Ordini Cavallereschi Crucesignati

Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.

giovedì 20 marzo 2008

SPAGNOLI COMANDATI DAL CONTE DI MONTEMAR

Dott. Pietro Vitale
Il Vicedirettore
Il *“Palazzuolo”
Bisceglie Bari

270° anniversario della vittoria di Bitonto.
Sabato 29 maggio 2004, in Bitonto, in concomitanza con la Festa Patronale dell’Immacolata, ad iniziativa de “Il Carlino”, periodico indipendente di Terra di Bari, Capitanata, Terra d’Otranto e Lucania”, diretto da Francesco Laricchia, è stato celebrato il 270° Anniversario della Vittoria delle truppe di Carlo di Borbone su quelle imperiali di Carlo VI d’Asburgo. Infatti il 25 e il 27 maggio 1734 nei pressi della città pugliese si svolse una cruenta battiglia di fanti e cavalieri: da una parte gli Spagnoli comandati dal conte di Montemar, dall’altra gli Austriaci comandati dal principe Pignatelli di Belmonte. Gli imperiali furono completamenti disfatti e presi prigionieri. A seguito dell’evento si arresero tutte le guarnigioni e i castelli del Regno. L’avvento di Carlo al trono di Napoli si stabilizzò definitivamente e il Regno conseghì così la sua piena indipendenza. La manifestazione si è aperta col raduno dei partecipanti presso l’Obelisco commemorativo della Vittoria sito nello spiazzo antistante il Santuario dei SS. Medici. Dopo la Santa Messa in onore dei Caduti celebrata presso la Cripta del Santuario, una corona di fiori è stata deposta sull’Obelisco. Successivamente presso la sala degli specchi del Comune si è svolto un Convegno, presentato da Luciano gentile e condotto da Francesco Laricchia. E’ stato letto un messaggio ben augurante di Carlo di Borbone Due Sicilie. Dopo il saluto del Sindaco Nicola Pice, hanno svolto relazioni: Ulderico Nisticò sulla congiuntura interna e internazionale che accompagnò l’evento; Silvio Vitale sugli aspetti politico-istituzionali; Giuseppe Rella sulle modalità e la portata della battaglia. Tra gli altri studiosi hanno partecipato al convegno ospiti anche: il Cav. Uff. Dott. Pietro Vitale (Cavaliere d’Ufficio del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e Tenente Commissario del Corpo Militare dell’Ordine di Malta), Cesare Linzalone, Marco Messeri Petruzzelli, Giuseppe Giuffreda, Arcangelo Abatantuono, Antonio Stellacci, Giovanni Salemi, Pietro Golia, Armando Calvano e Eduardo Spagnolo. Durante i lavori è rimasto aperto un banco filatelico dotato di annullo commemorativo con al centro lo stemma delle Due Sicilie e, disposte in cerchio, le scritte 70032 BITONTO (BA) 29/05/2004 PT *REGNO DELLE DUE SICILIE 270° ANNIVERSARIO VITTORIA DI CARLO DI BORBONE. Al banco erano altresì in distribuzione quattro cartolline commemorative realizzate da Francesco Laricchia. Le stesse possono essere richieste al n. 080/9372123.
Poiché l’Obelisco della Vittoria che è stato al centro della manifestazione può senz’altro essere considerato il simbolo dell’indipendenza delle Due Sicilie e della memoria della memoria della Dinastia Borbonica, abbiamo chiesto a Ulderico Nisticò di darcene un breve ragguaglio con riferimento alle scritte che figurano ai quattro lati del monumento.
Commento alle iscrizioni:
PHILIPPO V / HISPAN INDIAR (1) SICILIAE / UTRIUSQUE / REGI / POTENTISSIMO / PIO FELICI /QUOD / AFRIS / DOMITIS / NEAPOLITANUM / REGNUM / DEVICTIS / IUSTO / BELLO / GERMANIS / RECEPERIT / ET CAROLO FILIO OPTIMO / ITALICUS PRIDER / DITIONIBUS AUCTO / ASSIGNAVERIT / MONUMENTUM VICTORIAE / PONI LAETANTES / POPULI VOLUERUNT.
Traduzione:
A Filippo V potentissimo pio fortunato re delle Spagne, delle Indie, dell’una e dell’altra Sicilia, poiché, sottomessi gli Africani, riconquistò, vinti in guerra a forze pari i Tedeschi, il regno di Napoli e lo assegnò al figlio Carlo già legittimo dalla volontà degli Italiani di darsi a lui, i popoli festanti vollero che fosse innalzato questo monumento della vittoria.
Tratto da l’Afiere, giugno 2004

