di Gianfredo Ruggiero
Ebbene si, lo confesso: sono un nostalgico.
Rimpiango
quel periodo della nostra storia recente quando i nostri nonni potevano
lasciare la porta aperta e dormire con le finestre spalancate. Ora,
invece, siamo costretti a barricarci in casa con allarmi e porte
blindate.
Allora
si poteva passeggiare fino a notte fonda senza temere nulla e non
c’erano, come adesso, telecamere ad ogni angolo di strada, carabinieri,
polizia, vigili e vigilantes.
Per ritirare la pensione la nonna non aveva bisogno della scorta armata, bastava il nipotino.
Le piazze e le strade erano dei cittadini e non delle prostitute, degli spacciatori o dei balordi d’ogni specie ed etnia.
Il
pugno duro del regime e la piena occupazione, che tolse manovalanza
alla criminalità, costrinse la Mafia a traslocare in America dove, non a
caso, trovò terreno fertile per prosperare e prepararsi a tornare in
Patria con i liberatori americani.
Per
punire i delinquenti allora bastavano poche carceri perché la giustizia
ordinaria funzionava davvero(1). Ora invece le prigioni scoppiano,
anche a causa della delinquenza immigrata, della lentezza della
giustizia che trattiene in carcere imputati ancora in attesa di
giudizio(2), e alla politicizzazione e smania di protagonismo di parte
della Magistratura a cui è concessa assoluta libertà e totale impunità,
anche quando commette gravi errori.
I
dipendenti statali, è vero, erano privilegiati, ma sentivano la
responsabilità del ruolo svolto e rispondevano col massimo impegno e se
meritevoli facevano carriera. Provate ora ad andare in un qualsiasi
ufficio pubblico e vi accorgerete come lo Stato non faccia differenza
tra un dipendente coscienzioso ed uno lavativo.
I
giovani venivano educati al senso civico(3), all’amor di Patria, al
rispetto per il prossimo e al cameratismo. Sapevano cos’era il
sacrificio e lo sport era il loro principale svago. Ora invece…lasciamo
perdere.
Le famiglie - e per famiglie intendo quelle vere e non i surrogati gay
- facevano figli perché lo Stato le sosteneva con Istituiti, molti
dei quali poi abrogati, come l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, gli
assegni familiari e l’esonero dal pagamento delle tasse per le famiglie
numerose e indigenti, le case popolari, le colonie per i figli degli
operai, ecc.(4).
Le
famiglie povere facevano sacrifici per istruire i loro figli, ma
avevano la certezza che una volta conquistato (si, conquistato perché
allora si studiava sul serio) il tanto agognato “pezzo di carta” i loro
figlioli avevano un futuro certo e ben retribuito e se non avevano
voglia di studiare un posto da muratore, operaio o contadino per loro si
trovava. Per questi lavori ora ci sono gli immigrati.
I treni popolari hanno permesso ai meno abbienti di conoscere l’Italia e i dopolavoro di dare svago e istruzione agli operai.
In
ogni città sorgevano le colonie elioterapiche per la cura di malattie
croniche, come la tubercolosi e la TBC, allora molto diffuse.
Il
sostegno del Governo per il rilancio dell’economia, l’enorme piano di
opere pubbliche, i nuovi servizi e le bonifiche integrali del Regime
hanno permesso di estendere a tutta l’Italia la piena occupazione e, di
conseguenza, a ridurre il fenomeno emigratorio (prima dell’avvento del
Fascismo la fame e la mancanza di lavoro costringeva le nostre braccia
ad emigrare in paesi dove gli italiani venivano spesso sfruttati e mal
tollerati).
Un
operaio con il suo lavoro e con l’aiuto della moglie che praticava una
sana economia domestica riusciva a mantenere una famiglia, spesso
numerosa, e a mettere da parte qualche soldo per poi, una volta andato
in pensione, grazie alla liquidazione (istituita in quegli anni),
riscattare la casa in affitto e vivere serenamente la sua vecchiaia.
Adesso, a parte i ricchi e chi eredita la casa dei nonni, quale famiglia
è in grado di comprarsi un pur modesto appartamento in periferia? E la
pensione? Per i giovani di oggi una chimera.
