Ordini Cavallereschi Crucesignati

Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.

sabato 9 febbraio 2008

L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI, E...LO SI VEDE BENE CON IL CUORE.

Questo pezzo è stato inviato da Carlotta Vitale (Comitato Scientifico del blog.)

A. De Saint-Exupéry, Il piccolo principe.
Umberto Galimberti ordinario di Filosofia della Storia e Psicologia Dinamica all’Università di Venezia, pubblica nel 2007, per i tipi della Feltrinelli, un testo che forse dovrebbe passare per le mani di quei genitori che alle prese con i figli adolescenti, spesso smarriscono il bandolo della matassa.
“L’ospite inquietante, il nichilismo e i giovani” è un saggio
molto agile e d’immediata comprensione, che con leggerezza (che Calvino diceva essere il salvagente con cui attraversare il fiume della vita) analizza i problemi di questi “nuovi” giovani d’oggi. Sono nuovi perché le crisi che i ragazzi vivono oggi non sono “le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.”
Il rapporto Pisa 2006 (Programme for international student assessment) stilato dall’Ocse su un campione di oltre 400 mila studenti in 57 paesi, sul livello di preparazione degli studenti e istruzione nel mondo, ha posizionato l’Italia al 36esimo posto (prima è la Finlandia). Sembra d’essere, come ha replicato il ministro Fioroni, in piena emergenza educativa, complici le strutture obsolete che soprattutto al Sud affliggono gli istituti, e un sistema educativo fermo all’Ottocento, con registri, note, e i quattro compiti a quadrimestre.Ma se si parla d’emergenza educativa (si scatena la crisi quando bisogna scrivere “ce ne” e “ce n’è”) bisogna parlare anche di un’altra grande emergenza, quella emotiva. Un’emergenza di cui i genitori devono occuparsi in prima persona, perchè in fondo oltre alla scuola, alle babysitter, al lavoro e al mutuo, c’è la famiglia. E non si tratta di un valore obsoleto, non valgono le scuse di chi non c’è mai perché bisogna pagare le bollette e gli svaghi. Qui non si parla di semplici responsabilità o di figli turbolenti. L’emergenza è la forza d’animo, quella che Platone nominava thymoeidés e indicava la sua sede nel cuore. Ciò che risiede nel cuore è sentimento, che non è quell’astratto senso languido delle cose e del mondo che deriva da certa letteratura, ma il sentimento è la forza con cui si affronta la vita, si adopera una scelta sempre, in ogni singolo momento “perché in una scelta piuttosto che in un’altra ci si sente a casa” perché se si finge di scegliere, e per debolezza o emulazione si perde. Così quando manca la coincidenza di noi con noi stessi, si diventa estranei a se stessi, lontani da sé e vicini a tutti quegli altrove che la società ci chiede di diventare. Così tra una bolletta e l’altra, tra un sabato sera e la domenica a pranzo, cerchiamo di guardarci negli occhi e affrontiamo ciò che temiamo. I figli (come il mondo) bisogna osservarli, bisogna sentire cosa temono, perché loro “anche se mai lo confesseranno, attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perchè il mare che attraversano è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato”.

VIVI NAPOLI E POI MUORI

Articolo inviato da Mimmo Conte - Potenza (componente del Comitato Scientifico)

Quando una comunità non applica il suo diritto-dovere: partecipare attivamente
Da alcuni mesi le emittenti radio-televisive nazionali e internazionali stanno portando alla nostra attenzione l’emergenza rifiuti che da quasi vent’anni colpisce la Campania, in particolare Napoli, e che scrive un ennesimo capitolo nella storia del declino inarrestabile di questa terra. Il meridione d’Italia è pieno zeppo di problemi che lo affliggono da decenni e che sono rintracciabili nelle radici culturali e in sistemi di valori sbagliati, ma soprattutto perché chi lo governa gode di un’assenza sostanziale di quella che il sociologo e politologo Robert D. Putnam inquadra nel concetto di “comunità civica”, cioè l’insieme degli interressi e il grado di partecipazione verso ciò che riguarda la vita della propria comunità: dalle piccole esigenze di tutti i giorni fino, ad esempio (ma non a caso), all’operato delle istituzioni (La tradizione civica delle regioni italiane, 1993). Tale concetto, insieme ad altri, è stato definito da Putnam all’interno di una ricerca sulla situazione economica e sociale delle venti regioni italiane, un’indagine che aiuta ad affrontare un’analisi sul perché alcune regioni italiane funzionano meglio di altre. Certo noi non siamo tutti scienziati sociali e di conseguenza elaboriamo le nostre teorie e opinioni sul mondo esterno principalmente in base ad un nostro schema di valutazione; spesso condiviso, ma sempre personale... almeno nelle sfumature. Questo però non ci impedisce di affermare che il disastro rifiuti in Campania probabilmente rappresenta il punto massimo, lo stadio più avanzato del cancro che il Sud porta da sempre in corpo. E il cancro, tutti sanno, uccide: la malasanità, la criminalità organizzata, i rifiuti tossici. La anomalia, o meglio la anomalia principale, sta nel fatto che noi vediamo, sentiamo, addirittura tocchiamo questo male, ma non facciamo nulla per debellare, annientare questa piaga. Mai come in questo caso l’importante non è vincere, ma partecipare (passivamente). Basta che ci siamo, poi del resto non importa. E il problema spazzatura è emblematico in questo senso. Perché gli ospedali mal funzionanti esistono, ma non sono tutti così; perché la mafia è diffusa, ma spesso è nascosta, latente; ma la “munnezza” no! I sacchetti sono sotto i nostri occhi, le persone che si ammalano per via dell’inquinamento causato dall’immondizia le vediamo e, sempre più spesso, le conosciamo personalmente (per alcune patologie tumorali in Campania si stima un 180% in più rispetto alla media nazionale e un 350% in più rispetto alla media europea – fonte: www.tgcom.mediaset.it). E qui scatta un altro meccanismo, strettamente legato ad una partecipazione superficiale ai problemi, che prende le mosse dalla cosiddetta filosofia “non nel mio giardino”. Per intenderci, la maggior parte degli individui che partecipa ad un sit-in contro l’apertura di una discarica, lo fa soprattutto perché non gradisce la presenza di un posto simile vicino a casa e vuole, a ragione, evitare gli effetti dannosi di un possibile inquinamento da rifiuti. Ma difficilmente queste persone sono disposte a collaborare per dare il via ad un sistema di raccolta differenziata. E’ da sottolineare che queste barriere sono create innanzitutto dal complesso di valori errati di cui sopra, non da un autolesionismo connaturato. Con tutto ciò la malavita organizzata ci campa, e questo è “normale”. Ma la cosa anormale e scandalosa è che ci vivono anche le istituzioni, in particolare i loro rappresentanti, che nel contesto sono senz’altro i più colpevoli. A volte per ignoranza (tanti sindaci protestano contro un CDR senza sapere cos’è), altre volte perché una condizione del genere porta nuove poltrone (di recente la procura di Napoli ha alzato accuse contro il governatore Bassolino ed altri dirigenti per stipendi da capogiro – un milione di euro annui - relativi ad incarichi legati all’emergenza rifiuti, con forti sospetti che si sia prolungata l’agonia della regione per guadagnare il più possibile da questa situazione – fonte: www.tgcom.mediaset.it). In sostanza, se chi (istituzioni, cittadini) crede di avere la volontà e si assume la responsabilità di portare un miglioramento nella vita di tutti non è disposto ad imparare cose nuove, non è pronto a rivedere i propri valori e le propri abitudini, tutto si ridurrà sempre ad un nulla di fatto e tra qualche anno staremo ancora qui a discutere se è il caso di portare i nostri rifiuti in Germania o chissà dove.