IL PARADISO PAGANO DELLE IMMAGINAZIONI

“musica e simbolismo…la figura richiama Orfeo che con la cetra scese nell’Ade per amore di Euridice. Nel Simbolismo il mito greco si mescola con le leggende medievali”

Il Lions Club “Bari Isabella d’Aragona” in collaborazione con altri Clubs Lions sono stati ospiti presso la sede amministrativa del Lions Club Bari Host per una interessante conversazione sul tema:

SIMBOLOGIA DELLA CROCE
VITA MORTE TRASFIGURAZIONE
Ha tenuto la relazione:
Col. Carlo ATTILII
Studioso di simbologia.

Sin dalla più remota primordialità, sia esotericamente che exotericamente, la croce evoca il Cosmo, ma anche il mondo, la vita concreta. Pure il paradiso biblico, con i quattro fiumi che da esso avevano origine, fu rappresentato a forma di croce.
La croce iscritta in un cerchio rappresenta l’ambito del villaggio, dell’abitato, laddove il cerchio, similmente ad un orizzonte locale, delimita lo spazio interno, sicuro, da quello esterno, coltivabile, ma costellato di insidie, e la croce rappresenta i percorsi interni principali. Allo stesso modo, col cerchio viene simboleggiato l’orizzonte terrestre, delimitato dall’oceano che circonderebbe la Terra e che comunque separa un ordine interno dal mondo esterno preda di forze demoniache, mentre la croce rappresenta i suoi punti di riferimento, la sua suddivisione o le quattro direzioni di provenienza riferite alle quattro razze umane (europoidi, mongoloidi, negroidi e australoidi). E ancora: il cerchio rappresenta il Cosmo e la croce le coordinate per orientarsi nello spazio e nel tempo. Una conferma ci viene dal simbolo geroglifico egiziano formato da due strisce incrociate a ics e racchiuse in un cerchio. Dal punto di vista dell’asse verticale, unendo lo zenit al nadir, la croce si pone in un rapporto simbolico con l’asse del mondo, in analogia all’albero, alla montagna, alla freccia. Sull’asse orizzontale la croce taglia qualsiasi superficie in parti uguali. Nel centro delle città romane, per esempio, s’incrociavano le due strade principali: cardo e il decumano. Anche in tempi meno remoti le città erano divise di fatto in quartieri (quattro quarti di una unità). Lo sono ancora oggi, ma, ovviamente, soltanto di nome. I cartografi medievali, che si proponevano di rappresentare schematicamente tutto il mondo, usavano spesso il modulo della croce con Gerusalemme al centro, senza riferimenti al Cristianesimo, bensì rifacendosi all’urbanistica romana. Alcune popolazioni africane credono che i crocevia, e per essi il simbolo della croce, siano da porre in relazione con la separazione tra le strade dei vivi e quelle dei morti. Molti esorcismi o riti magici prevedono l’uso di questi simboli proprio perché viene loro attribuito il potere di immobilizzare gli spiriti, i quali non saprebbero quale strada imboccare.
Croce, cerchio, quadrato. Non serve davvero molta fantasia per associare a questi segni grafici la squadra ed il compasso. La squadra, simbolo di Saggezza, nel quale si conciliano il fattore orizzontale e quello verticale, è ritenuta infatti l’elemento costitutivo del quadrato e della croce (che si formano unendo per il vertice o per le estremità due squadre dai lati uguali).

Ma, cos’è il Simbolismo? il “paradiso” pagano delle dell’immaginazione?

Il grande Goethe immaginava l’esistenza di un regno esoterico in cui le forme sono un’unicum tra: ideale per spiriti colti e febbrili.

Il Principe degli artisti, come amava definirsi Von Stuck, sacerdote del peccato.

