Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.
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mercoledì 2 luglio 2008
"La storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice..." Benedetto Croce.
di Michele Totta
Questa intervista è un omaggio al professore Salvatore Antonio Grifa, membro
ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia dal 1995. Dedica anni e cuore
alla ricerca storica della sua Terra, San Giovanni Rotondo, dove è nato nel 1942. Per
lui la Storia è culto della Memoria. Un evo vastissimo rivive nei suoi scritti: dai
capannicoli sul Gargano (circa VI millennio a.C.) al deposto XX secolo, nell’appassionata
lettura di eventi, ricerca delle origini e divenire di umane generazioni.
Diligenza severa, esposizione fedele dei fatti, copiosa bibliografia, le qualità eminenti
della sua opera che annovera un corpus di venti libri. Un lascito culturale prezioso.
D - Da circa mezzo secolo si occupa di ricerca storica. Conta più stabilire la
verità dei fatti, che non si raggiunge mai o l’onestà dello storico?
R - Ringrazio vivamente per questo colloquio sulla Storia della mia città.
Carlo Azeglio Ciampi, nostro Presidente della Repubblica Italiana, dice spesso che
“[...] il futuro si costruisce sulle radici del passato e senza Memoria, certamente,
non si va lontano”. Sua Santità Giovanni Paolo II, durante l’Angelus dell’11 giugno
1995, in Piazza San Pietro diceva “[...] Non c’è futuro senza Memoria[...].” Fare Storia è cosa molto difficile, in quanto vi è sempre un uomo che pensa, ricerca, scrive e dentro egli si porta sempre un universo di esperienze ed emozioni e che spesso premono sul “lago del cuore” e cercano di forzargli la mano. Certamente lo storico ha i suoi doveri, ma ha anche i suoi diritti e, ove questo avvenga, egli sarebbe veramente un Dio (come diceva Federico Zeri). Ma, molto spesso, egli è solamente un uomo. Non va dimenticato, a tal proposito, il monito di Benedetto Croce: “La Storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice; e giustiziera non potrebbe
farsi se non facendosi ingiusta, ossia confondendo il pensiero con la vita e assumendo come giudizio del pensiero le attrazioni e le repulsioni del sentimento”.
D - Lei come definisce la Storia?
R - La Storia è il “Racconto” degli umani accadimenti, di qualsiasi genere
essi siano, comprendente la totalità dei modi di essere e delle creazioni umane nel
mondo, la totalità delle culture, appunto. Non solamente Storia togata, quindi, ma
130
Intervista al professor Salvatore Antonio Grifa
tante microstorie insieme, ove un popolo viene rappresentato in tutte le situazioni
ed esperienze e dove anche il calzare o il bastone di un contadino o lo scialle nero
che ha avvolto le coscienze, i sogni, le miserie e i pianti di tante donne del sud
dell’Italia, sono anch’essi importanti e si fanno Storia, nella Casa della Memoria.
D - La storia del mondo si dipana tra orrori, aggressioni di popoli contro
popoli e ingiustizie. La violenza è necessaria davvero al progresso della giustizia?
R - Bisogna prima chiarire il concetto di giustizia, che in una visione manichea
della società, molto spesso ha già tracciato quasi ‘a priori’ i suoi imperativi categorici,
nel senso kantiano della parola. La violenza è sempre da condannare, sia come
mezzo che come fine. Sono sempre i forti a praticare la violenza, i deboli la subiscono
sempre. E quindi non ci può essere vera giustizia, vero progresso.
D - Eventi bellici e rivoluzioni epocali, nel nome del progresso economico e
sociale. Non le pare che, nel lungo termine, ai popoli giovino le conquiste della Scienza?
R - Fatti, eventi e rivoluzioni sono figli del loro tempo e vanno letti, interpretati
nel momento in cui si sono manifestati. Il dualismo Bene-Male sarà sempre
presente nella vita dell’uomo. Bisogna cercare di fare le scelte giuste, anche in nome
della Scienza, senza distruggere l’uomo, la sua interiorità e spiritualità. Non si può
ignorare il progresso scientifico. La Scienza, nel suo lungo e faticoso cammino, è
simile ad una grande spirale, con al centro l’uomo che nella sua caverna piangeva al
fumo del fuoco che lo riscaldava e che illuminava le pareti sulle quali dipingeva
cavalli, uccelli, zebre e leoni. Nell’umana speranza di non scomparire nel gran Tutto,
egli non si arrese: lottò, soffrì ancora e finalmente capì che la luce del sole era più
bella. E così fu. Era nato il primo scienziato.
D- Uno scrittore contemporaneo, Pietro Citati, definisce la Storia una tragedia
fondamentale, uno sconvolgimento, una incomprensione. È d’accordo?
R - Certamente. La Storia, intesa come racconto di tutti gli umani accadimenti,
come la vita, è anche dramma, dolore, pianto e sofferenza e non sempre si riesce a
capire, con Vico, che la Provvidenza spesso sta a guardare.
D - La pace nel mondo: un’utopia?
R- Anche qui bisogna considerare il concetto di pace. Ogni popolo (come
ogni persona) ha diritto alla sua Patria, alla sua Terra, alla sua libertà di pensiero, di
azione, di religione. Ove tutto questo manca, allora bisogna lottare per conquistare
questi sacri diritti. Non lotta armata, non violenza, ma confronto e scontro di idee,
di parole, di pensieri e nelle sedi opportune. Non vanno dimenticati Gandhi e Martin
Luther King. La mia libertà finisce laddove inizia quella degli altri.
131
Michele Totta
D - La Storia è lo spazio della profezia imperfetta, cioè della profezia incompiuta.
C’è spazio anche per la religione e i sentimenti?
