Ordini Cavallereschi Crucesignati

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venerdì 4 gennaio 2008

Dicono che: "I Prof. ne sanno meno degli allievi..."

di Angelo Scialpi

“I prof ne sanno meno degli allievi”, dicono, visto che, dal questionario OCSE, si evince che soltanto il 36% sa perché la pasta lievita. Di qualche giorno fa la notizia secondo la quale gli studenti non sanno il perché della notte e del giorno.
Ci sarebbero tante altre cose che né gli uni, né gli altri conoscono! Specialmente se andiamo a considerare le innovazioni scientifiche e tecnologiche, ma anche legislative, che quotidianamente vengono ad aggiungersi al vivere moderno. In tante altre categorie molti non sono in grado di svolgere le proprie mansioni adeguatamente, non riescono a collegarsi con gli altri, non si applicano con quella attenzione tipica dell’agire per responsabilità e con razionalità, forse perché non adeguatamente formati alle esigenze moderne. In un ufficio, spesso, ognuno sa a modo suo e agisce, più o meno, a modo suo, ma pochissimi hanno la visione generale della utilità di ogni singola operazione compiuta. Se chiedi una informazione capita spesso di doversi rivolgere a più persone della stessa categoria per comprendere il giusto comportamento. Il decentramento della pubblica amministrazione custodisce l’obiettivo prezioso di avvicinare lo stato al cittadino, ma molto spesso è condizionato delle competenze individuali.
Mi piace allungare lo sguardo oltre e verificare come la formazione e la istruzione altro non sono che la opportunità di poter fruire della utilità di qualcuno che ama vivere in modo consapevole e dispone della parte migliore di se, cioè della propria ragione.
I media affermano che per i prof il risultato è nella scarsa preparazione degli allievi; per i medici nella malasanità; per gli amministratori locali nella appartenenza e non nella competenza; per i politici nei bisogni e nei privilegi eccessivi; per i teleoperatori nello share e nella spettacolarità del prodotto, a prescindere dal pudore, dalla lingua, dai costumi e da tanto altro; per gli industriali, i bancari e gli assicuratori l’obiettivo è esclusivamente nel guadagno, senza tener conto dei salari e sfruttando, l’ormai generalizzato made in Cina. Forse molte cose potrebbero migliorare se si considerasse l’equità dei salari, ma anche l’attribuzione dei mezzi necessari per svolgere adeguatamente il ruolo sociale che necessita per un miglioramento generalizzato. Oggi tutti sono utili e necessari, grazie alla complessità dei concetti che investe ogni settore con la stessa scientificità.
Io non so se sia giusto mettere alla gogna singole categorie (sembrano quasi tutte in difficoltà, tranne gli apparati forti) quando l’agire epistemico, molto necessario nei tempi moderni, è del tutto scomparso e per cui si preferiscono le corsie uniche preferenziali.
Per fortuna qualcuno si è accorto dei salari, sufficienti per acquistare il made in Cina, ma ormai insufficienti per pagare i diritti imposti, i servizi e i tanti imprevisti che non risparmiano nessuno.
La questione mi tocca non poco, non perché sono un prof., (cosa di cui ne sono fiero) ma perché mi vado chiedendo da tempo il perché del declino dei saperi della collettività, in genere, e degli studenti in particolare, visto che al liceo si arriva senza adeguati saperi, alla università pure, al posto di lavoro pure. Mancano i controlli, le verifiche? Se mancano chi li fa o chi li potrebbe fare? Un bravo giovane (e ce ne sono, anche se sono insufficienti al giorno d’oggi) afferma che per essere giudicati occorre una scelta di persone tra simili. Questo, purtroppo, non sempre accade, anzi si preferisce, in molti casi, la mediocrità che è meglio gestibile.
Persino in riunioni di persone di un rango superiore avviene che, oltre i convenevoli, domina il silenzio e il compiacimento della appartenenza. Nessuno che osa esprimere una idea, un suggerimento, un concetto. Come nessuno osa esprimere un commento costruttivo sull’andamento generale delle cose, responsabilmente. Che cosa significa tutto questo?
Credo che ci sia bisogno di una presa di coscienza generale che parta dalla consapevolezza del rispetto della persona, ponendola nelle condizioni sostenibili di essere e di esistere nel proprio ambiente ordinato e strutturato. La questione è globale e investe certamente molti strati sociali e molti settori della vita pubblica. Ma questo non è una giustificazione, semmai un aggravante. La Campania alle prese con la spazzatura, mentre (notizia dell’ultima ora) i parlamentari si aumentano lo stipendio di € 200, nonostante le denunce e i buoni propositi; gli statali aspettano gli arretrati (tra cui i prof) e fuori fa freddo, molto freddo!
Seneca diceva: "Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur" (vive colui che é di utilità a molti, vive colui che può usare se stesso).

