Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.
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sabato 12 gennaio 2008
Il Grande Oriente d'Italia
la giornata dedicata al rito
Tornati all’ombra della Mole come fu nel giugno di due anni fa, per il Bicentenario del Grande Oriente d’Italia, i massoni piemontesi hanno saputo mostrare di non avere alcuna ribalta da temere. La cornice del Lingotto, più ampia e più prestigiosa di quella prescelta negli anni scorsi, è stata riempita e animata senza difficoltà dai partecipanti alla riunione rituale delle logge comprese nella circoscrizione Piemonte e Valle D’Aosta. Centinaia i «maestri venerabili» e gli altri «fratelli» che si sono riversati nella Sala gialla del centro congressi al fondo di via Nizza, cui nel tardo pomeriggio si è unita la gente comune, invitata ad ascoltare il discorso solenne che per tradizione viene tenuto dal gran maestro del Goi Gustavo Raffi. A fare gli onori di casa, il presidente del Collegio circoscrizionale dei maestri venerabili piemontesi e valdostani, Piero Lojacono, che nella mattinata, nel tempio grande che affaccia su piazza Vittorio, aveva già accolto una delegazione ospite di questa edizione della «tornata» rituale. Si tratta dei rappresentanti delle 14 logge italiane (una delle quali a Torino) intitolate a Giuseppe Mazzini. Celebrazione nella celebrazione, dunque, una maratona che ha alternato i momenti della tradizione a quelli della modernità, com’è l’allocuzione che il gran maestro da tempo ormai dedica anche al cosiddetto «mondo profano», ossia i non appartenenti alla massoneria. Nel suo discorso Raffi non ha rinunciato a conciliare attualità e principi, dedicando una menzione anche a Henry John Woodcock, il pm di Potenza titolare di un’inchiesta sulla cosiddetta «massoneria deviata» (come l’ha definita lo stesso magistrato). Il pm ha chiesto a tutte le prefetture di fornire l’elenco completo delle logge e dei loro affiliati, iniziativa che ha stupito il capo della massoneria italiana, «poiché fa riferimento a una normativa che non esiste più», ma non lo ha scaldato più di tanto. «Woodcock venga a prendere un caffé da noi - ha detto Raffi, serafico -. In una massoneria trasparente com’è quella del Goi, certi personaggi non si intrufolano perché quelli prediligono l’occulto. E allora se si vuole stanare la “massoneria deviata” non bisognerebbe cercarla tra i galantuomini». Il timore espresso nei templi è che prevalga la dinamica del teoremi e «che gli elenchi non servano a incrociare dei nomi, ma a rafforzare supposizioni». La risposta di Raffi resta comunque quella di sempre: «Replichiamo con la nostra trasparenza, con tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi anni e col dialogo intrapreso con la società civile». A Raffi piace la definizione di massoneria come «agenzia etica» data al Goi dallo storico di area cattolica Paolo Prodi. «È il riconoscimento dell’aver favorito sempre il dialogo - dice Raffi - anche quello, oggi più delicato, tra diverse religioni, nonostante il nostro richiamo continuo ai valori della laicità». Al termine del discorso del gran maestro sono stati premiati gli studenti vincitori del concorso promosso dalla loggia torinese Tito Ceccherini.
Il Lingotto si è fatto tempio per il Goi Centinaia di massoni a Torino per la seduta a logge riunite di Piemonte e Valle D’AostaTornati all’ombra della Mole come fu nel giugno di due anni fa, per il Bicentenario del Grande Oriente d’Italia, i massoni piemontesi hanno saputo mostrare di non avere alcuna ribalta da temere. La cornice del Lingotto, più ampia e più prestigiosa di quella prescelta negli anni scorsi, è stata riempita e animata senza difficoltà dai partecipanti alla riunione rituale delle logge comprese nella circoscrizione Piemonte e Valle D’Aosta. Centinaia i «maestri venerabili» e gli altri «fratelli» che si sono riversati nella Sala gialla del centro congressi al fondo di via Nizza, cui nel tardo pomeriggio si è unita la gente comune, invitata ad ascoltare il discorso solenne che per tradizione viene tenuto dal gran maestro del Goi Gustavo Raffi. A fare gli onori di casa, il presidente del Collegio circoscrizionale dei maestri venerabili piemontesi e valdostani, Piero Lojacono, che nella mattinata, nel tempio grande che affaccia su piazza Vittorio, aveva già accolto una delegazione ospite di questa edizione della «tornata» rituale. Si tratta dei rappresentanti delle 14 logge italiane (una delle quali a Torino) intitolate a Giuseppe Mazzini. Celebrazione nella celebrazione, dunque, una maratona che ha alternato i momenti della tradizione a quelli della modernità, com’è l’allocuzione che il gran maestro da tempo ormai dedica anche al cosiddetto «mondo profano», ossia i non appartenenti alla massoneria. Nel suo discorso Raffi non ha rinunciato a conciliare attualità e principi, dedicando una menzione anche a Henry John Woodcock, il pm di Potenza titolare di un’inchiesta sulla cosiddetta «massoneria deviata» (come l’ha definita lo stesso magistrato). Il pm ha chiesto a tutte le prefetture di fornire l’elenco completo delle logge e dei loro affiliati, iniziativa che ha stupito il capo della massoneria italiana, «poiché fa riferimento a una normativa che non esiste più», ma non lo ha scaldato più di tanto. «Woodcock venga a prendere un caffé da noi - ha detto Raffi, serafico -. In una massoneria trasparente com’è quella del Goi, certi personaggi non si intrufolano perché quelli prediligono l’occulto. E allora se si vuole stanare la “massoneria deviata” non bisognerebbe cercarla tra i galantuomini». Il timore espresso nei templi è che prevalga la dinamica del teoremi e «che gli elenchi non servano a incrociare dei nomi, ma a rafforzare supposizioni». La risposta di Raffi resta comunque quella di sempre: «Replichiamo con la nostra trasparenza, con tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi anni e col dialogo intrapreso con la società civile». A Raffi piace la definizione di massoneria come «agenzia etica» data al Goi dallo storico di area cattolica Paolo Prodi. «È il riconoscimento dell’aver favorito sempre il dialogo - dice Raffi - anche quello, oggi più delicato, tra diverse religioni, nonostante il nostro richiamo continuo ai valori della laicità». Al termine del discorso del gran maestro sono stati premiati gli studenti vincitori del concorso promosso dalla loggia torinese Tito Ceccherini.
Tratto da gr@CC blog
La Luce che Serba l'Eterno Amore
Giornalista-Scrittore
Il Vicedirettore
Il *“Palazzuolo”
Bari
Il Simbolismo della Candela e del Candelabro.
Cari amici, questa tavola mi è stata inviata da un amico di Taormina. Detta tavola, a sua volta, gli è stata inviata da Nicolai Homilius della R.: L.: “AKACIEN RANDERS” di Danimarca, scambiando con Lui i paramenti in una sorta di “gemellaggio” Fraterno. L’amico di Taormina mi ha chiesto di pubblicarla anche su il *“Palazzuolo”.
La sinergia alchemica tra la CANDELA ed il CANDELABRO:
Il simbolismo della candela è legato a quello della fiamma. Nella fiamma di una candela sono attive tutte le forze della natura, diceva Novalis, scrittore tedesco 1797-99. La cera, lo stoppino, il fuoco e l'aria che si uniscono nella fiamma ardente sono i quattro elementi della natura. Candelabro a sette luci o MEMORAR: simbolo della luce spirituale del seme della vita e della salvezza.
Dalla Bibbia, (Esodo) farai un candelabro d'oro puro.
Il candelabro sarà lavorato a martello; il suo fusto, i suoi bracci, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutte di un pezzo...
Continuando con Zaccaria nella sua visione (4,1-14), l'angelo gli spiega il significato:
le sette lucerne rappresentano gli occhi di Jahvè che scrutano tutta la terra; i due rami di ulivo sono i due canaletti d'oro che dispensano l'olio, cioè il potere spirituale rappresentato da Giosuè e il potere temporale incarnato da Zorobabel: entrambi sono unti. Sette bracci quanti sono i pianeti; è imitazione terrena della sfera celeste archetipa.
Il candelabro (l’Amenorah) rappresenta il cielo con il sistema planetario al centro del quale brilla il sole, di cui il fusto centrale è il simbolo, simbolo del LOGOS, luce del mondo; simbolo della divinità e della luce che essa dispensa agli uomini.
Una leggenda di cui non conosco le origini, mi fu trasmessa da un Fratello Danese, in essa, un susseguirsi di amore e di bontà: saggezza, bellezza....: il giorno prima della consacrazione del Tempio di gerusalemme, il Re Salomone ebbe uno strano sogno:
un Angelo veniva dal cielo e gli consegnava sette candele d'oro. Quando l'indomani si svegliò trovò accanto a se, le sette candele del sogno. .
Allora si travestì da semplice operaio e si mise in cammino alla volta di Gerusalemme nascondendo sotto la cappa le sette candele.
Il primo uomo che vide sulla sua strada, entrando in città, fu un vecchio calzolaio che procedeva nell'umila lavorando al buio nel suo povero laboratorio. Il re Salomone fermatosi gli da la sua prima candela accesa illuminando tutto il tugurio del povero vecchio calzolaio. Che egli chiamò la “CANDELA della BONTA'”
II Re riprese il suo cammino verso il Tempio, quando intravede attraverso una finestra una donna sola con il suo dolore che nella sua umile stanza aspettava la morte. Allora il Re accende il quella stanza la sua seconda candela e la paura scompare dal volto della morente che si incammina senza dolore verso l'Oriente
Eterno. He chiamò la “CANDELA "CONSOLAZIONE”
Dopo la consacrazione, verso sera, incamminandosi verso casa percorrendo una mulattiera, incontra un viandante stanco solo e fuori strada, allora il Re accesa la terza candela la dona al viandante che così gli illumina la giusta strada per raggiungere la sua meta e dandogli allo sperduto viandante, coraggio e nuove forze. Chiamò la CANDELA "CORAGGIO E FORZA”
Il Re Salomone, riprese ancora il cammino e, strada facendo incontrò un mendicante alla posta, presso il ricovero dei ciechi e dei lebrosi. Il Re lasciò la quarta candela e, quando l'accese la cera si sciolse e caddero gocce d'oro che tramutandosi in monete d'oro riempirono il cappello dell’uomo. Il mendicante si mise a piangere e le sue
lacrime scorrendo sulle sue guance guarirono le piaghe e i suoi occhi rividero la luce. Il mendicante allora si mise a cantare un motivo così sublime che il Re lo trascrisse per farlo ricantare nel Tempio. Chiamo’ la “CANDELA BELLEZZA".