venerdì 8 febbraio 2008

E' MORTO IL GRAN MAESTRO DELL'ORDINE DI MALTA

Comunicato ANSA

» 2008-02-08 11:32
MORTO IL GRAN MAESTRO DELL'ORDINE DI MALTA

ROMA - Il Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta fra Andrew Willoughby Ninian Bertie è morto. Lo apprende l'Ansa da qualificate fonti politiche e diplomatiche. Le bandiere del palazzo magistrale in via dei Condotti sono da stamani a mezzasta in segno di lutto. Fra Andrew Willoughby Ninian Bertie era nato il 15 maggio 1929 a Londra ed era il settantottesimo Gran Maestro del Sovrano Ordine Militare di Malta, il primo britannico. Bertie era un lontano parente della regina Elisabetta, nipote del settimo conte di Earl of Abingdon. Aveva frequentato scuole cattoliche e si era laureato ad Oxford in storia moderna. Era entrato nel Sovrano Militare Ordinme di Maltanel 1956 ed aveva preso i voti perpetui, diventandone un membro religioso nel 1981. Nel 1988 era stato eletto alla guida dell'Ordine come settantottesimo Gran Maestro.IL COMUNICATO UFFICIALE Fra Andrew Bertie ha guidato diversi cambiamenti nell'Ordine di Malta, dando il via ad un approccio moderno ai programmi umanitari dell'ordine, incrementando il numero dei membri e la capacità di offrire aiuti ai poveri ed ai bisognosi nelle regioni più lontane". E' quanto si legge nel comunicato che annuncia ufficialmente la morte del Gran maestro dello Smom, morto ieri a Roma. Bertie, il primo inglese ad essere eletto alla guida dell'Ordine dei suoi 900 anni di storia e che parlava correntemente cinque lingue, "ha aumentato da 49 a 100 le missioni diplomatiche bilaterali dell'Ordine, la cui delicata missione consiste nell'offrire aiuto ai Paesi afflitti da conflitti o da disastri naturali. Ha istituito - si legge ancora nella nota - conferenze internazionali nel'ambito delle quali i membri dell'Ordine erano invitati a contribuire alle strategie umanitarie e incoraggiati a un impegno sempre maggiore rispetto alla missione spirituale dell'Ordine: aiutare i malati e i poveri e di offrire un esempio di vita secondo i principi cristiani. In più, ha modernizzato la struttura interna e l'amministrazione dell'Ordine". La nota elenca le cittadinanze onorarie e le onorificenze conferite negli anni a fra Bertie, e conclude definendolo come "un uomo di serena riflessione e di ampi interessi. Fra Bertie é stato amato molto fa tutti coloro che hanno lavorato con lui. Amava particolarmente la compagnia dei giovani, e molti dei dei suoi ex studenti si recavano spesso a visitarlo al Palazzo Magistrale. Quando poteva, passava le sue vacanze a Malta, dove era impegnato nell'organizzazione di corsi di Judo per bambini e nella cura della sua azienda agricola. MORTO GRAN MAESTRO ORDINE DI MALTA: LE PREROGATIVE ROMA - Il Gran Maestro dell'Ordine di Malta é eletto a vita dal Consiglio Compito di Stato tra i Cavalieri Professi. Secondo la Costituzione dello Smom, "quale Superiore religioso e Sovrano, deve dedicarsi pienamente all'incremento delle opere melitensi ed essere d'esempio nell'osservanza religiosa per tutti i membri". Il Gran Maestro esercita la suprema autorità in quello che é considerato lo Stato più piccolo del mondo. Spetta a lui, insieme al Sovrano Consiglio, l'emanazione dei provvedimenti legislativi non previsti dalla Carta Costituzionale, la promulgazione degli atti del governo, l'amministrazione dei beni del Comun Tesoro, l'informazione alla Santa Sede sulle necessità dell'Ordine, la ratifica, previo voto deliberativo del Sovrano Consiglio, degli accordi internazionali e la convocazione del Capitolo Generale. Gli Stati con i quali l'Ordine intrattiene rapporti diplomatici riconoscono al Gran Maestro, in quanto Capo Supremo dell'Ordine, le prerogative, le immunità, i privilegi e gli onori spettanti ai Capi di Stato, nonché il titolo di Altezza Eminentissima. La Chiesa Cattolica gli attribuisce il rango di Cardinale. Il Gran Maestro risiede presso la sede dell'Ordine a Roma, nel palazzo Magistrale in via Condotti, 68, dove stamani sono esposte le bandiere a mezz'asta in segno di lutto. Andrew Bertie era succeduto, nel 1988 a fra Angelo De Mojana, nobile milanese cui viene riconosciuto il merito di aver attuato una grande rimodernazione dell'Ordine di Malta MORTO GRAN MAESTRO ORDINE DI MALTA: CHE COSA E' LO SMOM
di Francesco Bongarrà:
ROMA - Il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta (é questa la dizione ufficiale dello Smom) è una delle più antiche Istituzioni della civiltà occidentale e cristiana. Presente in Palestina attorno al 1050, viene spiegato nel sito internet dello Smom, è un Ordine religioso laicale, tradizionalmente militare, cavalleresco e nobiliare. Tra i suoi 12.500 membri, alcuni sono frati professi, altri hanno pronunciato la promessa di obbedienza. Gli altri tra cavalieri e dame che lo compongono sono laici tutti votati all'esercizio della virtù e della carità cristiana. "Quello che distingue i Cavalieri di Malta è il loro impegno ad approfondire la propria spiritualità nell'ambito della Chiesa e a dedicare parte delle proprie energie al servizio dei poveri e dei sofferenti". IL MOTTO: "L'Ordine dei Cavalieri di Malta rimane fedele ai suoi principi ispiratori che sono sintetizzati nel binomio 'Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum', ovvero la difesa della fede e il servizio ai poveri e ai sofferenti, che si concretizzano attraverso il lavoro volontario di dame e cavalieri in strutture assistenziali, sanitarie e sociali". Oggi l'Ordine è presente in oltre 120 paesi con le proprie attività mediche, sociali e assistenziali. UNO STATO SENZA TERRITORIO: il Sovrano Militare Ordine di Malta attualmente è un governo riconosciuto internazionalmente ma privo di territorio. L'Ordine conserva le prerogative di un ente indipendente e sovrano, ha un proprio ordinamento giuridico, rilascia passaporti, emette francobolli, batte moneta e dà vita ad enti pubblici melitensi dotati di autonoma personalità giuridica. A Capo dell'Ordine dal 1988 era il 78/mo Gran Maestro Frà Andrew Bertie, eletto a vita. L'Ordine intrattiene relazioni diplomatiche con 99 Stati in tutto il mondo, molti dei quali non cattolici, cui vanno aggiunte rappresentanze presso alcuni importanti Paesi europei e presso Organismi Europei ed Internazionali. L'Ordine di Malta è neutrale, imparziale e apolitico. "Queste sue caratteristiche - viene puntualizzato nel sito web dello Smom - lo rendono particolarmente adatto ad intervenire come mediatore tra gli Stati. SOGGETTO INTERNAZIONALE: La qualità di soggetto internazionale è stata continuamente ribadita: fra l'altro da una sentenza della Corte di Cassazione in cui si sostiene: "una forma particolare di soggettività internazionale, avente carattere funzionale, nel senso che opera esclusivamente per il raggiungimento delle sue finalità istituzionali di assistenza sanitaria ed ospedaliera". Le sue sedi centrali, a Roma, a Palazzo Magistrale in Via Condotti 68 (dove il Gran Maestro risiede e svolge la funzione di governo), e la Villa Magistrale sull'Aventino (che ospita il Gran Priorato di Roma, l'Ambasciata dell'Ordine presso la Santa Sede e l'Ambasciata dell'Ordine presso lo Stato italiano), godono della extraterritorialità. Tuttavia, diversamente dalla Città del Vaticano, lo Smom non ha sovranità territoriale. Le Nazioni Unite lo accolgono come "Stato osservatori dell'Assemblea Generale" IL GOVERNO: Presente direttamente in 54 paesi del mondo, l'Ordine di Malta si compone di 6 Gran Priorati, 5 Sottopriorati e 47 Associazioni nazionali. Il capo supremo dell'Ordine è il Gran Maestro, che è eletto a vita dal Consiglio Compito di Stato. I votanti del Consiglio comprendono i membri del Sovrano Consiglio, altri funzionari e rappresentanti dei membri dell'Ordine. Il Gran Maestro nell'esercizio del potere esecutivo é assistito dal Sovrano Consiglio, il governo dell'Ordine. Il Sovrano Consiglio è eletto dal Capitolo Generale, il corpo legislativo dell'Ordine, che si riunisce ogni cinque anni. Il Sovrano Consiglio comprende sei membri e quattro ministri: il Gran Commendatore, il Gran Cancelliere, il Grande Ospedaliere ed il Ricevitore del Comun Tesoro. Il cardinale patrono è, dall'8 maggio 1993, il forlivese Pio Laghi.
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giovedì 7 febbraio 2008

Il significato delle Ceneri: la Conversione.