martedì 1 gennaio 2008

O.S.M.I.T.H. - Gran Priorato d'Italia

"La gente è più propensa a credere alle storie che alla Storia" (Anonimo)

Il Pensiero di un Templare
Intervento del Dott. Claudio Santori (Ordo Supremus Militaris Templi Hierosolymitani – Commenda di Roma), che ringrazio per il gradito e pertinente apporto.

Molti studiosi, pur partendo da presupposti diversi e argomentando da diversi punti di vista, hanno convenuto sul fatto che la Massoneria assunse le sue origini dal Templarismo.
D’altra parte, al di là di quanto generalmente affermato dalla tradizione storica, non appare credibile che i Templari, dei quali erano note le elevate attitudini e le capacità organizzative come pure l’alta qualità del loro addestramento, non siano sopravvissuti al processo promosso da Filippo il Bello agli inizi del Trecento e al successivo scioglimento (rectius: sospensione) dell’Ordine decretato nel concilio di Vienne del 1312 da Papa Clemente V.

Può essere invece verosimile che essi abbiano inizialmente operato nella clandestinità, continuando ad avvalersi di quelle tradizioni e conoscenze ‘segrete’ tramandate oralmente, di cui i cavalieri erano depositari e delle quali, come anche riferisce Barbara Frale nel suo recentissimo libro ‘I Templari’, ‘nella normativa ufficiale non esisteva altro che un’impercettibile allusione’.

Tra questi ‘segreti’ sono citati da ricercatori il rituale d’ingresso (assimilabile ad una ‘iniziazione’) nonché conoscenze che presumibilmente comprendevano quelle, scientifiche, di vecchi alchimisti e pratiche derivanti da tradizioni esoteriche orientali.

Anche la Massoneria, in origine, aveva riti di iniziazione solenni ed era interessata allo stesso tipo di conoscenze sulla geometria sacra, l’alchimia e l’occultismo di cui si occupavano i Templari, come si ricorderà più avanti.

Pare comunque acclarato che i primi riferimenti ufficiali della Massoneria risalgano ad epoca successiva al 1640, il che porterebbe ad avallare una soluzione di continuità tra quella e i Templari. Ma alcuni ricercatori (John J. Robinson, per esempio) riferiscono di prove dell’esistenza di ‘logge’ già nel 1380.

Ad ogni buon conto, un tipico esempio quanto meno della ‘comunanza’ di alcune componenti, anche se solo ‘ideologiche’, fra le due confraternite può essere rinvenuto nel simbolismo della Cappella Rosslyn, in cui fu sepolto uno dei cavalieri che combatté nella battaglia di Bannockburn (24 giugno 1314) a fianco di Robert Bruce, vinta dagli scozzesi contro gli inglesi.

Tutta la costruzione, infatti, pare progettata secondo i principi della geometria sacra e l’interno è scolpito di simboli che appartengono in parte al simbolismo massonico (vedi ad es. la ‘colonna dell’apprendista’), in parte a quello templare (pianta ispirata alla croce templare, sculture con l’immagine di due uomini su un solo cavallo).

In base a questi e ad altri elementi, spesso supportati da documenti storici utilizzati a base di argomentazioni a sostegno, si è addivenuti alla conclusione di una più o meno diretta discendenza fra i due Ordini. Non pare, tuttavia, comunque si valuti il contenuto di verità di singole teorie, che si possa tuttora operare sul terreno sicuro delle affermazioni scientifiche e verificabili. Tutto, ad oggi, resta e in ogni caso si sviluppa, sul piano, sempre incerto, della speculazione.