Nel mistero delle paludi di isteria memoria, oscuro regno delle possibili alchimie delle forme, come aveva definito GOETHE, si coltiva la passione per tutto che era doppio (“simbolo” in greco significa mettere insieme), e nulla più del mito – le Metamorfosi di Ovidio insegnano – completano la doppiezza come essenza del divino. Nella misteriosa interpretazione simbolista queste paludi erano dunque popolate da creature di mezzo – sfingi, centauri, sirene, angeli, ninfe – che vivevano una doppia natura, animale e umana, divina e demoniaca, buona e insieme malvagia, come l’inconscio umano. E fra le belve umane, quella femminili rappresentano per lo più gli istinti. La Sfinge, corpo da leone e testa umana, era un simbolo che nell’antico Egitto significava potenza e vigilanza; I greci femminilizzarono la figura aggiungendo le ali e seno: davanti a Edipo la sfinge rappresentava la sapienza arcana. Ma nelle rappresentazioni di chiara lettura dei miti e dei simboli, diventa un animale dalla ferocia deduttiva, allegorica della Lussuria, ovvero la Voluptas che gli umanisti intendevano quale appagamento sensuale e meta vittoriosa che si confondeva che si confondeva nell’amore della personificazione di Venere. Nella versione di Fernand Khnopff (art. Corriere della Sera del 15 febbraio 2007), la sfinge ha una lunga coda sensuale e il corpo di un leopardo, che ricorda lo scatto veloce, subitaneo e improvviso della passione incontrollata.

Altre creature misteriose che ispirano sempre di più coloro appassionati e studiosi di questa materia, sono le sirene. Le sirene insidiose e seduttrici dal cui canto meraviglioso si deve difendere persino il più astuto degli uomini, sono creature ingannevoli che seducono l’uomo per trascinarlo e divorarlo negli abissi: il mitico e leggendario Ulisse. Nell’antichità classica erano creature con la testa e il busto di donna e il resto del corpo da uccello, ma nelle leggende di origine nordica avevano forma di pesce. Erano esseri ingannevoli che, nascondevano sotto l’acqua la loro parte animale, seducevano i naviganti con la bellezza in apparenza umana, ma poi li trascinavano nei flutti e se ne nutrivano. Rappresentano l’autodistruzione del desiderio, l’immaginazione che ha per oggetto una smania irrealizzabile. E infatti anche nell’antico Egitto la sirena era l’anima del morto che ha fallito il suo destino e si è trasformato in un vampiro divoratore. Tema, questo, su cui il norvegese Edvard Munch si esercitò più volte dando la vampiro l’aspetto di una donna con i lunghi capelli rossi. Ma ci sono altre creature con un’ambiguità più positiva, come ad esempio l’Angelo che rappresenta l’Eden, l’origine felice, l’unione di spirito e materia. Oppure creature di mezzo di sesso maschile come i Centauri (molto amati specialmente dai simbolisti di area germanica, mitici esseri con busto e testa umani e corpo equino. Max Klinger li dipinge mentre vengono cacciati dagli uomini, allegoria della barbarie sconfitta dalla civiltà. Da un lato sono esseri lascivi e sensuali, ma dall’altro creature vitali, forti, in contatto con lo spirito dionisiaco. Tutto ciò che è profondo ama la maschera, dice Nietzsche, e queste figure in cui si nasconde una parta bestiale impersonificano la nostalgia per le forze istintuali, per un tempo in cui l’uomo era ancora in contatto diretto con il sacro . Oltre le quinte dell’esistere immenso, nel cuore dell’abisso, si intravedono con chiarezza i mondi singolari.