R - Proprio la Religione e i Sentimenti, intesi come un universo di valori,
hanno salvato l’uomo nel suo cammino di civiltà. Quando l’uomo dimenticò se
stesso, Dio salvò Noè che con la sua Arca creò un nuovo mondo. E questo la Storia
lo racconta molto bene.
D - Una Teologia della Storia esiste?
R - Certamente. La Storia la scrivono gli uomini, ma non sempre essi sono
gli unici artefici. Vi sono Presenze e Valori che guidano il cammino dei popoli,
altrimenti la Terra sarebbe una povera cosa sospesa nell’Universo.
D - La storia di San Giovanni Rotondo, dai cavernicoli a noi, abbraccia ottanta
secoli. Quale libro Le ha serbato più emozioni e gratificazioni?
R - Raccontare il cammino di civiltà di un popolo dà sempre forti ed intense
emozioni e quando questo cammino riguarda i Padri che hanno costruito la città
che ci ha dato i natali, allora nasce in noi anche quel gaudium veritatis, direbbe
Sant’Agostino, una gioia ed una letizia che nutrono profondamente il cuore e la
mente. Non c’è un libro che io prediliga in modo particolare. Ogni opera, poi, ha
una Storia a sé e si porta dietro grandi fatiche e sacrifici: leggere, ricercare, catalogare,
confrontare, vagliare, correggere, trascrivere. Comunque, voglio qui segnalare
un saggio storico che mi ha particolarmente affascinato, sia nella ricerca dei documenti
che nella sua definitiva stesura e che non riguarda, però, la storia di San Giovanni
Rotondo. È un’opera sui Templari, da me pubblicata nell’anno 1991 (I Cavalieri
del tempio sul Gargano ed in Capitanata).
D - Ci sono momenti in cui i Sangiovannesi, come popolo, sono protagonisti
nella loro storia?
R - Nell’età angioina, anno 1285, l’Abate del Monastero di San Giovanni in
Lamis (oggi Convento di San Matteo), vendeva il feudo di San Giovanni Rotondo
al nobile barone francese Giovanni la Gonesse. Il popolo sangiovannese rifiutò, in
nome della libertà, di prestare il dovuto giuramento di fedeltà e di vassallaggio al
nuovo padrone. La città fu interdetta a tutti e fu avvolta in un sudario di morte, il
popolo venne scomunicato dal Papa, ma non si arrese e per un anno dimostrò che la
libertà era un bene prezioso ed inviolabile. In altri momenti i figli della terra di San
Giovanni Rotondo, testimoniarono (veri martiri) il loro coraggio e l’amore per la
propria Terra e offrirono la loro vita in nome della libertà, per l’affermazione dei
principi di uguaglianza e di giustizia: anno 1860 (annessione al Regno d’Italia, Plebiscito),
anno 1920 (rivendicazioni popolari e sociali).
132
Intervista al professor Salvatore Antonio Grifa
Da ricordare, anche, che nella Terra di San Giovanni Rotondo, in occasione
della fiera di Sant’Onofrio, che si teneva l’11 giugno, giungevano dalle principali
Università del Regno di Napoli, i Sindaci (riuniti nella chiesa di San Leonardo) per
determinare il prezzo dei cereali, che, dopo l’approvazione sovrana, doveva essere
osservato in tutte le terre del Regno stesso (secc. XVI-XVII).
D - Il 1095 è l’anno storicamente certo della nascita della nostra città. Questo
sminuisce il percorso buio e difficile dei secoli precedenti?
R - Niente di tutto questo. La storia di San Giovanni Rotondo ha, come
abbiamo visto, un percorso millenario e nelle varie epoche questa Terra ha sempre
espresso la propria identità: Gargaros-Bisanum- San Giovanni Rotondo, tre nomi, tre civiltà per una stessa città. La civiltà protomediterranea ed egea (greco-illirica), romana e bizantino-normanna, lascerà le sue tracce e i suoi segni nella toponomastica stessa. L’antroponimo ed oronimo di Gargarus (Gar-Gar-roccia) e gli agionimi di
Ianus e San Giovanni, segneranno profondamente l’identità storica di uno stesso
sito.San Giovanni Rotondo è l’ultimo e definitivo toponimo della città, che si legge nel Diploma del Conte Enrico, anno 1095, 14 novembre, concesso nella città di Monte Sant’Angelo a Benedetto, Abate del Monastero di San Giovanni de Lama.
D - La celebrazione del Giubileo storico, che nel caso della nostra città non si
è tenuto, quali significati assume nella memoria collettiva?
R - Un Giubileo, considerato come tappa fondamentale di rinnovamento
spirituale nella vita di ogni uomo credente e cattolico, data la sua importanza e
rilevanza storica, lascia sempre delle tracce profonde in ognuno di noi e nella stessa
memoria collettiva di una comunità, anche senza specifici e locali celebrazioni. Non
va dimenticato, a tal proposito, la presenza dei numerosi mass-media, che in simili
circostanze, hanno certamente coinvolto un po’ tutti noi. E poi, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!
D - Nel suo ultimo libro (Il Tempio di Giano nella Terra di San Giovanni
Rotondo, 2003), la Memoria è definita amore e nostalgia del passato, gioioso godimento
del presente, fiducia e speranza nell’avvenire. La Memoria delle radici, dunque, come testamento. Essa ispira anche la saggistica letteraria?
R - Confermo quanto detto sulla Memoria. Essa è come una grande anima che affonda profondamente le radici nel passato e, rigenerandosi, vive e respira nel presente.
