Ordini Cavallereschi Crucesignati

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giovedì 20 marzo 2008

IL PARADISO PAGANO DELLE IMMAGINAZIONI

“musica e simbolismo…la figura richiama Orfeo che con la cetra scese nell’Ade per amore di Euridice. Nel Simbolismo il mito greco si mescola con le leggende medievali”

Il Lions Club “Bari Isabella d’Aragona” in collaborazione con altri Clubs Lions sono stati ospiti presso la sede amministrativa del Lions Club Bari Host per una interessante conversazione sul tema:

SIMBOLOGIA DELLA CROCE
VITA MORTE TRASFIGURAZIONE
Ha tenuto la relazione:
Col. Carlo ATTILII
Studioso di simbologia.

Sin dalla più remota primordialità, sia esotericamente che exotericamente, la croce evoca il Cosmo, ma anche il mondo, la vita concreta. Pure il paradiso biblico, con i quattro fiumi che da esso avevano origine, fu rappresentato a forma di croce.
La croce iscritta in un cerchio rappresenta l’ambito del villaggio, dell’abitato, laddove il cerchio, similmente ad un orizzonte locale, delimita lo spazio interno, sicuro, da quello esterno, coltivabile, ma costellato di insidie, e la croce rappresenta i percorsi interni principali. Allo stesso modo, col cerchio viene simboleggiato l’orizzonte terrestre, delimitato dall’oceano che circonderebbe la Terra e che comunque separa un ordine interno dal mondo esterno preda di forze demoniache, mentre la croce rappresenta i suoi punti di riferimento, la sua suddivisione o le quattro direzioni di provenienza riferite alle quattro razze umane (europoidi, mongoloidi, negroidi e australoidi). E ancora: il cerchio rappresenta il Cosmo e la croce le coordinate per orientarsi nello spazio e nel tempo. Una conferma ci viene dal simbolo geroglifico egiziano formato da due strisce incrociate a ics e racchiuse in un cerchio. Dal punto di vista dell’asse verticale, unendo lo zenit al nadir, la croce si pone in un rapporto simbolico con l’asse del mondo, in analogia all’albero, alla montagna, alla freccia. Sull’asse orizzontale la croce taglia qualsiasi superficie in parti uguali. Nel centro delle città romane, per esempio, s’incrociavano le due strade principali: cardo e il decumano. Anche in tempi meno remoti le città erano divise di fatto in quartieri (quattro quarti di una unità). Lo sono ancora oggi, ma, ovviamente, soltanto di nome. I cartografi medievali, che si proponevano di rappresentare schematicamente tutto il mondo, usavano spesso il modulo della croce con Gerusalemme al centro, senza riferimenti al Cristianesimo, bensì rifacendosi all’urbanistica romana. Alcune popolazioni africane credono che i crocevia, e per essi il simbolo della croce, siano da porre in relazione con la separazione tra le strade dei vivi e quelle dei morti. Molti esorcismi o riti magici prevedono l’uso di questi simboli proprio perché viene loro attribuito il potere di immobilizzare gli spiriti, i quali non saprebbero quale strada imboccare.
Croce, cerchio, quadrato. Non serve davvero molta fantasia per associare a questi segni grafici la squadra ed il compasso. La squadra, simbolo di Saggezza, nel quale si conciliano il fattore orizzontale e quello verticale, è ritenuta infatti l’elemento costitutivo del quadrato e della croce (che si formano unendo per il vertice o per le estremità due squadre dai lati uguali).

Ma, cos’è il Simbolismo? il “paradiso” pagano delle dell’immaginazione?

Il grande Goethe immaginava l’esistenza di un regno esoterico in cui le forme sono un’unicum tra: ideale per spiriti colti e febbrili.

Il Principe degli artisti, come amava definirsi Von Stuck, sacerdote del peccato.

