IL BALLETTO
DELL’ IVA
di Antonio Laurenzano
Scongiurato l’aumento dell’Iva
per il 2019. Ma il Def, nel suo tribolato iter governativo, non ha sterilizzato
le clausole di salvaguardia previste per il 2020 e il 2021. Sulla finanza
pubblica aleggia minaccioso un pacchetto fiscale da incubo: a regime, l’aliquota
ridotta del 10% passerà al 13%, quella ordinaria del 22% passerà al 25% (la più
elevata in Europa). Per la ripresa dei consumi, ancorata a una debole crescita,
potrebbe essere un brutto colpo, con effetto domino sulla produzione e sui
livelli occupazionali.
Le variazioni dell’Iva
peserebbero in media 317 euro sulla spesa delle famiglie italiane (in Lombardia
oltre 410 euro), che diventerebbero 439 per i nuclei familiari con due figli. A
risentirne in misura maggiore sarebbe la spesa alimentare che nel 2017 ha
invertito il trend dopo cinque anni di valori negativi con un balzo del 3,2%.
Dopo le spese per l’abitazione, quelle destinate all’alimentazione con i beni
di prima necessità rappresentano la principale voce del budget delle famiglie
che, in caso di aumenti dell’Iva, rischierebbero uno stop. E problemi
potrebbero esserci anche per artigiani e commercianti, visto che la stragrande
maggioranza dei rispettivi fatturati è attribuibile alla domanda interna.
Nel rispetto della … “politica
degli annunci e delle promesse”, il Governo si impegna a presentare nella Legge
di Bilancio 2019 un piano d’intervento per la cancellazione parziale delle
clausole di salvaguardia residue attraverso la spending review, il potenziamento
dell’attività di riscossione delle imposte e la razionalizzazione delle tax
expenditures (deduzioni e detrazioni fiscali). Bisogna reperire circa venti
miliardi di euro. Il solito problema delle coperture finanziarie con il balletto
delle cifre con i conti che non tornano. Promettere non costa nulla, sperando
che non venga imboccata la strada del “disinnesco in deficit” che rischierebbe
di compromettere la prospettiva di stabilizzazione e riduzione del debito
pubblico e, di conseguenza, di minare la fiducia degli investitori. Fiducia
fondamentale per l’Italia che deve ogni
anno trovare acquirenti dei titoli di stato per circa 400 miliardi di euro.
E’ dal 2011, dopo la crisi dei
conti pubblici che precedette la caduta del governo Berlusconi, che si parla
delle “clausole di salvaguardia”: sono le misure prese per salvaguardare i
vincoli di bilancio Ue sulle spese dello Stato. L’aumento dell’Iva serve a
coprire spese pubbliche già impegnate. Sterilizzate da Mario Monti, rinnovate
dall’esecutivo Letta prima e Renzi e Gentiloni dopo, le clausole sono state
ereditate dal governo gialloverde che intende disfarsi del pesante fardello che
grava sulla finanza pubblica. Ma cancellare
le clausole di salvaguardia sostituendole con coperture alternative non sarà
facile. Lo ha certificato l’Ufficio parlamentare di bilancio che ha negato la
“validazione” delle nota di aggiornamento al Def. E da Bruxelles arrivano già i primi segnali negativi.
Il Documento programmatico di bilancio inviato alla Commissione Ue sta sollevando
riserve e critiche per la “deviazione inaccettabile dei conti pubblici italiani rispetto agli impegni
e ai vincoli Ue”. Dopo le mirabolanti promesse elettorali è giunta l’ora della
realpolitik.