E quindi la Memoria non appartiene solamente agli storici. D’altronde,nella
sua bella e stimolante raccolta di poesie Pietre di fuoco, Lei ha mostrato come le parole o meglio la poesia possa divenire cuore, nostalgia per il passato, godimento pieno per il presente, speranza per il futuro. E qui voglio ricordare altri sangiovannesi che con le loro ‘parole’ e i loro testi letterari non hanno dimenticato gli antichi Padri, con le loro storie, tradizioni e costumanze varie: Michele Capuano, Francesco Paolo Fiorentino, Giovanni Scarale, Renzo Fiorentino, Sebastiano Maruzzi, Onofrio Grifa, per citarne alcuni. Poi vi sono altri autori che nelle loro opere demologiche e folcloriche, in particolare, si richiamano alle loro radici sangiovannesi, conservandone la Memoria:
Benito Ripoli, Michele Rinaldi, Biagio Russo, Mario Ritrovato, Michele Merla,
Francesco Canistro. Chiedo venia se ho dimenticato qualche autore, Manzoni direbbe che non si è fatto apposta. Mi permetta di ricordare, a questo punto, gli storici:
Antonio De Lisa, Pasquale Cirpoli, Francesco Nardella, Gaetano D’Errico, Giosuè Fini, Giovanni Giulio Siena, Raffaele Augelli, Saverio Longo. Da ricordare, comunque, anche il pittore Antonio Ciccone, di consolidata fama.
D - Molti uomini hanno dato lustro alla nostra Terra. Li vogliamo ricordare?
R - Tutti gli uomini che hanno vissuto in questa Terra meriterebbero di essere
ricordati, poiché essi hanno costruito questa città con il loro lavoro, la loro intelligenza,
il loro cuore. Ma ci sono state delle ‘Presenze’ che hanno operato in modo particolare
e si sono distinte anche fuori delle mura cittadine.
Ricordo subito Sibilia, che nel XII-XIII secolo fu una delle prime donne chirurgo
del Regno di Napoli e si distingueva per la sua sapienza nella scuola salernitana
di medicina.
Celestino Galiani, definito dal Montesquieu uno degli uomini più dotti d’Italia.
Croce lo definiva “[…] uomo di mente limpida, razionale, dai molteplici interessi
e dall’ingegno enciclopedico […]”. Egli fu Arcivescovo di Taranto e di
Tessalonica, membro della reale Accademia delle Scienze di Londra, ministro dell’Istruzione
del Regno di Napoli. A lui si deve la riforma degli studi dell’Università
di Napoli. Amico di Giovan Battista Vico, rappresentante del Papa e negoziatore
del Concordato tra Santa Sede e Regno di Napoli. Ambasciatore del re di Napoli.
Zio del celebre Ferdinando Galiani, una delle menti più brillanti dell’Illuminismo
napoletano.
Padre Diomede Scaramuzzi, teologo, saggista di fama internazionale, filosofo
e sommo studioso di Duns Scoto ed autore di una celeberrima monografia su
Sant’Antonio da Padova. Per la sua sapienza e dottrina egli fece parte della Commissione
di studi che dichiarò Sant’Antonio da Padova “Dottore della Chiesa”.
Don Alessandro De Bonis, considerato fra i più grandi compositori di musica
sacra del Novecento.
Michele Longo, penalista di chiara fama, docente universitario nell’ateneo
napoletano, autore di volumi sul processo penale, letterato insigne.
Michele Capuano, saggista colto e meticoloso, raffinato poeta, profondo cultore
di demologia e di tradizioni popolari.
Francesco Paolo Fiorentino, pittore creativo quanto mai profondo, interprete
nelle sue numerose commedie della ‘vita’ del popolo sangiovannese, anche poeta.
Ho voluto qui ricordare solamente coloro che ormai vivono nella Casa della
Memoria della Terra sangiovannese.
D - Veneriamo e custodiamo le spoglie di San Pio da Pietrelcina, un gigante
134
Intervista al professor Salvatore Antonio Grifa
del Cattolicesimo, l’alter Christus del nostro tempo. Il Santo è solo un esempio di
vita da imitare o incide anche la storia di un popolo?
R - San Pio ha vissuto per mezzo secolo in questa Terra ed ha lasciato tracce
ed esempi non solo nelle anime e nelle coscienze dei sangiovannesi, ma nel mondo
cattolico in generale. La sua figura, senza dubbio, offre numerosi esempi di vita
cristiana nel pieno rispetto di se stessi e del prossimo. San Pio illumina il cammino
dei credenti ed offre loro continue sollecitazioni e stimoli di rinnovamento spirituale.
Il popolo di San Giovanni Rotondo ha avuto una forte rilevanza e presenza
nella vita umana e civile di San Pio. Parecchie volte, infatti, i sangiovannesi non
hanno esitato a far sentire la loro voce contro i soliti mistificatori e calunniatori del
Frate delle Stimmate e lottarono, allorquando lo si voleva trasferire altrove. Oggi
San Pio a ragione e a buon diritto è parte della Terra di San Giovanni Rotondo.
Non per nulla, San Pio scriveva nel suo testamento (12 agosto 1923) che “[...] le mie
ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa Terra”.
D - Negli ultimi venti anni c’è una escalation di morti per malavita, cominciata
con la feroce uccisione di Fabio Tamburrano e dei fratelli Placentino. Un segnale
preoccupante per le abitudini e la quiete della nostra gente?
R - Nessun segnale. Sono casi isolati che appartengono alle umane, occasionali
e personali vicende che, riferite alle persone da Lei indicate, hanno tutta la mia
umana pietà e cristiana considerazione. A San Giovanni Rotondo si vive ancora
bene e con una certa serenità.
D - È possibile riconoscere una identità, un carattere comune tra i sangiovannesi
di oggi e quelli che li hanno preceduti?
R - La cordialità, la tenacia, l’orgoglio personale, l’amore per la famiglia e per
la propria Terra. Certamente, queste caratteristiche, tutte garganiche d’altronde,
erano più forti e sentite nel passato, quando il Paese era raccolto in un” fazzoletto
di terra”, direbbe Scotellaro, e ove tutti si chiamavano per nome, in una dimensione
più umana e fraterna. Ma questa è un’altra storia.
D - Nel tempo libero chi è Salvatore Antonio Grifa?
