia delle aziende “agroecologiche” dove si pratica permacultura (con la “u” e non con la”o”) , agricoltura biodinamica, agricoltura sinergica, l’agricoltura di Masanobu Fukuoka, più semplicemente  nota come  agricoltura del non fare”. Il tutto con obiettivi palingenetici che dovrebbero essere forieri di un “nuovo modo di vivere” e che hanno trovato un inedito appoggio nell’ambiente ecclesiastico, tant’è che sull’Osservatore Romano si possono leggere panegirici a sostegno di queste nuove tendenze.
 La fotografia mostra una coltivazione di cereali a paglia secondo i concetti di Masanobu Fukuoka

Anche in Italia abbiamo degli esempi largamente citati dalla stampa e dagli ambienti radical-chic ma che difficilmente penetrabili ai fini di una disamina critica.
Da agronomo mi pare che il leitmotiv sia quello di mostrare che l’agricoltura, quella che la stragrande maggioranza degli agricoltori pratica,  è solo  “sfruttamento” ed è su questo che ci si sofferma quasi esclusivamente, mentre l’aspetto  “agricolo” inteso nel senso di coltivazione dei campi per ricavarne cibo per nutrire molti sia sempre più spesso lasciato a parte.
Dato che molto si legge dei principi mentre poco si sa della vera organizzazione di questi “santuari aziendali” ho finito per optare per una disamina di quanto avviene in Francia, dove ho avuto modo di visitare una di queste aziende e dove sono reperibili sufficienti notizie su siti internet degni di fede.
L’azienda visitata si trova nel dipartimento del Nord (zona del Pévèle poco lontana dalla città di Lilla). Sono un conoscitore della zona perché ho lavorato per un’azienda sementiera della regione per 40 anni. In Francia vi sono 400 di queste aziende e 4000 membri iscritti nei registri nazionali di stagisti volontari. Kévin conduce una di queste aziende, una microazienda di ¼ di ettaro dove si coltivano specie orticole all’aperto ed in serra con metodo biologico. I prodotti li vende ai soci di una confraternita di consumatori che vuole promuovere l’agricoltura contadina (quelli di “Terra Madre” di Carlin Petrini per intenderci). Come manodopera egli si serve appunto di volontari non pagati attratti dal voler viaggiare nel mondo, conoscere altre culture e venire a contatto con altre persone con lo stesso loro modo di pensare, quello ambientalista radicale. Alla mia osservazione che la sua manodopera volontaria gli dava molto di più (5 ore di lavoro al giorno inginocchiati a zappettare e a raccogliere cipolle, scalogno o fragole per 6 giorni la settimana) di quello che lui offrisse loro come vitto (in tutto un “uso cucina” per cucinare i suoi prodotti bio) e alloggio (in un container), Kévin ha risposto che io ero un prevenuto poiché lui non obbligava nessuno a lavorare per lui, trattandosi solo di un baratto tra persone libere.
In Francia esiste anche un guru mondializzato dell’agricoltura naturale che si chiama Pierre Rabhi (se cercate “Pierre Rabhi italiano” su Google trovate tutte le notizie e gli elogi che la nostra stampa gli ha profuso). Egli ha fondato l’associazione Terre & Humanisme per coniugare ecologia e solidarietà e rinforzare i legami tra gli uomini e tra questi e la terra nutrice o terra madre, anche attraverso la diffusione dell’agroecologia, intesa come alternativa globale che unisce la pratica agricola all’etica. Non vi sembra di sentire parlare il nostro Carlin Petrini (consulente del Papa)?  Comunque l’associazione gestisce un’azienda agricola a Labrachère  nell’Ardèche ed è qui che l’AFIS (associazione francese per l’informazione scientifica) ha fatto visita  pubblicandone un resoconto (http://afis-ardeche.blogspot.com/2012/09/humanisme-notre-visite-chez-des.html). Qui se ne riporta solo l’essenziale.
L’azienda che ha una superficie di meno di un ettaro, ospita ogni anno  150-170 volontari per una o due settimane ciascuna. Essi s’impegnano a partecipare all’attività aziendale (è un eufemismo perché si tratta di lavoro vero e proprio) senza nessun salario e per minimo 6 ore al giorno. Qualora lo desiderino i volontari ricevono vitto (spartano direi, essendo costituito da cereali, legumi, olio,condimenti vari, zucchero, tè e caffè che gli stessi volontari si devono cucinare) e l’alloggio in campeggio. Ma non è finita qui, perche é prevista una partecipazione solidale allo stage costituita da 4 €/giorno nel periodo di formazione e 3 €/g dopo. In più vi è l’obbligo di aderire all’associazione di cui sopra con 16 €/annui.