di MARIA e MAX
Dear Friend,
Siamo ormai in Quaresima anche quest'anno! Qualcuno magari non ci ha fatto caso, qualcuno non si ricorda neppure più cos'è la Quaresima. La Quaresima è un tempo di grazia in cui il Signore promette di esserci più vicino, in cui stende le mani con dei doni particolarmente preziosi e attende che noi ne approfittiamo. Attende con gioia, con trepidazione, Lui che ci ama, sa quanto sono preziosi e ci potrebbero arricchire, rendere felici. A volte però ignoriamo o non badiamo molto a questo Suo tendere le mani colme di doni nei confronti di ciascuno di noi, a volte non comprendiamo il valore di questi doni. Il turbine del mondo a volte ci confonde. Qualcuno ci inganna facendoci credere che i doni preziosi sono altri, la felicità sta altrove. Non è facile. è a volte come una lotta. In noi stessi, fra luce e tenebra, fra la luce di chi ci vuole nella gioia ora e per l'eternità e chi vuole donarci piccole gioie subito che presto svaniscono lasciando la bocca amara e. nulla di più certo. La vita dello spirito è molto più sperimentale e pratica di quanto si possa comunemente credere, basta solo provare seriamente, ascoltarsi di più, in profondità, prendersi più seriamente, andare fino in fondo, con convinzione nelle situazioni ordinarie della vita. Creare ponti, aprire un canale con il Trascendente, nella verità. riprendendo la Parola di Dio, pregando col cuore e con le persone care., riscoprire che attraverso piccoli e grandi gesti d'amore posso cambiare VERAMENTE il mondo. Il mio piccolo mondo, di amici, colleghi, famiglia. Non serve a nulla arrabbiarsi, lamentarsi, forzare violentemente la mano in un mondo che piace sempre di meno. Il mondo è intriso di violenza e di infelicità, se usiamo queste armi soccomberemo senza risultato. Gesù ha indicato una via nuova, una via superiore, praticabile da tutti specie dai piccoli, dai poveri e dai deboli, è la via della croce, dell'amore! La via di chi si fa carico per amore degli amici, per amore nostro delle sofferenze, degli errori e delle brutture, per toglierle. Via che porta alla vittoria, alla gioia eterna, alla resurrezione. Tocca "solo" fidarsi, morire per risorgere! morire alla tentazione di cambiare le persone ed il mondo con la forza, di rinunciare a combattere, di lamentarsi, di far tutto da sè, per sè, di aggiustare le cose a proprio comodo con la menzogna, di coltivare rancori, vendetta, odio, . morire a ciò per risorgere ad una gioia, ad una pienezza e ad una pace più grande. Nessuno può toccarla, nessun nemico può strapparla, perché il nemico, che non concepisce l'amore, è superato e sconfitto dalla via dell'amore.Allora perchè non provare, chiedere e sperimentare la potenza dello Spirito, verificare che gli atti d'amore, le preghiere sono efficaci. Farsi aiutare da Maria Santissima, dall'angelo custode, nelle situazioni importanti come quelle meno importanti. A volte è solo questione di "allenamento" non si è più abituati a certe cose. ma vi assicuro che come dice Gesù "chiedete al Padre mio nel mio nome perché la vostra gioia sia piena" è verità sperimentabile, sia per le piccole cose di tutti i giorni, quasi da vergognarsi un po' a chiedere che per quelle grandi come i temi di mondialità e i problemi delle nazioni e dell'Italia.Perché allora lasciare cadere anche questa quaresima invano senza far almeno un tentativo vero, convinto?--------------------------------------------------------------------------------------1) La "SINTESI" di Mary2) MESSAGIO DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA XVI GIORNATA MONDIALE DEL MALATOL'undici febbraio prossimo si celebrerà il 150° anniversario delle apparizioni di Maria Santissima a Lourdes in questi 150 anni milioni di persone hanno percorso quel piazzale, si sono rinfrancati alla fonte indicata da Maria a Bernardette, molti hanno trovato sollievo e guarigione alle loro sofferenze. moltissimi hanno avuto in dono la chiave per vivere CON GIOIA la loro sofferenza, le loro difficoltà. La chiave che dona Maria è Gesù, Gesù che accoglie con amore, per amore e nell'amore la Sua - nostra sofferenza, per amore nostro, per darci la gioia, una nuova gioia che nessuno può toccare e strapparci, perché alta, che non può toccare neanche lo spirito maligno. E così, Gesù ci ha fatto un dono incorruttibile ed eterno e così ci ha indicato una via, l'unica per dare senso alle sofferenze, a tutte le sofferenze, dalle piccole alle grandi anzi impiegarle per vincere, assieme a Gesù, come Gesù, colui che per invidia le ha sparse, come seme nefasto, nel mondo.L'11 febbraio, memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, si celebra la Giornata Mondiale del Malato, occasione propizia per riflettere sul senso del dolore e sul dovere cristiano di farsene carico in qualunque situazione esso si presenti. I 150 anni dalle apparizioni di Lourdes ci invitano a volgere lo sguardo verso la Vergine Santa, la cui Immacolata Concezione costituisce il dono sublime e gratuito di Dio ad una donna, perché potesse aderire pienamente ai disegni divini con fede ferma e incrollabile, nonostante le prove e le sofferenze che avrebbe dovuto affrontare. Per questo Maria è modello di totale abbandono alla volontà di Dio: ha accolto nel cuore il Verbo eterno e lo ha concepito nel suo grembo verginale; si è fidata di Dio e, con l'anima trafitta dalla spada del dolore (cfr Lc 2,35), non ha esitato a condividere la passione del suo Figlio rinnovando sul Calvario ai piedi della Croce il "sì" dell'Annunciazione.Non si può contemplare Maria senza essere attratti da Cristo e non si può guardare a Cristo senza avvertire subito la presenza di Maria. Esiste un legame inscindibile tra la Madre e il Figlio generato nel suo seno per opera dello Spirito Santo, e questo legame lo avvertiamo, in maniera misteriosa, nel Sacramento dell'Eucaristia, come sin dai primi secoli i Padri della Chiesa e i teologi hanno messo in luce. "La carne nata da Maria, venendo dallo Spirito Santo, è il pane disceso dal cielo", afferma sant'Ilario di Poitiers. Osserva poi san Pier Damiani: "Quel corpo che la beatissima Vergine ha generato, ha nutrito nel suo grembo con cura materna, quel corpo dico, senza dubbio e non un altro, ora lo riceviamo dal sacro altare, e ne beviamo il sangue come sacramento della nostra redenzione. Questo ritiene la fede cattolica, questo fedelmente insegna la santa Chiesa". Per adorare Gesù Cristo presente nel Sacramento dell'altare, a Lui affidarci come a Speranza che non delude, Lui accogliere quale farmaco dell'immortalità che sana il fisico e lo spirito. Gesù Cristo ha redento il mondo con la sua sofferenza, con la sua morte e risurrezione e ha voluto restare con noi quale "pane della vita" nel nostro pellegrinaggio terreno.Unito misteriosamente a Cristo, l'uomo che soffre con amore e docile abbandono alla volontà divina diventa offerta vivente per la salvezza del mondo. L'amato mio Predecessore affermava ancora che "quanto più l'uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d'oggi, tanto più grande è l'eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo" (ibid.).«Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna »(27).Queste parole, pronunciate da Cristo nel colloquio con Nicodemo, ci introducono nel centro stesso dell'azione salvifica di Dio. Esse esprimono anche l'essenza stessa della soteriologia cristiana, cioè della teologia della salvezza. Salvezza significa liberazione dal male, e per ciò stesso rimane in stretto rapporto col problema della sofferenza. Secondo le parole rivolte a Nicodemo, Dio dà il suo Figlio al « mondo » per liberare l'uomo dal male, che porta in sé la definitiva ed assoluta prospettiva della sofferenza. Contemporaneamente, la stessa parola « dà » («ha dato ») indica che questa liberazione deve essere compiuta dal Figlio unigenito mediante la sua propria sofferenza. E in ciò si manifesta l'amore, l'amore infinito sia di quel Figlio unigenito, sia del Padre, il quale « dà » per questo il suo Figlio. Questo è l'amore per l'uomo, l'amore per il « mondo »: è l'amore salvifico.Dio dà il suo Figlio unigenito, affinché l'uomo « non muoia », e il significato di questo « non muoia » viene precisato accuratamente dalle parole successive: « ma abbia la vita eterna ».L'uomo « muore », quando perde « la vita eterna ». Il contrario della salvezza non è, quindi, la sola sofferenza temporale, una qualsiasi sofferenza, ma la sofferenza definitiva: la perdita della vita eterna, l'essere respinti da Dio, la dannazione.Nella sua missione salvifica egli deve, dunque, toccare il male alle sue stesse radici trascendentali, dalle quali esso si sviluppa nella storia dell'uomo. Tali radici trascendentali del male sono fissate nel peccato e nella morte: esse, infatti, si trovano alla base della perdita della vita eterna. La missione del Figlio unigenito consiste nel vincere il peccato e la morte. Egli vince il peccato con la sua obbedienza fino alla morte, e vince la morte con la sua risurrezione.E' questa la luce del Vangelo, cioè della Buona Novella. Al centro di questa luce si trova la verità enunciata nel colloquio con Nicodemo: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito »(31). Questa verità cambia dalle sue fondamenta il quadro della storia dell'uomo e della sua situazione terrena: nonostante il peccato che si è radicato in questa storia e come eredità originale e come « peccato del mondo » e come somma dei peccati personali, Dio Padre ha amato il Figlio unigenito, cioè lo ama in modo durevole; nel tempo poi, proprio per quest'amore che supera tutto, egli « dà » questo Figlio, affinché tocchi le radici stesse del male umano e così si avvicini in modo salvifico all'intero mondo della sofferenza, di cui l'uomo è partecipe.Nella sua attività messianica in mezzo a Israele Cristo si è avvicinato incessantemente al mondo dell'umana sofferenza. « Passò facendo del bene »(32), e questo suo operare riguardava, prima di tutto, i sofferenti e coloro che attendevano aiuto. Egli guariva gli ammalati, consolava gli afflitti, nutriva gli affamati, liberava gli uomini dalla sordità, dalla cecità, dalla lebbra, dal demonio e da diverse minorazioni fisiche, tre volte restituì ai morti la vita. Era sensibile a ogni umana sofferenza, sia a quella del corpo che a quella dell'anima. E al tempo stesso ammaestrava, ponendo al centro del suo insegnamento le otto beatitudini, che sono indirizzate agli uomini provati da svariate sofferenze nella vita temporale. Essi sono « i poveri in spirito » e « gli afflitti », e « quelli che hanno fame e sete della giustizia » e « i perseguitati per causa della giustizia », quando li insultano, li perseguitano e mentendo, dicono ogni sorta di male contro di loro per causa di Cristo (33)... Così secondo Matteo; Luca menziona esplicitamente coloro « che ora hanno fame »(34).Ad ogni modo Cristo si è avvicinato soprattutto al mondo dell'umana sofferenza per il fatto di aver assunto egli stesso questa sofferenza su di se'. Durante la sua attività pubblica provò non solo la fatica, la mancanza di una casa, l'incomprensione persino da parte dei più vicini, ma, più di ogni cosa, venne sempre più ermeticamente circondato da un cerchio di ostilità e divennero sempre più chiari i preparativi per toglierlo di mezzo dai viventi. Cristo va incontro alla sua passione e morte con tutta la consapevolezza della missione che ha da compiere proprio in questo modo. Proprio per mezzo di questa sua sofferenza egli deve far sì « che l'uomo non muoia, ma abbia la vita eterna ». Proprio per mezzo della sua Croce deve toccare le radici del male, piantate nella storia dell'uomo e nelle anime umane. Proprio per mezzo della sua Croce deve compiere l'opera della salvezza. Quest'opera, nel disegno dell'eterno Amore, ha un carattere redentivo.Cristo s'incammina verso la propria sofferenza, consapevole della sua forza salvifica, va obbediente al Padre, ma prima di tutto è unito al Padre in quest'amore, col quale Egli ha amato il mondo e l'uomo nel mondo. E per questo San Paolo scriverà di Cristo: « Mi ha amato e ha dato se stesso per me »(40).Cristo dà la risposta all'interrogativo sulla sofferenza e sul senso della sofferenza non soltanto col suo insegnamento, cioè con la Buona Novella, ma prima di tutto con la propria sofferenza, che con un tale insegnamento della Buona Novella è integrata in modo organico ed indissolubile. E questa è l'ultima, sintetica parola di questo insegnamento: « la parola della Croce », come dirà un giorno San Paolo(44).Le parole della preghiera di Cristo al Getsemani provano la verità dell'amore mediante la verità della sofferenza. Le parole di Cristo confermano con tutta semplicità questa umana verità della sofferenza, fino in fondo: la sofferenza è un subire il male, davanti al quale l'uomo rabbrividisce. Egli dice: « passi da me », proprio così, come dice Cristo nel Getsemani.Le sue parole attestano insieme quest'unica ed incomparabile profondità ed intensità della sofferenza, che poté sperimentare solamente l'Uomo che è il Figlio unigenito. Esse attestano quella profondità ed intensità, che le parole profetiche sopra riportate aiutano, a loro modo, a capire: non certo fino in fondo (per questo si dovrebbe penetrare il mistero divino-umano del Soggetto), ma almeno a percepire quella differenza (e somiglianza insieme) che si verifica tra ogni possibile sofferenza dell'uomo e quella del Dio-Uomo. Il Getsemani è il luogo, nel quale appunto questa sofferenza, in tutta la verità espressa dal profeta circa il male in essa provato, si è rivelata quasi definitivamente davanti agli occhi dell'anima di Cristo.Dopo le parole nel Getsemani vengono le parole pronunciate sul Golgota, che testimoniano questa profondità - unica nella storia del mondo - del male della sofferenza che si prova. Quando Cristo dice: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? », le sue parole non