Le
Fabbriche per produrre bene e a costi contenuti non avevano bisogno del
lavoro precario e della mano d’opera extracomunitaria di oggi. Anzi,
sia imprenditori che operai avevano uno stimolo in più per dare il
meglio di sé: fare grande l’Azienda per fare grande l’Italia.
Le
più grandi Aziende italiane sono nate, o si sono consolidate, proprio
in quegli anni grazie alla diffusa libertà d’Impresa assicurata dal
Governo (si soppresse la libertà politica per esaltare le libertà
civili, afferma lo storico Gioacchino Volpe) ed al controllo statale sul
sistema bancario sottratto al potere dell’alta finanza e posto al
servizio dell’economia, ma soprattutto grazie alla fiducia nelle
Istituzioni e all’amor di Patria, quello vero non quello estemporaneo e
patetico della nazionale di calcio o del 150° anniversario.
Si producevano di tutto, in Italia e con lavoratori italiani e l’agricoltura ci assicurava l’autosufficienza alimentare.
Ricordate
la tanto sbeffeggiata campagna per il grano? E’ servita a ridurre la
nostra dipendenza dall’estero(5), a dare lavoro ai nostri contadini e a
risanare terre incolte. Adesso, in nome del libero mercato, importiamo
di tutto, perfino i pomodori dalla Cina, gli agrumi da Israele e le
verdure dalla Spagna e, nel contempo, distruggiamo le nostre arance pur
essendo le migliori del mondo e multiamo gli allevatori che producono
latte per poi importalo dalla Francia.
Si
costruivano autostrade, ferrovie, acquedotti - come quello pugliese, il
più grande d’Europa - e intere città rispettando tempi e costi, si
bonificavano paludi e s’istituivano parchi nazionali.
L’Italia
era un immenso cantiere, dalla Sicilia alle Alpi, e i servizi pubblici
funzionava (i treni arrivavano veramente in orario). Ora per togliere la
spazzatura dalle strade di Napoli è dovuto intervenire l’esercito. In
compenso costruiamo ospedali e strutture pubbliche a costi esorbitanti
per poi abbandonarli, come ci documenta quotidianamente “striscia la
notizia”.
Per
un semplice raccordo autostradale ci voglio decenni e i nostri
pendolari sono ammassati in vagoni fatiscenti o costretti ad alzarsi
all’alba per prevenire il traffico.
Con
lo slogan “nulla si distrugge” fu avviata, nel 1939, una capillare
raccolta differenziata porta a porta per il riciclaggio dei rifiuti.
Il terremoto dell’Aquila ha distrutto tutti gli edifici, tranne quelli costruiti in epoca fascista, un caso?
Le
Università sfornavano fior di laureati che sarebbero diventati capitani
d’industria, economisti affermati, scienziati di alto livello o uomini
di Stato. I grandi statisti del dopoguerra, i Moro, i De Gasperi, i
Berlinguer e lo stesso Presidente Napolitano si sono moralmente
formati come politici integerrimi proprio durante gli anni del Fascismo.
Oggi non esistono più statisti, ma solo politicanti che badano ai loro
interessi personali e di parte e solo di riflesso a quelli nazionali.
I
conti pubblici erano in ordine. Il 1° Aprile del 1924, dopo soli 18
mesi di governo, senza imporre nuove tasse o incrementare quelle
esistenti e senza deprimere l’economia il Ministro delle Finanze De
Stefani poté annunciare il raggiungimento del pareggio di bilancio.
La
crisi finanziaria di Wall Street del ’29, che – come oggi - mise in
ginocchio tutte le economie occidentali, fu assorbita senza grossi
traumi grazie al vasto piano di opere pubbliche varato dal Governo e
allo Stato Sociale istituito dal Fascismo.
Dal
1992 è in atto la vendita (o meglio la svendita) dei beni dello Stato.
Beni immobili, demaniali, Aziende e partecipazioni azionari. Ma questi
beni quando sono stati creati se non in buona parte durante il fatidico
ventennio?
L’attenzione
del fascismo alla cultura non fu da meno. Istituti come l’Accademia
d’Italia, l’Enciclopedia Italiana, i littoriali della Cultura,
l’Istituto Nazionale di Cultura, la Biennale di Venezia, la Mostra
Internazionale del Cinema (la prima al mondo, istituita nel ‘32),
divennero subito palestre per le migliori menti e permisero a
intellettuali, artisti e uomini di cultura dell’epoca di affermarsi e di
proseguire la loro attività anche dopo il Fascismo.