Nel mistero delle paludi di isteria memoria, oscuro regno delle possibili alchimie delle forme, come aveva definito GOETHE, si coltiva la passione per tutto che era doppio (“simbolo” in greco significa mettere insieme), e nulla più del mito – le Metamorfosi di Ovidio insegnano – completano la doppiezza come essenza del divino. Nella misteriosa interpretazione simbolista queste paludi erano dunque popolate da creature di mezzo – sfingi, centauri, sirene, angeli, ninfe – che vivevano una doppia natura, animale e umana, divina e demoniaca, buona e insieme malvagia, come l’inconscio umano. E fra le belve umane, quella femminili rappresentano per lo più gli istinti. La Sfinge, corpo da leone e testa umana, era un simbolo che nell’antico Egitto significava potenza e vigilanza; I greci femminilizzarono la figura aggiungendo le ali e seno: davanti a Edipo la sfinge rappresentava la sapienza arcana. Ma nelle rappresentazioni di chiara lettura dei miti e dei simboli, diventa un animale dalla ferocia deduttiva, allegorica della Lussuria, ovvero la Voluptas che gli umanisti intendevano quale appagamento sensuale e meta vittoriosa che si confondeva che si confondeva nell’amore della personificazione di Venere. Nella versione di Fernand Khnopff (art. Corriere della Sera del 15 febbraio 2007), la sfinge ha una lunga coda sensuale e il corpo di un leopardo, che ricorda lo scatto veloce, subitaneo e improvviso della passione incontrollata.