sono solo espressione di quell'abbandono che più volte si faceva sentire nell'Antico Testamento, specialmente nei Salmi e, in particolare, in quel Salmo 22 [21], dal quale provengono le parole citate(47). Si può dire che queste parole sull'abbandono nascono sul piano dell'inseparabile unione del Figlio col Padre, e nascono perché il Padre « fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti » (48) è sulla traccia di ciò che dirà San Paolo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore »(49). Insieme con questo orribile peso, misurando « l'intero » male di voltare le spalle a Dio, contenuto nel peccato, Cristo, mediante la divina profondità dell'unione filiale col Padre, percepisce in modo umanamente inesprimibile questa sofferenza che è il distacco, la ripulsa del Padre, la rottura con Dio. Ma proprio mediante tale sofferenza egli compie la Redenzione, e può dire spirando: « Tutto è compiuto »(50).L'umana sofferenza ha raggiunto il suo culmine nella passione di Cristo. E contemporaneamente essa è entrata in una dimensione completamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all'amore, a quell'amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell'amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, ricavandolo per mezzo della sofferenza, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo, e costantemente prende da essa il suo avvio. La Croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi d'acqua viva(52). In essa dobbiamo anche riproporre l'interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la risposta a questo interrogativo.3) Parola di vita di Febbraio 2008 a cura di Chiara Lubich"Chi osserverà [questi precetti] e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli" (Mt 5, 19).La grandezza nei cieli è pace, gioia, giustizia qua sulla terra! Il Paradiso lo si incomincia a vivere già da qui, da ora, basta decidersi. un Paradiso ancor più vero e reale quando tangibile anche in mezzo alle sofferenze e alle prove più dure della vita, proprio grazie alla gioia e alla pace che si sperimenta. Gioia e pace che non sono da noi, neanche dai fratelli e dalle sorelle, sono dono di Dio: per quanto siamo bravi nell'autoconvincerci ed i fratelli a sostenerci ci sono prove più grandi in cui solo Dio può. Solo Dio può districare, può sollevare con la Sua pace. E questa pace, questa gioia è il Vangelo, la Buona Novella di Gesù che continua a dirci, "non temere, fidati di me che ho vinto! fidati di me che sono la Buona Novella, lascia che ti doni vita piena e felice, apri il tuo cuore, non temere, non ti voglio ingannare come il mondo, voglio strapparti dall'inganno del mondo."La nostra società ha bisogno, oggi come mai, di conoscere le parole del Vangelo e lasciarsi trasformare da esse. Gesù deve poter ancora ripetere: non adiratevi con i vostri fratelli; perdonate e vi sarà perdonato; dite la verità al punto da non aver bisogno del giuramento; amate i vostri nemici; riconoscete che avete un solo Padre e che siete tutti fratelli e sorelle; tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. È questo il senso di alcune delle molte parole del "discorso della montagna", che, se vissute, basterebbero per cambiare il mondo.Gesù invita noi ad annunciare il suo Vangelo. Ma prima di "insegnare" le sue parole, ci domanda di "osservarle". Quale il modo migliore di vivere questa Parola? Far sì che sia Gesù stesso ad insegnarcelo, attirandolo a noi e tra noi col nostro reciproco amore. Sarà Lui a suggerirci le parole per avvicinare le persone, ad indicarci le strade, ad aprirci i varchi per entrare nel cuore dei fratelli.L'importante è tenere viva fra noi la Sua presenza con il nostro amore scambievole, docili ad ascoltare la Sua voce, la voce della coscienza che sempre ci parla se sappiamo far tacere le altre.Non possiamo tenere per noi il dono ricevuto: "Guai a me se non annuncio il Vangelo" (1 Cor 9, 16) siamo chiamati a ripetere con Paolo. Se ci lasciamo guidare dalla voce interiore scopriremo possibilità sempre nuove per comunicare, parlando, scrivendo, dialogando. Che il Vangelo torni a brillare, attraverso le nostre persone, nelle nostre case, nelle nostre città, nei nostri Paesi.4) Meditazione: "Le Ceneri" ­ dal Messale dell'Assemblea Cristiana Festivo del Centro Catechistico Salesiano Sulle letture di Mercoledì 6 febbraio 2008 ­ Le CeneriAh questa poi, il digiuno! Ma senti che ci viene a dire questo. con tutte le diete che facciamo, le corse, i sacrifici, ci manca solo più il digiuno ora! Ma si perché no? Le proviamo tutte nella vita per essere più felici, più belli, perché non provare anche a fare digiuno qualche volta. Un digiuno che è segno d'amore, che deve essere fatto con amore, amore nei confronti del nostro corpo iperstimolato e ipernutrito, amore nei confronti del nostro spirito a volte messo a tacere proprio dai prorompenti e non controllati stimoli del corpo, amore nei confronti dei fratelli che per necessità il loro digiuno è "obbligatorio" e. amore nei confronti di Dio, per dire, qualche volta anche in modo esplicito che è cibo, gioia, necessità più importante "fare la Sua volontà".Sobrietà, austerità, astinenza dai cibi sembrano anacronistici in questa società che fa del benessere e della sazietà il proprio vanto. Ma è proprio questa sazietà che rischia di renderci insensibili agli appelli di Dio e alle necessità dei fratelli.Per il cristiano il digiuno non è prodezza ascetica, né farisaica ostentazione di «giustizia», ma è segno della disponibilità al Signore e alla sua Parola. Astenersi dai cibi è dichiarare qual è l'unica cosa necessaria, è compiere un gesto profetico nei confronti di una civiltà che in modo subdolo e martellante insinua sempre nuovi bisogni e crea nuove insoddisfazioni. Prendere le distanze dalle cose futili e vane significa ricercare l'essenziale: affidarsi umilmente al Signore, creare spazi di risonanza alla voce dello Spirito.In seno al popolo di Dio, il digiuno fu sempre considerato come una pratica essenziale dell'anima religiosa; infatti, secondo il pensiero ebraico, la privazione del nutrimento e, in generale, di tutto ciò che è gradevole ai sensi, era il mezzo ideale per esprimere a Dio, in una preghiera di supplica, la totale dipendenza di fronte a lui, il desiderio di vedersi perdonato e il fermo proposito di cambiar condotta.La rottura definitiva del digiuno avverrà quando tutti saranno assisi al banchetto del Regno (Is 25,6).Il digiuno non si fa per «risparmiare», cioè per motivi economici, ma per amore di Dio. Un amore che si fa preghiera, ma che reclama la sollecitudine per il prossimo, la solidarietà con i più poveri, un maggiore senso di giustizia (cf Is 1,17; Zc 7,5-9).Chi partecipa seriamente alla passione del Signore, tutt'oggi viva nei poveri della terra, sa che il ritorno al Padre (quello proprio, come quello della comunità) è cominciato, e che nella mortificazione della carne può fiorire lo Spirito della risurrezione e della vita.«Il trinomio per cui sta salda la fede... Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno. Nessuno le divida... Chi prega digiuni... Chi digiuna comprenda bene cosa significa per gli altri non avere da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno... » (s. Pier Crisologo).Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza.Passiamo in rassegna tutte le epoche del mondo e constateremo come in ogni generazione il Signore abbia concesso modo e tempo di pentirsi a tutti coloro che furono disposti a ritornare a lui. Noè fu l'araldo della penitenza e coloro che lo ascoltarono furono salvi.Giona predicò la rovina ai Niniviti e questi, espiando i loro peccati, placarono Dio con le preghiere e conseguirono la salvezza. Eppure non appartenevano al popolo di Dio.Di' ai figli del mio popolo: Anche se i vostri peccati dalla terra arrivassero a toccare il cielo, fossero più rossi dello scarlatto e più neri del cilicio, basta che vi convertiate di tutto cuore e mi chiamiate « Padre », ed io vi tratterò come un popolo Santo ed esaudirò la vostra preghiera (cfr. Is 1,18; 63,16; 64,7; Ger 3,4; 31,9).Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate, e non sarete giudicati; siate benevoli, e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1.2). Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell'obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).Perciò, avendo vissuto grandi e illustri eventi, corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefici incomparabili.5) SPECIALE * L'importanza di aver la pace di Cristo * David WilkersonIl più grande dono di Gesù è lo Spirito Santo, che si riconosce dai suoi frutti. essenzialmente dalla pace e dalla gioia che si sperimentano quando Lo ospitiamo nel cuore. Ci sono momenti della vita e dell'anno che questo dono si fa più pressante, più vicino. E' la Quaresima, sono le nostre quaresime: i periodi difficili e lunghi in cui non sembra ci sia una via d'uscita. La "quaresima" l'ha vissuta per primo Gesù, nella Sua pasqua si è fatto carico di tutte le nostre quaresime, di tutte le sofferenze di tutti i momenti difficili e ci ha detto "vi lascio la pace, vi do la mia pace" ce l'ha donata, basta stendere la mano e riceverla, attenderla. E' un dono grande, il più grande, quello dello Spirito che ci porta la Sua pace, merita attenderlo, e se Gesù l'ha promesso, merita insistere nel chiederlo. E ricevuto si scoprirà che è veramente il dono più grande, più di ogni altra cosa, è un dono contagioso.. Allora perché non fare tesoro di questa Quaresima. di tutte le nostre quaresime?ECCO UN BREVE MESSAGGIO PER QUELLI CHE STANNO PREGANDO PER UN MIRACOLO.Sto parlando a quelli che si trovano in una situazione così disperata che ci vorrebbe solo un miracolo per risolverla. Forse qualcuno che sta leggendo questo scritto si trova nel baratro della più totale disperazione.Grazie a Dio per tutti quelli che godono un momento di cielo blu, che godono di buona salute, di un buon lavoro e di un buon matrimonio ­ e tutto va bene. Gloria a Dio! Ringraziatelo molto.Ecco la Parola di cui avete bisogno: "Ma quelli che sperano nell'Eterno acquistano nuove forze, s'innalzano con ali come aquile, corrono senza stancarsi e camminano senza affaticarsi" (Isaia 40:31).Come si spera nell'Eterno? Suggerisco tre cose:1. Smettete di pensare alla vostra situazione ed iniziate a concentrare la vostra mente sul Signore.2. Siate pazienti, aspettate che Dio risponda alle preghiere a Suo tempo e con i Suoi modi. Aspettare con pazienza significa sperare e confidare nonostante tutti gli scoraggiamenti e le delusioni. "Devi avere pazienza".3. Prega spesso ­ tutti i giorni ­ con aspettativa. Dove non c'è aspettativa di risposta, non si può aspettare Dio.Gesù disse ai Suoi discepoli: "Io vi lascio la pace, vi do la mia pace; io ve la do" (Giovanni 14:27). Queste parole dovettero stupire i discepoli. Ai loro occhi, era quasi una promessa inconcepibile: la pace di Cristo sarebbe divenuta la loro pace.Questi dodici uomini si erano meravigliati per la pace che avevano visto in Gesù negli ultimi tre anni. Il loro Maestro non aveva mai avuto paura. Era stato sempre calmo, mai ansioso per le circostanze.Aveva pace con il Padre, pace di fronte alla tentazione, pace nei momenti in cui lo rigettavano e lo beffavano. Nessun uomo, nessun sistema religioso, nessun demone aveva potuto rubargli la pace.La loro sarebbe stata la pace di Cristo stesso, una pace che sorpassa ogni comprensione umana.I discepoli erano in procinto di subire la prova più grande che avrebbero mai sperimentato. Perché? Da lì a qualche tempo Cristo li avrebbe lasciati. Ma Gesù ora dice loro: "Dovete sapere che sto per essere consegnato nelle mani di uomini malvagi, ed essi mi uccideranno. Ma io risorgerò ancora".Nello stesso momento, Gesù promette di dare ai discepoli lo Spirito Santo. Cristo spiega: "Lo Spirito Santo vi guiderà in quello che dovrete affrontare. Sarà vostro amico. E vi permetterà di sperimentare la pace che vi do".A quel punto Gesù disse: "Se voi mi amaste, vi rallegrereste perché ho detto: "Io vado al Padre"" (Giovanni 14:28). Ma i suoi discepoli non potevano gioire con lui. Semplicemente non avrebbero potuto comprendere la promessa dello Spirito Santo fino a Pentecoste, quando in realtà scese su di loro.Le parole di Gesù avevano appena stravolto le vite ed il ministero di questi uomini. Improvvisamente si sentivano confusi, erano pieni di paura e di incertezza.Posso immaginare Pietro che dice: Non ho bisogno di sentire di future benedizioni in cielo. Questa è una crisi vera e propria e devo in qualche modo risolverla adesso. Ritornerò a pescare. Dopo la crocifissione, Pietro e gli altri ritornarono alla loro vita da pescatori, per un po' di tempo.Proprio in questo momento, forse stai attraversando uno dei momenti più difficili che hai mai vissuto. La tua vita è instabile e la situazione sembra disperata. Forse hai perso il lavoro, oppure la tua situazione finanziaria è fuori controllo. Non ti appare via d'uscita. Ogni direzione non fa che portarti altro stress, confusione e pesantezza."Ma ho sentito così tante volte queste benedette verità. E ci credo. Ma in questo momento, mi sembra tutta una teologia priva di contenuto. Non ho bisogno di un altro sermone o di altra teoria. Ho bisogno di un miracolo".Ti dici: "Se solo potessi vedere una luce alla fine di questo tunnel. Ma vedo solo incertezza da tutte le parti. Se solo potessi essere guarito nel corpo ­ trovare liberazione per i miei figli ­ tirarmi fuori dai debiti ­ allora avrei pace. Dammi un miracolo, e conoscerò la pace".Quando Cristo promise ai discepoli la sua pace, era come se stesse dicendo loro (ma anche a noi oggi): "So che non comprendete i periodi difficili che state affrontando. Non comprendete la Croce e le sofferenze che anch'io sto per affrontare. Sì, state per essere provati al di là della vostra capacità di sopportazione. State