R - Cerco di essere un uomo e di ‘vivere’ nel senso completo della parola. E
mi creda, non è facile. Cerco di essere un marito, un padre, un nonno. Ed anche
questo non è poca cosa.
Nel mio cuore, nella mia coscienza, nella mia mente, porto la serena e cristiana
consapevolezza di aver fatto il mio dovere di maestro elementare e di professore
di lettere nelle scuole medie e superiori e, quando incontro un mio alunno ormai
adulto, ci stringiamo la mano, ci guardiamo negli occhi e andiamo a prendere un
caffè insieme. Il resto è nelle mani del Signore.
"La Storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice..." Benedetto Croce.
di Michele Totta
Questa intervista è un omaggio al professore Salvatore Antonio Grifa, membro
ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia dal 1995. Dedica anni e cuore
alla ricerca storica della sua Terra, San Giovanni Rotondo, dove è nato nel 1942. Per
lui la Storia è culto della Memoria. Un evo vastissimo rivive nei suoi scritti: dai
capannicoli sul Gargano (circa VI millennio a.C.) al deposto XX secolo, nell’appassionata
lettura di eventi, ricerca delle origini e divenire di umane generazioni.
Diligenza severa, esposizione fedele dei fatti, copiosa bibliografia, le qualità eminenti
della sua opera che annovera un corpus di venti libri. Un lascito culturale prezioso.
D - Da circa mezzo secolo si occupa di ricerca storica. Conta più stabilire la
verità dei fatti, che non si raggiunge mai o l’onestà dello storico?
R - Ringrazio vivamente per questo colloquio sulla Storia della mia città.
Carlo Azeglio Ciampi, nostro Presidente della Repubblica Italiana, dice spesso che
“[...] il futuro si costruisce sulle radici del passato e senza Memoria, certamente,
non si va lontano”. Sua Santità Giovanni Paolo II, durante l’Angelus dell’11 giugno
1995, in Piazza San Pietro diceva “[...] Non c’è futuro senza Memoria[...].” Fare
Storia è cosa molto difficile, in quanto vi è sempre un uomo che pensa, ricerca,
scrive e dentro egli si porta sempre un universo di esperienze ed emozioni e che
spesso premono sul “lago del cuore” e cercano di forzargli la mano. Certamente lo
storico ha i suoi doveri, ma ha anche i suoi diritti e, ove questo avvenga, egli sarebbe
veramente un Dio (come diceva Federico Zeri). Ma, molto spesso, egli è solamente
un uomo. Non va dimenticato, a tal proposito, il monito di Benedetto Croce: “La
Storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice; e giustiziera non potrebbe
farsi se non facendosi ingiusta, ossia confondendo il pensiero con la vita e assumendo
come giudizio del pensiero le attrazioni e le repulsioni del sentimento”.
D - Lei come definisce la Storia?
R - La Storia è il “Racconto” degli umani accadimenti, di qualsiasi genere
essi siano, comprendente la totalità dei modi di essere e delle creazioni umane nel
mondo, la totalità delle culture, appunto. Non solamente Storia togata, quindi, ma
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Intervista al professor Salvatore Antonio Grifa
tante microstorie insieme, ove un popolo viene rappresentato in tutte le situazioni
ed esperienze e dove anche il calzare o il bastone di un contadino o lo scialle nero
che ha avvolto le coscienze, i sogni, le miserie e i pianti di tante donne del sud
dell’Italia, sono anch’essi importanti e si fanno Storia, nella Casa della Memoria.
D - La storia del mondo si dipana tra orrori, aggressioni di popoli contro
popoli e ingiustizie. La violenza è necessaria davvero al progresso della giustizia?
R - Bisogna prima chiarire il concetto di giustizia, che in una visione manichea
della società, molto spesso ha già tracciato quasi ‘a priori’ i suoi imperativi categorici,
nel senso kantiano della parola. La violenza è sempre da condannare, sia come
mezzo che come fine. Sono sempre i forti a praticare la violenza, i deboli la subiscono
sempre. E quindi non ci può essere vera giustizia, vero progresso.
D - Eventi bellici e rivoluzioni epocali, nel nome del progresso economico e
sociale. Non le pare che, nel lungo termine, ai popoli giovino le conquiste della Scienza?
R - Fatti, eventi e rivoluzioni sono figli del loro tempo e vanno letti, interpretati
nel momento in cui si sono manifestati. Il dualismo Bene-Male sarà sempre
presente nella vita dell’uomo. Bisogna cercare di fare le scelte giuste, anche in nome
della Scienza, senza distruggere l’uomo, la sua interiorità e spiritualità. Non si può
ignorare il progresso scientifico. La Scienza, nel suo lungo e faticoso cammino, è
simile ad una grande spirale, con al centro l’uomo che nella sua caverna piangeva al
fumo del fuoco che lo riscaldava e che illuminava le pareti sulle quali dipingeva
cavalli, uccelli, zebre e leoni. Nell’umana speranza di non scomparire nel gran Tutto,
egli non si arrese: lottò, soffrì ancora e finalmente capì che la luce del sole era più
bella. E così fu. Era nato il primo scienziato.
D- Uno scrittore contemporaneo, Pietro Citati, definisce la Storia una tragedia
fondamentale, uno sconvolgimento, una incomprensione. È d’accordo?
R - Certamente. La Storia, intesa come racconto di tutti gli umani accadimenti,
come la vita, è anche dramma, dolore, pianto e sofferenza e non sempre si riesce a
capire, con Vico, che la Provvidenza spesso sta a guardare.
D - La pace nel mondo: un’utopia?
R- Anche qui bisogna considerare il concetto di pace. Ogni popolo (come
ogni persona) ha diritto alla sua Patria, alla sua Terra, alla sua libertà di pensiero, di
azione, di religione. Ove tutto questo manca, allora bisogna lottare per conquistare
questi sacri diritti. Non lotta armata, non violenza, ma confronto e scontro di idee,
di parole, di pensieri e nelle sedi opportune. Non vanno dimenticati Gandhi e Martin
Luther King. La mia libertà finisce laddove inizia quella degli altri.
