Ordini Cavallereschi Crucesignati

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domenica 30 dicembre 2007

Giungemmo puri, finimmo impuri (Omar Khayyàm)

Il Grande "Viaggio"

MMDCCLVII – Febbruarius XV Kal
Oggi, nel pieno della stagione delle purificazioni, ritengo importante e doveroso per il bene dell’Ordine, attirare l’attenzione di chi ascolta e sa sentire, sulla gravità di comportamenti che non permettono all’armonia interna di svilupparsi e fluire naturalmente, che non permettono di esportare all’esterno il rigore e l’esemplarità capaci di incidere e modellare ulteriori pietre grezze.
Voglio per questo raccontare di un giovane che venne a conoscenza in un testo di Wirth che l’Arte Reale aveva tra i suoi principi quello di vivere l’esistenza in maniera esemplare, evitando di cadere vittime dell’ignoranza, del fanatismo e dell’ambizione. Quella lettura e l’incontro con un maestro ravvivarono nel giovane la luce ancora flebile e latente; pian piano l’orizzonte si aprì al redivivo viandante, che cominciò a vedere oltre il semplice guardare. Il giovane a questo punto, cercò, chiese e affrontò liberamente la nuova morte spogliandosi dei metalli e riprese il cammino con i suoi antichi fratelli di viaggio, nel rispetto della tradizione.
Egli subito si rese conto delle difficoltà del viaggio, si rese conto che le avversità erano molteplici, e venivano più dal proprio interno e dalla propria area di intervento che non dall’esterno; aveva difficoltà ad avanzare come normalmente farebbe qualunque altro, con semplicità mettendo un passo dietro l’altro; non riusciva a scrollarsi delle cose che lo opprimevano: una dentro di lui e una subito addosso a lui stesso, come fosse una doppia pelle.
A causa della stanchezza dovuta allo sforzo fatto per continuare ugualmente ad avanzare, si fermò e ormai lacero nel fisico decise di sedersi e riposare: “Starò qui solo per poco, il tempo di riprendere fiato” sussurrò a se stesso, ma cadde in un sonno profondissimo che durò a lungo.
Al suo risveglio, si trovò a fare i conti con un orizzonte che si era oltremodo allontanato, non riusciva a vedere bene e cominciò anche a sentire meno, realizzò che i suoi sensi andavano gradualmente perdendo forza. Lo sforzo per vedere e sentire lo astrasse dalla realtà e non si rese conto di essere osservato da tempo; solo per caso, alzando gli occhi verso un albero vicino, vide un uccello di dimensioni medie, colorato in maniera viva ma al contempo sobria, che accortosi di essere stato visto, girando e rigirando la testa volò via leggero come l’aria dopo essersi dato lo slancio consueto. In quel momento ebbe la sensazione di aver capito, di aver trovato finalmente la soluzione al problema che lo andava affliggendo da tempo: il peso. Lui era pesante, pesantissimo e se avesse continuato ad essere tale non solo non avrebbe mai volato (come sognava), ma non sarebbe riuscito neanche a fare molta strada con i piedi in terra, che del resto era il modo naturale e più congeniale a lui per spostarsi. Capì che doveva fare qualche cosa per essere più leggero... Capì che si era liberato solo dei metalli esteriori e superficiali intorno a lui ma non dei propri metalli interiori.
Questa verità anziché intristirlo e renderlo malinconico per il fallimento svelato, lo mise di buon umore, lo rese allegro, tanto allegro che scoppiò i una risata fragorosa, talmente forte da richiamare l’attenzione dei suoi fratelli, i quali, non tanto lontani come lui credeva, lo raggiunsero. Levatosi in piedi li guardò uno ad uno... e la risata divenne generale, la felicità avviluppò tutta la compagnia, tutti furono felici per un fratello che si era spogliato veramente dei metalli, di tutti i metalli.
Al giovane fu chiarito che “Spogliarsi dei metalli” non significa solamente rinunciare ad essi, significava soprattutto scegliere liberamente un modo di essere per essere privi di qualsiasi cosa potesse influenzare negativamente l’energia necessaria a svolgere il lavoro che aveva scelto di fare in assoluta libertà e per propria volontà.
Come il giovane del racconto, noi tutti dobbiamo lasciarci definitivamente alle spalle i metalli che ci impediscono di essere dei buoni apprendisti.
L’ignoranza, che ci trasforma in semplici portatori di insegne, fregi e cariche con la presunzione di essere per questo illuminati dalla verità;
Il fanatismo, che induce a controllare maggiormente gli altri fratelli piuttosto che noi stessi e in più ci spinge a proporci come modelli da imitare;
L’ambizione, che sfruttando e utilizzando l’ignoranza e il fanatismo solo per fini personali, ostacola il percorso verso il compimento della nostra propria “Grande Opera”; l’ambizione figlia dell’orgoglio e dell’egocentrismo, madre della vanità, che pian piano soffoca il fuoco della conoscenza per dare spazio ad una illusoria ed effimera luce opaca.

Per essere iniziati degni di definirsi tali, si deve lavorare su se stessi con gli altri e per gli altri, si devono modestamente mettere a disposizione le proprie energie per il bene comune, affinché vi sia uno scambio vero ed effettivo, cosciente e consapevole, il solo in grado di farci pervenire alla luce.
Per noi iniziati non c’è e non deve esserci posto per quei metalli rappresentati da sentimenti e da emozioni che influenzano le nostre coscienze solo per soddisfare il nostro proprio ego.
Vigili e attenti, nel rispetto e per la continuità della tradizione che ci è stata tramandata e di cui ci siamo liberamente fatti carico, applicando una semplice logica matematica e una ordinata disciplina, dobbiamo saper distinguere senza emozioni e senza sentimenti superflui ciò che è giusto e ciò che non è giusto per il bene dell’Ordine, che altri non è se non il bene universale, rappresentato dall’Eterna Essenza dell’Essere insita e viva in ogni forma vivente e apparentemente non vivente, presente nell’universo... che continuamente e costantemente si manifesta a noi tutti.
Tratto dai Quaderni di Serenamente- S.O.M.I.

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