In
quegli anni si aprono biblioteche pubbliche, teatri e cinematografi in
ogni città e si assiste ad un fiorire di riviste e giornali.
La radio fa la sua prima apparizione come pure le prime trasmissioni televisive. Cinecittà apre i battenti.
Nell’arte, nel costume e nella comunicazione il futurismo, uno dei pilastri della cultura fascista, svecchiò l’Italietta borghese e bigotta.
La
minigonna, quella di Mary Quant degli anni sessanta, la vediamo proprio
in quegli anni, nei saggi ginnici delle studentesse fasciste.
In
campo architettonico un nuovo stile, il razionalismo italiano di
Piacentini e Terragni, ha saputo conciliare la tradizione romana con il
modernismo più avanzato.
L’Italia
primeggiava in tutti i campi, nella scienza con Enrico Fermi e suoi
avanzatissimi studi sull’energia nucleare, nella tecnica con Guglielmo
Marconi inventore del telegrafo, nell’aeronautica con Italo Balbo.
Umberto Nobile, con i suoi dirigibili, fu il primo al mondo a
raggiungere il Polo Nord.
Perfino nello sport la nuova Italia s’impose vincendo in continuazione olimpiadi e mondiali di calcio(6).
In
soli 15 anni il nostro Paese, arretrato sotto ogni punto di vista, si
trasforma in uno Stato moderno ed all’avanguardia mondiale nel campo
sociale, tecnico ed economico.
Ora
invece siamo un paese super indebitato e succube dei mercati, con una
disoccupazione crescente e una immigrazione senza freno, una economia
depressa e una pressione fiscale asfissiante, giovani senza futuro e
politici affamati, delinquenza dilagante e mafie radicate, Stato sociale
distrutto e diritti dei lavoratori cancellati: questa è l’Italia nata
dalla resistenza.
Non
tenere conto di quanto di positivo fu realizzato durante il Fascismo in
un momento drammatico e senza futuro come quello attuale non è solo da
stolti presuntuosi, è da criminali.
Qui
non si tratta di riscrivere la storia, ma di studiarla per trarne
benefici, tenendo ben presente che l’alternativa non è tra libertà e
dittatura, come vorrebbero farci credere i nostri politici e i tanti che
in questo sistema ci sguazzano, ma tra una democrazia fallimentare ed
una che funziona, tra un sistema basato sul potere assoluto e soffocante
dei partiti e un rinnovato Stato Sociale a Democrazia Diretta.
Il
Fascismo che voglio ricordare non è quello della guerra persa o della
lotta fratricida che hanno portato in sé morte e distruzione, questo lo
sappiamo già, ci viene rammentato con ossessione da oltre sessant’anni,
quello che voglio ricordare è il Fascismo sociale che ha modernizzato un
Paese arretrato.
Un
Paese, l’italietta giolittiana, privo di servizi pubblici. L’istruzione
era un privilegio di pochi e la sanità esclusivamente privata.
Un
Paese dove vigeva il lavoro minorile e costringeva le sue braccia ad
emigrare, dove – come nel resto del mondo – gli operai non avevano né
pensione, né liquidazione e se si ammalavano si dovevano arrangiare.
Questa era l’Italia prefascista e che ora sta velocemente ritornando.
E’
vero il fascismo si affermò anche con i manganelli e l’olio di ricino
(i social-comunisti che negli anni precedenti hanno terrorizzato
l’Italia non
erano certo da meno e a differenza dei fascisti usavano roncole e
pistole(7)), ma quale rivoluzione avvenne senza un minimo di violenza?
Pensiamo alla madre di tutte le rivoluzioni, quella francese, da cui
nacquero le attuali democrazie capitaliste, cosa fu se non un’immensa
carneficina? Pensiamo alla rivoluzione bolscevica con il suo corollario
d’orrori, per non parlare delle stragi partigiane che hanno accompagnato
la lotta di “liberazione” e le nefandezze dei Savoia nel sud d’Italia
in epoca risorgimentale.