La quinta candela fu messa su un candelabro presso il gran Rabbino: Egli era rimasto per lungo tempo nell'oscurità a cercare i vari modi di interpretare alcuni passi della sacra scrittura senza successo; cercava la parola: il Messaggio Divino, e la cercava per se stesso perchè superbo e pieno di vanità. Il Re lo volle aiutare e trovare la parola am ad un patto: tutta l’umanità deve poterla apprendere perché di tutti sia la felicità. Il Rabbino promise, e quindi il cero fu acceso e il messaggio si potè leggere sulla trave più alta della camera. Chiamò il cero “Saggezza”.
".
La sesta luce fu accesa dal Re davanti la porta di una prigione e le porte dei condannati senza colpa si aprirono ed essi si trovarono liberi. Chiamò il cero "LIBERTA'". Quando il Re arrivò alla reggia vide davanti alla porta un
bambino, era calata la sera ed il piccolo non poteva ritrovare la via di casa. Era tanto piccolo e non sapeva parlare, come poteva essere aiutato?
Allora il Re accese il settimo cero e lo diede al bambino ed egli con certezza s'incammino verso casa al riparo e sotto la protezione della Madre.
Gli uomini che videro questo avvenimento definirono la candela come il più bello dei ceri dato da Dio e la chiamarono "TESTIMONIANZA D'AMORE".
La volta seguente , che il Re Salomone andò al Tempio, vide tra le tre colonne un candelabro a sette bracci, prese allora sette ceri e li mise sul candelabro, tre al lato sinistro, tre al lato destro e, proprio nel centro, mise il settimo cero che chiamò, in ricordo di quanto fu detto in precedenza: “LA LUCE CHE SERBA L'ETERNO AMORE".
Ho detto
venerdì 11 gennaio 2008
I due Generali Comandanti, della Pinerolo - Bari
Scrittrice
Il *“Palazzuolo”
Bisceglie Bari
Comunicazione Uff. Stampa Cap. Dott. Domenico Occhinegro
Venerdì 11 gennaio alle ore 10.30 presso la caserma “Vitrani” sita in Via Fanelli 269, sede del Reparto Comando e supporti Tattici della Brigata Pinerolo, il Gen. di Brigata Attilio Claudio Borreca cederà, alla presenza del Comandante del 2° Comando delle forze Operative di Difesa Generale di Corpo d’Armata Carlo Gibellino, il Comando della prestigiosa Unità al Generale di Brigata Agostino Biancafarina.
Sono trascorsi oltre due anni dall’assunzione del Comando da parte del Generale Borreca duranti i quali la Brigata ha raggiunto importanti ed escussivi traguardi operativi – addestrativi.
Sotto la sua guida, 5500 militari, tra donne e uomini, della Brigata Pinerolo, per il 90% Pugliesi, sono stati impegnati simultaneamente in Bonia – Herzegovina e Kosovo dove hanno operato ed operano con grande professionalità e dedizione riscuotendo importanti riconoscimenti.
Il Comando della Brigata tra il 2006 e il 2007 ha guidato per 6 mesi la Multinational Task Force West in Kosovo nel contesto dell’operazione dell’operazione Joint Enterprise. Il Generale Attilio Borreca ha anche condotto la grande Unità in Germania dove si è svolta una esercitazione a livello internazionale per la costituzione di una forza di intervento Europeo durata circa un mese che ha evidenziato la grandissima professionalità e preparazione tecnica ed umana dei militari Italiani.
Il Generale Borreca assumerà l’importante incarico di Capo di Stato Maggiore della Divisione Acqui presso San. Giorgio a Cremano.
Ed ora cari lettori de il *”Palazzuolo” Vi decriverò lo stato di servizio del Gen. B. Agostino Biancafarina alla quale prenderà il Comando della Brigato Corazzata Pinerolo di Bari.
Il Gen. B. Agostino Biancafarina è nato il 23 agosto 1957 ad Aviano (Terni) H frequentato il 159° Corso d’Accademia è laureato in Scienze Strategiche ed in Relazioni Internazionali e Diplomatiche.
Nel corso del 2007 ha frequentato il Royal College of Defence Studies a Londra.
La cerimonia di cambio tra i due Comandanti si svolgerà al cospetto della bandiera di Guerra del 82° Reggimento “Torino” con sede in Barletta. Il Reggimento di formazione (ossia composto da Compagnie di tutti i Reggimenti dipendenti dalla Pinerolo sarà Comandato dal Colonnello Graziano Gironacci Comandante del 82° Reggimento “Torino”.
Alla cerimonia sono intervenute numerose autorità (tra cui il Dott. Giorgio Riccio presidente Naz. Ass. Bersaglieri ed il Comandante dei V.FF - Il Comandante Dott. Micunco) civili, religiose e militari, nonché notissimi giornalisti pugliesi tra cui il Dott. Gustavo Del Gado , per Telenoba ed il Dott. Pietro Vitale, per il *”Palazzuolo”.
giovedì 10 gennaio 2008
San Tommaso d'Aquino: il dottore angelico
La vita di San Tommaso d’Aquino non è stata prodigiosa per i sorprendenti miracoli che caratterizzano altri santi ma per la sua costante unione del suo cuore con Dio, che si esprimeva nella preghiera, nella venerazione e nello studio delle Sacre Scritture e nell’Eucaristia. Così Tommaso ha scalato le vette della conoscenza di Dio e ha affermato, quasi otto secoli fa, attraverso il suo limpido pensiero verità che sono patrimonio di tutta l’umanità. Con la sua vita ha dimostrato da dove proviene la luce, la pace, qual è la loro sorgente, quanto è vicina tale sorgente e quanto è semplice attingervi, come possiamo allargare infinitamente le nostre prospettive di vita, la mente se ci rapportiamo con la preghiera, le Sacre Scritture e l’Eucarestia con il Dio infinito. Non ci è precluso, anzi Lui non aspetta altro!
Ricordato il 28 Gennaio
Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274
Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)
Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.
Per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.
Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.
A Parigi on il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).
A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.
Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
Per dimostrare che Dio esiste l' uomo deve invece partire, come già aveva sottolineato Aristotele, da quel che è più vicino a lui, ossia dalle cose sensibili, di cui ha conoscenza diretta mediante i sensi. Così scrive Tommaso nella Summa Theologica (parte prima, Quaestio 2, Articolo 3: I q. 2 a. 3 ):
' L'esistenza di Dio si può dimostrare per cinque vie. La prima e più evidente via è quella che si desume dal movimento.[...]è necessario giungere a un primo motore che da null'altro sia mosso: e per questo primo motore tutti intendono Dio. La seconda via è quella che si desume dalla natura della causa efficiente.[...] è necessario porre una causa efficiente prima: che tutti chiamano Dio. La terza via è desunta dal rapporto tra ciò che è possibile e ciò che è necessario.[...] è necessario porre qualcosa che sia necessario per sé, che non abbia in altro la causa della sua necessità, ma che sia la causa della necessità nelle altre cose: e questo tutti dicono che è Dio. La quarta via si desume dai gradi che si ritrovano nelle cose. [...] vi è qualcosa che per tutti gli enti è causa dell'esistenza e della bontà e di qualsiasi perfezione: e questo qualcosa è Dio. La quinta via si desume dal governo delle cose. [...]vi è un essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine; e questo essere è Dio. '
SPECIALE-Gesù e le Tempeste
Quante tempeste nella mia vita, nella tua vita! A volte non riesco nemmeno più a pensarle tutte assieme, mi viene da dire che la vita sia un mare in tempesta. Ma se guardo bene lo è in special modo nei momenti in cui non vi è Gesù! Quando il mio cuore è sereno, in unione profonda con Dio che cosa può succedermi di male? Chi potrà strapparmi da questa pace, da questa gioia? Come posso turbarmi se so che ogni cosa è sotto controllo, è per il mio bene, e questo bene per me è veramente infinito! È impressionante quanto sia potente custodire Gesù nel proprio cuore in ogni momento di vita! E’ un po’ come vivere con una particella di me in paradiso: mi fa intuire quanto bella sarebbe la vita se avessi sempre Gesù in me, come sarei nella pace, nella gioia, come in tante situazioni non dovrei fare altro che fare il possibile, tutto il possibile, nel mio piccolo e poi aspettare che Lui completi e perfezioni, risolva la situazione, l’opera da me intrapresa. Mi fa intuire quanto sarà bello il paradiso. Allora la gioia, la pace nella mia vita dipendono anche un po’ da me, dalla mia capacità di custodire Gesù nel cuore, nel mio aggrapparmi stretto a Lui nonostante le tempeste siano a volte forti e apparentemente superiori alle mie forze!
“Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente.” (Matteo 14:22)
Gesù ordinò ai Suoi discepoli di salire su una barca che era diretta verso una collisione. La Bibbia dice che Egli “obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca….”. Questa era diretta verso acque agitate e sarebbe stata sbattuta qua e la come un turacciolo; i discepoli avrebbero attraversato una esperienza quasi fossero su un mini-Titanic; Gesù già sapeva tutto ciò.
Dov’era Gesù? Sui monti che guardava verso quel mare. Era li che pregava per loro affinché non fallissero nella prova, che avrebbero attraversato e che Egli conosceva. La rotta della barca, la tempesta, le onde furiose, i venti, tutto ciò era parte di una prova che il Padre aveva pianificato. Stavano per imparare la più grande lezione che avessero mai avuto: apprezzare Gesù durante la tempesta.