Orbene, se leggete le storie letterarie apprendereste che il Simbolismo nasce in Francia nel 1886, con il manifesto di Morèas. Vi verrà spiegato che il Simbolismo, per essere intenso, va storicizzato. Il rischio altrimenti è di perdersi in asserzioni generiche. E che quindi quel manifesto va preso sul serio. Ma in realtà esso giunge in un ritardo ridicolo, quando i protagonisti di quella stagione sono morti e sepolti, e i nuovi eroi sono più che adolescenti. Insomma lo chef arriva quando la pietanza simbolista è servita, e l’avventore sa già che si tratta di un composto che può dare il voltastomaco. L’ispirazione di questo intricato e misterioso percorso c’è la da Mallarmè a scrive un unico libro, sacro e incomprensibile, che racchiuda tutti i significati. Insomma, (come riferisce A. Piperno Corriere della sera) come si sarà inteso, la ricetta di questa pietanza è stramba e contraddittoria. E i suoi effetti indigesti troppo persistenti per estinguersi in una sola notte parigina.
E allora cos’è il Simbolismo? Edmund Wilson pensava fosse uno state of mind che, d’un tratto, aveva colonizzato l’Occidente, come un’epidemia. Il Simbolismo come degenerazione genetica del Romanticismo? Esattamente. Una metafora sanitaria grazie alla quale Wilson potè analizzare altri suoi colleghi scrittori, attraverso il diaframma della poetica simbolista. Sicchè per capire chi sia il simbolista, vi consiglio di pensare ad un giovane romantico, platonizzato, che odia la natura e la vita che scorre, la cui aspirazione consiste nello scoprire cosa celano le apparenze. Ecco perché il simbolista odia gli oggetti e il corpo (il sommergibile della verità). E’ nauseato dall’incombente muta compattezza della materia. La materia per lui è un ostacolo. Non a caso Mallarmè diceva che “definire un oggetto è annullare i tre quarti del godimento della poesia”. Anche se bisogna subito chiarire che, sebbene il simbolista corre il rischio di innamorarsi di concetti, astrazioni, epifanie, ha bisogno dei sensi per sfondare il muro dell’inconoscibile. Insomma il simbolista è un uomo sensuale che fa un uso mistico delle cose che incontra. Ecco perché il termine “Simbolo”, fratelli miei, non basta per capire il Simbolismo. Il “Simbolo” è troppo intelligente, troppo immediatamente identificabile per piacere al simbolista. Sarebbe più appropriato parlare di “alchimia”. Dal che si evince che tutti gli uomini che hanno l’abitudine di trasformare i metalli in “Officine” sono chiamati Simbolisti-Alchimisti. E che quindi il Simbolismo puro trova immancabilmente il suo posto in una realtà profonda. Anche se il tizio che scoprendo le rughe sul viso del Fratello sente quella scoperta come rivelatrice del tempo che fugge, è un simbolista. Per non parlare del tipo che, percorrendo le vie del quartiere antico sente odore di posto chiuso da un seminterrato, identifica in quel miasma il senso della sua vita e della sua epoca…Perché il simbolista è un individuo sentimentale morbosamente attratto dalla esperienze emblematiche. E se tutto quello che ho detto è vero, si capirà che non basta l’avvento del Ventesimo secolo a spazzare via il Simbolismo. Perché esso non è debellabile. Al punto che la storia letteraria ed artistica del ‘900 potrebbe essere letta come una guerra tra coloro che hanno ceduto alle seduzioni del Simbolismo e coloro che le hanno combattute. Chi sono i nemici del Simbolismo? Semplice: gli artisti che non sopportano avere sempre un piede dentro la vita, e l’altro fuori. Quelli che non amano ascultarsi in continuazione. Quelli che rifiutano la poetica delle epifanie perché hanno sete di vita diretta. Un nome su tutti: Picasso. E’ lui – con le sue maschere negre, con le sue scomposizioni, con la sua venerazione per la materia con il suo odio per la psicologia e per le rarefazioni – ed aver dichiarato guerra alla poetica simbolista. E’ lui carissimi amici, il grande rivoluzionario che mette fine a un’epoca. Ma sarebbe difficile affermare che Picasso, nel corso di tutta la sua opera, sia riuscito a difendersi dalle tentazioni del Simbolismo. Proprio perché esso ritorna fatalmente – subdolo e inestricabile – dove meno te l’aspetti: in una inquadratura di Bergman o di Fellini, in giro di frase di Nabokov e perfino di un’esoterica scrittura di Basquiat.