Alcune diramazioni della Massoneria continuano a dichiararsi discendenti dai Templari, segnatamente in Scozia, ma pochi storici hanno avallato tali pretese. Verosimilmente non c’è stato un vero e proprio passaggio di consegne, ma appunto la comunanza di molti saperi esoterici diversi potrebbe fare forse presumerne l’eredità.
Vale peraltro la pena di ricordare che all’interno di questi ‘saperi’ i Templari avevano sviluppato anche conoscenze, insolite per l’epoca, su materie quali la geometria e l’architettura sacra, dei cui principi troviamo applicazione nelle cattedrali gotiche, nonché sull’astronomia, la chimica, la cosmologia, la navigazione, la medicina e la matematica.

Tali conoscenze, che pare ricomprendessero anche l’alchimia, sul cui terreno si trattavano i segreti della vita e della rigenerazione fisica se non dell’immortalità, non erano comunque facili da acquisire: per cui chi intendeva guadagnarsi la conoscenza doveva assolutamente superare i difficili stadi dell’iniziazione progressiva.

D’altro canto – mi si perdoni il breve ‘fuori tema’ – se è pur vero che il ‘mistero iniziatico’ può generare sospetto, lo è altrettanto il fatto che all’enorme maggioranza della gente non appartiene il desiderio di conoscere. Basta osservare come vivono le persone, ciò che costituisce lo scopo della loro esistenza, qual’è l’oggetto dei loro desideri, delle loro passioni e aspirazioni, quali sono i loro pensieri, quali gli argomenti di loro interesse e di cosa generalmente parlano. Nessuno, io credo, nasconde nulla. Ma l’acquisizione della vera conoscenza esige partecipazione, grande fatica e grandi sforzi. E un esame obiettivo dell’uomo medio, dei suoi interessi, di ciò che riempie le sue giornate, ne dimostra evidentemente l’incapacità.

Ma, tornando al tema, e al di là dell’indubbio fascino che, diversamente da altri Ordini di natura pressoché simile, i Templari esercitano ancora oggi sulla gente, due loro idee continuano a vivere: 1) provenendo dalle più diverse regioni d’Europa per l’esecuzione di un compito comune, l’Ordine simboleggia, più di molte altre organizzazioni, un’Europa unita; 2) l’idea del cavaliere-monaco sopravvive, sia pure in forma molto diversa, in quella del militante del volontariato in Europa.

Oggi essere Templari rappresenta un modo di essere e di concepire i rapporti con gli altri fondati sul rispetto della personalità dell’uomo; è cercare di migliorare la società in cui viviamo con l’esempio del buon vivere; è, in un certo senso, fare e sviluppare cultura, che costituisce il più straordinario strumento di libertà; è anche mantenere alto uno spirito umanitario che significa solidarietà verso le persone che ne hanno bisogno.
Anche la Massoneria moderna, pur restando generalmente accomunata a quella antica dal substrato simbolico dell’Ordine, ha avuto una sua evoluzione, sviluppando una molteplicità di indirizzi, di cui quelli umanistici e fraterni paiono, allo stato, predominanti.

Questo scritto vuole essere un contributo di attenzione e di riflessione su un tema per certi versi anche intrigante, concernente due Ordini che, al di là delle rinvenute ‘comunanze’ hanno comunque esercitato un’enorme influenza sulla cultura occidentale. Ci si augura che possa essere di stimolo per ulteriori interventi: ‘hoc erat in votis?.
Tratto da quaderni di Serenamente-S.O.M.I.

domenica 30 dicembre 2007

Giungemmo puri, finimmo impuri (Omar Khayyàm)

Il Grande "Viaggio"