per essere confusi e state per sentirvi dimenticati dal Padre."Ma voglio portare il vostro cuore in un luogo di pace. Non sarete in grado di affrontare ciò che vi sta davanti, se non avrete la mia pace in voi. Dovete avere la mia pace".Cristo ci sta dicendo, come ha detto ai suoi discepoli: "Non sarete in grado di sopportare ciò che verrà senza la mia pace in voi. Prendetela adesso, prima che le cose peggiorino. Il mio Spirito Santo dimora in voi. Chiedetegli la mia pace. Lui ha promesso di ancorare la vostra anima in ogni tempesta"."E questo sarà il vostro miracolo: vi renderò una meraviglia vivente per il mondo. Vi farò uno spettacolo della mia grazia in mezzo al caos e alla confusione".Non importa quello che stai passando. La tua vita forse sembra essere colpita da un tornado. Forse stai sopportando delle prove che ti rendono agli occhi degli altri un moderno Giobbe. Ma in mezzo alle tue prove, quando invochi lo Spirito Santo e gli chiedi di battezzarti nella pace di Cristo, egli lo farà.A chi concede Gesù la sua pace? Forse penserai: "Non sono degno di vivere nella pace di Cristo. Ho troppe prove nella mia vita. La mia fede è così debole".Infatti, nel momento più cruciale e sofferente di Cristo, tutti lo dimenticarono e scapparono via. Persino dopo la Risurrezione, quando si diffuse la notizia che "Gesù era risorto", i discepoli furono "lenti a credere". E quando il Signore apparve loro, li rimproverò per la loro mancanza di fede.Ma c'è qualcos'altro. Questi erano uomini confusi. Non comprendevano le vie del Signore. Le sue parabole li avevano confusi. Dopo la crocifissione, persero ogni senso di unità che avevano, disperdendosi in tutte le direzioni.Perché questa promessa di pace soprannaturale fu data a questi uomini difettosi? Perché erano stati chiamati e scelti in Cristo, per nessun altro motivo. I discepoli non erano stati scelti perché erano più buoni e giusti degli altri; e questo è chiaro. Non erano stati scelti perché avevano talenti o abilità. Erano pescatori e lavoratori, umili e semplici.Cristo aveva chiamato e scelto i discepoli perché aveva visto qualcosa nel loro cuore. Guardando in loro, sapeva che ciascuno di loro si sarebbe sottomesso allo Spirito Santo.Il ministero dello Spirito Santo è sempre stato quello di rivelare Cristo al suo popolo. Gesù ha detto: "Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Giovanni 16:14). Stava dicendo, in effetti: "Lo Spirito Santo vi parlerà di me e delle mie vie".Vai in preghiera, e chiedi allo Spirito Santo di darti la provvista quotidiana della pace che Cristo ti ha promesso.6) La Chiesa: esperienza di comunione-missione - 2° parte - La Chiesa: esperienza di comunione At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16 Fra Domenico Marmaglia OPDopo la morte in croce di Gesù, e non subito dopo si forma la comunità, la comunità di Gesù, la famiglia di Gesù, la Chiesa, la Sua Sposa, In questi uomini, i compagni di Gesù, tenuti in grembo da Maria, accompagnati nella preghiera da Maria, avviene qualcosa di molto particolare. ad un certo punto sopraggiunge lo Spirito e li trasforma, diventano uno. Uno in loro, le ferite e le spaccature, non ultima quella lacerante di vedere morire in croce il Maestro, vengono integrate, trasformate, diventano fessure attraverso le quali penetra la luce, e nelle loro apparentemente insormontabili diversità diventano uno fra di loro.e nasce la comunità. Sposa di Cristo, la Chiesa, peccatrice e santa, nei suoi difetti ha il pregio di essere unita a Gesù che mai la rinnegherà e sempre la santificherà, la perfezionerà, e intanto le dona i Suoi stessi poteri. Poteri di guarire, di salvare ,di liberare, di amare, di donare pace e gioia, poteri che si manifestano quando accoglie, nei suoi membri lo Spirito e diventa Comunità.un'esperienza dirompente, qualcosa di veramente contagioso!La comunità vive le situazioni vitali nella preghiera alla ricerca della volontà di Dio nella storia della salvezza. Le decisioni secondo Dio si prendono stando davanti a lui, per lasciarsi modificare. Pregare, infatti, non vuol dire piegare Dio alla propria volontà o ai propri progetti e desideri. La nostra tendenza è di servirci di Dio per i nostri interessi; o di proiettare su di lui le nostre paure e non decidere nulla, con la scusa di delegare a lui le decisioni. Stare con perseveranza davanti a Dio, vuol dire farsi liberare da lui, dalle paure e dalle false decisioni, per fare noi stessi, con lui, scelte libere e responsabili. Il progetto di Dio viene scoperto nell'esperienza della preghiera comunitaria, che è uno stare assiduo e perseverante davanti a Dio per conoscere la sua volontà, o meglio per ritrovare noi stessi nella sua volontà.Quanto più la prima comunità cristiana si trova di fronte a scelte impegnative, a esperienze faticose o a prove di responsabilità, tanto più la sua preghiera si fa perseverante e intensa. La preghiera non è mai separata dalla storia reale e feriale della comunità, così come illumina e scandisce davvero il passo di ogni itinerario cristiano. Ma, soprattutto, la preghiera della comunità cristiana si modella su quella di Gesù.Luca mette in rilievo un altro aspetto caratteristico della preghiera comunitaria: essa va fatta in spirito di fraternità. Il fatto che i credenti frequentino ogni giorno il tempio "in un solo animo" sottolinea lo stile fraterno e unanime con cui la comunità celebra e vive la preghiera comunitaria. L'individualismo e la divisione rendono vuoti il senso e la potenza della preghiera.I sommari di Luca sulla vita di comunione della Chiesa nascente trasmettono soprattutto due messaggi importanti: a) la comunione fraterna, in quanto tale, è già apostolato, cioè contribuisce direttamente all'opera di evangelizzazione (Gv 13,35); b) la vita apostolica della comunità nasce dalla comunione. E' quanto sottolinea in modo esplicito questo testo, in cui Luca ripresenta la comunità con le sue caratteristiche più incisive già riportate, poi, però, dà risalto al fatto che la comunione di vita tra i credenti e gli apostoli (purtroppo, la versione italiana traduce con uno sbiadito "stare insieme" un termine che proprio in Luca è specifico per sottolineare la profonda unità tra le persone):1) suscita stima e grandi lodi (megalùvo) da parte del popolo;2) sempre più aumentava il numero di uomini e anche di donne che credevano nel Signore.Come si vede, Luca mette in rilievo il legame e la reciprocità tra la vita interna e la vita apostolica della comunità, tra l'unità profonda della comunità e la sua missione. La comunione di vita della comunità provoca il successo della missione."Leggendo il NT constatiamo che la vita cristiana nasce dalla comunione, respira nella comunione e tende a una comunione. Si va da comunione a comunione passando, però, attraverso la Croce, cioè attraverso la solidarietà disinteressata e universale. Tale fu la vita di Gesù: ebbe il coraggio di morire per noi, perché in profonda comunione con il Padre, e offrì se stesso per portare gli uomini dispersi all'unità... Tale è anche la via della Chiesa e del cristiano: solo da una comunità che vive una profonda comunione interna (con Dio, fra i membri, fra parrocchia e parrocchia, gruppo e gruppo) scaturisce un autentico slancio apostolico a sua volta costruttore di comunione. Guardiamo il racconto di Pentecoste (At 2). Lo Spirito discende sulla comunità in preghiera e, immediatamente, la disperde per costruire una comunità più grande, un grande raduno. Il cammino dello Spirito va da comunione a comunione, passando attraverso la dispersione missionaria. L'evangelo di Giovanni (si pensi al cap. 17) ci dice che il Cristo missionario uscì da una comunione (la comunione trinitaria) e morì gratuitamente sulla Croce per costruire una comunione fra gli uomini. Tutto questo ci porta a concludere che la comunità ecclesiale (che deve ripetere lo stesso movimento del Cristo e dello Spirito) è autentica se realizza due movimenti essenziali l'uno all'altro: vivere all'interno, fra credenti, una profonda fraternità, uscire da questa fraternità per servire il mondo. Possiamo anche dire che tre sono i cerchi della comunione, che costituiscono il cammino apostolico: una comunione all'interno della singola comunità, una comunione fra comunità e comunità, una solidarietà con il mondo. La conclusione è che solo dalla comunione, e precisamente dalla triplice comunione sopra descritta, scaturisce un autentico slancio apostolico. Non c'è possibilità di autentica presenza cristiana là dove la comunità è divisa fra membro e membro, gruppo e gruppo. Questo è un punto che deve farci riflettere molto. Se manca la comunione la missione non è più autentica o, peggio ancora, rischia di essere evasione e portatrice altrove di quelle medesime tensioni e divisioni che la lacerano. Possiamo fare anche un'altra affermazione. Non soltanto la missione nasce dalla comunione e tende a una comunione, ma la missione appartiene alla comunità, spetta alla comunità: i singoli agiscono in suo nome, per suo incarico e secondo le sue direttive. Il mandato viene dalla comunità. E' come un albero che si stacca dalle sue radici. Chi si stacca dalla comunità e agisce a nome proprio, annunciando idee personali e progetti personali, non costruisce, ma divide" (B. Maggioni, ibid.).7) Santi Cirillo monaco e Metodio vescovo: i fratelli apostoli degli SlaviLa gioia di portare la Buona Novella di Gesù a tutte le genti spinse i santi fratelli Cirillo e Metodio a "farsi tutto in tutti" ad inventare un alfabeto, a penetrare il cuore di una cultura e di un popolo lontano dal loro per far sì che la Buona Novella arrivasse direttamente a questo cuore, senza forzature, senza violenze. E' lo spirito missionario più autentico, scoprire e far scoprire la Buona Novella che già il Signore ha seminato nel cuore di ogni uomo e ogni donna. Superare le apparenti divisioni e diversità e penetrare in questo "diritto naturale", dono di Dio ad ogni uomo e donna, dono che lo rende Sua immagine e somiglianza, e liberarlo, renderlo visibile, tangibile. manifestando così, apertamente, la figliolanza che ciascuno ha nei confronti del Padre.Ricordato il 14 FebbraioTessalonica (attuale Salonicco), Grecia, inizio sec. IX - Roma, 14 febbraio 869Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nati a Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia) all'inizio del sec. IX, evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia. Crearono l'alfabeto slavo e tradussero in questa lingua la Scrittura e anche i testi della liturgia latina, per aprire ai nuovi popoli i tesori della parola di Dio e dei Sacramenti. Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere. Papa Adriano II accreditò la loro opera, confermando la lingua slava per il servizio liturgico. Cirillo morì a Roma il 14 febbraio 869. Giovanni Paolo II con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" del 31 dicembre 1980 li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d'Europa. (Mess. Rom.)Bizantini di cultura, i fratelli Cirillo e Metodio seppero farsi apostoli degli Slavi nel pieno senso della parola. La separazione dalla patria che Dio talvolta esige dagli uomini eletti, accettata per la fede nella sua promessa, è sempre una misteriosa e fertile condizione per lo sviluppo e la crescita del Popolo di Dio sulla terra. Il Signore disse ad Abramo: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione». La divina Provvidenza, che per i due santi Fratelli si espresse con la voce e l'autorità dell'imperatore di Bisanzio e del Patriarca della Chiesa di Costantinopoli, indirizzò loro un'esortazione simile, allorché chiese ad essi di recarsi in missione tra gli Slavi. Tale incarico significava per loro abbandonare non solo un posto di onore, ma anche la vita contemplativa; significava uscire dall'àmbito dell'impero bizantino ed intraprendere un lungo pellegrinaggio al servizio del Vangelo, tra popoli che, sotto molti aspetti, restavano lontani da un sistema di convivenza civile basato sull'avanzata organizzazione dello Stato e la raffinata cultura di Bisanzio.La verità è la forza del loro mandato missionario nascevano dal profondo del mistero della Redenzione, e la loro opera evangelizzatrice tra i popoli slavi doveva costituire un importante anello nella missione affidata dal Salvatore fino alla fine dei tempi alla Chiesa universale.Accanto ad un grande rispetto per le persone e alla sollecitudine disinteressata per il loro vero bene, i due santi Fratelli ebbero adeguate risorse di energia, di prudenza, di zelo e di carità, indispensabili per portare ai futuri credenti la luce, e per indicare loro, al tempo stesso, il bene, offrendo un concreto aiuto per raggiungerlo.Proprio per tale motivo trovarono naturale prendere una chiara posizione in tutti i conflitti, che allora turbavano le società slave in via di organizzazione, assumendone come proprie le difficoltà e i problemi, inevitabili per dei popoli che difendevano la propria identità sotto la pressione militare e culturale del nuovo Impero romano-germanico, e tentavano di respingere quelle forme di vita che avvertivano come estranee.Nella prospettiva dell'evangelizzazione - come indicano le loro biografie - i due santi Fratelli si volsero al difficile compito di tradurre i testi della Sacra Scrittura, noti loro in greco, nella lingua di quella stirpe slava che si era stabilita fino ai confini della loro regione e della loro città natale. Avvalendosi della loro padronanza nella lingua greca e della propria cultura per quest'opera ardua e singolare, si prefissero di comprendere e di penetrare la lingua, le usanze e le tradizioni proprie delle genti slave, interpretandone fedelmente le aspirazioni ed i valori umani che in esse sussistevano e si esprimevano.Per tradurre le verità evangeliche in una lingua nuova, essi dovettero preoccuparsi di conoscere bene il mondo interiore di