lunedì 17 marzo 2008

LA VIA CRUCIS

“…sulle traccie del Santo di Pietrelcina…"

Come ormai tutti sanno, San Giovanni Rotondo è la meta dei fedeli per venerare il Santo di Pietrelcina, San Pio.
Come ogni anno, un nutrito gruppo di Lions del Distretto 108/Ab-Apulia si sono incontrati tutti in San Giovanni Rotondo il 16 marzo 2008, per intraprendere il percorso di fede e spirituale della Via Crucis.
Con i moltissimi Presidenti di Clubs e Officer Distrettuali intervenuti, ha partecipato al percorso di fede anche il vice Governatore Nicola Tricarico con consorte.

Per il Lions Club Bari Host erano presenti: Italo e Nietta Colella, Pasquale e Sara Stufano, Pietro e Maria Vitale.
Un pullman completo di tutti i passeggeri è stato organizzato con perizia di particolari e grande disponibilità dalla Past President L.C. Isabella d’Aragona, Mary Garofalo Calò accompagnata dal consorte Pippi.

Storia e tradizione francescana della Via Crucis:
Nel 1294, Rinaldo di Monte Crucis, frate domenicano, racconta la sua salita al Santo Sepolcro per varie tappe, che chiama stationes,. Tali stazioni ripercorrono il cammino che nostro Signore ha compiuto prima di morire in Croce: il processo, la relativa condanna a morte, le tre cadute lungo il percorso per il *Golgota (luogo correlato alla ignominia connessa alla crocifissione e del teschio), l'incontro con la Madre e le Pie Donne, la consegna della Croce a Simone di Cirene e l’incontro con la Veronica, fino alla deposizione del corpo di Gesù nel Sepolcro.
La pratica di rappresentare le stazioni della Via Crucis nelle chiese venne diffusa dai Minori Francescani. Da principio venne istituita esclusivamente nelle chiese dei Minori Osservanti e Riformati. Successivamente Clemente XII estese, nel 1731, la facoltà di istituire la Via Crucis anche nelle altre chiese mantenendo il privilegio della sua istituzione al solo Ordine Francescano.
* Perché il Golgota? Come nelle storie del “Libro di Adamo”, in esso si narra che “per ordine di Noè le ossa di Adamo, dalla caverna dove sono sepolte, vengono trasportate dal figlio Sem e da suo nipote Melchisedek, sotto la guida di un angelo, in un altro luogo al centro della Terra. Qui confluiscono quattro estremi. Infatti quando Dio creò la Terra, prima venne la sua forza e da essa seguì poi da quattro parti la Terra come il vento e soffio lieve. E nel centro la sua forza si arrestò e riposò. In quel luogo si compirà la redenzione (…).
Quando giunsero al Golgota, che è il centro della Terra, l’angelo mostrò a Sem questo luogo(…) Qui la terra si aprì a forma di croce e Sem e Mechisedek vi posero la salma di Adamo. Le quattro parti si mossero e racchiusero la salma del nostro progenitore Adamo e l’apertura della Terra si richiuse. Questo luogo fu chiamato ‘Calvario’, giacchè vi fu ucciso il Signore di tutti gli uomini”.

E’ per questo motivo per cui in numerose raffigurazioni della Crocifissione, sul Golgota, ai piedi della croce di Cristo viene posto il teschio di Adamo.

Cari Amici, dopo questa mia doverosa esposizione per il significato dei luoghi percorsi da Gesù e il sacrificio compiuto per la Redenzione di tutti gli uomini, che con la Sua Santa Croce ha redento il mondo intero. Vi commenterò l’inizio e la fine del percorso spirituale e di fede della Via Crucis: l’Alfa e l’Omega.

Gesù dinnanzi a Pilato.
…Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale del luogo chiamato Litostroto, in ebraico gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato (primo sorvegliante di una loggia massonica) disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”
Ma quelli gridarono: Via, via, crocifiggilo!” Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?” Risposero i sommi sacerdoti: “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare”: Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. (Gv. 19,13-13).
Se qualcuno vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso, ma prenda la sua croce e mi segua. (Lc. 9,23)
Gesù ode la voce risentita degli scribi e degli anziani. Ode l’urlo della folla. Ode la sua condanna a morte! Gesù è condannato! Ma perché? Il suo messaggio d’amore fraterno, di uguaglianza tra gli uomini, dei veri valori della vita era giudicato sovversivo e provocatore. Il suo invito a rinnovare la propria esistenza nella generosa solidarietà del servizio agli altri non fu capito. Pilato, il potente uomo politico, si è lavato le mani non ha avuto il coraggio di andare controcorrente e contraddire la folla.

La Risurrezione di Gesù
L’angelo disse alle donne: “Non abbiate paura, voi! Se cercate Gesù il Crocifisso. Non è qui. E’ risorto, come aveva detto, venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli. E’ risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea, là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto” (Mt. 28,5-7)
“Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”: è il saluto con cui Gesù si rivolge ai discepoli radunati nel cenacolo. E’ la missione che Gesù affida a tutti gli uomini di buona volontà, a tutti noi. Ma di quale pace dobbiamo essere annunciatori e portatori? Non la pace umana che ha in sé della guerra, delle violenze, della divisione, ma quella che viene da Lui, quella che parte dal perdono, dalla tolleranza, dalla comprensione dall’accoglienza. Così potremo essere quel “sale della terra” e quella “luce del mondo” che Gesù ci ha comandato di essere.