Il
Fascismo fu una dittatura? Anche questo è vero, ma che razza di
dittatore fu mai questo Mussolini se per rimanere al potere non ebbe
bisogno di campi di concentramento, fosse comuni e deportazioni di
massa?
Che
invece di fucilare i suoi oppositori, come facevano i suoi colleghi
Hitler e Stalin, li mandava al confino trovandogli casa e passandogli un
vitalizio? E permetteva a Gramsci, uno dei pochissimi avversari
incarcerati, di scrivere i suoi libri contro il regime e di assisterlo,
quando si ammalò, in una clinica privata a spese dello Stato?
Gli
si rinfaccia di essere entrato in guerra (poteva forse restarne
fuori?(8)), ma adesso, dopo quasi settant’anni, siamo forse in pace?
Non vi è angolo del mondo senza guerre, ingiustizie, fame e miseria.
Grazie anche alle ingerenze “umanitarie” dell’occidente e alle
multinazionali degli armamenti che non lavorano certo per la pace.
Mussolini
fece molti errori, come l’anacronistica guerra coloniale, le vergognose
leggi razziale e la guerra persa a fianco di un alleato che non volle
scaricare quando le vicende belliche volsero al peggio, ma pagò. Pagò
con la vita e con lo scempio del suo corpo.
Quanti dei responsabili dello sfacelo in cui si trova oggi l’Italia stanno pagando per la loro incapacità e bramosia di potere?
E ora che le vestali dell'antifascismo si scatenino pure!
Gianfredo Ruggiero, Presidente del Circolo culturale Excalibur
(1) Per
non inquinare la giustizia civile furono istituiti i tribunali speciali
che giudicavano i reati connessi alla politica e contro lo Stato.
Vigeva la pena di Morte è vero, ma come deterrente. Infatti fu applicata
in pochissimi casi e per reati particolarmente efferati (a differenza
della democratica America e della comunista Cina che ancora oggi mandano sulla sedia elettrica o impiccano decine di condannati a morte).
(2) Circa il 40% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, metà della quale poi risulta innocente.
(3) L’educazione civica era materia di studio.
(4) Michele Giovanni Bontempo “Lo Stato Sociale nel Ventennio”, ed. I libri del Borghese, Roma 2010.
(5) L’importazione del grano, principalmente dall’Argentina, fu ridotta del 75%. Nel
1922 i braccianti erano oltre 2 milioni: nei primi anni del ‘40 il loro
numero si ridusse a soli 700 mila, gli altri erano divenuti
proprietari, mezzadri o compartecipi di piccole o grandi aziende. Nella
sola Sicilia i proprietari terrieri passarono dai 54 mila a 223 mila.
(6) Secondo
posto alle olimpiadi americane di Los Angeles del ‘32, duplice vittoria
ai mondiali di calcio del ’32 e del ’34. Primo Carnera è campione
mondiale dei pesi massini nel ‘33, Gino Bartali in quegli anni vince due
giri d’Italia nel 1936 e nel 1937 e un Tour De France nel 1938.
(7) Durante
il famigerato “biennio rosso” 1919-22 la sinistra massimalista mise a
ferro e fuoco l’Italia con occupazioni di fabbriche e scioperi selvaggi,
di aggressioni e violenze a carico dei soldati che tornavano dal fronte
a cui la polizia e l’esercito rispondevano con altrettanto durezza e i
padroni con le serrate. Il Fascismo si affermò anche come risposta dei
ceti medi e popolari stanchi delle violenze dei social-comunisti e delle
imposizioni dalle leghe rosse e bianche nelle campagne.
(8) L’Italia
non poteva rimanere fuori da un conflitto di dimensioni mondiali e che
si sarebbe sviluppato nel Mediterraneo. Mussolini entrò in guerra un
anno dopo in quanto perfettamente conscio dell’impreparazione militare
dell’Italia e dell’assoluta inaffidabilità dei vertici militari ed in
particolare di quelli della Regia Marina legati ai circoli massonici
inglesi. Quando si decise a compiere il passo la Germania era vittoriosa
su tutti i fronti, aveva occupato gran parte dell’Europa e si
apprestava ad invadere l’Inghilterra. Con chi avrebbe dovuto allearsi
l’Italia in quelle circostanze, con la parte soccombente per essere a
sua volta occupata dai tedeschi?