MMDCCLVII – Febbruarius XV Kal
Oggi, nel pieno della stagione delle purificazioni, ritengo importante e doveroso per il bene dell’Ordine, attirare l’attenzione di chi ascolta e sa sentire, sulla gravità di comportamenti che non permettono all’armonia interna di svilupparsi e fluire naturalmente, che non permettono di esportare all’esterno il rigore e l’esemplarità capaci di incidere e modellare ulteriori pietre grezze.
Voglio per questo raccontare di un giovane che venne a conoscenza in un testo di Wirth che l’Arte Reale aveva tra i suoi principi quello di vivere l’esistenza in maniera esemplare, evitando di cadere vittime dell’ignoranza, del fanatismo e dell’ambizione. Quella lettura e l’incontro con un maestro ravvivarono nel giovane la luce ancora flebile e latente; pian piano l’orizzonte si aprì al redivivo viandante, che cominciò a vedere oltre il semplice guardare. Il giovane a questo punto, cercò, chiese e affrontò liberamente la nuova morte spogliandosi dei metalli e riprese il cammino con i suoi antichi fratelli di viaggio, nel rispetto della tradizione.
Egli subito si rese conto delle difficoltà del viaggio, si rese conto che le avversità erano molteplici, e venivano più dal proprio interno e dalla propria area di intervento che non dall’esterno; aveva difficoltà ad avanzare come normalmente farebbe qualunque altro, con semplicità mettendo un passo dietro l’altro; non riusciva a scrollarsi delle cose che lo opprimevano: una dentro di lui e una subito addosso a lui stesso, come fosse una doppia pelle.
A causa della stanchezza dovuta allo sforzo fatto per continuare ugualmente ad avanzare, si fermò e ormai lacero nel fisico decise di sedersi e riposare: “Starò qui solo per poco, il tempo di riprendere fiato” sussurrò a se stesso, ma cadde in un sonno profondissimo che durò a lungo.
Al suo risveglio, si trovò a fare i conti con un orizzonte che si era oltremodo allontanato, non riusciva a vedere bene e cominciò anche a sentire meno, realizzò che i suoi sensi andavano gradualmente perdendo forza. Lo sforzo per vedere e sentire lo astrasse dalla realtà e non si rese conto di essere osservato da tempo; solo per caso, alzando gli occhi verso un albero vicino, vide un uccello di dimensioni medie, colorato in maniera viva ma al contempo sobria, che accortosi di essere stato visto, girando e rigirando la testa volò via leggero come l’aria dopo essersi dato lo slancio consueto. In quel momento ebbe la sensazione di aver capito, di aver trovato finalmente la soluzione al problema che lo andava affliggendo da tempo: il peso. Lui era pesante, pesantissimo e se avesse continuato ad essere tale non solo non avrebbe mai volato (come sognava), ma non sarebbe riuscito neanche a fare molta strada con i piedi in terra, che del resto era il modo naturale e più congeniale a lui per spostarsi. Capì che doveva fare qualche cosa per essere più leggero... Capì che si era liberato solo dei metalli esteriori e superficiali intorno a lui ma non dei propri metalli interiori.
Questa verità anziché intristirlo e renderlo malinconico per il fallimento svelato, lo mise di buon umore, lo rese allegro, tanto allegro che scoppiò i una risata fragorosa, talmente forte da richiamare l’attenzione dei suoi fratelli, i quali, non tanto lontani come lui credeva, lo raggiunsero. Levatosi in piedi li guardò uno ad uno... e la risata divenne generale, la felicità avviluppò tutta la compagnia, tutti furono felici per un fratello che si era spogliato veramente dei metalli, di tutti i metalli.
Al giovane fu chiarito che “Spogliarsi dei metalli” non significa solamente rinunciare ad essi, significava soprattutto scegliere liberamente un modo di essere per essere privi di qualsiasi cosa potesse influenzare negativamente l’energia necessaria a svolgere il lavoro che aveva scelto di fare in assoluta libertà e per propria volontà.
Come il giovane del racconto, noi tutti dobbiamo lasciarci definitivamente alle spalle i metalli che ci impediscono di essere dei buoni apprendisti.
L’ignoranza, che ci trasforma in semplici portatori di insegne, fregi e cariche con la presunzione di essere per questo illuminati dalla verità;
Il fanatismo, che induce a controllare maggiormente gli altri fratelli piuttosto che noi stessi e in più ci spinge a proporci come modelli da imitare;
L’ambizione, che sfruttando e utilizzando l’ignoranza e il fanatismo solo per fini personali, ostacola il percorso verso il compimento della nostra propria “Grande Opera”; l’ambizione figlia dell’orgoglio e dell’egocentrismo, madre della vanità, che pian piano soffoca il fuoco della conoscenza per dare spazio ad una illusoria ed effimera luce opaca.

