FISCAL COMPACT DA ROTTAMARE!
di Antonio Laurenzano
Indietro tutta! Il Fiscal compact
con le sue regole ferree sulla disciplina di bilancio siglato nel gennaio 2012
è da “rottamare”. E’ la sfida che Matteo Renzi lancia all’Ue dalle pagine del
suo libro “Avanti”, uscito in questi giorni con non poco clamore mediatico. “Ritornare
per cinque anni ai parametri di Maastricht con deficit di bilancio al 2,9% per
avere a disposizione almeno 30 miliardi di euro per ridurre la pressione
fiscale e rimodellare le strategie di crescita in funzione del debito, perché
di Fiscal compact e di austerity si muore!”
Fu infatti un “patto scellerato”,
secondo Renzi, quello sottoscritto dai Governi europei (Gran Bretagna e
Repubblica Ceca esclusi) in conseguenza della crisi economica dei debiti
sovrani. Un patto di bilancio che consolidò la politica del rigore imponendo alle
asfittiche economie dei Paesi del Sud Europa, Italia in testa, vincoli ancor
più rigidi rispetto a quelli del Patto di stabilità del 1997: obbligo di non
superare la soglia del deficit strutturale caso di deficit eccessivo. E inoltre, la clausola capestro per i nostri
conti pubblici, la “regola del debito”: obbligo di ridurre il rapporto
debito/Pil superiore al 60% di 1/20 all’anno, ovvero un esborso di 50 miliardi
di euro ogni dodici mesi! Una misura insostenibile. Dulcis in fundo, la “regola
d’oro” del pareggio del bilancio dello Stato, sancito con norma costituzionale
che in Italia fu approvata quasi all’unanimità da Camera e Senato nel dicembre
2012, con la riformulazione dell’art. 81 della Costituzione.
Sulla legittimità del Fiscal
compact si sono sollevati nel tempo critiche e forti riserve. Non è stato
sottoscritto nel quadro di un Trattato europeo, ma al di fuori. Si tratta cioè di
un accordo intergovernativo, non avente valore costituzionale, che non potrebbe
in alcun modo modificare i Trattati dell’Ue, in primis quello di Maastricht che
non prevede né il pareggio di bilancio, né l’abbattimento annuale del debito di
1/20! Modifiche che richiederebbero il varo di un nuovo Trattato da sottoporre
al vaglio delle varie Assemblee parlamentari.
Ed è proprio su questo punto che
Matteo Renzi gioca la sua sfida. Per recuperare al patto di bilancio ogni
legittimità ed evitare quindi che possa essere impugnato davanti alle sedi
competenti, uno specifico impegno assunto a livello comunitario dai Paesi
firmatari del 2012 prevede l’inserimento del Fiscal compact nei Trattati
europei con relativa ratifica dei singoli Parlamenti nazionali entro il
prossimo dicembre. Da qui la pressione dell’ex premier sul Parlamento affinchè
non sia dato semaforo verde alla ratifica che di fatto potrebbe ipotecare
pesantemente lo sviluppo economico e la crescita del Paese. “Rottamare” dunque
il Fiscal compact e recuperare la visione keynesiana della politica economica
del Trattato di Maastricht, ammettendo un deficit pari al 2,9% del Pil e quindi
l’idea che sia possibile finanziare con l’indebitamento la spesa per
l’investimento e, in prospettiva, ridurre il debito. E’ il principio della
“flessibilità virtuosa” ideato dall’ex
ministro del Tesoro Guido Carli, figura centrale nel varo del Trattato.
Ma la ricetta renziana “più
deficit, meno debito” è stata clamorosamente bocciata a Bruxelles. “Vogliamo
un’Italia credibile, che rispetta le regole di bilancio dell’unione monetaria
nell’interesse del Paese e delle future generazioni”, ha dichiarato Pierre
Moscovici, commissario europeo agli affari economici. Netta la replica di Renzi: “Ma è possibile che l’Europa ci dica
cosa fare e poi non è in grado di mantenere gli impegni per la relocation dei
migranti?” E’ appena iniziato un difficile confronto fra Italia e Ue su un tema
strettamente legato al futuro della nostra economia e quindi della prossima
legislatura. Un braccio di ferro che nasconde molte insidie, non ultima quella
di carattere elettorale.
Quale che sia la sorte della
proposta di Matteo Renzi, sarebbe un salto di qualità nel dibattito politico
italiano se, al posto delle sterili polemiche sulle alleanze post-elettorali e
delle stucchevoli manfrine nei salotti televisivi, partiti e movimenti
concentrassero finalmente i loro interventi su una questione di primaria
importanza: la politica economica da perseguire per sostenere la crescita ma
anche per ridurre il diffuso e profondo disagio sociale che in Italia, come nel
resto dell’Unione europea, alimenta pericolosamente le derive populiste e
sovraniste! La posta in gioco è alta! Bisognerà ora vedere quanto le pressioni
e le minacce d’infrazione che arrivano da Bruxelles potranno influenzare
l’esito di una discussione interna alla politica nazionale davvero essenziale
per l’incerto quadro economico-politico del Paese. La caccia al voto lasci il
posto a una responsabile azione di governo!