Fino a quel momento avevano riconosciuto in Gesù il facitore di miracoli, l’Uomo che aveva cambiato dei pani e dei pesci in un cibo miracoloso: avevano apprezzato Gesù come l’amico dei peccatori, Colui che aveva portato alla salvezza ogni tipo di umanità perduta. Sapevano che Egli aveva parole di vita eterna, che aveva il potere di sconfiggere ogni opera del diavolo. Lo conoscevano come un maestro, che insegnava loro come pregare, perdonare, legare e sciogliere.
Ma non avevano ancora imparato a riconoscere Gesù nella tempesta. Questa è la radice di molti dei problemi di oggi. Abbiamo fiducia in Gesù per i miracoli e le guarigioni. Crediamo in Lui per la nostra salvezza ed il perdono dei nostri peccati, guardiamo a Lui come a colui che provvede ai nostri bisogni. Crediamo che un giorno ci condurrà nella gloria. Ma quando una tempesta improvvisa ci sorprende e ci sembra che ogni cosa ci stia crollando intorno, troviamo difficoltà nel vedere Gesù vicino a noi. Non riusciamo a credere che Egli permetta alle tempeste di insegnarci ad avere fede. Non siamo mai abbastanza sicuri che Egli sia nelle vicinanze quando le cose diventano veramente agitate.
E nell’ora più buia: “Gesù andò verso di loro…”. Quanto deve essere stato difficile per Gesù attendere sul limitare della tempesta, amandoli così tanto, provando le stesse angosce che essi sentivano, volendo così tanto evitare che rimanessero feriti, struggendosi per loro come un padre per i propri figlioli nel dolore! Ma sapeva anche che loro non avrebbero pienamente potuto conoscerLo o credere in Lui fino a che la furia completa della tempesta non li avesse colpiti. Egli avrebbe rivelato Se stesso solo quando loro avessero raggiunto il limite della loro fede.
Gesù può calmare il mare in ogni momento, semplicemente dicendo una parola, ma i discepoli non possono farlo. Possiamo chiederci se essi hanno esercitato la propria fede? Non potevano forse comandare al mare nel nome di Gesù – poiché “grandi opere saranno fatte tramite voi”? Forse che le promesse non sarebbero state messe in pratica – “Tutto ciò che chiederete in preghiera … voi otterrete”? Non fino a quando non avremo imparato a riconoscere Gesù nella tempesta! Non fino a quando non riceveremo fede da sovrastare la tempesta! Non fino a quando non abbiamo imparato ad “essere di buon animo” quando la barca sembra stia per affondare.
“E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!» ...” (Matteo 14:26).
Misero insieme le loro paure, non avevano soltanto paura della tempesta, avevano una nuova paura: i fantasmi! La tempesta stava facendo scaturire dei fantasmi, spiriti misteriosi in libertà!
Ma nessun discepolo riuscì a riconoscerlo! Nessuno di essi si aspettava che Gesù fosse con loro nella tempesta. Questo momento appariva loro come uno scherzo del destino! Un disastro inaspettato! Una tragica fatalità! Una prova non voluta, inaspettata, non necessaria! Un triste e pauroso viaggio nelle tenebre e disperazione! Una notte da dimenticare!
Ma Dio vide quella tempesta con occhi differenti! Questa prova era per i discepoli quello che il deserto era stato per Gesù. Dio permise che loro fossero provati, non che affogassero!
C’è solo una lezione da imparare, una sola! Gesù voleva semplicemente che credessero in Lui come il loro Signore, in qualunque tempesta della vita. Voleva semplicemente che loro mantenessero il buon animo e la confidenza anche nelle ore più nere della prova. Questo è tutto!
Gesù non voleva che loro si creassero dei fantasmi! Ma lo fecero, ne più ne meno come noi facciamo. Ogni uomo presente su quella barca si è creato un fantasma per se stesso. Gesù deve essere apparso come dodici fantasmi diversi, nelle dodici menti di questi discepoli.
No! No! Mille volte no! Questi sono fantasmi della nostra propria mente, soltanto fantasmi. Nessuna di queste è la vera lezione che dobbiamo imparare, Dio non è arrabbiato con te. Tu non ti trovi nella tempesta a causa dei tuoi fallimenti. Questi fantasmi non sono neanche nella tua tempesta.
È Gesù che è all’opera, cercando di rivelare Se stesso nella Sua potenza che salva, che mantiene, che preserva! Lui vuole mostrarti che la tempesta ha un solo proposito, che è quello di portarti verso la completa tranquillità e fiducia nella Sua potenza e nella Sua presenza in ogni tempo.
Questo è il motivo per cui la presenza di Gesù è tutto intorno a noi. Questa rivelazione è tanto più potente, quando arriva nel momento in cui più ne abbiamo bisogno.
Maria e Max. Amici di Gesù. Dio non è altro che Amore.
ecco l'anno nuovo, il 2008 è iniziato da pochi giorni, è come un pargolo fra le nostre braccia, non si sa ancora bene che ne sarà di lui da grande.fra un anno esatto! Non possiamo che accoglierlo, ringraziare il Signore per questo dono, il dono del tempo, che inesorabile scorre, ma che ci è dato perché noi lo riempiamo, nel migliore modo possibile, magari con atti d'amore, costruendo la pace, la gioia. La nostra pace, la nostra gioia in prima battuta, se no, non saremmo credibili, poi quella dell'umanità intera a partire dal piccolo o grande numero di relazioni di cui la nostra vita è intessuta.Il tempo fugge e a volte ci lascia insoddisfatti, con l'amaro in bocca, tristi, a volte non ci si fa neppure più tanto caso. E' semplicemente il turbine degli eventi che porta a percepire queste spiacevoli sensazioni, questa è la risposta che ci diamo e poi ci buttiamo a capofitto nella frenesia di tutti i giorni, ci disperdiamo in mille cose a volte inutili e. il tempo sfugge. Ormai non ha più neppure un perché! Come le mille brutture che sono ormai indelebilmente impresse dai nostri occhi nel nostro cuore.Perché così? Non sarà che dietro l'augurio che ci siamo fatti all'inizio di un anno migliore nella pace e nella gioia, nella pace e nella gioia che costruiamo non ci sta il "segreto" della vita, della nostra vita, dell'umanità, di questo anno in fasce che presto camminerà, correrà, ci sfuggirà e ci sconcerterà per le sue brutture e ci sorprenderà per il suo mistero? Forse si! Non è forse il dono più grande quello della gioia e della pace? Che possiamo fare, che possiamo farci? E questi sono doni, nulla più della pace e della gioia sono doni, doni di Dio, nessuno può darseli in modo duraturo, nessuno può imporli o farli scaturire dal nulla! Guardando l'anno che è passato, guardandolo dentro e fuori di noi, sembrano così lontani, utopistici! Ma per la pace per la gioia non si può dire che siano proprio così utopistici, esempi di persone, di comunità, di famiglie che li vivono ci sono, nonostante tutto! Nonostante siamo tutti sulla medesima barca a volte impegnata ad affrontare furiose tempeste. Allora. se alcuni li trovano ed altri no è perché cercano nella direzione sbagliata. E si a volte succede proprio così, ci si arrabbia perché si sperimenta tristezza e tensioni ma non si fa nulla per porci nelle condizioni di viverle e donarle! Sono così importanti che più andiamo avanti più ci rendiamo conto di quanto siano preziose! Perché non tentare, sperimentare, provare, rinunciare a qualcosa per fare posto nel nostro cuore, nella nostra vita? Direi che potrebbe essere una cosa saggia, no? E se Gesù Cristo fosse realmente il "segreto" per costruire efficacemente questa pace, questa gioia? Cosa ci costa provare, accoglierlo sulla nostra barca quando il mare che sta attraversando è in tempesta? E se questo accoglierlo fosse semplicemente conoscerlo e ritrovarlo con la preghiera nella profondità dei nostri cuori a volte troppo affardellati e affannati per vederlo? E se questo donare e ricevere il dono della pace e della gioia ricevuto a noi in dono nella profondità del nostro cuore da Dio stesso fosse il senso, il fine, la gioia e la pace stessa della nostra vita? Il suo segreto? Non mi sorprenderebbe proprio che fosse così! E la gioia e la pace sono doni veramente grandi e preziosi e chi fa doni grandi e preziosi gratuitamente è perché custodisce nel suo cuore un grande amore e. Dio non è altro che Amore, infinito e immenso Amore!------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Ecco la sintesi degli spunti offereti, li potrai trovare nel documento allegato alla e-mail nella loro versione completa1) La "SINTESI" di Mary2) MESSAGIO DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE "FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE"La pace vera viene dall'amore, dall'amore che scaturisce dal profondo del cuore, dove vi è la possibilità, preclusa a nessuno di sperimentare un incontro reale e vivo con Dio. Dio incontra l'uomo nel profondo del suo cuore e suggerisce le regole perché la sua vita e quella di tutti, fratelli e sorelle, sia nella pace e nella pienezza di gioia. Ascoltarlo è fonte di vita, gioia e pace! Basta dedicargli un po' del nostro tempo, relazionarsi con Lui nella preghiera. Come posso conoscere, capire, trarre dei vantaggi da chi non so pure chi sia, da chi è un estraneo o indesiderato? Lui, Dio vuole il nostro bene, ma vuole che ci avviciniamo a Lui per trarlo dalle sue mani, se non stendiamo le mani come può riempirle? Soccorrerci? Donarci la pace?All'inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo.La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d'amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna(2), costituisce « il luogo primario dell'"umanizzazione" della persona e della società »(3), la « culla della vita e dell'amore »(4). A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, « un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale »(5).3. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l'amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell'autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l'aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l'altro e, se necessario, a perdonarlo.La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l'istituto familiare rende fragile la pace nell'intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale « agenzia » di pace.La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell'attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell'assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un'essenziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell'illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza.Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare.Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sorgente originaria della propria, come dell'altrui, esistenza. Senza questo Fondamento trascendente, la società è solo un'aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia.La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni. Dobbiamo avere cura dell'ambiente: esso è stato affidato all'uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L'essere umano, ovviamente, ha un primato di valore su tutto il creato. Rispettare l'ambiente non vuol dire considerare la natura materiale o animale più importante dell'uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà responsabile che rivendichiamo per noi. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra casa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali.Condizione essenziale per la pace nelle singole famiglie è che esse poggino sul solido fondamento di valori spirituali ed etici condivisi. Occorre però aggiungere che la famiglia fa un'autentica esperienza di pace quando a nessuno manca il necessario, e il patrimonio familiare - frutto del lavoro di alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti - è bene gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Per la pace familiare è dunque necessaria, da una parte, l'apertura ad un patrimonio trascendente di valori, ma al tempo stesso non è priva di importanza, dall'altra, la saggia gestione sia dei beni materiali che delle relazioni tra le persone. Il venir meno di questa componente ha come conseguenza l'incrinarsi della fiducia reciproca a motivo delle incerte prospettive che minacciano il futuro del nucleo familiare.Anche la famiglia umana, oggi ulteriormente unificata dal fenomeno della globalizzazione, ha bisogno, oltre che di un fondamento di valori condivisi, di un'economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie.Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad una norma comune: è questa ad impedire l'individualismo egoistico e a legare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l'operosità finalizzata.Per avere la pace c'è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad essere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio, e che protegga il debole dal sopruso del più forte. Nella famiglia dei popoli si verificano molti comportamenti arbitrari, sia all'interno dei singoli Stati sia nelle relazioni degli Stati tra loro. Non mancano poi tante situazioni in cui il debole deve piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di lui. Occorre ribadirlo: la forza va sempre disciplinata dalla legge e ciò deve avvenire anche nei rapporti tra Stati sovrani.Sulla natura e la funzione della legge la Chiesa si è pronunciata molte volte: la norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disciplinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i trasgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose. La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esigenze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta all'origine di tutte le cose. Esistono norme giuridiche per i rapporti tra le Nazioni che formano la famiglia umana? E se esistono, sono esse operanti? La risposta è: sì, le norme esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale naturale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta in balia di fragili e provvisori consensi.La conoscenza della norma morale naturale non è preclusa all'uomo che rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga circa la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere. Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle sue linee essenziali, questa legge morale comune che, al di là delle differenze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto.L'umanità non è « senza legge ». È tuttavia urgente proseguire nel dialogo su questi temi, favorendo il convergere anche delle legislazioni dei singoli Stati verso il riconoscimento dei diritti umani fondamentali.L'umanità vive oggi, purtroppo, grandi divisioni e forti conflitti che gettano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del pianeta sono coinvolte in tensioni crescenti, mentre il pericolo che si moltiplichino i Paesi detentori dell'arma nucleare suscita motivate apprensioni in ogni persona responsabile. Su un piano più generale, si deve registrare con rammarico l'aumento del numero di Stati coinvolti nella corsa agli armamenti: persino Nazioni in via di sviluppo destinano una quota importante del loro magro prodotto interno all'acquisto di armi. In questo funesto commercio le responsabilità sono molte: vi sono i Paesi del mondo industrialmente sviluppato che traggono lauti guadagni dalla vendita di armi e vi sono le oligarchie dominanti in tanti Paesi poveri che vogliono rafforzare la loro situazione mediante l'acquisto di armi sempre più sofisticate. È veramente necessaria in tempi tanto difficili la mobilitazione di tutte le persone di buona volontà per trovare concreti accordi in vista di un'efficace smilitarizzazione, soprattutto nel campo delle armi nucleari. È proprio alla luce di ciò che invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all'unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre di più questa convinzione da cui dipende l'instaurazione di una pace vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare all'intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne per la salvezza dell'intera umanità, è Madre comune.3) Parola di vita di Gennaio 2008 a cura di Chiara Lubich"Pregate continuamente" (1 Tess 5,17)Bello pensare che è alla portata di ognuno la possibilità di pregare sempre, di attingere sempre alla fonte inesauribile della vita, della pace, dell'amore, della gioia! Pregare in ogni luogo, in ogni tempo. senza evadere, senza apparentemente modificare le attività o lo stato di vita, ma trasformandolo radicalmente dal di dentro. Un po' come la trasformazione che avviene al pane sull'altare durante la messa per opera del sacerdote. Apparentemente è sempre il pane di prima, ma in realtà contiene una forza d'amore tale da sola di sostenere il mondo. Così la vita di ogni persona che vive sempre nella preghiera, che non si stacca mai dalla sorgente della vita, che vive unita a Dio con il suo cuore, che custodisce sempre Dio, consapevolmente nel suo cuore! Da questa creatura scaturisce una forza d'amore in grado di sostenere il mondoQuest'anno la "Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani" celebra il suo centenario. L'"Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani" fu celebrato per la prima volta dal 18 al 25 gennaio nel 1908. Così da allora ogni anno è prassi comune ritrovarsi insieme, cristiani cattolici e di varie Chiese, per preparare un libretto con i suggerimenti per la celebrazione della Settimana di preghiera.La Parola, scelta quest'anno da un vasto gruppo ecumenico degli Stati Uniti, è tratta dalla prima lettera di san Paolo ai cristiani di Tessalonica, in Grecia. Era una comunità piccola, giovane e Paolo sentiva il bisogno che l'unità tra i membri fosse sempre più salda. Per questo li invitava a "vivere in pace", ad essere pazienti con tutti, a non rendere male per male ma a fare il bene gli uni agli altri e a tutti, ed anche a "pregare incessantemente", quasi a sottolineare che la vita d'unità nella comunità cristiana è possibile solo attraverso una vita di preghiera.Perché "pregare sempre"? Perché la preghiera è essenziale alla persona in quanto essere umano. Siamo stati creati ad immagine di Dio, come un "tu" di Dio, in grado di essere in rapporto di comunione con Lui. La relazione d'amicizia, il colloquio spontaneo, semplice e vero con Lui - questa è la preghiera - è dunque costitutivo del nostro essere, ci consente di diventare persone autentiche, nella piena dignità di figli e figlie di Dio.Creati come un "tu" di Dio, possiamo vivere in costante rapporto con Lui, col cuore riempito di amore dallo Spirito Santo e con la confidenza che si ha verso il proprio Padre: quella confidenza che porta a parlargli spesso, a esporgli tutte le nostre cose, i nostri pensieri, i nostri progetti; quella confidenza che fa attendere con impazienza il momento dedicato alla preghiera - ritagliato nella giornata da altri impegni di lavoro, di famiglia -, per mettersi in contatto profondo con Colui dal quale sappiamo di essere amati.Come fare a "pregare continuamente", specialmente quando ci troviamo nel vortice del vivere quotidiano?"Pregare sempre" non significa moltiplicare gli atti di preghiera, ma orientare l'anima e la vita verso Dio, vivere compiendo la sua volontà: studiare, lavorare, soffrire, riposare e, anche, morire per Lui.E la preghiera sarà continua, perché continuo sarà l'amore.4) Meditazione: "Maria Madre di Dio" di Padre Eamonn O´Higgins LCSulle letture di Martedì 1 gennaio 2008 Solennità di Maria Madre di DioIniziare l'anno sotto la protezione di Maria e con il titolo di Madre di Dio è stata, da parte della chiesa, proprio una bella pensata! Abbiamo l'anno nuovo di fronte, bianco come le pagine dei nostri calendari o delle nostre agende. tutto da plasmare, da decidere, giorno dopo giorno. Vorremmo tanto avere qualche scorciatoia, un amico o amica veramente affidabile, sempre disponibile per affidare lui o lei l'angosciosa vertigine di tutte queste pagine bianche. cosa succederà? Ed ecco che la Chiesa propone la Solennità di Maria Madre di Dio e così ci suggerisce qual è questa amica, questa mamma sempre vicina e amorevolissima. ma non una mamma qualsiasi, la mia, la tua mamma e la mamma di Dio! Chi più vicina a Lui, chi più vicina a noi? Vicina a Lui e a me e a te con il cuore di mamma? Con una mamma così cosa dobbiamo ancora temere?Tutte le cose vengono da Dio. Per strano che sembri al nostro modo di pensare, il popolo ebraico considerava tutte le cose come provenienti dalla mano di Dio e che, perciò, occorre chiedere a Dio tutte le benedizioni necessarie. Qui troviamo la religiosa convinzione che la pace, la protezione e un´esistenza felice sono doni, benedizioni di Dio. Il riconoscimento e l´adorazione del Signore sono, perciò, il fattore determinante nella vita del popolo ebraico. I profeti dell´Antico Testamento dimostrano continuamente che ciò è vero, nelle alterne fortune del popolo ebraico. I cristiani affermano la stessa convinzione. Il fattore determinante nella vita e nella società, il fattore dal quale in definitiva ogni altro dipende, è la misura in cui la persona, individualmente e collettivamente, riconosce e adora Dio.La gioia dell´esperienza autentica di Dio (il dono di Dio dello Spirito Santo) è la realtà che professiamo, "è incontro, dialogo, comunione di amore e di vita del credente con Gesù Cristo, Via, Verità e Vita" (n.88, Veritatis Splendore). È questa testimonianza il nostro miglior argomento, appello ed apologia.Maria, la Madre di Dio. Questo titolo sembra insolito e ha bisogno di essere compreso. La natura umana di Gesù Cristo trasse origine da Maria, così come la natura di un figlio attinge alla natura dei suoi genitori. In questo modo, possiamo parlare della maternità naturale di Maria. Lei è la madre naturale di Gesù come uomo. Ma la maternità è molto più della