Per essere iniziati degni di definirsi tali, si deve lavorare su se stessi con gli altri e per gli altri, si devono modestamente mettere a disposizione le proprie energie per il bene comune, affinché vi sia uno scambio vero ed effettivo, cosciente e consapevole, il solo in grado di farci pervenire alla luce.
Per noi iniziati non c’è e non deve esserci posto per quei metalli rappresentati da sentimenti e da emozioni che influenzano le nostre coscienze solo per soddisfare il nostro proprio ego.
Vigili e attenti, nel rispetto e per la continuità della tradizione che ci è stata tramandata e di cui ci siamo liberamente fatti carico, applicando una semplice logica matematica e una ordinata disciplina, dobbiamo saper distinguere senza emozioni e senza sentimenti superflui ciò che è giusto e ciò che non è giusto per il bene dell’Ordine, che altri non è se non il bene universale, rappresentato dall’Eterna Essenza dell’Essere insita e viva in ogni forma vivente e apparentemente non vivente, presente nell’universo... che continuamente e costantemente si manifesta a noi tutti.
Tratto dai Quaderni di Serenamente- S.O.M.I.

IPSE DIXIT-Massoni e/o Templari massoni?

Sulla Massoneria e sui Cavalieri del Tempio esistono così tante leggende ed ipotesi, non adeguatamente supportate da riscontri scientifici, che nulla vieta di aggiungerne altre, partendo da alcuni riscontri obiettivi e, transitando poi, tra le nebbie della suggestione.

I nove cavalieri che si presentarono a re Baldovino non erano guerrieri in senso stretto e, infatti, non furono aggregati alle truppe combattenti; non erano portatori di un messaggio religioso ed erano sconosciuti all’autorità ecclesiastica di Gerusalemme (non avevano, infatti, messaggi per essa) né si erano curati di intraprendere relazioni con i Cavalieri del Santo Sepolcro che già erano a Gerusalemme.

Erano cadetti di famiglie nobili che vestivano le insegne francesi ed esibivano la Croce di Lorena e, forse, cercavano un loro spazio all’estero. Furono alloggiati nelle stalle annesse al Tempio di Salomone e ben presto iniziarono a scortare i pellegrini che sbarcavano in Terra Santa, accompagnandoli ai luoghi sacri e contemporaneamente iniziarono a lavorare per migliorare la loro sede.

Uomini operativi, senza dubbio cavalieri, ma anche scudieri, cappellani, maniscalchi, factotum e, dal Sinodo di Troyes del 1128, grazie a San Bernardo di Chiaravalle che li doterà di una Regola, anche guerrieri cristiani (nova militia). Secondo Matthew Paris, parteciparono per la prima volta ad una battaglia contro i musulmani solo nel 1133.

Papa Eugenio III (1145-53) li autorizzò ad esibire la Croce cristiana e, grazie a ciò, poterono pienamente essere definiti “militia Christi”, assumendo, cioè, il titolo che Papa Urbano II (1088-99) aveva attribuito ai partecipanti alla prima Crociata.

I Cavalieri, che divennero abili e temuti combattenti, erano Templari “di prima categoria”, quelli che dovevano avere nobili origini e che pronunciavano i voti di castità, obbedienza e comunione dei beni.

L’Ordine, come qualsiasi esercito o comunità organizzata, non poteva sopravvivere senza la logistica, l’amministrazione, le relazioni pubbliche, lo sviluppo, i dirigenti ecc. e, come in qualsiasi esercito i vari reparti avevano un loro ruolo ed un loro spazio, creando un cameratismo interno che distingueva gli uni dagli altri. I guerrieri ed i capi, generalmente nobili di estrazione elitaria, rappresentativi della migliore società; gli altri, invece, scelti anche in virtù della capacità di soddisfare le esigenze concrete ed ordinarie della comunità.