coloro, ai quali avevano intenzione di annunciare la Parola di Dio con immagini e concetti che suonassero loro familiari.Si trattava di un nuovo metodo di catechesi. Per difenderne la legittimità e dimostrarne la bontà, san Metodio non esitò, prima insieme col fratello e poi da solo, ad accogliere docilmente gli inviti a Roma, ricevuti sia nell'867 dal papa Nicola I, sia nell'anno 879 del papa Giovanni VIII, i quali vollero confrontare la dottrina che essi insegnavano nella Grande Moravia con quella lasciata, insieme col trofeo glorioso delle loro reliquie, dai santi apostoli Pietro e Paolo alla prima Cattedra episcopale della Chiesa.In precedenza, Costantino ed i suoi collaboratori si erano preoccupati di creare un nuovo alfabeto, perché le verità da annunciare e da spiegare potessero essere scritte nella lingua slava e risultassero in tal modo pienamente comprensibili ed assimilabili dai loro destinatari. Fu uno sforzo veramente degno dello spirito missionario quello di apprendere la lingua e la mentalità dei popoli nuovi, ai quali portare la fede, come fu esemplare la determinazione nell'assimilarle e nell'assumere in proprio tutte le esigenze ed attese dei popoli slavi.Non è soltanto il contenuto evangelico della dottrina annunciata dai santi Cirillo e Metodio, che merita una particolare accentuazione. Molto espressivo ed istruttivo per la Chiesa d'oggi e anche il metodo catechetico e pastorale.Sappiamo che il Concilio Vaticano II, vent'anni fa, ebbe come compitò precipuo quello di risvegliare l'autocoscienza della Chiesa e, mediante il suo rinnovamento interiore, di imprimerle un nuovo impulso missionario in ordine all'annuncio dell'eterno messaggio di salvezza, di pace e di reciproca concordia tra i popoli e le Nazioni.E, in tema di universalità, lo stesso Concilio, tra l'altro, così si è espresso:«A formare il nuovo Popolo di Dio sono chiamati tutti gli uomini. Perciò, questo Popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo ed a tutti i secoli, affinché si adempia il proposito della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una, e volle alla fine radunare insieme i suoi figli che erano dispersi (cfr. Cv 1 1, 52)... Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il Popolo di Dio, è un dono dello stesso Signore... In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti ed a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti s'accrescono comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per la pienezza nell'unità».Vangelo non porta all'impoverimento o allo spegnimento di ciò che ogni uomo, popolo e Nazione, ogni cultura durante la storia riconoscono ed attuano come bene, verità e bellezza. Piuttosto, esso spinge ad assimilare e a sviluppare tutti questi valori: a viverli con magnanimità e gioia ed a completarli con la misteriosa ed esaltante luce della Rivelazione.Questa dimensione scaturisce del tutto spontaneamente dal reciproco rispetto - proprio della carità fraterna per ogni uomo e ogni Nazione, grande o piccola, e dal riconoscimento leale degli attributi e dei diritti dei fratelli nella fede.Tutta la Chiesa ringrazia voi santi Cirillo e Metodio, che chiamaste le Nazioni slave alla comunione della fede, per il retaggio e il contributo da esse apportato al patrimonio universale. Vi ringrazia per questo, in modo particolare, il papa di origine slava (ndr Giovanni Paolo II). Tale contributo non cessi mai di arricchire la Chiesa, il continente europeo e il mondo intero! Non venga meno nell'Europa e nel mondo d'oggi! Non manchi nella coscienza dei nostri contemporanei! Noi desideriamo accogliere integralmente tutto ciò che di originale e di valido le Nazioni slave hanno recato e recano al patrimonio spirituale della Chiesa e dell'umanità. La Chiesa tutta consapevole della comune ricchezza, professa la sua solidarietà spirituale con loro e ribadisce la propria responsabilità verso il Vangelo, per l'opera di salvezza che è chiamata ad attuare anche oggi in tutto il mondo, fino ai confini della terra. È indispensabile risalire al passato per comprendere, alla sua luce, la realtà attuale e presagire il domani. La missione della Chiesa è, infatti, sempre orientata e protesa con indefettibile speranza verso il futuro.Il Futuro! Per quanto possa umanamente apparire gravido di minacce e di incertezze, lo deponiamo con fiducia nelle tue mani, Padre celeste, invocando l'intercessione della Madre del tuo Figlio e Madre della Chiesa, quella dei tuoi apostoli Pietro e Paolo e dei santi Benedetto, Cirillo e Metodio, di Agostino e Bonifacio e di tutti gli altri evangelizzatori dell'Europa, i quali, forti nella fede, nella speranza e nella carità, annunciarono ai nostri padri la tua salvezza e la tua pace, e con le fatiche della semina spirituale dettero inizio alla costruzione della civiltà dell'amore, al nuovo ordine basato sulla tua santa legge e sull'aiuto della tua grazia, che alla fine dei tempi vivificherà tutto e tutti nella Gerusalemme celeste. Amen .A voi, Fratelli e Sorelle carissimi, la mia Benedizione Apostolica .8) La PREGHIERA. di San Girolamo EmilianiPrendersi cura dei poveri, dei piccoli, degli ultimi è prendersi cura della persona di Gesù, questa la gioiosa scoperta di Girolamo, una gioia così grande ed incontenibile da far si che fosse per lui semplice l'abbandonare le glorie e le ricchezze del mondo, per glorie e ricchezze date lui dal Creatore stesso assistito nella forma degli ultimi.Ricordato l' 8 febbraioVenezia, 1486 ­ Somasca, Bergamo, 8 febbraio 1537Fondatore della Società dei Servi dei poveri (Somaschi), Girolamo Emiliani si dedicò a malati, giovani abbandonati e al riscatto delle prostitute. Nato a Venezia nel 1486, intraprese la carriera militare. Nel 1511, in prigionia, maturò la vocazione, similmente a sant'Ignazio ferito a Pamplona. Consacratosi a Dio nel 1518, si prodigò in una carestia e in un'epidemia di peste a Verona, Brescia, Como e Bergamo. Qui, nel paesino di Somasca, nacque l'ordine di chierici regolari. Essi intuirono il ruolo di promozione sociale delle scuole e ne aprirono di gratuite con un metodo pedagogico innovativo. Il fondatore morì di peste nel 1537, mentre assisteva dei malati. Santo dal 1767, dal 1928 è patrono della gioventù abbandonata. (Avvenire)Signore Gesù Cristo, figlio di Dio vivo, abbi pietà di noi.Signore Gesù Cristo, figlio di Dio vivo, abbi pietà di noi.Signore Gesù Cristo, figlio di Dio vivo, abbi pietà di noi.Misericordia, concedi la tua misericordia, Figlio del Dio Vivo. O Dio, sii propizio9) MariaMaria nei suoi ultimi messaggi ci sollecita con amore a cogliere appieno i doni e il dono dello Spirito che con amore il Signore ha preparato per ciascuno specialmente in questo momento particolare di grazia che è la Quaresima. Soffermarci a cercare la verità e la pace nel nostro profondo, donandoci semplicemente momenti di pace, di tranquillità per la mente attraverso il silenzio e per il corpo attraverso il digiuno. Sarebbe un bel dono potersi regalare la pace, la gioia, un senso più pieno e vero della vita. questo è il momento! Non ci vengono chieste poi cose impossibili od esotiche, ma semplici. il Signore è vicino, Maria come madre non esita ad accompagnarci!Come la madre lotta per i suoi figli, io prego e lotto per voi. Da voi chiedo di non aver paura di aprirvi perché possiate amare e darvi agli altri col cuore. Quanto più farete questo col cuore, accoglierete di più e comprenderete meglio il mio Figlio e il suo dono a voi.Cari figli, con il tempo quaresimale voi vi avvicinate ad un tempo di grazia. Figlioli, voi siete liberi di scegliere il bene oppure il male. Per questo vi invito: pregate e digiunate. Seminate la gioia e nei vostri cuori il frutto della gioia crescerà per il vostro bene e gli altri lo vedranno e lo riceveranno attraverso la vostra vita.Cari figli, io sono con voi! Come madre vi raduno perchè voglio cancellare dai vostri cuori quello che ora sto vedendo. Accettate l'amore di mio Figlio e cancellate dai vostri cuori la paura, il male, la sofferenza, la delusione.Nel messaggio di questa sera la Madonna ci insegna come preparare il nostro cuore nel tempo quaresimale che si avvicina. Prima di tutto Lei ci invita al digiuno e alla preghiera, che sono stati sempre i segni più importanti della Quaresima. Gesù con il suo esempio ci insegna come dobbiamo prepararci. Lui si è ritirato nel deserto, dove ha digiunato e pregato per quaranta giorni prima di iniziare il suo ministero pubblico.Andare nel deserto, ritirarsi, non vuole essere una giustificazione per scappare dalla gente, dai propri impegni, dal lavoro, ma significa tempo privilegiato nel quale saremo rinnovati dalla vicinanza di Dio per poter poi vivere più facilmente tra gli uomini e testimoniare loro la buona novella.Il digiuno e la preghiera dei cristiani sono le fondamenta per la comunione, perché tutta la Chiesa è chiamata a fare digiuno, penitenza e preghiera specialmente nei tempi forti dell'Avvento e della Quaresima. Il nostro cuore è come terra arata ed è pronto a ricevere il seme che crescerà nel bene. Cambiamo il cuore e tutto l'uomo sarà cambiato.Dio ci ha creati liberi e siamo chiamati ogni giorno a prendere delle decisioni: possiamo scegliere il bene o il male. Ogni volta che decidiamo per il bene siamo dalla parte dei figli e delle figlie di Dio e la nostra vita si riempie di gioia vivendo la pienezza della vita. La vita nel peccato è sopravvivenza e sofferenza; la vita con Gesù ci porta la gioia e la pace.L'uomo si deve volgere a Dio, verso ciò che Gesù diceva: "Mio cibo è fare la volontà di Dio". La volontà di Dio deve essere la méta e il senso della vita di un uomo. Tutto quello che lungo il cammino impedisce il raggiungimento di tale méta deve essere rimosso.Lui può fare quello che noi non possiamo fare e per il quale noi non abbiamo la forza.La Chiesa prega per la salute di tutti i malati, di tutti i sofferenti, di tutti gli inguaribili, umanamente condannati a una invalidità irreversibile. Prega per i malati e prega con i malati. La guarigione è qualcosa di eccezionale, che dal punto di vista dell'"economia" divina della salvezza è un fatto straordinario e quasi "supplementare".Ancor più però si manifesta nella trasformazione interiore di quel male, che è la sofferenza spirituale, nel bene "salvifico", nel bene che santifica colui che soffre e anche per gli altri per mezzo suo."Lo voglio, guarisci", sii purificato, ma le parole: "Fatti mio imitatore". È San Paolo che si rivolge con queste parole ai Corinzi: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Cor 11,1). Prima di lui Cristo stesso molte volte aveva detto: "Vieni e seguimi" (cf. Mt 8,22;19,21; Mc 2,14; Lc 18,22; Gv 21,22).Queste parole non hanno la forza di guarire, non liberano dalla sofferenza. Hanno però una forza trasformatrice. Sono una chiamata a diventare un uomo nuovo, a diventare particolarmente simile a Cristo, per ritrovare in questa somiglianza, attraverso la grazia, tutto il bene interiore in ciò che di per se stesso è un male, che fa soffrire, che limita, che forse umilia o mette in disagio. Cristo che dice all'uomo sofferente "vieni e seguimi" è lo stesso Cristo che soffre: Cristo del Getsemani, Cristo flagellato, Cristo incoronato di spine, Cristo sulla via della croce, Cristo in croce... È lo stesso Cristo, che fino in fondo ha bevuto il calice della sofferenza umana "datogli dal Padre" (cf. Gv 18,11). Lo stesso Cristo, che ha assunto tutto il male della condizione umana sulla terra tranne il peccato, per ritrarne il bene salvifico: il bene della redenzione, il bene della purificazione e della riconciliazione con Dio, il bene della grazia.Se dice a ciascuno di voi, cari Fratelli e Sorelle: "Vieni e seguimi", vi invita e vi chiama a partecipare alla stessa trasformazione, alla stessa trasmutazione del male della sofferenza in bene salvifico: della redenzione, della grazia, della purificazione, della conversione... per sé e per gli altri.Proprio per questo, San Paolo, che voleva essere così appassionatamente imitatore di Cristo, afferma in un altro luogo: "completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col 1,24).Ciascuno di voi può di queste parole fare l'essenza della propria vita e della propria vocazione."Ero malato ­ dice Gesù di se stesso ­ e m'avete visitato" (Mt 25,36). Secondo la logica della stessa economia della salvezza, lui che si immedesima in ciascun sofferente, attende ­ in quest'uomo ­ altri uomini che "vengano a visitarlo". Attende che si sprigioni la compassione umana, la solidarietà, la bontà, l'amore, la pazienza, la sollecitudine in tutte le varie forme. Attende lo sprigionarsi di ciò che c'è di nobile, di elevato nel cuore umano: "M'avete visitato".Gesù vuole che dalla sofferenza, e attorno alla sofferenza, cresca l'amore, la solidarietà d'amore, cioè la somma di quel bene, che è possibile nel nostro mondo umano. Bene che non tramonta mai.------------------------------------------------------------------------------All'inizio di questa Quaresima, di questo tempo di grazia, vogliamo ringraziare con grande gioia, anticipatamente il Signore per gli innumerevoli doni che per intercessione di Gesù e Maria vorrà concedere a ciascuno di noi! Le Sue mani sono colme di doni è questo un motivo di gioia e ringraziamento. Più grande ancora sarà la gioia per quei doni che verranno raccolti dalle Sue mani. Gioia per chi li riceverà e gioia per tutta l'umanità. Osiamo! Insistiamo, non demordiamo "a chi bussa verrà aperto, chi cerca trova" dice Gesù. Noi pregheremo espressamente per te e per tutti i tuoi cari affinché tu possa fare incetta di questi doni per te dalle mani del Signore.Con amore auguriamo che il tempo di Quaresima ormai avviato e ogni quaresima sia con te generosa di ogni bene in special modo di luce, di amore, di gioia e di pace vera. Maria e MAX Se non desideri più ricevere... dillo a Maxghione@libero.it!