Un breve commento sul Simbolismo della Croce:
La croce è un segno che si traccia con la massima naturalezza. Di nessuna altra forma forma grafica, per quanto elementare, può dirsi altrettanto. In epoca arcaica per i Fenici era il Tau, il cui significato intrinseco era marchio, intaglio, segno grafico per eccellenza. Ora dopo la diffusione del Cristianesimo, la croce evoca un’idea di morte, ma ciò non è in contraddizione con la razionalità dell’ideografismo che le è proprio.
La croce più antica risale al 134, mentre il Crocifisso compare per la prima volta sulla porta linea di Santa Sabina in Roma ai tempi di Sisto III, ossia tra il 432 e il 440. Del pari bisogna tener conto che il Cristianesimo, così come ha reinterpretato o si è sovrapposto a numerose altre tradizioni e simbologie preesistenti, a maggior ragione si è sovrapposto al simbolismo della croce, gli ha attribuito un valore culturale che prima non aveva, e in taluni e per fortuna abbastanza rari casi, è giunto a interpretare le croci presenti in altre culture come segni di una precedente presenza cristiana, poi dimenticata. Infine, per meglio chiarire il concetto appena esposto, e senza perciò entrare nella trattazione religiosa o, peggio, nella polemica, vale la pena riportare qualche passo dell’Enciclopedia dei Simboli. In essa, per esempio, si cita “il caso della croce a foglia d’albero del Tempio della croce di foglia”, presso la città maya di Palenque, nello Yucatàn, che si è voluta interpretare in quel senso, ma che “in realtà rappresenta un albero cosmico”, o, nel contesto della speculazione cristiana sui simboli, l’associazione dell’immagine di un luogo dotato di un centro ideale a quella della Croce di Cristo, come nel citato Libro di Adamo.

La croce è in realtà, assieme al cerchio, al quadrato ed al triangolo, un segno antichissimo risalente alla più primordiale delle tradizioni. Non appena l’uomo è stato in grado di astrarsi dalle contingenze primarie del mondo circostante ha infatti cominciato a tracciare quei semplici segni grafici, rapportandoli forse a talune simmetrie apparenti esistenti in natura, per giungere ben presto come sostengono alcuni studiosi, a travalicarne il senso e la ragione per farli diventare il fondamento della geometria, sia scientifica, con i suoi teoremi e le sue dimostrazioni, che filosofica, ossia capace di stabilire un rapporto tra idee e forme e capace di fungere da collegamento con nozioni complesse, talvolta addirittura in grado di soverchiare l’intelligenza umana. In conclusione, cari amici, la croce, quindi, utilizzata isolatamente o in associazione agli altri segni, è il simbolo fondamentale nella formazione e ad un tempo nella trasposizione del pensiero astratto…
Un abbraccio a tutti, Pietro

"SOGNO MEDITERRANEO"

di Angelo Scialpi

Con l’arte si può!
Egidio Bitonto, Giulia Caprio, Letizia Lisi, Anna Maria Macripò, Antonio Malvaso, Maria Mancini, Giocomo Resta, Anna Maria Tanucci e Vita Tomai.