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Michele Totta
D - La Storia è lo spazio della profezia imperfetta, cioè della profezia incompiuta.
C’è spazio anche per la religione e i sentimenti?
R - Proprio la Religione e i Sentimenti, intesi come un universo di valori,
hanno salvato l’uomo nel suo cammino di civiltà. Quando l’uomo dimenticò se
stesso, Dio salvò Noè che con la sua Arca creò un nuovo mondo. E questo la Storia
lo racconta molto bene.
D - Una Teologia della Storia esiste?
R - Certamente. La Storia la scrivono gli uomini, ma non sempre essi sono
gli unici artefici. Vi sono Presenze e Valori che guidano il cammino dei popoli,
altrimenti la Terra sarebbe una povera cosa sospesa nell’Universo.
D - La storia di San Giovanni Rotondo, dai cavernicoli a noi, abbraccia ottanta
secoli. Quale libro Le ha serbato più emozioni e gratificazioni?
R - Raccontare il cammino di civiltà di un popolo dà sempre forti ed intense
emozioni e quando questo cammino riguarda i Padri che hanno costruito la città
che ci ha dato i natali, allora nasce in noi anche quel gaudium veritatis, direbbe
Sant’Agostino, una gioia ed una letizia che nutrono profondamente il cuore e la
mente. Non c’è un libro che io prediliga in modo particolare. Ogni opera, poi, ha
una Storia a sé e si porta dietro grandi fatiche e sacrifici: leggere, ricercare, catalogare,
confrontare, vagliare, correggere, trascrivere. Comunque, voglio qui segnalare
un saggio storico che mi ha particolarmente affascinato, sia nella ricerca dei documenti
che nella sua definitiva stesura e che non riguarda, però, la storia di San Giovanni
Rotondo. È un’opera sui Templari, da me pubblicata nell’anno 1991 (I Cavalieri
del tempio sul Gargano ed in Capitanata).
D - Ci sono momenti in cui i Sangiovannesi, come popolo, sono protagonisti
nella loro storia?
R - Nell’età angioina, anno 1285, l’Abate del Monastero di San Giovanni in
Lamis (oggi Convento di San Matteo), vendeva il feudo di San Giovanni Rotondo
al nobile barone francese Giovanni la Gonesse. Il popolo sangiovannese rifiutò, in
nome della libertà, di prestare il dovuto giuramento di fedeltà e di vassallaggio al
nuovo padrone. La città fu interdetta a tutti e fu avvolta in un sudario di morte, il
popolo venne scomunicato dal Papa, ma non si arrese e per un anno dimostrò che la
libertà era un bene prezioso ed inviolabile. In altri momenti i figli della terra di San
Giovanni Rotondo, testimoniarono (veri martiri) il loro coraggio e l’amore per la
propria Terra e offrirono la loro vita in nome della libertà, per l’affermazione dei
principi di uguaglianza e di giustizia: anno 1860 (annessione al Regno d’Italia, Plebiscito),
anno 1920 (rivendicazioni popolari e sociali).
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Intervista al professor Salvatore Antonio Grifa
Da ricordare, anche, che nella Terra di San Giovanni Rotondo, in occasione
della fiera di Sant’Onofrio, che si teneva l’11 giugno, giungevano dalle principali
Università del Regno di Napoli, i Sindaci (riuniti nella chiesa di San Leonardo) per
determinare il prezzo dei cereali, che, dopo l’approvazione sovrana, doveva essere
osservato in tutte le terre del Regno stesso (secc. XVI-XVII).
D - Il 1095 è l’anno storicamente certo della nascita della nostra città. Questo
sminuisce il percorso buio e difficile dei secoli precedenti?
R - Niente di tutto questo. La storia di San Giovanni Rotondo ha, come
abbiamo visto, un percorso millenario e nelle varie epoche questa Terra ha sempre
espresso la propria identità: Gargaros-Bisanum- San Giovanni Rotondo, tre nomi,
tre civiltà per una stessa città. La civiltà protomediterranea ed egea (greco-illirica),
romana e bizantino-normanna, lascerà le sue tracce e i suoi segni nella toponomastica
stessa. L’antroponimo ed oronimo di Gargarus (Gar-Gar-roccia) e gli agionimi di
Ianus e San Giovanni, segneranno profondamente l’identità storica di uno stesso
sito.San Giovanni Rotondo è l’ultimo e definitivo toponimo della città, che si legge
nel Diploma del Conte Enrico, anno 1095, 14 novembre, concesso nella città di
Monte Sant’Angelo a Benedetto, Abate del Monastero di San Giovanni de Lama.
D - La celebrazione del Giubileo storico, che nel caso della nostra città non si
è tenuto, quali significati assume nella memoria collettiva?
R - Un Giubileo, considerato come tappa fondamentale di rinnovamento
spirituale nella vita di ogni uomo credente e cattolico, data la sua importanza e
rilevanza storica, lascia sempre delle tracce profonde in ognuno di noi e nella stessa
memoria collettiva di una comunità, anche senza specifici e locali celebrazioni. Non
va dimenticato, a tal proposito, la presenza dei numerosi mass-media, che in simili
circostanze, hanno certamente coinvolto un po’ tutti noi. E poi, non c’è peggior
sordo di chi non vuol sentire!
D - Nel suo ultimo libro (Il Tempio di Giano nella Terra di San Giovanni
Rotondo, 2003), la Memoria è definita amore e nostalgia del passato, gioioso godimento
del presente, fiducia e speranza nell’avvenire. La Memoria delle radici, dunque,
come testamento. Essa ispira anche la saggistica letteraria?