Questo “sottobosco”, secondo alcuni, finì col dotarsi di regole proprie, parallele e segrete, alla stregua di quanto facevano, in quei tempi, le corporazioni di mestiere in Europa. Quando il loro esercito non servì più, per l’abbandono della Terra Santa, ed anzi fu malvisto da molti Signori dell’epoca che non gradivano un potere militare forte, alternativo a quello loro, furono proprio i rappresentanti non militari ad essere “meglio visti” e questi, vedendo esaltato il loro ruolo, penetrarono più facilmente nei ranghi della nomenclatura civile che diventava sempre più “borghese” e, in conseguenza della loro ascesa sociale, acquisirono anche all’interno dell’Ordine Templare quel prestigio che antecedentemente apparteneva solo ai Cavalieri.

Il passaggio successivo fu che i sapienti, gli scienziati, gli artigiani e gli operativi Templari, divennero contigui ai “colleghi” esterni, anch’essi sempre meglio inseriti nella società e, in modo particolare ai Liberi Muratori, la cui presenza, peraltro, era già diffusa all’interno dell’Ordine del Tempio, come dimostra la lapide ( ma non è la sola) con simboli Templari e Massonici, conservata al Museo Rockefeller di Gerusalemme, rinvenuta tra le rovine del castello templare di Athlit in Terra Santa, abbandonato dai Cavalieri nel 1291, e quindi, precedente a tale data. Anche a Teggiano (Campania) in una chiesa recentemente restaurata sono stati riscontrati evidenti simboli Templari e Massonici.

Due documenti, la Charta di Bologna del 1240, ed il Poema Regius del 1350 che fa riferimento a fatti già noti precedentemente, sono Statuti di corporazioni muratorie, dotate di regole non solo operative, tali da far identificare gli aderenti come precursori dei moderni Liberi Muratori = Massoni, cioè di associazioni che perseguivano sia la maestria del fare sia quella dell’essere.

Il Cavaliere cui appartenne la lapide di Athlit non doveva essere certamente un tagliapietre miracolosamente divenuto Cavaliere, ma un Muratore Accettato, cioè uno dei personaggi di elevate qualità che i Muratori affiliavano e iniziavano all’arte spirituale e metodologica massonica, ed era inoltre qualcuno che attribuiva tanta importanza alla Massoneria da desiderare che sulla sua lapide di Templare apparisse quel simbolo accanto a quello di Povero Cavaliere di Cristo.

Come dimenticare poi, il bassorilievo nella Cappella di Rosslyn (sotto riprodotto) in cui molti riconoscono un Templare che conduce un Massone all’Iniziazione? Il Templare lo conduce in qualità di Esperto (= ufficiale massonico); si ricordi inoltre, che l’Iniziazione Massonica può, e poteva, essere concessa solo da un Maestro Venerabile, unico autorizzato a conferire l’ Iniziazione Massonica.

I Templari non militari furono quelli che più facilmente si salvarono, grazie soprattutto alla loro minore visibilità e all’aiuto che ricevettero dai tanti amici e parenti e dalle Corporazioni di Mestiere che cominciavano ad affermarsi, in virtù delle ricchezze acquisite, come classe alternativa alla nobiltà ed al clero, anticipando l’inarrestabile futura crescita della borghesia. La capacità dei “sopravvissuti” Templari di inserirsi nella vita quotidiana della società cittadina, ricavando sostentamento e prestigio dalle loro abilità, fu determinante per la loro salvezza.

Questi Templari, meno noti e più facilmente confondibili al resto della popolazione, da soli o forse insieme ad alcuni Templari militari, sarebbero riusciti a fuggire, riparando in Scozia ove, secondo alcuni, ma non ho trovato riscontri in merito, ricostituirono, con la protezione della nobildonna Isabella di Becquart la loro associazione, che però non ebbe più finalità militari né possibilità di crescita esponenziale. Non risulta, peraltro, nessun documento ufficiale in cui re Robert di Scozia abbia ratificato lo scioglimento, o la sospensione, dei Cavalieri Templari esistenti nei suoi territori e sì che avrebbe avuto l’interesse e l’ opportunità, se l’avesse promulgato, a renderlo pubblico. (Baigent & Leigh).