dipendenza naturale. Uno può dire che una madre è sempre intenta a plasmare suo figlio. La crescita del bambino e lo sviluppo della sua natura sono frutto dell´amore della madre. Anche in questo vero senso Maria è madre della natura umana di Gesù. Dio sceglie di apprendere la sua umanità attraverso Maria.La devozione a Maria è un fenomeno religioso molto diffuso fra i cattolici. Eppure, per molti altri, può essere difficile capire. Alcuni criticano tale devozione, vedendola come un´esagerazione; altri rimangono perplessi alla vista di questa fervente devozione, chiedendosi, forse, di cosa si tratti. È solo una memoria nostalgica della propria madre, o il bisogno dell´amore di una madre che attrae milioni di persone ai santuari mariani? Alcuni cristiani possono anche pensare che, pur conoscendo e credendo in Maria quale madre della natura umana di Dio, non hanno però sperimentato personalmente la sua presenza, come altri affermano di aver fatto.Mille spiegazioni non valgono un´esperienza diretta della presenza e dell´amore materno di Maria. Si può solamente dire se si è avuta o meno quell´esperienza. Quel che fa un buon insegnante non è sostituire la spiegazione con l´esperienza, ma aiutare ad identificare l´esperienza attraverso la spiegazione, rimuovendo gli ostacoli, motivando e, infine, farsi da parte. Forse, ci sono degli ostacoli nel nostro modo di sperimentare la vera presenza spirituale di Maria. Quel che chiamiamo fede è solamente "un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione", o "è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth" (cfr. n.18, Redemptoris Missio). Sperimentiamo Dio alla maniera di una relazione personale, o la nostra esperienza si riduce a dottrina, idee e progetti?Si può vivere con certi ristretti parametri personali, che escludono le esperienze personali più profonde. In questo modo, ci escludiamo dall´incontro personale con l´altro. Alcuni hanno criticato il silenzio o l´assenza di Dio nel mondo, e l´hanno interpretato come prova della sua non-esistenza. La risposta può essere diversa: può darsi che l´esperienza di Dio non si adatti al nostro modo di vedere il mondo (cfr. K. Rahner, J. Pieper). In altre parole, le nostre ristrette categorie di esperienza, che scegliamo in modo soggettivo, precludono la stessa esperienza autentica di Dio (e di Maria).5) SPECIALE * Gesù e le tempeste * David WilkersonQuante tempeste nella mia vita, nella tua vita! A volte non riesco nemmeno più a pensarle tutte assieme, mi viene da dire che la vita sia un mare in tempesta. Ma se guardo bene lo è in special modo nei momenti in cui non vi è Gesù! Quando il mio cuore è sereno, in unione profonda con Dio che cosa può succedermi di male? Chi potrà strapparmi da questa pace, da questa gioia? Come posso turbarmi se so che ogni cosa è sotto controllo, è per il mio bene, e questo bene per me è veramente infinito! È impressionante quanto sia potente custodire Gesù nel proprio cuore in ogni momento di vita! E' un po' come vivere con una particella di me in paradiso: mi fa intuire quanto bella sarebbe la vita se avessi sempre Gesù in me, come sarei nella pace, nella gioia, come in tante situazioni non dovrei fare altro che fare il possibile, tutto il possibile, nel mio piccolo e poi aspettare che Lui completi e perfezioni, risolva la situazione, l'opera da me intrapresa. Mi fa intuire quanto sarà bello il paradiso. Allora la gioia, la pace nella mia vita dipendono anche un po' da me, dalla mia capacità di custodire Gesù nel cuore, nel mio aggrapparmi stretto a Lui nonostante le tempeste siano a volte forti e apparentemente superiori alle mie forze!"Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente." (Matteo 14:22)Gesù ordinò ai Suoi discepoli di salire su una barca che era diretta verso una collisione. La Bibbia dice che Egli "obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca..". Questa era diretta verso acque agitate e sarebbe stata sbattuta qua e la come un turacciolo; i discepoli avrebbero attraversato una esperienza quasi fossero su un mini-Titanic; Gesù già sapeva tutto ciò.Dov'era Gesù? Sui monti che guardava verso quel mare. Era li che pregava per loro affinché non fallissero nella prova, che avrebbero attraversato e che Egli conosceva. La rotta della barca, la tempesta, le onde furiose, i venti, tutto ciò era parte di una prova che il Padre aveva pianificato. Stavano per imparare la più grande lezione che avessero mai avuto: apprezzare Gesù durante la tempesta.Fino a quel momento avevano riconosciuto in Gesù il facitore di miracoli, l'Uomo che aveva cambiato dei pani e dei pesci in un cibo miracoloso: avevano apprezzato Gesù come l'amico dei peccatori, Colui che aveva portato alla salvezza ogni tipo di umanità perduta. Sapevano che Egli aveva parole di vita eterna, che aveva il potere di sconfiggere ogni opera del diavolo. Lo conoscevano come un maestro, che insegnava loro come pregare, perdonare, legare e sciogliere.Ma non avevano ancora imparato a riconoscere Gesù nella tempesta. Questa è la radice di molti dei problemi di oggi. Abbiamo fiducia in Gesù per i miracoli e le guarigioni. Crediamo in Lui per la nostra salvezza ed il perdono dei nostri peccati, guardiamo a Lui come a colui che provvede ai nostri bisogni. Crediamo che un giorno ci condurrà nella gloria. Ma quando una tempesta improvvisa ci sorprende e ci sembra che ogni cosa ci stia crollando intorno, troviamo difficoltà nel vedere Gesù vicino a noi. Non riusciamo a credere che Egli permetta alle tempeste di insegnarci ad avere fede. Non siamo mai abbastanza sicuri che Egli sia nelle vicinanze quando le cose diventano veramente agitate.E nell'ora più buia: "Gesù andò verso di loro.". Quanto deve essere stato difficile per Gesù attendere sul limitare della tempesta, amandoli così tanto, provando le stesse angosce che essi sentivano, volendo così tanto evitare che rimanessero feriti, struggendosi per loro come un padre per i propri figlioli nel dolore! Ma sapeva anche che loro non avrebbero pienamente potuto conoscerLo o credere in Lui fino a che la furia completa della tempesta non li avesse colpiti. Egli avrebbe rivelato Se stesso solo quando loro avessero raggiunto il limite della loro fede.Gesù può calmare il mare in ogni momento, semplicemente dicendo una parola, ma i discepoli non possono farlo. Possiamo chiederci se essi hanno esercitato la propria fede? Non potevano forse comandare al mare nel nome di Gesù poiché "grandi opere saranno fatte tramite voi"? Forse che le promesse non sarebbero state messe in pratica "Tutto ciò che chiederete in preghiera . voi otterrete"? Non fino a quando non avremo imparato a riconoscere Gesù nella tempesta! Non fino a quando non riceveremo fede da sovrastare la tempesta! Non fino a quando non abbiamo imparato ad "essere di buon animo" quando la barca sembra stia per affondare."E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!» ..." (Matteo 14:26).Misero insieme le loro paure, non avevano soltanto paura della tempesta, avevano una nuova paura: i fantasmi! La tempesta stava facendo scaturire dei fantasmi, spiriti misteriosi in libertà!Ma nessun discepolo riuscì a riconoscerlo! Nessuno di essi si aspettava che Gesù fosse con loro nella tempesta. Questo momento appariva loro come uno scherzo del destino! Un disastro inaspettato! Una tragica fatalità! Una prova non voluta, inaspettata, non necessaria! Un triste e pauroso viaggio nelle tenebre e disperazione! Una notte da dimenticare!Ma Dio vide quella tempesta con occhi differenti! Questa prova era per i discepoli quello che il deserto era stato per Gesù. Dio permise che loro fossero provati, non che affogassero!C'è solo una lezione da imparare, una sola! Gesù voleva semplicemente che credessero in Lui come il loro Signore, in qualunque tempesta della vita. Voleva semplicemente che loro mantenessero il buon animo e la confidenza anche nelle ore più nere della prova. Questo è tutto!Gesù non voleva che loro si creassero dei fantasmi! Ma lo fecero, ne più ne meno come noi facciamo. Ogni uomo presente su quella barca si è creato un fantasma per se stesso. Gesù deve essere apparso come dodici fantasmi diversi, nelle dodici menti di questi discepoli.No! No! Mille volte no! Questi sono fantasmi della nostra propria mente, soltanto fantasmi. Nessuna di queste è la vera lezione che dobbiamo imparare, Dio non è arrabbiato con te. Tu non ti trovi nella tempesta a causa dei tuoi fallimenti. Questi fantasmi non sono neanche nella tua tempesta.È Gesù che è all'opera, cercando di rivelare Se stesso nella Sua potenza che salva, che mantiene, che preserva! Lui vuole mostrarti che la tempesta ha un solo proposito, che è quello di portarti verso la completa tranquillità e fiducia nella Sua potenza e nella Sua presenza in ogni tempo.Questo è il motivo per cui la presenza di Gesù è tutto intorno a noi. Questa rivelazione è tanto più potente, quando arriva nel momento in cui più ne abbiamo bisogno.6) La Chiesa: esperienza di comunione-missione - 1° parte - La Chiesa: esperienza di comunione At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16 - di Fra Domenico Marmaglia OPSempre stupisce e da' da pensare leggere nel libro degli Atti degli Apostoli come erano organizzate, come funzionava il tenore di vita delle prime comunità cristiane sorte attorno gli Apostoli dopo la Pentecoste. Colpisce la letizia, lo gioia, la pace che vi respirava, stupisce l'abisso fra le nostre comunità e le prime comunità. Quasi sorge invidia nel cuore tale da farci dire che erano utopia! Che fossero e sono comunità modello questo è fuor di dubbio ma che sia utopia questo non è dimostrabile a meno che provando a realizzare concretamente e con fiducia quello che loro facevano non otteniamo risultati differenti. Ma l'esperienza della Chiesa dimostra che non è così! Piccole comunità, famiglie, conventi, parrocchie che hanno fatto della Parola di Dio, della Preghiera, della Eucaristia e come conseguenza di ciò della Condivisione uno modo di vivere ce ne sono state e ce ne sono tuttora! Leggere i brani degli Atti incuriosisce sempre, perchè non provare su se stessi, una volta tanto, senza pregiudizi o paure di non farcela questi consigli pratici di vita e aspettare poi la benedizione di Dio?Dopo la narrazione della Pentecoste con il grande discorso di Pietro che ne spiega il senso, troviamo tre "sommari o compendi di vita" che riguardano la comunità cristiana: brevi per estensione, ma di valore emblematico perenne per il cristianesimo. Si tratta dei brani 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16. Ci domandiamo: perché Luca colloca questi testi subito dopo il racconto della Pentecoste? Sono due le risposte, entrambe molto suggestive: 1°) sembra che Luca voglia fare il punto della situazione dopo il fatto straordinario che è accaduto: la venuta dello Spirito quali segni ha lasciato? dove cercarne i riscontri? com'è la situazione? 