Discutere e confrontarsi, attraverso l’arte, sui grandi temi che travagliano e preoccupano il divenire e il futuro dei popoli che si affacciano sulle rive del Mar Mediterraneo è opera meritoria che soltanto associazioni di ispirazione cristiana e uomini di buona volontà possono evidenziare e porre al pubblico dominio.
Solitamente, quando si pensa alla diversità, lo si fa in maniera preventiva e non sempre l’atteggiamento ci è benefico. Ci si chiede spesso: “Ma è possibile che nella terrà di Gesù ci sono sempre liti e guerre?” Alle generazioni future che cosa può interessare se non la possibilità di redimere questi conflitti, materiali e spirituali? Questo interrogativo ne richiama molti altri che lasciamo alla sensibilità di ognuno, di certo rimane meritoria questa iniziativa che va oltre l’odio, la diversità, le storie del passato e recupera solo e soltanto la solidarietà della cultura, della comprensione, dell’aiuto culturale che non è poco. Allora la provocazione esiste e riguarda la capacità di alcuni di essere utili, di servire il buon senso, magari di dare un senso ad un certo modo di vivere.
L’arte può fare molto perché investe la formazione in generale e lo sviluppo della sensibilità in particolare. L’arte può perché tocca e scuote, facendoli emergere, il talento, il carisma di tante persone che potrebbero e non riescono a fare, che potrebbero migliorare loro e il mondo in cui vivono, ma non viene loro permesso.
Questa sera ci vorrebbero qui rappresentanti dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per vivere il valore della diversità sociale, religiosa, formativa e di civiltà. Possedere il senso della vista significa vivere e capire il mistero di gente che possiede tutto e di gente che va in cerca di qualcosa, del minimo per sopravvivere. Molte cose accomunano i popoli del Mediterraneo, ma molte potrebbero arricchirli e migliorarli. Il Mediterraneo è luogo in cui vive una esistenza pulsante e spazio che sollecita flussi, scambi, energie, grazie alla fusione di culture diverse.
Quello della educazione rimane il fatto prioritario. Da un lato la grande organizzazione occidentale, dall’altro quella povera africana e di altri paesi ad economia debole.
Vivere questo incontro con il piacere della sfida per migliorare la vita, mi pare sia una occasione di forte crescita e partecipazione responsabile nella società contemporanea.
C’è un momento della vita in cui abbiamo tutti bisogno di obbedire ad una certa chiamata, una chiamata che ci spinge a difendere la più grande civiltà, ma che non potrebbe sopravvivere se altre civiltà in difficoltà ci sono vicine. Giovanni Paolo II ebbe modo di affermare: “Non sei mai così in alto come quando ti inginocchi per dare una carezza”.
Popoli antichi e con culture diverse, economie diverse, politiche diverse che difficilmente hanno trovato e trovano una sintesi di convivenza comune, di ammirazione reciproca e di arricchimento della persona umana nella sua globalità e in quanto pur sempre figli di Dio.
Culla delle culture e delle religioni che hanno caratterizzato e governano il modo di vivere dei popoli del mondo, il Mediterraneo ha da sempre costituito la croce e la delizia della convivenza civile tra i popoli, ma anche la esaltazione del pensiero filosofico, storico, politico e civile.
La civiltà Etiope, poi quella Assiro-.Babilonese, e quella Egiziana, per poi giungere a quella Greca e a quella Romana, e quindi a quella Macedone, Spagnola, Francese e Inglese, a diverso titolo hanno irradiato il pensiero ed alimentato la civiltà contemporanea facendo assurgere l’arte a scienza, il modo semplice di vivere ad esempio per l’umanità e per garantirsi l’eternità.
Crocevia dei tre più antichi continenti della terra, sul Mare Nostrum si affacciano e si svolgono le civiltà, ma anche le maggiori preoccupazioni per la vita, lo sviluppo e la convivenza pacifica tra i popoli.
Lo scenario attuale, inquietante per le sorti delle genti, è di forte preoccupazione mondiale, avvalorato dalla spinta progressista e innovativa dei popoli, non meno meritori, indiano e cinese, che se da un lato racchiudono difficoltà inerenti, dall’altro vanno propinando una spinta economica evolutiva su scala mondiale e vanno ad inserirsi nel panorama internazionale come nuove risorse umane irrinunciabili dei tempi moderni.
La società civile è parte integrante perchè ha riconosciuto la saggezza di unire insieme i suoi talenti e la sua intuizione per rispondere ai bisogni umani della comunità, per organizzare la partecipazione consapevole del progresso dell’uomo, la discussione e il confronto.
Siete in molti a partecipare a questo incontro con l’arte e con la solidarietà, e tutti con l’intento preciso di prendere parte concretamente alla elaborazione di studi, ma anche di linee organizzative possibili per non essere guidati dagli eventi, ma per prevenirli nel tentativo nobile di organizzare il sogno della pace e della convivenza civile tra i popoli a vantaggio di un arricchimento umano e spirituale necessario al trascorrere dei tempi moderni, per ricercare pace e serenità.
Il dono più grande che un genitore può fare ad un figlio è quello di trasmettere le proprie conoscenze; quello sublime che una persona può fare alla propria gente è quello di comunicare le proprie consapevolezze per continuare a rafforzare il pensiero guida della civiltà e del progresso nella solidarietà.
