Ordini Cavallereschi Crucesignati

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venerdì 14 luglio 2017

FU UN PATTO SCELLERATO, SECONDO RENZI....



                                   FISCAL COMPACT DA ROTTAMARE!
                                                           di  Antonio Laurenzano
Indietro tutta! Il Fiscal compact con le sue regole ferree sulla disciplina di bilancio siglato nel gennaio 2012 è da “rottamare”. E’ la sfida che Matteo Renzi lancia all’Ue dalle pagine del suo libro “Avanti”, uscito in questi giorni con non poco clamore mediatico. “Ritornare per cinque anni ai parametri di Maastricht con deficit di bilancio al 2,9% per avere a disposizione almeno 30 miliardi di euro per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita in funzione del debito, perché di Fiscal compact e di austerity si muore!”
Fu infatti un “patto scellerato”, secondo Renzi, quello sottoscritto dai Governi europei (Gran Bretagna e Repubblica Ceca esclusi) in conseguenza della crisi economica dei debiti sovrani. Un patto di bilancio che consolidò la politica del rigore imponendo alle asfittiche economie dei Paesi del Sud Europa, Italia in testa, vincoli ancor più rigidi rispetto a quelli del Patto di stabilità del 1997: obbligo di non superare la soglia del deficit strutturale  caso di deficit eccessivo.  E inoltre, la clausola capestro per i nostri conti pubblici, la “regola del debito”: obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil superiore al 60% di 1/20 all’anno, ovvero un esborso di 50 miliardi di euro ogni dodici mesi! Una misura insostenibile. Dulcis in fundo, la “regola d’oro” del pareggio del bilancio dello Stato, sancito con norma costituzionale che in Italia fu approvata quasi all’unanimità da Camera e Senato nel dicembre 2012, con la riformulazione dell’art. 81 della Costituzione.
Sulla legittimità del Fiscal compact si sono sollevati nel tempo critiche e forti riserve. Non è stato sottoscritto nel quadro di un Trattato europeo, ma al di fuori. Si tratta cioè di un accordo intergovernativo, non avente valore costituzionale, che non potrebbe in alcun modo modificare i Trattati dell’Ue, in primis quello di Maastricht che non prevede né il pareggio di bilancio, né l’abbattimento annuale del debito di 1/20! Modifiche che richiederebbero il varo di un nuovo Trattato da sottoporre al vaglio delle varie Assemblee parlamentari.
Ed è proprio su questo punto che Matteo Renzi gioca la sua sfida. Per recuperare al patto di bilancio ogni legittimità ed evitare quindi che possa essere impugnato davanti alle sedi competenti, uno specifico impegno assunto a livello comunitario dai Paesi firmatari del 2012 prevede l’inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei con relativa ratifica dei singoli Parlamenti nazionali entro il prossimo dicembre. Da qui la pressione dell’ex premier sul Parlamento affinchè non sia dato semaforo verde alla ratifica che di fatto potrebbe ipotecare pesantemente lo sviluppo economico e la crescita del Paese. “Rottamare” dunque il Fiscal compact e recuperare la visione keynesiana della politica economica del Trattato di Maastricht, ammettendo un deficit pari al 2,9% del Pil e quindi l’idea che sia possibile finanziare con l’indebitamento la spesa per l’investimento e, in prospettiva, ridurre il debito. E’ il principio della “flessibilità virtuosa” ideato  dall’ex ministro del Tesoro Guido Carli, figura centrale nel  varo del Trattato.
Ma la ricetta renziana “più deficit, meno debito” è stata clamorosamente bocciata a Bruxelles. “Vogliamo un’Italia credibile, che rispetta le regole di bilancio dell’unione monetaria nell’interesse del Paese e delle future generazioni”, ha dichiarato Pierre Moscovici, commissario europeo agli affari economici. Netta la replica di  Renzi: “Ma è possibile che l’Europa ci dica cosa fare e poi non è in grado di mantenere gli impegni per la relocation dei migranti?” E’ appena iniziato un difficile confronto fra Italia e Ue su un tema strettamente legato al futuro della nostra economia e quindi della prossima legislatura. Un braccio di ferro che nasconde molte insidie, non ultima quella di carattere elettorale.  
Quale che sia la sorte della proposta di Matteo Renzi, sarebbe un salto di qualità nel dibattito politico italiano se, al posto delle sterili polemiche sulle alleanze post-elettorali e delle stucchevoli manfrine nei salotti televisivi, partiti e movimenti concentrassero finalmente i loro interventi su una questione di primaria importanza: la politica economica da perseguire per sostenere la crescita ma anche per ridurre il diffuso e profondo disagio sociale che in Italia, come nel resto dell’Unione europea, alimenta pericolosamente le derive populiste e sovraniste! La posta in gioco è alta! Bisognerà ora vedere quanto le pressioni e le minacce d’infrazione che arrivano da Bruxelles potranno influenzare l’esito di una discussione interna alla politica nazionale davvero essenziale per l’incerto quadro economico-politico del Paese. La caccia al voto lasci il posto a una responsabile azione di governo!