2°) la vita della comunità è il primo riscontro della novità scaturita dalla Pentecoste; la vita comunitaria è il primo segno autentico del cambiamento spirituale operato dallo Spirito Santo; la comunità cristiana è il primo luogo dove l'annuncio di Gesù risorto diventa, deve diventare, impegno concreto di vita.C'è qui una verità che merita attenzione: l'elemento fondante della comunità cristiana è la forza dello Spirito e della parola che riunisce le persone in maniera nuova.La chiesa quale emerge dagli Atti si può definire come la convocazione degli uomini liberati attorno a Gesù Cristo risorto. Il termine "chiesa" traduce il greco ekklesìa, che ha in sé l'idea fondamentale sia della convocazione (kaléo = chiamare, convocare) che della liberazione (ek+kaléo = chiamare fuori): = quindi, l'assemblea degli uomini liberi. Nell'AT il vocabolo traduce l'ebraico qahal che definisce la comunità sorta dall'azione liberante di Dio nell'esodo, unita a lui nell'alleanza del Sinai. Ekklesìa è un termine che ha radici nella cultura greca e in quella biblica. Entrambe le tradizioni hanno due elementi comuni e qualificanti: la convocazione e la liberazione. Luca, per designare la comunità cristiana nata a Pentecoste, ricorre alla parola greca ekklesìa proprio per evidenziare che la chiesa è convocazione di persone liberate: i liberati dalla paura di morte sono convocati dallo Spirito per formare l'assemblea cristiana. Nella ekklesìa si è convocati dalla Parola o dalla forza dello Spirito e si può partecipare in quanto liberati = usciti fuori dalla paura, dall'alienazione o dalla solitudine. Nel primo sommario sulla vita della prima comunità cristiana (42-47), Luca ne sottolinea la qualifica della perseveranza, e attesta: "erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane, nelle preghiere" (42); e ribadisce: "Erano perseveranti ogni giorno" (46). Si tratta, quindi, di un impegno costante e continuo ed è questa perseveranza che diventa necessaria perché il Figlio dell'uomo, al suo ritorno, trovi ancora la fede sulla terra (Lc 18,8).L'assiduità all'insegnamento degli apostoli è proposta giustamente come la prima ed essenziale esperienza della comunità cristiana: è il presupposto per l'approfondimento del contenuto e dell'atto di fede ed è la condizione per rimanere, crescere e rafforzarsi nella comunione con il Signore. "La fede non pensata è nulla" (S. Agostino). La formazione assidua del cristiano ha il suo fondamento e la garanzia della propria fedeltà a Cristo nel collegio apostolico: l'insegnamento è offerto dagli apostoli che, nella loro testimonianza fondante, sono la cerniera tra Gesù e la Chiesa. L'esistenza e la sussistenza della comunità è legata alla Parola. "In un primo luogo l'ascolto insieme della Parola: insieme, non ciascuno per conto suo, né gruppo per gruppo, ogni gruppo con il suo personale maestro, ma (lo ripeto) insieme, anche fra gruppi diversi, tutti pronti ad accogliere la medesima Parola" (B. Maggioni, ibid., pag 33).Nel libro degli Atti Luca si mostra fortemente convinto del legame speciale, della relazione decisiva ed essenziale tra Parola e comunità, persuaso che "la Parola proclamata è creatrice di comunità. Dio parla e, quindi, forma, plasma, crea la comunità. La Bibbia è dunque un libro che deve trasformarsi in Parola per una comunità. La Parola di Dio fa-costruisce-edifica la comunità, la desta, la rinnova, la sostiene; mediante lo Spirito, che non abbandona mai la Parola e che opera nel cuore dei fedeli, accompagna la comunità alla "obbedienza della fede" (Rom 1,1-12; 10,4-17; 16,25-27)"La Chiesa era in pace. si consolidava e camminava nel timore del Signore e si moltiplicava con la consolazione dello Spirito Santo" (9,31). Questa è l'esperienza delle prime comunità cristiane: quante riflessioni, quanti esami di coscienza dobbiamo fare...Il termine koinonìa (nella Vulgata: communicatio) utilizzato da Luca, ha una grande ampiezza di significato. Infatti, oltre ad avere il significato di eucaristia, può anche voler dire "comunione", "comunità".Chi sono le persone che vivono questo ideale di comunità cristiana? Per due volte, Luca le indica con il nome i credenti (2,44; 4,32). E' un participio presente "sostantivato", "qualificativo": i credenti. Sono persone "che fanno unità perché sono animate e sostenute dall'unica fede nel Signore crocifisso e risorto. E' la partecipazione all'unica fede in Cristo che li costituisce "un cuore e un'anima". Questa unità è dunque essenzialmente opera dello Spirito Santo, è opera dell'Amore che supera le differenze culturali, sociali, ambientali per unire in modo più forte di quanto possono fare i legami del sangue e della parentela."La moltitudine dei credenti era un cuore e un'anima". L'abbinamento di cuore e anima significa l'armonia profonda della persona umana e Luca utilizza i due termini insieme per designare una concordia fondata non sulla simpatia che le persone provano le une per le altre, ma sull'adesione intima di tutti a un progetto comune e quindi alla solidarietà di pensiero, di sentimento e di azione della comunità cristiana. La comunione nella fede nel Signore Gesù crea armonia vera e profonda tra le persone: dal termine koinonìa emergono così le dimensioni della comunione che fondano e rendono possibile una "comunità di comunione". "Gesù spezzò il pane": è sempre la frase centrale nei racconti di moltiplicazione dei pani, dell'ultima cena o di Emmaus. Attraverso queste narrazioni si capisce che i discepoli conservavano una viva memoria dei gesti del Signore che spezza il pane. E' interessante notare che la preghiera è nel tempio, luogo di raduno della prima comunità (5,12) e luogo privilegiato per l'ascolto, la preghiera, e l'incontro con Dio in continuità con il culto di Israele. La fractio panis, invece, esperienza cultuale più specifica della comunità cristiana, avviene in casa durante i pasti comunitari."Spezzare il pane" indicava tutto il pasto, con tutte le altre cose che si consumavano insieme al pane. Nel NT, soprattutto per Luca, è assodato che l'espressione fractio panis ha significato eucaristico come si deduce anche dal racconto di Emmaus (Lc 24,30.35). Con il richiamo a questo gesto, quindi, è indicata la cena o pasto cristiano in memoria di Gesù, all'interno del quale si ripeteva ciò che egli ha fatto durante la vita pubblica e, in modo particolare, nell'ultima cena prima della morte come pegno di vita e inaugurazione del regno di Dio. Spezzare il pane nel nome di Gesù non vuol dire fare memoria di un defunto, ma celebrare la vita inaugurata dal suo gesto di amore.Considerando l'aspetto storico della fractio panis, mi sembra opportuno sottolineare il forte significato pasquale che i primi cristiani attribuivano agli incontri comunitari e che costituiva il fondamento stesso delle loro riunioni: è una dimensione che abbiamo un po' oscurata e che va ricuperata. Il clima che accompagna questi pasti comunitari con la fractio panis è quello della "esultanza e della semplicità di cuore" (2,46). Il termine "esultanza" ha risonanza liturgica e trova eco nel Magnificat dove Luca utilizza lo stesso vocabolo: ".il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore" (Lc 1,47). L'esultanza della comunità è motivata dalla salvezza che, in Gesù Cristo, Dio ha donato e garantito al suo popolo. Nelle riunioni comunitarie i primi cristiani sperimentavano l'azione del Signore che salva e avvertivano di essere la comunità della salvezza: di qui la loro gioia.Le preghiere: termine al plurale, sembra indicare una consuetudine regolare della preghiera da parte della prima comunità. Sappiamo che Luca è molto attento al tema della preghiera: nel suo vangelo sovente osserva e descrive Gesù in preghiera (3,21; 5,16; 6,12; 9,18.28) e volentieri lo presenta come il maestro che insegna ai suoi discepoli a pregare e li istruisce sulla necessità di pregare sempre e senza perdersi d'animo (Lc 18,1). Sull'esempio di Gesù, i primi cristiani erano perseveranti nelle preghiere (2,42) come erano unanimi e perseveranti ogni giorno nel tempio (2,46). Queste annotazioni di Luca fanno pensare sia alla preghiera personale ma, soprattutto, a quella comunitaria che trova i credenti unanimi nella continuità, ma anche perseveranti nell'unanimità. Osservando con attenzione la frequenza e la diversità delle esperienze di preghiera riportate nel libro degli Atti, possiamo affermare due cose:1) la preghiera ha un ruolo notevole e importante nella vita della prima comunità;2) pregare è stare con perseveranza davanti a Dio nelle varie situazioni della vita, per sintonizzarsi con il suo progetto. Gli esempi negli Atti sono molti: basta scorrere le pagine che Luca dedica alla preghiera.7) San Tommaso d'Aquino: il dottore angelicoLa vita di San Tommaso d'Aquino non è stata prodigiosa per i sorprendenti miracoli che caratterizzano altri santi ma per la sua costante unione del suo cuore con Dio, che si esprimeva nella preghiera, nella venerazione e nello studio delle Sacre Scritture e nell'Eucaristia. Così Tommaso ha scalato le vette della conoscenza di Dio e ha affermato, quasi otto secoli fa, attraverso il suo limpido pensiero verità che sono patrimonio di tutta l'umanità. Con la sua vita ha dimostrato da dove proviene la luce, la pace, qual è la loro sorgente, quanto è vicina tale sorgente e quanto è semplice attingervi, come possiamo allargare infinitamente le nostre prospettive di vita, la mente se ci rapportiamo con la preghiera, le Sacre Scritture e l'Eucarestia con il Dio infinito. Non ci è precluso, anzi Lui non aspetta altro!Ricordato il 28 GennaioRoccasecca, Frosinone, 1225 circa Fossanova, Latina, 7 marzo 1274Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre 'Summa' la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull'indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d'Aquino nell'Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: "Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece".E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua "Summa teologica", diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.Per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi "il bue muto", riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: "Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo".A Parigi on il commento alle "Sentenze" di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l'ammirazione degli studenti; l'insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l'argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo."Già sin d'allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore" (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una "Summa theologiae", per "presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all'istruzione dei principianti".La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della "processione di tutte le creature da Lui"; la seconda parla del "movimento delle creature razionali verso Dio"; la terza presenta Gesù "che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio". Intanto Tommaso d'Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l'incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d'Angiò, un nuovo "Studium generale" dell'Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all'Università.Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: "Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato", aggiungendo: "L'unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita".La rivelazione interiore che l'aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell'omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire "Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?" e lui rispose: "Nient'altro che te, Signore".Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il "bue muto di Sicilia" che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l'ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l'abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell'Eucaristia, concludendo: "Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina".Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d'ombra, concetti non ben definiti o non precisati.Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.Per dimostrare che Dio esiste l' uomo deve invece partire, come già aveva sottolineato Aristotele, da quel che è più vicino a lui, ossia dalle cose sensibili, di cui ha conoscenza diretta mediante i sensi. Così scrive Tommaso nella Summa Theologica (parte prima, Quaestio 2, Articolo 3: I q. 2 a. 3 ):' L'esistenza di Dio si può dimostrare per cinque vie. La prima e più evidente via è quella che si desume dal movimento.[...]è necessario giungere a un primo motore che da null'altro sia mosso: e per questo primo motore tutti intendono Dio. La seconda via è quella che si desume dalla natura della causa efficiente.[...] è necessario porre una causa efficiente prima: che tutti chiamano Dio. La terza via è desunta dal rapporto tra ciò che è possibile e ciò che è necessario.[...] è necessario porre qualcosa che sia necessario per sé, che non abbia in altro la causa della sua necessità, ma che sia la causa della necessità nelle altre cose: e questo tutti dicono che è Dio. La quarta via si desume dai gradi che si ritrovano nelle cose. [...] vi è qualcosa che per tutti gli enti è causa dell'esistenza e della bontà e di qualsiasi perfezione: e questo qualcosa è Dio. La quinta via si desume dal governo delle cose. [...]vi è un essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine; e questo essere è Dio. '8) La PREGHIERA. di San Francesco di SalesLa dolcezza e l'amorevolezza che pervadono gli scritti di San Francesco di Sales furono proverbiali e colpirono San Giovanni Bosco che non ci pensò due volte nell'applicarli al suo rivoluzionario sistema educativo. San Francesco fu amorevole, mite ed umile di cuore, per molti fu l'incarnazione di Gesù. Egli prima di tutto lo accolse e lo custodì nel suo cuore poi descrisse nei suoi scritti questa esperienza. Il risultato è che San Francesco e San Giovanni Bosco conquistarono il cuore di moltissime persone, senza forzature, senza violenza ed indicarono loro la via per la pace e la felicità: vivere in unione, in relazione con Gesù!Ricordato il 24 gennaioThorens, Savoia, 21 agosto 1567 - Lione, Francia, 28 dicembre 1622Vescovo di Ginevra, fu uno dei grandi maestri di spiritualità degli ultimi secoli. Scrisse l'Introduzione alla vita devota (Filotea) e altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull'amore di Dio, compendio di ogni perfezione (Teotimo). Fondò con santa Giovanna Fremyot de Chantal l'Ordine della Visitazione. Con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza seppe attirare all'unità della Chiesa molti calvinisti. (Mess. Rom.)" In ciascuno dei tuoi istanti è contenuto, come in un nocciolo, il seme di tutta l'eternità".Ricordati, o dolcissima Vergine Maria, che tu sei mia madre ed io sono tuo figlio,che tu sei potenteed io sono debole.Ti prego di guidarmi e difendermi in tutto quello che faccio.O Vergine bella, non dirmi che non puoi,perchè il tuo Figlio ti ha dato ogni potere in cielo e in terra;non dirmi che non devi, perchè sei Madre di tutti e mia in particolare;non dirmi che non vuoi, perchè sei buona.9) MariaMaria è Regina della Pace perché vuole la pace dei/ nei nostri cuori, la desidera per noi! Vuole la nostra gioia e vuole che sia piena! Ogni volta suggerisce al nostro cuore semplici consigli per custodire la vera pace, per custodire Gesù, il re della pace. E' una grande gioia accogliere Maria per madre! Così vicina a Dio e così vicina a noi capisce e intercede perché abbiamo gioia e pace. Non ci resta che abbandonarci a lei, ricercarla, domandare il suo aiuto, mettendoci in relazione con Lei attraverso la preghiera. Non deluderà!"Cari figli! Oggi vi invito: aprite il vostro cuore allo Spirito Santo e permettetegli di trasformarvi. Pregate, pregate, pregate, digiunate e sperate, che questo Bene è possibile raggiungerlo, perchè da questo Bene nasce l'Amore. Attraverso questo supremo amoreFigli miei, fermatevi per un attimo e guardate nei vostri cuori. Il mio Figlio, vostro Dio, è veramente al primo posto? Senza fede non c'è la vicinanza di Dio, non c'è la Parola di Dio che è la luce della salvezza e la luce del buon senso"." Non dimenticate che siete pellegrini su questa terra e che le cose vi possono dare piccole gioie, mentre attraverso mio Figlio vi è donata la vita eterna. Vi invito in modo particolare ad aprirvi a Dio, e ogni vostro cuore oggi diventi il posto in cui nasce il piccolo Gesù. Figlioli, tutto passa, solo Dio resta nel vostro cuore. Come la madre lotta per i suoi figli, io prego e lotto per voi. Da voi chiedo di non aver paura di aprirvi perché possiate amare e darvi agli altri col cuore. Quanto più farete questo col cuore, accoglierete di più e comprenderete meglio il mio Figlio e il suo dono a voi.Il Natale è sicuramente uno dei giorni più belli dell'anno, perfino per quelli che forse vivono in modo diverso. Questo è il giorno più bello nella storia dell'umanità, perché è nato il Re della pace. Il programma della vita di Gesù è anche il nostro programma e lo scopriamo nel canto degli angeli: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà". Ogni volta, quando ci rivolgiamo a Dio nella preghiera, Dio viene a noi e riempie i nostri cuori con la sua pace. Solo se siamo riempiti con la pace di Dio, possiamo diffondere la pace attorno a noi. Il peccato danneggia l'uomo che è immagine di Dio e diffonde insoddisfazione attorno a sé. Ogni volta che Gesù viene a noi, nel nostro cuore, lo rende più bello. Questa è la ragione per la quale è venuto qui sulla terra tra noi. Dare più tempo al Creatore significa pregare di più. Se preghiamo un po' di più, cresce la nostra amicizia con Gesù: Lui entra nella nostra vita, benedice le nostre giornate, illumina la nostra mente e riscalda il nostro cuore. L'umiltà è la chiave che ci aiuta ad aprire il nostro cuore affinché Dio possa entrare in noi. Allora il nostro cuore non deve essere riempito con l'orgoglio bugiardo e la superbia, ma con la vera umiltà e l'amore di Dio.Se Gesù è la Vita, Maria è la Madre della Vita.Se Gesù è la Speranza, Maria è la Madre della Speranza.Se Gesù è la Pace, Maria è la Madre della Pace, Madre del Principe della Pace."Salve, Madre santa"! Vergine Figlia di Sion, quanto deve soffrire per questo sangue il tuo cuore di Madre!Il Bambino, che stringi al tuo petto, porta un nome caro ai popoli di religione biblica: "Gesù", che significa "Dio salva". Così lo chiamò l'arcangelo prima che fosse concepito nel tuo grembo (cfr Lc 2,21). Nel viso del neonato Messia riconosciamo il volto di ogni tuo figlio vilipeso e sfruttato. Riconosciamo specialmente il volto dei bambini, a qualunque razza, nazione e cultura appartengano. Per loro, o Maria, per il loro futuro, ti chiediamo di smuovere i cuori induriti dall'odio, perché si aprano all'amore e la vendetta ceda finalmente il passo al perdono.Ottienici, o Madre, che la verità di questa affermazione - Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono - si imprima nei cuori di tutti. L'umana famiglia potrà così trovare quella pace vera, che sgorga dall'incontro fra la giustizia e la misericordia.Madre santa, Madre del Principe della Pace, aiutaci!Madre dell'umanità e Regina della pace, prega per noi!------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Con ciò vogliamo ringraziare infinitamente Dio Padre per Maria santissima e per Gesù per il nuovo anno che è da poco iniziato e per il vecchio che, come sempre, ha riversato nei nostri cuori gioie e tristezze; per tutto, proprio tutto vogliamo ringraziare. Anche se a volte non è facile ringraziare: certi pesi affardellano e affaticano e certe gioie illudono e poi deludono. Ma la promessa di Gesù di rimanere sempre con noi fino alla fine ci da speranza, sappiamo che con Lui la barca di quest'anno che viene non affonderà nonostante le onde che possono essere anche alte! Gesù vuole farci conoscere il Padre Suo e Padre nostro, un Padre d'Amore infinito. A volte le tempeste, se ci fidiamo servono proprio per strapparci fardelli inutili al cuore e farci correre più liberamente, farci raggiungere l'altra sponda del lago in modo più spedito. Dobbiamo veleggiare leggeri, custodendo la pace e la gioia nel cuore che sono frutti della preghiera del cuore al Padre, per Gesù con l'aiuto dello Spirito Santo. E' importante sapere e convincersi che la pace e la gioia sono importanti e possibili nella nostra vita, in questo nuovo anno! Se ci sono tempeste non disperiamoci! Questo sarebbe l'unico e grave errore che potremmo commettere! E poi c'è Maria, e anche quest'anno non si stancherà di esserci madre e madre fino in fondo. Non siamo diffidenti! Fidiamoci, in fin dei conti non costa poi così tanto.Un grande augurio di un anno 2008, vissuto nell'Amore di Gesù e Maria, e che questo Amore sia veramente la nostra pace e la nostra gioia duratura e condivisa, Maria e MAX
martedì 8 gennaio 2008
Viaggio nei mali della società, il disagio giovanile e la famiglia
Dove nasce il bullismo? Quali le sue cause
Quando ci interroghiamo sulla vitalità della famiglia noi ci interroghiamo su un aspetto parziale dell’esperienza umana. Un’analisi più completa deve invece considerare la famiglia come elemento di valutazione della società all’interno della quale essa si sviluppa.