Formazione per combattere l’analfabetismo: occorre sottolineare il carattere vocazionale alla globalizzazione lungo le sponde di un mare che deve unire e non dividere, ma per realizzare questa vocazione occorre essere uniti dalla passione e dalla ragione. Passione per trasmettere il sapere, ragione per permettere di porlo a frutto.
Uno dei problemi più difficili da superare per poter affrontare le difficoltà altre è quella della lotta all’analfabetismo. L’analfabetismo è un pericolo subdolo che investe chiunque non sia in grado di alimentare continuamente i propri saperi. I due terzi della popolazione non legge e per la maggior parte la perdita dei saperi è continua evaporazione delle conoscenze e quindi ritorno al non sapere e quindi al non saper comprendere, trasmettere e capire gli altri che sono in difficoltà. Non sapere è una forma di handicap sociale, ma il non saper mettere a frutto le proprie conoscenze è fatto altrettanto di demerito. L’analfabetismo porta alla miseria, non solo fisica, ma anche mentale.
Ma serve l’educazione anche per lottare l’odio e la violenza; l’odio è il fattore limitante più significativo del progresso umano ed investe il campo psicologico, pedagogico, psichiatrico e sociale. L’odio è un male devastante che può essere racchiuso in ogni persona e quindi può non permettere nessun progresso nei tempi. L’odio si manifesta negli interessi personali nel voler proteggere le proprie cose. L’odio rende vittima e porta all’abbattimento ed alla distruzione dell’altro. Secondo alcuni studiosi l’odio si manifesta diversamente nelle persone ed è fortemente opposto alla passione umana. Combattere l’odio è obiettivo prioritario dei popoli civili che hanno come loro obiettivo quello di accrescere il benessere dell’uomo.
La pace la si può costruire partendo dalla considerazione amichevole verso l’altro. L’educazione all’amore è un obiettivo da perseguire all’interno di ogni comunità, piccola o grande.
Con l’arte si può! E’ certamente uno dei canali privilegiati per costruire l’amicizia e la considerazione dell’altro. Nel suo nome milioni di persone si muovono e si trasferiscono per ritrovare il senso vero dell’essere, per ammirare l’essenza della vita, per onorare la forza intellettiva dell’uomo messa al servizio della umanità.
E’ compito dell’arte discutere per cercare un benessere per tutti, continuando a creare quello spirito di comprensione fra i popoli.
Le ispirazioni artistiche possono anche essere trasferite altrove, e la sfida del futuro è basata sulla qualità, grazie alla spinta dell’innovazione, ma la innovazione primaria rimane quella custodita dentro la persona stessa.
Va tutto bene, ma se non si alimenta di entusiasmo e di creatività l’uomo, il rischio di cadere nella omologazione è immediato.
L’etica della vita la si alimenta anche attraverso il trasferimento delle conoscenze, delle consapevolezze che passando di mente in mente si rafforzano e si migliorano per un divenire più certo e più duraturo perché voluto dall’uomo stesso.
La presenza di molte donne nell’arte evidenzia come sia possibile permettere alla donna di partecipare la società, la civiltà e il progresso.
La donna è sicuramente la base stessa della lotta contro l’analfabetismo. Una educazione adeguata può promuovere le attitudini, i valori e le azioni per uno crescita umana a garanzia della pace e dello sviluppo. Ancora una volta emerge il protagonismo femminile e il suo essere motivo ispiratore e generatore dell’arte e artista ella stessa.
Lo sviluppo dell’arte è sempre interessato a conoscere la natura, la storia e l’uomo. L’arte è sempre stata la espressione primaria di questo divenire; la presenza della scienza avviene in epoca recente ed ha mosso i primi passi ostacolata dai pregiudizi dottrinali, ma non va dimenticato il fatto che le prime scoperte scientifiche sono avvenute attraverso l’arte (Leonardo ha aperto la strada dell’autonomia alla scienza) e poi perché l’agire per arte significa conoscere e ottenere operando, producendo opere che conferiscono all’uomo libera autonomia creativa e decisionale.
Questo modo di agire ha prodotto, può produrre nell’ambito del bacino del Mediterraneo, la civiltà urbana di un sistema, sia esso città, sia esso stato. La città ideale è sempre l’incontro tra pensiero politico e pensiero estetico; tra palazzo, adorno di opere d’arte, e la grande piazza abbellita e resa austera da statue commemorative.
E’ sulla cultura che si fonda l’autorità, mentre i letterati e gli artisti sono gli specialisti della disciplina civica su cui si fonda e si giustifica il potere.
Gli artisti devono sapere, andandone fieri, che sono le sentinelle di un processo che vede l’uomo al centro di tutti gli interessi. In questo senso e in questa dimensione svolgere il pensiero artistico significa riordinare, continuando l’esperienza passata, la maniera di vedere, di sentire, di organizzare il modo di vivere di quanti hanno la fortuna di nascere e di raccontare il viaggio, sempre breve, lungo le vie del mondo di cui tutti ne siamo parte integrante, si spera in maniera consapevole e partecipativa, per onorare l’origine e il giusto senso della vita.
Ass. “Il Melograno” - ACLI – Talsano-Taranto 15.3.08