R - Confermo quanto detto sulla Memoria. Essa è come una grande anima che
affonda profondamente le radici nel passato e, rigenerandosi, vive e respira nel presente.
E quindi la Memoria non appartiene solamente agli storici. D’altronde, nella
sua bella e stimolante raccolta di poesie Pietre di fuoco, Lei ha mostrato come le parole
o meglio la poesia possa divenire cuore, nostalgia per il passato, godimento pieno
per il presente, speranza per il futuro. E qui voglio ricordare altri sangiovannesi che
con le loro ‘parole’ e i loro testi letterari non hanno dimenticato gli antichi Padri, con
le loro storie, tradizioni e costumanze varie: Michele Capuano, Francesco Paolo Fiorentino, Sebastiano Maruzzi, Onofrio Grifa,
per citarne alcuni. Poi vi sono altri autori che nelle loro opere demologiche e folcloriche,
in particolare, si richiamano alle loro radici sangiovannesi, conservandone la Memoria:
Benito Ripoli, Michele Rinaldi, Biagio Russo, Mario Ritrovato, Michele Merla, Francesco Canistro. Chiedo venia se ho dimenticato qualche autore, Manzoni direbbe
che non si è fatto apposta. Mi permetta di ricordare, a questo punto, gli storici:
Antonio De Lisa, Pasquale Cirpoli, Francesco Nardella, Gaetano D’Errico, Giosuè Fini, Giovanni Giulio Siena, Raffaele Augelli, Saverio Longo. Da ricordare, comunque,
anche il pittore Antonio Ciccone, di consolidata fama.
D - Molti uomini hanno dato lustro alla nostra Terra. Li vogliamo ricordare?
R - Tutti gli uomini che hanno vissuto in questa Terra meriterebbero di essere
ricordati, poiché essi hanno costruito questa città con il loro lavoro, la loro intelligenza,
il loro cuore. Ma ci sono state delle ‘Presenze’ che hanno operato in modo particolare
e si sono distinte anche fuori delle mura cittadine.
Ricordo subito Sibilia, che nel XII-XIII secolo fu una delle prime donne chirurgo
del Regno di Napoli e si distingueva per la sua sapienza nella scuola salernitana
di medicina.
Celestino Galiani, definito dal Montesquieu uno degli uomini più dotti d’Italia.
Croce lo definiva “[…] uomo di mente limpida, razionale, dai molteplici interessi
e dall’ingegno enciclopedico […]”. Egli fu Arcivescovo di Taranto e di
Tessalonica, membro della reale Accademia delle Scienze di Londra, ministro dell’Istruzione
del Regno di Napoli. A lui si deve la riforma degli studi dell’Università
di Napoli. Amico di Giovan Battista Vico, rappresentante del Papa e negoziatore
del Concordato tra Santa Sede e Regno di Napoli. Ambasciatore del re di Napoli.
Zio del celebre Ferdinando Galiani, una delle menti più brillanti dell’Illuminismo
napoletano.
Padre Diomede Scaramuzzi, teologo, saggista di fama internazionale, filosofo
e sommo studioso di Duns Scoto ed autore di una celeberrima monografia su
Sant’Antonio da Padova. Per la sua sapienza e dottrina egli fece parte della Commissione
di studi che dichiarò Sant’Antonio da Padova “Dottore della Chiesa”.
Don Alessandro De Bonis, considerato fra i più grandi compositori di musica
sacra del Novecento.
Michele Longo, penalista di chiara fama, docente universitario nell’ateneo
napoletano, autore di volumi sul processo penale, letterato insigne.
Michele Capuano, saggista colto e meticoloso, raffinato poeta, profondo cultore
di demologia e di tradizioni popolari.
Francesco Paolo Fiorentino, pittore creativo quanto mai profondo, interprete
nelle sue numerose commedie della ‘vita’ del popolo sangiovannese, anche poeta.
Ho voluto qui ricordare solamente coloro che ormai vivono nella Casa della
Memoria della Terra sangiovannese.
D - Veneriamo e custodiamo le spoglie di San Pio da Pietrelcina, un gigante
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Intervista al professor Salvatore Antonio Grifa
del Cattolicesimo, l’alter Christus del nostro tempo. Il Santo è solo un esempio di
vita da imitare o incide anche la storia di un popolo?
R - San Pio ha vissuto per mezzo secolo in questa Terra ed ha lasciato tracce
ed esempi non solo nelle anime e nelle coscienze dei sangiovannesi, ma nel mondo
cattolico in generale. La sua figura, senza dubbio, offre numerosi esempi di vita
cristiana nel pieno rispetto di se stessi e del prossimo. San Pio illumina il cammino
dei credenti ed offre loro continue sollecitazioni e stimoli di rinnovamento spirituale.
Il popolo di San Giovanni Rotondo ha avuto una forte rilevanza e presenza
nella vita umana e civile di San Pio. Parecchie volte, infatti, i sangiovannesi non
hanno esitato a far sentire la loro voce contro i soliti mistificatori e calunniatori del
Frate delle Stimmate e lottarono, allorquando lo si voleva trasferire altrove. Oggi
San Pio a ragione e a buon diritto è parte della Terra di San Giovanni Rotondo.
Non per nulla, San Pio scriveva nel suo testamento (12 agosto 1923) che “[...] le mie
ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa Terra”.
D - Negli ultimi venti anni c’è una escalation di morti per malavita, cominciata
con la feroce uccisione di Fabio Tamburrano e dei fratelli Placentino. Un segnale
preoccupante per le abitudini e la quiete della nostra gente?
R - Nessun segnale. Sono casi isolati che appartengono alle umane, occasionali
e personali vicende che, riferite alle persone da Lei indicate, hanno tutta la mia
umana pietà e cristiana considerazione. A San Giovanni Rotondo si vive ancora
bene e con una certa serenità.