Una società che ha smarrito la propria naturale identità a causa di una inquietante involuzione morale. E la famiglia ne rappresenta emblematicamente limiti e contraddizioni. I problemi che oggi l’umanità si trova a dover affrontare sono riconducibili proprio alla caduta di quei valori che nel tempo hanno segnato la storia degli uomini : amore, fratellanza e solidarietà. E una società povera di questi valori, sclerotizzata nei suoi principi morali, è inesorabilmente condannata al suicidio.
Individualismo, materialismo, consumismo sfrenato e soprattutto la quotidiana sagra dell’effimero hanno portato su altari pagani falsi dei, falsi miti concorrendo a determinare una distorta visione della realtà nonché una errata concezione della nostra testimonianza terrena.
Si è da tempo arrestato ogni processo di crescita culturale, si è inaridito ogni serio dibattito sui grandi temi della politica e dello sviluppo socio- economico. Si é affievolita la speranza di una rifondazione morale, di un riarmo spirituale della società contemporanea la cui bandiera è diventata l’intolleranza civile e religiosa. L’edonismo ha soppiantato i consolidati modelli di vita del passato costruiti attorno a valori radicati innanzitutto nella coscienza di ogni singolo individuo.
Il vuoto ideologico, il nichilismo culturale, l’intolleranza civile e religiosa sono ormai i simboli di una società allo sbando, sempre più in balia di “profeti” e di mercenari senza scrupoli ! Le analisi sociologiche condotte sul malessere esistenziale portano tutte alle medesime conclusioni . Una equazione tragicamente eloquente : mancanza di valori spirituali uguale a disordine sociale.
Uno scenario di grande decadimento si presenta dunque dinanzi ai nostri occhi. Uno scenario che fa a pugni con il luccichio di un apparente benessere, con il facile arricchimento, con una vita spericolata, vissuta senza inibizione alcuna.
Ma dietro le luci, ci sono le ombre, tante ombre che nascondono invece la triste realtà rappresentata dal crollo della cellula di base della società : la famiglia, con la sua naturale vocazione di strumento di crescita civile e spirituale.
La famiglia, privata del suo ruolo di formazione delle risorse individuali di base, rappresenta così terreno di potenziale degrado del tessuto sociale e, in prima analisi, fattore negativo della problematica giovanile, con le sue tensioni e i suoi conflitti comportamentali. Perché è appunto sui giovani che si registra l’impatto negativo di una famiglia invisibile !
Sui meccanismi di devianza minorile scatta infatti l’influsso pesante della famiglia quando essa non è in grado, verso l’esterno, di garantire ai figli affetto, autonomia, autorevolezza di modelli comportamentali, perseguimento e raggiungimento di mete umane e professionali, cioè quella serie di elementi fondamentali per la formazione della personalità dei giovani, ai quali spesso viene a mancare una precisa identità culturale.
E il tragico salto nel buio costituisce per molti il prezzo di una vita sbagliata. Droga, alcol, violenza su donne e bambini, vandalismo gratuito, suicidio diventano così la risposta irrazionale alle difficoltà di affrontare responsabilmente il rapporto con la società in modo significativo, come strumento essenziale per identificare i lineamenti della propria personalità.
Dietro questa realtà apparentemente inspiegabile si annidano motivazioni particolarmente profonde collegate alla crescente solitudine in cui vivono le nuove generazioni, confinate in un mondo a parte dove, venuti a mancare gli interlocutori naturali ossia i genitori, prendono il sopravvento nuove figure di riferimento, estranee al circuito relazionale della famiglia: gli amici, quelli del « branco », con i quali si condividono ansie e timidezze, i primi segni cioè di quel disagio che se non interpretato in tempo si trasforma in pericolosa devianza.
Una devianza che porta fatalmente alla diminuzione della capacità di ascoltare, di confrontarsi, alla perdita di contatto con le sensazioni e gli affetti ad esse legati, a una povertà emotiva che sfocia nell’azione immediata o nell’ostilità ripetitiva che copre le emozioni più profonde quali la paura, la vergogna, la tenerezza, la voglia di contatto!
E in questo processo involutivo dell’esistenza dei giovani c’è anche la complicità dell’ambiente sociale, spesso poco “presente” educativamente e sempre meno “contenitivo”, pur se ridondante di oggetti e di “benessere”. Matura in tale contesto uno strisciante innalzamento sociale della soglia della tolleranza verso le prepotenze che collegata alla confusione nei valori socio-educativi, alla precocizzazione di comportamenti pseudo adolescenziali, allo spirito di emulazione di modelli trasgressivi, alla perdita di autorevolezza delle figure adulte, alla svalutazione dei compiti educativi della scuola formano un terreno fertile per il radicamento del disimpegno morale. E’ qui che nasce il germe del bullismo! Tratto dalla Rivista Naz. The Lions
domenica 6 gennaio 2008
Avvolti nei loro abiti da Chiesa a Malta. I Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme.
Il Vicedirettore
Il *“Palazzuolo”
Bisceglie Bari
I Cavalieri del Sovrano Militare Ordine di Malta, ritornano sulle loro tracce…
Scesi dai charter, dopo 500 anni sono stati accolti festosamente perfino dagli ortodossi, vedendo i cavalieri nella loro tipica uniforme, dagli abitanti di Rodi è parso di tornare nel medio evo.
“Ma chi sono questi? I discendeti dei Cavalieri?”.
L’interrogativo passa di bocca in bocca qualche settimana fa tra gli abitanti di Rodi, un po’ increduli, un po’ divertiti, difronte all’ivasione pacifica di decine di cavalieri di Malta provenienti da tutto il mondo. Avvolti nei loro abiti da chiesa, neri con la caratteristica croce bianca, si sono dati appuntamento nell’isola egea per celebrare i 900 anni di storia dell’ordine e inagurare il loro museo, nel Palazzo del Gran Maestro, proprio nel centro storico del capoluogo, a sette anni di distanza da un accordo apposito siglato con le autorità greche. La processione per le strade della città ha evocato l’improvvisa incursione di un lontano passato medievale tra gli ultimi vacanzieri in maglietta e calzoncini in cerca del tardo sole estivo del Mediterraneo. Erano più di 500 anni che non li si vedeva da queste parti, da quando cioè avevano dovuto lasciare l’isola, fiaccati da mesi di assedio delle forze ottomane. Eppure qui, dove si erano rifugiati dopo la caduta dei brevi regni crociati, che i cavalieri di San Giovanni avevano cominciato a gettare le fondamenta dell’ordine, lasciandolo come grande potenza politica del Mediterraneo, sovrana e indipendente, riconosciuta dalle autorità del tempo, da Papa a Bisanzio, forte sui mari e agguerrita nella difesa della cristianità dalla minaccia ottomana. Dopo oltre cinque secoli il clima è naturalmente cambiato: i Cavalieri, partiti dall’isola con l’onore delle armi e tornati alle soglie del Duemila a bordo di charter, hanno dovuto accontentarsi di quattro sale del Palazzo del Gran Maestro per esporvi uniformi di varie epoche, armi, cimeli e fotografie a testimonianza dell’attività filantropica che oggi costituisce la loro ragion d’essere.
MEMICI COMUNI.
La maggior parte della popolazione locale, di religione ortodossa, aveva perso quasi memoria dell’esistenza di quest’ordine antico e cattolicissimo, insieme al quale in passato aveva condiviso le battaglie contro il comune “nemico musulmano”. Eppure, nonostante i rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, quella greca inclusa, siano oggi a dir poco freddi, l’accoglienza della gente, delle autorità civili e religiose locali è stata calorosa, tanto che alla cerimonia conclusiva dell’incontro anche l’arcidiocesi ortodossa di Rodi ha voluto essere presente con l’archimandrita Psisios.
Non solo perché i Cavalieri, come ha detto in un’intervista con la stampa greca il Gran Cancelliere, Carlo Marullo di Condojanni, non cercano per ora il riconoscimento diplomatico delle autorità greche (che, inutile nasconderlo, avrebbe più di qualche imbarazzo a concederglielo); né soltanto perché il Gran Maestro, Andrei Bertie, nella stessa occasione ha condannato il ricorso all’uso della forza per tentare di cambiare lo status quo dell’Egeo (evidente riferimento alla Turchia), ma soprattutto perché la storia dei giovanniti ha molto in comune con quella di Rodi e della popolazione locale. A cominciare dalla loro protrettrice, la Madonna del Fileremo, loro antico convento sull’isola, dove i Cavalieri si sono recati in pellegrinaggio con la copia di un’icona bizantina della Vergine. L‘originale, che avevano portato via con sé secoli fa lasciando l’isola, è stato individuato recentemente in un monastero di Montenegro e da allora l’ordine ha intensificato i suoi sforzi per tentare di riaverlo. Chissà che il ritorno dell’Ordine di Malta in quest’isola, al di là delle stesse intenzioni dei Cavalieri, non rappresenti un altro inatteso passo avanti sulla strada di un ravvicinamento anche tra cattolicesimo e ortodossia. Esso è peraltro favorito in Grecia da un sempre più diffuso laicismo che, nel caso di Rodi, ha fatto prevalere sulle ragioni delle divisioni teologiche quelle di una profonda comunanza di storia e di cultura.
Di Manuel Mirkos (da un foglio trovato in una sala all’Università di Bari)