Ordini Cavallereschi Crucesignati

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martedì 13 gennaio 2015

IL GRAN MAESTRO -SMOM- FRA' MATTHEW FESTING

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IL DISCORSO DEL GRAN MAESTRO AL CORPO DIPLOMATICO

Roma, 13/01/2015 Il Gran Maestro Fra’ Matthew Festing ha ricevuto oggi il corpo diplomatico accreditato presso il Sovrano Ordine di Malta per la tradizionale udienza di inizio anno. L’incontro ha avuto luogo nella Villa Magistrale a Roma.
Riportiamo qui di seguito integralmente il discorso pronunciato dal Gran Maestro.
Signor Decano, Eccellenze, Signore e Signori,
Il nuovo anno è iniziato nelle circostanze più drammatiche e violente. Il più sanguinoso attacco terroristico in Francia nel dopoguerra, che ha causato la morte di 17 persone a Parigi, rappresenta una brutale aggressione contro i nostri valori fondamentali, contro la libertà di espressione e la tolleranza. Contemporaneamente in Nigeria, lontano dal clamore dei media, si teme che 2.000 persone siano state uccise in un attacco di massa perpetrato dalle milizie di Boko Haram, il movimento islamista che l’anno scorso ha rapito più di 250 studentesse.
Il Sovrano Ordine di Malta condanna fermamente ogni forma di violenza, fisica, psicologica e morale, e ribadisce con forza il suo impegno contro ogni forma di intolleranza e di brutalità perpetrati in nome della religione.
Signor Decano, Eccellenze, Signore e Signori,
Sono molto lieto di accogliervi qui oggi in occasione del tradizionale scambio di auguri di inizio del nuovo anno. Desidero rivolgere un saluto particolare agli Ambasciatori che di recente hanno iniziato la loro preziosa collaborazione con noi. Vi ringrazio per i fervidi auguri e le espressioni di apprezzamento per l’operato dell’Ordine di Malta che il Decano ha inteso trasmettermi a nome di voi tutti. La mia gratitudine non è in alcun modo formale: in tempi così difficili e spesso drammatici, l‘impegno umanitario dell’Ordine di Malta ha bisogno del vostro sostegno, della vostra partecipazione e del vostro incoraggiamento.
Prestare aiuto all’uomo che soffre significa percorrere una strada in salita e noi, eredi degli antichi Ospitalieri, da sempre ne siamo consapevoli. Oggi, la pendenza di quella salita è ancora più aumentata. In questo momento nel mondo vi sono 50 milioni di persone in fuga da guerre, persecuzioni, povertà e carestie: in Siria assistiamo all’esodo di una nazione. La culla della Cristianità è infiammata da guerre settarie: da un lato, le popolazioni vivono sotto la costante minaccia di gruppi estremisti, mentre dall’altro fiorisce il traffico di migranti e la tratta di persone. È un amaro paradosso che ciò avvenga in un’epoca come la nostra, educata delle lezioni tragiche di due guerre mondiali, di genocidi e totalitarismi. Sotto la ormai fragile copertura di una pretesa pace “globale”, il numero di conflitti “locali” è in aumento con una violenza primordiale senza limiti morali o convenzionali, una violenza che non fa distinzioni tra combattenti in divisa e civili inermi. La Grande Guerra, che viene attualmente commemorata nel centenario dallo scoppio, fu olocausto di soldati; oggi invece, le vittime delle guerre regionali sono donne e bambini. Malgrado la dichiarazione dei diritti dell’uomo sia stata proclamata da molto tempo, il XXI secolo si è avviato lungo una china pericolosa, aprendo le porte a nuove forme indiscriminate di atti barbarici. In questa “guerra irregolare” i combattenti moderni colpiscono senza pietà i più indifesi facendo uso di metodi che ci riportano ai secoli passati. Il carburante del loro odio è sempre più spesso il fanatismo religioso, un ideale distorto che tradisce la fede originaria ed agisce quasi come un anestetico su menti e cuori. L’epoca in