D - È possibile riconoscere una identità, un carattere comune tra i sangiovannesi
di oggi e quelli che li hanno preceduti?
R - La cordialità, la tenacia, l’orgoglio personale, l’amore per la famiglia e per
la propria Terra. Certamente, queste caratteristiche, tutte garganiche d’altronde,
erano più forti e sentite nel passato, quando il Paese era raccolto in un” fazzoletto
di terra”, direbbe Scotellaro, e ove tutti si chiamavano per nome, in una dimensione
più umana e fraterna. Ma questa è un’altra storia.
D - Nel tempo libero chi è Salvatore Antonio Grifa?
R - Cerco di essere un uomo e di ‘vivere’ nel senso completo della parola. E
mi creda, non è facile. Cerco di essere un marito, un padre, un nonno. Ed anche
questo non è poca cosa.
Nel mio cuore, nella mia coscienza, nella mia mente, porto la serena e cristiana
consapevolezza di aver fatto il mio dovere di maestro elementare e di professore
di lettere nelle scuole medie e superiori e, quando incontro un mio alunno ormai
adulto, ci stringiamo la mano, ci guardiamo negli occhi e andiamo a prendere un
caffè insieme. Il resto è nelle mani del Signore.
domenica 29 giugno 2008
IN DIFESA DELL'OPUS DEI
Le prime accuse all’Opera sono state (e sono tuttora) mosse in ambito massonico. La massoneria spagnola prima, e portoghese dopo (il Portogallo fu uno dei primi paesi dove si diffuse il lavoro dell’Opera), sono state le fautrici delle voci riguardo alle quali l’Opus Dei sarebbe una massoneria bianca. Senza voler, ne dover spiegare (soprattutto a Lei) il perché la massoneria volesse attaccare in modo particolare la Chiesa cattolica, una parola va spesa per spiegare il perché di questo particolare attacco. L’Opera ha effettivamente significato una rivoluzione sociale all’interno della Chiesa, prima del Concilio Vaticano II, questo sì. Il motivo è il messaggio stesso dell’Opera: tutti sono chiamati alla santità, nessuno escluso. Ciò viene a risvegliare il laico ordinario. Ma non solo. L’Opera spiega che non è sempre necessario mettersi un saio, una spilla o andare in giro scalzo per essere santo ne tanto meno per dimostrare la propria appartenenza a qualche cosa. Insomma, la fede non si ostenta, è qualcosa di interiore. Queste sono tutte cose ottime e sante, ma non indispensabili per diventare santo. Sono vocazioni particolari che possono riguardare alcuni , ma non solo "l'unica" via. Ed è proprio da questo che ovviamente deriva il pericolo per la massoneria. Dapprima un "risveglio" a tutti i cristiani indeterminatamente, e soprattutto l’impossibilità di individuare "un nemico" con la talare o con il saio da poter attaccare. E qui la grande menzogna: lo scambiare la fede interiore, un amore intimo, un non "ostentare" in segretezza. La menzogna perfetta. Far diventare il "nemico" niente di meno che ciò che il "nemico" combatte. Il gioco è fatto.L’appartenenza all’Opera non comporta alcun cambiamento esterno, visibile nel fedele. L’impegno è esclusivamente tra il singolo e la Vocazione che Dio gli ha dato. Che bisogno c’è di dare risonanza a qualcosa di così personale o intimo? Se un frate non vestisse un saio parrebbe inopportuno chiedergli se sia un religioso, e similmente ad un ebreo non ortodosso se sia ebreo. O sbaglio?"Strumento personale del Pontefice" si sente dire. Anche qui si parte da una verità e si stravolge il concetto. L’Opus Dei è una Prelatura Personale. Una Prelatura è una Istituzione della Chiesa Cattolica. Normalmente, per chi non lo sapesse, la Chiesa è divisa territorialmente in Diocesi a capo delle quali vi è un Vescovo. I fedeli che fanno parte di una Prelatura Personale, dal momento che sono caratterizzati da una certa spiritualità fanno capo ad un Vescovo, che è il Prelato. Dal momento che la Prelatura è sparsa nei diversi continenti, per quello che riguarda la propria vita spirituale, tutti i membri sono sotto la responsabilità del Prelato. Dunque sotto questo aspetto solamente dipendono non territorialmente, ma dal proprio Prelato. Per ogni altro aspetto, quali ad esempio celebrazione di sacramenti o documentazioni varie, dipendono dall’autorità territoriale. Ovviamente il Prelato che è un vescovo non può essere alle dipendenze di ogni singola Conferenza Episcopale dal momento che si parla di un a presenza in tutti i continenti, e di conseguenza fa capo al Pontefice, i, quale è utile ricordarlo è un vesovo anche lui. Non è assolutamente dunque una "chiesa nella Chiesa". Semplicemente è necessario avere la necessaria formazione e buona fede per non vedere misteri dove non ce ne sono e vederli dove pare non ve ne siano.Altra accusa che andava parecchio di moda in certi "ambienti" era la rapidità della Beatificazione di quello che è oggi San Josemaria Escrivà, ossia il fondatore. La beatificazione in questione fu tra le prime, se non la prima e beneficiare della nuova procedura di beatificazione, che risulta più celere di quella passata. Ciò non vuol dire che è "a scapito della qualità". Tali affermazioni sono ironiche se non addirittura offensive, dal momento che non penso nessuno più della Chiesa Cattolica possa permettersi di dire chi è e chi non è Santo. Il "Santo" per la Chiesa Cattolica è un modello da imitare, per chi non ci crede rimane uno qualunque. Con l’evolversi delle scienza e della comunicazione è ovvio che certe cose possono assumersi e dedursi più celermente, mentre nei secoli passati un po’ meno. Insomma, se c’è una modernizzazione è "a scapito della qualità", se non c’è "son cose d’altri tempi"… Insomma, oggi giorno le canonizzazioni sono relativamente più rapide (relativamente perché sempre di decenni si parla). Bakita che fu beatificata insieme al fondatore, fu canonizzata prima dello stesso. Padre Pio fece ancora prima a passare da Beato a Santo.Infine, per concludere (e per non abusare della Sua pazienza) un piccolo commento. Si accusa il Card. Tettamanzi di aver giocato a tennis con Pinochet. Ammesso, ma non concesso, che ciò sia vero, consiglio a chi scrive o pensa queste cose di prendere il Nuovo Testamento (ossia il Vangelo) e prendere il punto dove i "bigottoni" dell’epoca rinfacciavano a Cristo di mangiare coi pubblicani e le prostitute. La risposta fu "Non sono i sani che hanno bisogno del medico". Insomma che il sacro è sempre meglio andarci coi piedi di piombo, dal momento che tutti abbiamo i nostri scheletri nell'armadio, o per rimanere in tema evangelico "guardiamo prima alla trave che è nel nostro occhio e non alla pagliuzza che è nel vicino".M. Bert.