Nel 1309, fatalmente, anche in Scozia iniziarono le persecuzioni: “fu tenuta un’inquisizione a Holyrood e comparvero soltanto due cavalieri perché gli altri erano impegnati a combattere nell’esercito di Bruce, contro gli inglesi”. (Bothwell Gosse). Ed ancora “ci dicono che avendo abbandonato il Tempio, si schierarono sotto le insegne di Robert Bruce e combatterono con lui a Bannockburn. Bruce, in cambio dei loro preziosi servigi, costituì questi Templari in un nuovo sodalizio”. (Haye)

Questo nuovo sodalizio vide l’affermazione dei Templari non militari, che non essendo stati coinvolti nelle guerre tra la Scozia e l’Inghilterra, si unirono ai loro congeneri in tutta la Gran Bretagna, accettando nel loro gruppo anche personaggi di diversa natura (nobili, borghesi, pensatori, ecc.).

Ricordo che, secondo Dom Augustin Calmet, John Claverhous visconte di Dundee era Gran Maestro dell’Ordine dei Templari in Scozia e, quando cadde nella battaglia di Kiliecrankie (1689) indossava la Gran Croce dell’Ordine originale (cioè anteriore al 1307), segno evidente che l’Ordine era a quella data esistente (come continuazione o nuova costituzione?). Il fratello del visconte di Dundee consegnò all’Abbé Calmet la Gran Croce (perché?) e, l’Abate, a sua volta, la consegnò a Lord Mar che succedette al visconte Dundee come Gran Maestro dei Templari di Scozia.

Questi ultimi, che non erano interessati né all’artigianato né al militarismo, favoriti dalla riservatezza cui erano costretti, ma della quale poterono anche giovarsi, trovarono nella sapienzialità e nella libertà di ricerca della conoscenza, il loro fattore unificante, osservando, com’era sempre stato costume dei Templari originari e dei liberi pensatori, abitudini e spiritualità non preconcette, quindi, aperte all’indefessa ricerca della Verità, liberi dai vincoli imposti “da ogni politica e religione” anticipando il futuro ecumenismo.

Conseguentemente il presunto idolo dei Templari, il Bafometto (o la Testa), non sembra essere stato un idolo religioso, piuttosto l’emblema di accoliti uniti dall’interesse per la conoscenza.

Il nome, infatti, deriverebbe etimologicamente da bafè (immersione) e da metis (saggezza) e accrediterebbe l’ipotesi che essi, una volta accolti nell’Ordine dopo aver bussato tre volte ad una porta chiusa (simbolo dell’ignoranza spirituale in cui la materialità ci fa vivere), ricevevano un nuovo “battesimo” simbolico, rinascendo alla fonte della conoscenza, disponendosi così, con l’impegno e l’osservanza del metodo che veniva loro insegnato, ad aspirare alla Conoscenza della Verità.

Anche la Massoneria, dopo che si sia bussato ad una porta chiusa, accoglie i profani nell’Ordine fornendo ad essi un “battesimo” iniziatico che insegnerà loro un metodo operativo: il buon utilizzo degli strumenti personali fisici e spirituali (forza, sensi, ragione, ecc.) allegorizzati da strumenti simbolici, per migliorare se stessi.

Questa metodologia massonica insegnerà all’iniziato, che saprà impegnarsi ed osservare le regole, ad edificare la costruzione del suo tempio spirituale, realizzato il quale potrà essere instradato sulla via che conduce alla ricerca della Conoscenza e della Verità.

Non esistono oggi, e non so se siano mai esistite realmente, promiscuità tra Templari e Massoni; vedo solo affinità, non escludendo che, a livello di singoli e non delle istituzioni, contatti ci siano stati. Entrambe le ideologie percorrono un sentiero ecumenico ed affermano principi e valori etico-solidali sovrapponibili, ma, i primi osservando la centralità dell’insegnamento di Cristo e la Sua Glorificazione, i secondi cercando la centralità spirituale dell’homo faber alla gloria di un difficilmente definibile Ente Supremo.
Tratto dai Quaderni di Serenamente - S.O.M.I. d'Italia

"Il Carlino Periodico Indipendente Di Terra di Bari, Capianata, Terra d'Otranto e Lucania.