martedì 5 febbraio 2008

Spazio alla Creatività!

di Carlotta Vitale

Che gli italiani nella storia abbiano saputo dimostrare d’essere creativi (e non solo) nessuno lo può negare. Nella nostra storia appunto possiamo vantare un numero elevatissimo di personaggi che hanno rivoluzionato le sorti della scienza, della letteratura e di diverse altre discipline, che hanno fatto dell’Italia una nazione-riferimento. Forse in questa particolare congiuntura storica, ci sembra che non sia più così, o che l’attenzione si sia spostata su qualche altra società, più organizzata ed efficiente, e che invece di avere un Lorenzo De’ Medici adesso abbiamo un Federico Moccia, invece di avere Vittorio De Sica abbiamo gli attori del Grande Fratello… si, le cose sono proprio cambiate! Questo però non deve demoralizzare nessuno, né allo stesso modo deve inculcare l’idea che alla fine non c’è preparazione che tenga, o talento o passione, perché si va avanti a raccomandazioni, tronisti, opinionisti, letterine e suonerie per cellulari (mercato in fortissima ascesa) e qui arrivo al punto. Mi rivolgo, infatti, a tutti quei ragazzi/e che affascinati dal design della comunicazione o dal graphic design, insomma affascinati da tutto quello in cui sicuramente noi italiani spicchiamo vale a dire: trovare forma, colore, immagine, adatti a vendere un prodotto, siano decisi a studiare e formarsi in questo stimolantissimo e niente affatto semplice mondo della comunicazione a 360°. A questo proposito ho effettuato una ricerca tra le università e le scuole private che garantiscono un’ottima formazione.
Scuole italiane di design e comunicazione visiva.
Firenze Accademia italiana www.accademiaitaliana.com L'Accademia italiana è una scuola internazionale. Torino Accademia Pictor www.pictor.it L'Accademia Pictor è un'associazione culturale che opera da 15 anni nel settore della ricerca e della sperimentazione artistica.
Milano Domus Academy www.domusacademy.com Propone Master di: Design, Fashion Design, Urban Management & Architectural Design, I-Design, Interior and Living Design, Business Design, Accessories Design e Transportation Design e numerosi corsi brevi. Torino IAAD - Istituto d'Arte Applicata e Design www.iaad.it Milano ISAD - Istituto Superiore di Architettura e Design www.isad.it Faenza ISIA - Istituto Superiore per le Industrie Artistiche www.isia.it Firenze ISIA - Istituto Superiore per le Industrie Artistiche www.isiadesign.fi.it Roma ISIA - Istituto Superiore per le Industrie Artistiche www.isiaroma.it Urbino ISIA - Istituto Superiore per le Industrie Artistiche www.isiaurbino.it Gli ISIA pianificano corsi di Alta Formazione Artistica a livello universitario, con titolo equiparato alle Accademie di Belle Arti. Milano, Roma, Torino, Madrid, Barcellona Istituto Europeo di Design www.ied.it Corsi di digital design, fotografia e moda. IED organizza anche master, seminari ed iniziative riguardanti il mondo del design. Roma Istituto Quasar www.istitutoquasar.com Corsi triennali di progettazione grafica, 3d e altro. Lecco Istituto Superiore di Grafica, Moda e Design www.igmd.it Istituto privato e corsi attivi riconosciuti a livello europeo. Milano NABA - Nuova Accademia di Belle Arti www.naba.it Milano Politecnico di Milano - Facoltà del Design. www.design.polimi.it Milano Scuola Politecnica di Design SPD www.scuoladesign.com La Scuola Politecnica di Design SPD è il primo centro di formazione e ricerca per l'industrial design e la comunicazione visiva fondato in Italia. Venezia Università IUAV www.iauv.it Architettura, pianificazione del territorio e design.
Spero che queste informazioni siano utili a chi muove i primi passi, ma anche a chi decida finalmente di seguire una passione e di specializzarsi. Sempre e in ogni caso ci servirà forza e voglia di vivere; le possibilità si esauriscono solo quando tralasci di cercarle!

Sindone, un caso sempre aperto

Nel 1988 un fragile frammento del sudario di lino più famoso al mondo veniva sottoposto all’esame scientifico del carbonio 14. Il verdetto fu implacabile: il lenzuolo custodito nel Duomo di Torino non poteva essere quello che ha avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione. Il test aveva infatti stabilito una datazione compresa tra il 1260 e 1390 d.C., ovvero in pieno Medioevo.
Gennaio 2008: una troupe della Bbc ha avuto accesso alla Sindone per una serie di riprese in vista di un nuovo documentario, destinato a riaprire il dibattito. Uno degli autori dello studio al carbonio 14, intervistato, ha di fatto ipotizzato un errore nella datazione.
Il tutto verrà trasmesso durante la vigilia di Pasqua, ma le reazioni già non mancano.
Il problema è che la Sindone non è giunta agli scienziati del Novecento in un contenitore sigillato. Bensì è stata esposta all’aria, custodita in condizioni ignote, maneggiata e parzialmente bruciata nell’incendio del 1532 della cattedrale di Chambéry, trasportata dalla Palestina in Francia. Un lungo e tormentato viaggio nei paesi e nei secoli, che può avere contaminato il lenzuolo rendendo l’esame del carbonio 14 approssimativo.
Se si tratta veramente di un falso medievale, è stato sicuramente ben congeniato: il lino è filato e tessuto a mano a spina di pesce e torcitura in senso orario, una tecnica usata in Medio Oriente ai tempi di Gesù. Sul lenzuolo sono inoltre state ritrovate fibre di cotone, che all’epoca veniva coltivato in Egitto e in Palestina, ma non in Europa, e nessuna fibra di lana.
L’incredibile corrispondenza dei tratti con quella di un corpo crocifisso lascia ancora attoniti gli osservatori, come nel 1898 quando un fotografo notò per la prima volta che l’immagine impressa in negativo era molto più riconoscibile di quella in positivo.
L’uomo della Sindone è un maschio di circa 30 anni, con tratti mediorientali, muscoloso e più alto della media dell’epoca, abituato ai lavori manuali. Le tracce di sangue raccontano il suo martirio e l’assenza dei pollici delle mani, ripiegati all’interno, confermano la lesione al nervo mediano, provocata dai chiodi infissi nei polsi.
L’unica verità fino ad ora scaturita è che nessuno scienziato è fino ad ora riuscito a spiegare come sia stato possibile imprimere l’immagine sul lenzuolo. Il mistero permane.

Alessandra Prioli

lunedì 4 febbraio 2008

"L'Uomo è ciò che mangia"-mens sana in corpore sano.

Dott. Pietro Vitale
Giornalista- scrittore
Vicedirettore
Il *“Palazzuolo”
Bari
Ecologia Semplice

Una nota massima di Feuerbach recita: “L’uomo è ciò che mangia”.
E’ facile comprendere la relazione tra le buone abitudini, incluse quelle alimentari, e la salute del corpo, un’interazione nota da molto tempo, indipendentemente dalle recenti scoperte della medicina, come ci ricorda il detto “mens sana in corpore sano”.
Se il nostro corpo è anche il nostro Tempio Interiore, il mantenerlo in forma, il trattarlo con raziocinio, è uno dei Lavori che dobbiamo compiere.
Noi, però, non Lavoriamo egoisticamente ma per un bene più oggettivo, per raggiungere il quale il lavoro individuale deve essere funzionale ad una crescita personale che partecipi alla crescita dell’intera Società Civile. Il Bene dell’Umanità, raggiunto aggiungendo il proprio mattone ad un muro di molti mattoni diversi, che cresce e deve crescere rettamente e senza fine.
La relazione con il cibo, pertanto, deve essere valutata in un modo più generale, includendovi anche l’ambiente, l’etica e la spiritualità.
Dobbiamo mantenere in forma, e trattare con raziocinio, non solo il nostro Tempio Interiore, quindi il nostro corpo, ma, anche e soprattutto il nostro Tempio Collettivo, la Terra, nella quale viviamo e svolgiamo tutti i nostri Lavori. Anche questa è una relazione intuitiva, sulla quale sembra superfluo soffermarsi ulteriormente, infatti, per vivere bene abbiamo bisogno di un uomo sano in una Terra sana perché la Terra è la nostra “balia”.
Avere cura della Terra, che è il Tempio dell’Umanità, è quindi, una forma di ecologia spirituale muratoria, collimando questa ecologia proprio con alcune invocazioni di natura spirituale che accompagnano i nostri Lavori in Officina.
Avere cura della natura, meglio, dell’intero Creato è sia nostro interesse materiale che spirituale. Come hanno affermato Sapienti e Sacerdoti, rispettare il Creato, l’opera concreta che è stata messa a nostra disposizione è, per chi crede in un Dio Creatore, uno dei modi per rispettarLo, ma anche, per chi crede nell’evoluzione naturale, un modo per rispettare l’evoluzione; non contrastarla od ostacolarla è uno dei modi per rispettare la “Divinità Evolutiva”. Divinità sempre, poiché chiunque creda in qualcosa che non può dimostrare o negare con prove scientifiche è comunque qualcuno che afferma un dogma, un’affermazione di Fede: non c’è molta differenza.
Alcune popolazioni che in base alla nostra cultura giudichiamo primitive, sono giunte a queste conclusioni, come vedremo di seguito, ma prima voglio affermare che la correlazione primitivo-ignorante è, secondo me, non solo semplicistica ma addirittura sbagliata.
Tratto dai quaderni di Serenamente – S.O.M.I. d’Italia

Capo Seattle-da una lettera del 1854 al Presidente USA.

Dott. Pietro Vitale
Il Vicedirettore
Giornalista-Scrittore-Saggista
Il * “Palazzuolo”
Bari
Rapporto uomo-terra

Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L'idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell'aria, lo scintillio dell'acqua sotto il sole, come potete acquistarli?
Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ed ogni ronzio degli insetti è sacro nel ricordo e nell'esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con sé il ricordo dell' uomo rosso.
I morti dell' uomo bianco dimenticano il loro paese natale quando vanno a passeggiare tra le stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa terra magnifica, perché essa è la madre dell'uomo rosso.
Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli; il cervo, il cavallo, la grande aquila sono nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony, e l'uomo appartengono tutti alla stessa famiglia.
Per questo, quando il Grande Capo Bianco di Washington ci dice che vuol acquistare la nostra terra, chiede una grossa parte di noi. Prenderemo, dunque in considerazione la vostra offerta ma non sarà facile accettarla.
Questa terra, per noi, è sacra. Questa acqua scintillante che scorre nei fiumi non è solamente acqua, per noi è qualcosa di immensamente più significativo; è il sangue dei nostri padri. Se noi vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi che esse sono sacre, dovrete insegnare ai vostri figli che è terra sacra e che ogni riflesso nell'acqua chiara dei laghi parla di avvenimenti e di ricordi della vita del mio popolo.
Il mormorio dell'acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi, ed insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri, e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per i fiumi lo stesso affetto che dimostrereste ad un fratello.

Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra è uguale all'altra, perché è come uno straniero che arriva di notte ed alloggia nel posto che più gli conviene. La terra non è un suo fratello, anzi è un suo nemico e quando l'ha conquistata va oltre, più lontano. Abbandona la tomba dei suoi avi e di ciò non si preoccupa. La tomba dei suoi avi, il patrimonio dei suoi figli cadono nell'oblio. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorerà tutta la terra e a lui non resterà che il deserto.
Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano è fatto dalle ceneri dei nostri padri. Affinché i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che di buono arriva dalla terra, arriva anche ai figli della terra.
Noi sappiamo questo: la terra non appartiene all'uomo, bensì è l'uomo che appartiene alla terra.”
Per voi bianchi il Paradiso è il cielo, per noi è la nostra terra. Per questo, se la perdiamo, perdiamo il Paradiso (Cavallo che corre – Indiano Crew o Cree)
Tratto dai Quaderni di Serenamente – Il S.O.M.I. d’Italia

Il Sole Illumina tutti gli occhi ma non tutti gli occhi vedono il Sole.

Dott. Pietro Vitale
Il Vicedirettore
Giornalista-Scrittore-Saggista
Il * “Palazzuolo”
Bari
Testo ricavato da letture ed articoli di essoterismo.