Altre creature misteriose che ispirano sempre di più coloro appassionati e studiosi di questa materia, sono le sirene. Le sirene insidiose e seduttrici dal cui canto meraviglioso si deve difendere persino il più astuto degli uomini, sono creature ingannevoli che seducono l’uomo per trascinarlo e divorarlo negli abissi: il mitico e leggendario Ulisse. Nell’antichità classica erano creature con la testa e il busto di donna e il resto del corpo da uccello, ma nelle leggende di origine nordica avevano forma di pesce. Erano esseri ingannevoli che, nascondevano sotto l’acqua la loro parte animale, seducevano i naviganti con la bellezza in apparenza umana, ma poi li trascinavano nei flutti e se ne nutrivano. Rappresentano l’autodistruzione del desiderio, l’immaginazione che ha per oggetto una smania irrealizzabile. E infatti anche nell’antico Egitto la sirena era l’anima del morto che ha fallito il suo destino e si è trasformato in un vampiro divoratore. Tema, questo, su cui il norvegese Edvard Munch si esercitò più volte dando la vampiro l’aspetto di una donna con i lunghi capelli rossi. Ma ci sono altre creature con un’ambiguità più positiva, come ad esempio l’Angelo che rappresenta l’Eden, l’origine felice, l’unione di spirito e materia. Oppure creature di mezzo di sesso maschile come i Centauri (molto amati specialmente dai simbolisti di area germanica, mitici esseri con busto e testa umani e corpo equino. Max Klinger li dipinge mentre vengono cacciati dagli uomini, allegoria della barbarie sconfitta dalla civiltà. Da un lato sono esseri lascivi e sensuali, ma dall’altro creature vitali, forti, in contatto con lo spirito dionisiaco. Tutto ciò che è profondo ama la maschera, dice Nietzsche, e queste figure in cui si nasconde una parta bestiale impersonificano la nostalgia per le forze istintuali, per un tempo in cui l’uomo era ancora in contatto diretto con il sacro . Oltre le quinte dell’esistere immenso, nel cuore dell’abisso, si intravedono con chiarezza i mondi singolari.
Orbene, se leggete le storie letterarie apprendereste che il Simbolismo nasce in Francia nel 1886, con il manifesto di Morèas. Vi verrà spiegato che il Simbolismo, per essere intenso, va storicizzato. Il rischio altrimenti è di perdersi in asserzioni generiche. E che quindi quel manifesto va preso sul serio. Ma in realtà esso giunge in un ritardo ridicolo, quando i protagonisti di quella stagione sono morti e sepolti, e i nuovi eroi sono più che adolescenti. Insomma lo chef arriva quando la pietanza simbolista è servita, e l’avventore sa già che si tratta di un composto che può dare il voltastomaco. L’ispirazione di questo intricato e misterioso percorso c’è la da Mallarmè a scrive un unico libro, sacro e incomprensibile, che racchiuda tutti i significati. Insomma, (come riferisce A. Piperno Corriere della sera) come si sarà inteso, la ricetta di questa pietanza è stramba e contraddittoria. E i suoi effetti indigesti troppo persistenti per estinguersi in una sola notte parigina.
E allora cos’è il Simbolismo? Edmund Wilson pensava fosse uno state of mind che, d’un tratto, aveva colonizzato l’Occidente, come un’epidemia. Il Simbolismo come degenerazione genetica del Romanticismo? Esattamente. Una metafora sanitaria grazie alla quale Wilson potè analizzare altri suoi colleghi scrittori, attraverso il diaframma della poetica simbolista. Sicchè per capire chi sia il simbolista, vi consiglio di pensare ad un giovane romantico, platonizzato, che odia la natura e la vita che scorre, la cui aspirazione consiste nello scoprire cosa celano le apparenze. Ecco perché il simbolista odia gli oggetti e il corpo (il sommergibile della verità). E’ nauseato dall’incombente muta compattezza della materia. La materia per lui è un ostacolo. Non a caso Mallarmè diceva che “definire un oggetto è annullare i tre quarti del godimento della poesia”. Anche se bisogna subito chiarire che, sebbene il simbolista corre il rischio di innamorarsi di concetti, astrazioni, epifanie, ha bisogno dei sensi per sfondare il muro dell’inconoscibile. Insomma il simbolista è un uomo sensuale che fa un uso mistico delle cose che incontra. Ecco perché il termine “Simbolo”, fratelli miei, non basta per capire il Simbolismo. Il “Simbolo” è troppo intelligente, troppo immediatamente identificabile per piacere al simbolista. Sarebbe più appropriato parlare di “alchimia”. Dal che si evince che tutti gli uomini che hanno l’abitudine di trasformare i metalli in “Officine” sono chiamati Simbolisti-Alchimisti. E che quindi il Simbolismo puro trova immancabilmente il suo posto in una realtà profonda. Anche se il tizio che scoprendo le rughe sul viso del Fratello sente quella scoperta come rivelatrice del tempo che fugge, è un simbolista. Per non parlare del tipo che, percorrendo le vie del quartiere antico sente odore di posto chiuso da un seminterrato, identifica in quel miasma il senso della sua vita e della sua epoca…Perché il simbolista è un individuo sentimentale morbosamente attratto dalla esperienze emblematiche. E se tutto quello che ho detto è vero, si capirà che non basta l’avvento del Ventesimo secolo a spazzare via il Simbolismo. Perché esso non è debellabile. Al punto che la storia letteraria ed artistica del ‘900 potrebbe essere letta come una guerra tra coloro che hanno ceduto alle seduzioni del Simbolismo e coloro che le hanno combattute. Chi sono i nemici del Simbolismo? Semplice: gli artisti che non sopportano avere sempre un piede dentro la vita, e l’altro fuori. Quelli che non amano ascultarsi in continuazione. Quelli che rifiutano la poetica delle epifanie perché hanno sete di vita diretta. Un nome su tutti: Picasso. E’ lui – con le sue maschere negre, con le sue scomposizioni, con la sua venerazione per la materia con il suo odio per la psicologia e per le rarefazioni – ed aver dichiarato guerra alla poetica simbolista. E’ lui carissimi amici, il grande rivoluzionario che mette fine a un’epoca. Ma sarebbe difficile affermare che Picasso, nel corso di tutta la sua opera, sia riuscito a difendersi dalle tentazioni del Simbolismo. Proprio perché esso ritorna fatalmente – subdolo e inestricabile – dove meno te l’aspetti: in una inquadratura di Bergman o di Fellini, in giro di frase di Nabokov e perfino di un’esoterica scrittura di Basquiat.

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