www.disinformazione.it
APPUNTI DELLA CASATA VITALE - LINEA DI TORTORA
Vi elenco il ramo Campano:
Giuseppe; Nobile di Cava;
A1. Diego (+ 16-04-1728); Nobile di Cava; Barone di Trecchina; 1° Barone di Tortora (per acquisto dai Ravaschieri, con regio assenso del 26-10, esecutoriato il 25-10-1697, e registrato nel Quint. 179, f.190; relazione finale di accompagno della vendita 29-11-1698);
B1. Nicola (+ prima del padre); Nobile di Cava; dottissimo giureconsulto; = Caterina Altomare, figlia del consigliere Biagio.
C1. Giuseppe (+ 1731); 2° Barone di Tortora (1728) ecc.; Nobile di Cava;
C2. Don Alessandro Maria (+ 13-11-1767; sepolto nel Convento di Tortora); 3° Barone di Tortora (1731) ecc.; maritale nomine si fregiava del titolo di “Duca”; Nobile di Cava; acquistò = Duchessa Donna Caterina Pescara di Diano dei Marchesi di Castelluccio.
D1. Donna Candida (+ bambina 29-04-1744; sepolta nel Convento di Tortora); Nobildonna di Cava;
D2. Don Saverio (nato morto a Tortora 05-03-1749; sepolto nel Convento di Tortora); Nobile di Cava;
D3. Don Carlo, Francesco Luigi Maria (* Tortora 25-12-1751); Nobile di Cava;
D4. Don Gaetano (* Napoli il 17-09-1746); Cavaliere dell’Ordine di Malta (1788); Nobile di Cava;
D5. Donna Maria Giuseppina (* Tortora 16-03-1753); Nobildonna di Cava;
D6. Don Luigi, Maria Prospero Paolo Gennaro (* Tortora 25-06-1754, + 22-1-1755); Nobile di Cava;
D7. Don Raffaele, Prospero Raimondo Maria (* Tortora 22-12-1755); Nobile di Cava; = 8-6-1769 Evarista Giudice, figlia di Domenico, patrizio napoletano del seggio di Nido.
D8. Don Francesco Nicola; 4° Barone di Tortora (24-02-1768), poi 1° Marchese (dal 1782);
E1. Don Alessandro (+ 1822); 2° Marchese di Tortora; Donna Carmela Bonito (che il 5-9-1824 sposò Ferdinando de Vargas Machuca, che ereditarono i titoli di famiglia).
C3. Agnello Bartolomeo Maria Francesco (* 10-09-1702); Nobile di Cava;
B2. Agnello; Nobile di Cava; dottissimo giureconsulto;
A2. Nicola; Nobile di Cava; procuratore per il fratello Diego nell’acquisto di Tortora (per procura del 16-07-1692);
IL PAST GOVERNATORE AVV. PINUCCIO VINELLI FA ONORE A TUTTI I LIONS...PUGLIESI.
Vi invio alcune foto del Centro Polifunzionale costruito dai Lions a Casalnuovo Monterotaro.
Siamo ormai in dirittura d'arrivo.
Per lunedì 30 giugno p.v. sono stati convocati nella nuova struttura il Comitato Casalnuovo Monterotaro, la Consulta dei Past Governatori ed il Gabinetto Distrettuale.
Alle ore 12:00 ci sarà un incontro con le autorità provinciali e locali.
Ci aspetteranno il Presidente della Provincia On. Antonio Pepe, il Sindaco, il Parroco ed il Maresciallo con tutte le altre autorità del Paese.
Siete tutti invitati all'evento.
L'inaugurazione ufficiale avverrà a settembre e ne avrete comunicazione per tempo dai nuovi organi distrettuali.
Vi comunico alcuni dati (ancora non definitivi): costo della costruzione € 385.000,00 - fondi raccolti € 350.000,00 - residuo da pagare entro 8 mesi dalla consegna del manufatto. Dobbiamo fare ancora un piccolo sforzo. Occorre, come sempre, la collaborazione di tutti.
Vi invio alcune foto della struttura scattate sabato scorso.
Vi invio ancora una mappa stradale, per coloro che vengono con l'autostrada, per raggiungere Casalnuovo. Chi viene da Foggia deve andare per Lucera.
Vi comunico, infine, le coordinate IBAN del c/c presso la Banca Popolare di Puglia e Basilicata intestato a Lions Clubs International pro Casalnuovo Monterotaro IT 16 Y 05385 15700 000006278992, sul quale potranno essere versati eventuali contributi, previa consegna di una copia del bonifico al Governatore.
Vi prego di diffondere la notizia ai Clubs ed a tuttii Lions del Distretto.
Vi abbraccio. Grazie ancora per la Vostra collaborazione.
Pinuccio
P.S. Ricordatevi: ""I veri vincitori nella vita sono i sognatori che non hanno mai mollato"".