Il Solstizio d’Inverno più che celebrare la Festa della Luce ripropone agli uomini la problematica dell’attesa. Infatti, essendo Stazione del Sole contiene un interrogativo di stasi, di regresso e di morte, che si scioglie felicemente nella ripresa del cammino dell’Astro. L’eventualità della fine della vita, adombrata nel sopravanzare delle Tenebre della Notte sulla Luce del Giorno, traduce il principio della Dialettica Universale.
Sul piano psicologico è comprensibile la molteplicità delle personificazioni della Luce discesa sulla Terra, in uno sforzo di attribuire al principio luminoso una nascita diversa da quella degli altri esseri e del tutto indipendente rispetto alla casualità naturale.
In ordine alle mitiche personificazioni della Luce nelle varie parti del mondo antico dobbiamo ricordare che: in Frigia ATTIS, nello Yucatan BACAB, in India KRISHNA, sempre in India BUDDHA, in Cina SCHING SCHIN, in Egitto OSIRIDE, a Babilonia TAMMUZ, nell’Estrema Thule ORO BAL, in Galilea GESU’, pervennero alla vita al di fuori del comune concepimento.
Gli aspetti mitici della problematica e della speranza solare rispondono allo stato d’animo dell’attesa dei popoli e delle generazioni, perciò conducono alla personificazione del culto: il simbolo raccoglie e tramanda le immagini, la riflessione ne ricava gli elementi di un modello etico universale ogni volta che l’uomo si ripiega su sé stesso.
Nella coscienza dell’individuo si compie il collegamento organico con la Luce. La solennità del Solstizio diventa allora veramente festiva, di fatto gli uomini arrivano a scorgervi le linee di un destino comune.
L’attesa della Luce e lo sforzo di ricominciare il cammino stanno a significare che è difficile essere liberi, sono molto più facili il sonno, l’oscurità e l’alienazione. La conoscenza simbolica del Solstizio coincide con la convinzione che la Luce – per manifestarsi – ha bisogno degli uomini; cioè che gli esseri risvegliati si rendano disponibili ad accoglierla e divengano Pietre Viventi di un edificio in perenne rinnovazione.
Ora nella Tradizione il Solstizio si presenta come Tempio dell’Altissimo, oppure come Tempio dell’Umanità!
La Luce comincia ad emergere dalla Pietra per autonoma opera di escavazione e, rispetto ad essa, il Solstizio va inteso come Stasi e Solennità nella stagione invernale, quando la discesa del Sole raggiunge il punto estremo e il tempo della notte sopravanza quella del giorno.
Sembra allora che l’oscurità sia uno spazio profondo e senza varchi, sospeso ad una linea di confine preclusa, che la solitudine sia una condizione di algida immobilità, che il respiro si fermi in un nulla angoscioso. Ma il respiro continua, oltre ogni ragione, a sollevare il petto e nei suoi recessi l’umanità ricerca la memoria di un principio, di una immortalità di cui ha perso il senso, ma che ancora alimenta la speranza e l’attesa.
Quando la mente sembra chiudere ogni passaggio la soccorrono mille storie tramandate di voce in voce e mille miti che parlano al cuore.
L’uomo sull’eco di una Parola esoterica ed escatologica ritrova l’amore che legittima la sua discendenza divina e si dispone al rito e alla esaltazione dell’Eterno Ritorno.
La speranza è un sentimento si università trasparente e festaiola, noi Liberi Muratori nel Solstizio d’Inverno celebriamo questa speranza con la speculazione simbolica propria della Scuola iniziatica di appartenenza.
Un antico detto recita che “il sole illumina tutti gli occhi ma non tutti gli occhi vedono il sole”. Questo evento che noi ricordiamo con tanta partecipata solennità nei nostri templi e nel quale rifondiamo la solidarietà della nostra Fratellanza, sembra vissuto nella cultura contemporanea con evidente superficialità che esaurisce ogni valore nel consumismo e nella mera appartenenza.
La dicotomia tra il nostro modello e quello del mondo profano sembra così profonda da inficiare il passaggio dall’una all’altra posizione, cosicché al fratello massone potrebbe sembrare impossibile ritrovare nello spazio quotidiano valori e principi tanto amorosamente alimentati nel Tempio.
Ma è proprio vero che il secolo non vive più di miti e tradizioni? Il questo tempo di dicembre, che appare così critico alla percezione sensoriale, non c’è più uno spazio dove coltivare la memoria dell’esperienza umana giunta fino a noi nelle codificazioni simboliche e rituali della Tradizione?
Fratelli miei questa terra c’è, anche se ridotta ad un’isoletta sempre più lontana e minacciata da un mare procelloso, ed è quella delle tradizioni popolari che ancora tenacemente resistono specie nell’universo simbolico che attiene al divino e al religioso.
Permettetemi di ricordare a noi tutti alcuni aspetti di tanti usi e consuetudini che forse ci hanno accompagnato nell’infanzia e che dovremo augurarci possano accompagnare l’infanzia delle generazioni future.
In quest’ottica non sembrerà riduttivo – uscendo dai limiti della descrizione etnografica – fissare l’attenzione a quegli elementi più vicini alla nostra cultura di appartenenza.
Anche per le tradizioni popolari il solstizio d’inverno è un momento unico e carico di valori simbolici ed esoterici.
Il sole declina … il sole si affievolisce come la vita di un vecchio ogni giorno di più, ma la speranza che il sole, giunto al limite, rinasca, non abbandona l’uomo che sente confusamente quell’eco alla stessa radice dell’energia vitale.
Quella che unisce tutti gli uomini di tutti i tempi è una storia lunga e tenace, una storia d’amore che noi Fratelli L. M. teniamo accesa e rafforziamo con la celebrazione del solstizio d’inverno nell’Athanor dei nostri templi, e non per noi, non solo per noi, ma affinché il sole ritorni a sorgere per gli occhi di tutti gli uomini.
Tratto dai quaderni di Serenamente – S.O.M.I. d’Italia.

domenica 3 febbraio 2008

Invito alla Follia

La Follia decise di invitare i suoi amici a prendere un caffè, dopodiché propose: “ Si gioca a nascondino? ”.

Nascondino? Cos’è? Domandò la Curiosità.
Nascondino è un gioco. Io conto fino a cento e voi vi nascondete… quando avrò terminato di contare, vi cercherò e il primo che troverò sarà il prossimo a contare.
Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia.
Uno, due, tre… la Follia cominciò a contare. La Fretta si nascose per prima, dove le capitò; la Timidezza si nascose in un gruppo di alberi; la Gioia corse in mezzo al giardino; la Tristezza cominciò a piangere perché non trovava un angolo adatto per nascondersi; l’Invidia si unì al Trionfo e si nascose accanto a lui, dietro a un sasso.
La Disperazione non sapeva cosa fare ascoltando che la Follia era già a novantanove… Cento, gridò la Follia, e cominciò a cercare.

La prima ad essere trovata fu la curiosità, poiché non aveva potuto impedirsi di uscire per vedere chi sarebbe stato scoperto per primo. Poi, la Follia vide il Dubbio, sopra un recinto, che non sapeva da quale lato si sarebbe meglio nascosto, e così, di seguito, scoprì la Gioia, La Timidezza, la Tristezza…
Quando tutti furono riuniti, la Curiosità domandò: “ Dov’è l’Amore? “. Nessuno l’aveva visto.
La Follia cominciò a cercarlo, cercò in cima alla montagna, nei fiumi, sotto le rocce… ma non trovò l’Amore; vide poi un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò a sbirciare tra i rami, finché non sentì un grido… era l’Amore, che gridava perché una spina lo aveva punto in un occhio.


La Follia non sapeva cosa fare. Si scusò, implorando l’Amore di perdonarla, promettendogli di seguirlo per sempre.
L’Amore accettò le sue scuse e così, ancora oggi, la Follia accompagna sempre l’Amore cieco. Da Serenamente SOMI d'Italia.

...Giovanni Ghinazzi Gran Maestro di Palazzo Vitelleschi.

Il presepe
L’Epifania tutte le feste porta via, ma non tutti i presepi; alcuni, veramente straordinari, restano fruibili tutti l’anno sia come oggetto di venerazione che come opera d’arte. In modo particolare invito a visitare il presepe collocato in locali al di sotto della basilica del Sacro Cuore Immacolato di Maria a Piazza Euclide, a Roma: la basilica senza cupola. E’ un presepe particolarissimo meno conosciuto di quanto meriterebbe.
Sono legato a questa basilica sia da motivi personali, legati alla gioventù, che massonici: i funerali di Giovanni Ghinazzi, Gran Maestro di Palazzo Vitelleschi, la più importante Massoneria mista italiana. Sono stato iniziato in quella Famiglia e ho potuto fortunatamente godere dell’amicizia di Ghinazzi, nonostante fossi un novizio tra i tanti, facilitato dalla scoperta di comuni appartenenze militari con mio suocero e perché le nostre mogli partecipavano ad uno stesso Club di Servizio.
Resto affettuosamente legato al ricordo del Fratello Ghinazzi, riconoscendogli grandi meriti massonici ed umani.
Tornando al presepe, affermo che quello di piazza Euclide è veramente unico. Non ha forse la vivacità del presepe napoletano o la tecnicità di un presepe meccanico, né la drammaticità di un presepe vivente o l’ingenua poesia di un presepe popolare, ma è straordinario nel suo genere. In una trentina di quadri, di circa un metro quadro ciascuno, salvo alcuni più grandi, è rappresentata tutta la vicenda di Cristo, dall’Annunciazione all’Ascensione.
I quadri, vere e proprie scenografie teatrali, raccolti in tre locali, sono come i fotogrammi di un unico cortometraggio, ideati da passione e da sapiente capacità artigiana. Personaggi, luoghi, animali, piante e case sono accuratamente riprodotti con dovizia di particolari.
Penso al presepe come all’erede del larario che i Romani conservavano in un angolo del peristilio, in un piccolo tempio nel quale erano raffigurati Dei ed avi. Un culto speciale era dedicato ai Mani (Dei originari) ed ai Penati (divinità delle necessità quotidiane e della dispensa).
I Larii erano gli antenati defunti ed ogni avo era rappresentato da una statuina chiamata sigillum. Il 20 dicembre si svolgeva la festa detta Sigillaria durante la quale era usanza scambiarsi tra parenti, in dono, i sigilla dei famigliari defunti durante l’anno affinché arricchissero i larari del parentado.
In attesa della festa, i bambini lucidavano le statuine collocandole in un recinto che riproduceva un ambiente bucolico, accendendovi un lume. Alla vigilia della festa la famiglia si riuniva in raccoglimento davanti al larario e, la mattina seguente, i bambini trovavano dolci e giochi “portati” nella notte dagli avi trapassati.
La cristianizzazione delle feste e dei templi pagani probabilmente fu concausa del passaggio dal larario al presepe cristiano, la cui nascita, in forma di rappresentazione vivente della Natività, è attribuita a San Francesco di Assisi, che la realizzò a Greccio nel 1223.
Il primo presepe scolpito a tutto tondo, realizzato da Arnolfo di Cambio attorno al 1290, sopravvive in alcune statue conservate a Roma nel Museo Liberiano. L’usanza di collocare statue e rappresentazioni permanenti del presepe all’interno delle chiese risale al XV secolo. Uno dei presepi più antichi è a Bologna nella Basilica di Santo Stefano.
Dopo il Concilio di Trento la Chiesa promosse la diffusione del presepe all’interno delle abitazioni consapevole delle suggestioni che la Natività suscitava quale emozionante veicolo di trasmissione di fede.
Nel XVIII secolo, a Napoli ci fu una vera competizione fra le famiglie più importanti, ciascuna delle quali desiderò esibire il presepe più bello. Ciò portò alla nascita del bellissimo presepe napoletano, ricco di personaggi popolari intenti alle attività quotidiane, vestiti con tessuti preziosi, un cui esemplare rappresentativo, il presepe Cuciniello, può essere ammirato al Museo Nazionale di San Martino a Napoli.
Chi ama immergersi nell’atmosfera del presepe non dovrebbe evitare una visita alle botteghe artigiane di San Gregorio Armeno a Napoli o a Bologna, alla Fiera di Santa Lucia o a Piazza del Popolo, a Roma, ove nella chiesa di fronte alla lapide che ricorda i Carbonari Targhini e Montanari, giustiziati da Mastro Titta, Boia di Papa Leone XII, si svolge a Natale la mostra di presepi popolari (di carta, di mollica di pane, di sale ecc.). Tratto dai quaderni di Serenamente