Dott. Pietro Vitale
Il Vicedirettore
Il *“Palazzuolo”
Bisceglie Bari

270° anniversario della vittoria di Bitonto.
Sabato 29 maggio 2004, in Bitonto, in concomitanza con la Festa Patronale dell’Immacolata, ad iniziativa de “Il Carlino”, periodico indipendente di Terra di Bari, Capitanata, Terra d’Otranto e Lucania”, diretto da Francesco Laricchia, è stato celebrato il 270° Anniversario della Vittoria delle truppe di Carlo di Borbone su quelle imperiali di Carlo VI d’Asburgo. Infatti il 25 e il 27 maggio 1734 nei pressi della città pugliese si svolse una cruenta battiglia di fanti e cavalieri: da una parte gli Spagnoli comandati dal conte di Montemar, dall’altra gli Austriaci comandati dal principe Pignatelli di Belmonte. Gli imperiali furono completamenti disfatti e presi prigionieri. A seguito dell’evento si arresero tutte le guarnigioni e i castelli del Regno. L’avvento di Carlo al trono di Napoli si stabilizzò definitivamente e il Regno conseghì così la sua piena indipendenza. La manifestazione si è aperta col raduno dei partecipanti presso l’Obelisco commemorativo della Vittoria sito nello spiazzo antistante il Santuario dei SS. Medici. Dopo la Santa Messa in onore dei Caduti celebrata presso la Cripta del Santuario, una corona di fiori è stata deposta sull’Obelisco. Successivamente presso la sala degli specchi del Comune si è svolto un Convegno, presentato da Luciano gentile e condotto da Francesco Laricchia. E’ stato letto un messaggio ben augurante di Carlo di Borbone Due Sicilie. Dopo il saluto del Sindaco Nicola Pice, hanno svolto relazioni: Ulderico Nisticò sulla congiuntura interna e internazionale che accompagnò l’evento; Silvio Vitale sugli aspetti politico-istituzionali; Giuseppe Rella sulle modalità e la portata della battaglia. Tra gli altri studiosi hanno partecipato al convegno ospiti anche: il Cav. Uff. Dott. Pietro Vitale (Cavaliere d’Ufficio del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e Tenente Commissario del Corpo Militare dell’Ordine di Malta), Cesare Linzalone, Marco Messeri Petruzzelli, Giuseppe Giuffreda, Arcangelo Abatantuono, Antonio Stellacci, Giovanni Salemi, Pietro Golia, Armando Calvano e Eduardo Spagnolo. Durante i lavori è rimasto aperto un banco filatelico dotato di annullo commemorativo con al centro lo stemma delle Due Sicilie e, disposte in cerchio, le scritte 70032 BITONTO (BA) 29/05/2004 PT *REGNO DELLE DUE SICILIE 270° ANNIVERSARIO VITTORIA DI CARLO DI BORBONE. Al banco erano altresì in distribuzione quattro cartolline commemorative realizzate da Francesco Laricchia. Le stesse possono essere richieste al n. 080/9372123.
Poiché l’Obelisco della Vittoria che è stato al centro della manifestazione può senz’altro essere considerato il simbolo dell’indipendenza delle Due Sicilie e della memoria della memoria della Dinastia Borbonica, abbiamo chiesto a Ulderico Nisticò di darcene un breve ragguaglio con riferimento alle scritte che figurano ai quattro lati del monumento.
Commento alle iscrizioni:
PHILIPPO V / HISPAN INDIAR (1) SICILIAE / UTRIUSQUE / REGI / POTENTISSIMO / PIO FELICI /QUOD / AFRIS / DOMITIS / NEAPOLITANUM / REGNUM / DEVICTIS / IUSTO / BELLO / GERMANIS / RECEPERIT / ET CAROLO FILIO OPTIMO / ITALICUS PRIDER / DITIONIBUS AUCTO / ASSIGNAVERIT / MONUMENTUM VICTORIAE / PONI LAETANTES / POPULI VOLUERUNT.
Traduzione:
A Filippo V potentissimo pio fortunato re delle Spagne, delle Indie, dell’una e dell’altra Sicilia, poiché, sottomessi gli Africani, riconquistò, vinti in guerra a forze pari i Tedeschi, il regno di Napoli e lo assegnò al figlio Carlo già legittimo dalla volontà degli Italiani di darsi a lui, i popoli festanti vollero che fosse innalzato questo monumento della vittoria.
Tratto da l’Afiere di Napoli, giugno 2004