Un piccolo calcolo ci permette di dire che su meno di un ettaro l’azienda può contare in media su 150 lavoranti  annui, per 10 giorni ciascuno e per 6 ore al giorno, ossia godere di 9000 ore gratuite l’anno. E’ evidente che in queste condizioni ci si può permettere di seminare a mano, di combattere le infestanti non permettendo loro di mettere fuori la testa dal terreno, di “convincere” ogni insetto che si avvicina ad una pianta ad allontanarsene e di preparare con cura ogni partitina di frutta e verdura da recapitare fin sulla soglia di casa di ogni cliente, che, essendo un acquirente fideista, probabilmente pagherà prezzi nettamente superiori a quelli del normale mercato.
Se poi si considera che l’azienda dichiara di ospitare in più 200 stagisti annui che pagano 350 € per un corso di 5 giorni di iniziazione all’agroecologia, si evince che l’incasso annuo prevede un ricavo extra di 70.000 € , una cifra che per chi possiede meno di un ettaro di terreno equivale a vincere ogni anno alla lotteria, il che si ottiene semplicemente offrendo una soddisfazione morale ai seguaci di ideologia basata su credenze esoteriche.  Vi immaginate se questa fosse l’organizzazione praticata anche sui 600 ettari coltivati a biodinamico della Giulia Crespi? Forse è per questo che dice che la sua azienda crea impiego!

L’altro esempio è l’azienda di Bec Hellouin nel dipartimento dell’Eure che pratica la permacultura e che è stata studiata dall’INRA (Istituto Nazione di Ricerca agronomica) http://www.inra.fr/Chercheurs-etudiants/Agroecologie/Tous-les-dossiers/La-ferme-du-Bec-Hellouin-et-les-microfermes/Ferme-du-Bec-Hellouin-la-beaute-rend-productif
La permacoltura ha come obiettivo di creare negli ambienti temperati del globo un ecosistema alla stregua dei giardini-foresta di commestibili degli ambienti tropicali. Essa pertanto  si propone di creare vari piani di vegetazione (alberi, arbusti e piante erbacee) nell’ottica di fornire una produzione alimentare abbondante e con poco lavoro. Alla resa dei conti, però, questo esercizio teorico si scontra sul fatto che l’ecosistema artificiale così creato è poco produttivo perché al di sotto di alberi e arbusti cresce poco o niente. E’ vero, si crea un ambiente con maggiore biodiversità ed un po’ di nutrimento si ricava, ma il paragone con l’agricoltura è perdente. Inoltre se si deve vivere con quanto si produce occorre modificare il proprio regime alimentare e cibarsi solo con verdure, frutti verdi e secchi. La permacultura è praticata anche come forma di orticoltura comunitaria, nel senso che la gente fa altro e nel tempo libero partecipa ai lavori per appagare l’appartenenza all’ambientalismo radicale e si porta a casa qualche prodotto a cui dà un plusvalore romantico. Insomma anche qui la redditività (in senso finanziario) non viene tanto dalla vendita dei prodotti a prezzi di mercato quanto:  (a) dalla “vendita” dell’idea a persone che si sentono tanto appagate da prestare la propria opera gratuitamente, (b) dalla vendita di una letteratura che idealizza questa forma di vita e infine (c) dalla cessione a scopo di lucro di prodotti a persone che non danno al bene alimentare il vero valore economico, ma lo sopravvalutano. Non vi sembra un voler resuscitare dei “servi della gleba” pagati solo a livello del minimo vitale?
Si potrebbe obiettare che questa è una crociata contro persone che hanno l’unico difetto di cercare di sopravvivere  non potendo disporre di più terra da coltivare. Da noi in Italia, però, questa obiezione è spuntata in partenza, visto che i 600 ettari per la Giulia Crespi non sono di per sé uno strumento di sopravvivenza, possedendo ella tanto altro. E anche in Francia esiste un esempio similare: si tratta dell’azienda “Domaine du possible” nei pressi di Arles in Provenza (la città che ha ispirato Van Gogh). Ecco qui una singolare loro offerta di lavoro.