Il nostro direttore del blog Dott. Pietro Vitale intervista l'insigne economista Dott. Antonio Laurenzano.
Domanda: Dott. Laurenzano: la grande crisi del 2007 ha messo a nudo in modo irreparabile a livello mondiale il problema dell'euro? Quindici anni di euro di speranza o delusione?
di
Antonio Laurenzano
Passato sotto silenzio il
compleanno dell’euro. In un clima di crescente euroscetticismo nessuna
celebrazione per i quindici anni di vita della moneta unica. Nel 2002 l’euro, con
il festoso changeover in undici Paesi europei, era stato salutato come il
simbolo della integrazione monetaria del Vecchio Continente, preludio alla
costruzione politica della comune casa europea. Ma nel tempo, nei Paesi economicamente
più fragili, è divenuto il bersaglio di imprese e famiglie per averne eroso il
potere d’acquisto peggiorato dalla crisi economica.
Sono stati quindici anni non sempre facili, una corsa ad ostacoli
iniziata all’insegna della diffidenza dei mercati e dello scetticismo di alcuni
economisti, un ostacolo superato nei primi anni grazie al concorso di due
fattori: la Cina che, producendo merci a basso prezzo, ha impedito l’inflazione
a livello mondiale e la Fed (la banca centrale americana) che, immettendo enormi
liquidità nell’economia globale, ha tenuto bassi i tassi d’interesse. Un mix di
grande effetto interamente assorbito dalla crisi dei subprime 2007-2008 con lo
scoppio della “bolla” immobiliare, punto di partenza della recessione mondiale. Senza
la liquidità degli anni precedenti i mercati hanno richiesto rendimenti sempre
più alti per comprare titoli del debito sovrano dei Paesi deboli. La crisi finanziaria
si è poi estesa all’Eurozona che, priva
di una politica strutturale convergente dei suoi 17 membri, è andata in tilt. E per l’euro è stata notte fonda! Una notte
che non è ancora finita …
La grande crisi del 2007 infatti
ha messo a nudo il problema dell’euro: essere una moneta senza un governo,
senza uno Stato, senza una banca capace di garantire un intervento illimitato
in caso di difficoltà. E’ l’anomalia di un’Europa unita sotto il segno della
moneta, con la Banca centrale europea, unica istituzione federale, priva del sostegno
di una politica economica comune e un coordinamento delle politiche fiscali e
previdenziali.
L’origine della crisi dell’euro
sta nello stesso trattato istitutivo dell’Unione Economica e Monetaria (UEM):
si sperava che le regole (rigide) definite a Maastricht e le loro successive
modificazioni (Fiscal Compact) avrebbero consentito ai Paesi dell’Eurozona una
crescita forte ed equilibrata. Ma senza un comune ombrello protettivo ogni Paese risponde da solo dei debiti del suo
Governo, delle sue banche, delle sue imprese con la conseguenza che l’assenza
di aiuti da parte di Bruxelles e Francoforte provoca l’aumento dei tassi
d’interesse, la rarefazione del credito, l’arresto della crescita. Senza una
reale unione economica Paesi forti sempre più forti, Paesi deboli sempre più
deboli! Le singole economie nazionali troppo diverse fra loro, i cicli
economici troppo asimmetrici e il fattore di mobilità molto basso. La moneta
unica inevitabilmente avvantaggia i Paesi entrati nell’Unione in una situazione
più competitiva (debiti pubblici moderati, migliore organizzazione della
produzione e del lavoro, amministrazione pubblica e giustizia più efficienti) e
danneggia quei Paesi con finanza pubblica allegra e in forte ritardo sulle
riforme.
L’Italia, non in regola con i
parametri su deficit e debito fissati a Maastricht, per entrare nell’Eurozona
ha pagato un prezzo enorme con il cambio lira-euro troppo alto “imposto” a Prodi
e Ciampi dalla Germania a difesa delle proprie esportazioni. Un perverso sistema
di cambi fissi che impone ai Paesi in deficit l’onere dell’aggiustamento, a
danno della crescita, e non chiede alcun impegno di solidarietà ai Paesi in
surplus (Germania). La nostra competitività che fra il 1970 e il 1995 aveva
consentito la crescita della produzione industriale si è così volatilizzata. Nel
2002 il nostro reddito pro capite era del 20% superiore alla media dell’area
euro, oggi è del 20% sotto la media, con aumento della disoccupazione all’11,6%,
contro il 4,1% della Germania. Negli ultimi otto anni, il Pil (la ricchezza
nazionale) è sceso di sette punti e il nostro bilancio, pur registrando un
avanzo primario, chiude sempre in rosso per il pagamento del crescente debito
pubblico (133%).
E’ questo il quadro economico-politico
entro il quale la leadership politica europea dovrà muoversi per trovare nuovi
equilibri, nuovi stimoli per disegnare una convergenza economica all’interno dell’Eurozona, presupposto
essenziale per la sopravvivenza della moneta unica nel lungo periodo. Stop al
rigore senza sviluppo e crescita, ai diktat della Commissione europea che, non
promuovendo una politica economica espansiva, alimenta la protesta contro l’euro.
Ma quali le conseguenze di una uscita dalla moneta unica e il ritorno alla
sovranità monetaria nazionale? Per l’Italia un cammino in salita: disallineamento
degli spread, insostenibilità del debito pubblico con tassi d’interesse alle
stelle, cambiale da pagare alla Bce di 358,6 miliardi di euro, svalutazione della moneta nazionale (oltre il
30%!), esplosione dei costi energetici, illusione di maggiore export,
inflazione a doppia cifra! Secondo un rapporto di Mediobanca sarebbe un
vantaggio per l’Italia uscire dall’euro a una condizione: rimborsare il debito
in lire svalutate! Sogno o realtà?...
Cosa fare? Ricondurre la
questione europea nel suo alveo naturale che è quello politico e non quello
asfittico delle gabbie di procedure. Rivedere i Trattati e il rigore di Maastricht
attraverso un meccanismo di tassi di cambio “aggiustabili” per neutralizzare lo
strapotere economico tedesco. Un passaggio obbligato per mettere al riparo
l’euro dagli atti di pirateria dei mercati e l’Europa dal diffuso disagio
sociale ed economico e dai rischi per la coesione sociale e la stessa
democrazia.