cui viviamo è segnata da una graduale minore applicazione delle leggi umanitarie. Il rispetto dei principi del diritto è sotto attacco da più fronti, come dimostrato dal ricorso sempre più frequente agli interventi militari che invece di ridurre gli atti di violenza, contribuiscono all’aumento del numero di vittime civili e dei danni collaterali. Mentre queste tragedie si consumano, da un capo all’altro del pianeta le società sviluppate coltivano quella che Papa Francesco ha definito “la mondializzazione dell’indifferenza”: un confortevole sonno dell’anima che ci rende sordi ed insensibili di fronte al dolore del nostro prossimo in Medio Oriente o in Africa, sulle sponde del Mediterraneo o nelle vicine borgate delle nostre metropoli.
Questo è lo scenario esigente in cui l’Ordine di Malta è chiamato a concretizzare la perenne sfida riassunta nel nostro motto: tuitio fidei et obsequium pauperum. L’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte a questo obiettivo è come sempre duplice: da un lato estrema fermezza nella difesa della dignità della persona; dall’altro, estrema flessibilità nell’adattarci alle circostanze per essere vicini a chi ha bisogno. Pur preservando la sua identità, l’Ordine non ha mai avuto paura di cambiare. Come nei tempi antichi, i Cavalieri continuano ad essere medici, infermieri, operatori umanitari o sociali. Terapie e strumenti nuovi hanno soppiantato quelli del passato, ma lo scopo rimane immutato.
L’Ordine di Malta preserva la propria visione spirituale, frutto di una millenaria tradizione di fedeltà alla Chiesa di Roma. Un legame che rende maggiore l’efficacia della nostra istituzione umanitaria basata sulla fede, rispetto a quelle di matrice esclusivamente laica. L’Ordine accoglie pienamente il recente invito di Papa Francesco di “sporcarsi le mani” con la fragilità dei nostri fratelli nelle periferie abbandonate del nostro mondo. Nell’anno che si appena concluso, abbiamo sottoscritto un accordo con la Santa Sede e il Santuario italiano di Pompei per la nascita di una nuova mensa sociale in questo speciale luogo di devozione mariana. Le relazioni speciali che abbiamo con la Cattedra di San Pietro sono state di recente confermate con la nomina del nuovo Cardinalis Patronus, nella persona del Cardinale Raymond Leo Burke. Colgo qui l’occasione per confermare al nostro Cardinalis Patronus, la stima e la considerazione che avevo già avuto modo di esprimere quando ha assunto l’alto incarico e per ribadire ancora una volta la nostra deferente gratitudine all’opera meritoria che il suo predecessore, il Cardinale Paolo Sardi, ha svolto per cinque anni qui tra noi.
La nostra sovranità è una garanzia di quell’autorevolezza e autonomia necessarie a svolgere al meglio il nostro compito. Sulla scena internazionale, il nostro ruolo è quello di una “istituzione umanitaria” che esiste e lavora per dare voce ai più poveri ed emarginati: senza ordini del giorno nascosti, senza perseguire interessi economici o politici. La nostra secolare imparzialità dà credito alle nostre intenzioni, e grazie anche alla fiducia che essa riesce a ispirare, le nostre iniziative sono universalmente stimate. La rete di rapporti bilaterali che voi ed i nostri Ambasciatori in oltre 100 paesi state tessendo insieme anno dopo anno, rappresentano da sempre un prezioso alleato per favorire l’efficacia e l’efficienza dei nostri interventi.
La politica estera condotta dall’Ordine di Malta nel 2014 ha prodotto importanti risultati, ad esempio gli accordi di cooperazione stipulati con il Governo Palestinese, la Repubblica Ceca e con l’Organizzazione Internazionale della Francofonia. Le relazioni diplomatiche hanno inoltre consentito il miglioramento delle strutture sanitarie in Camerun, in particolare per quanto riguarda le madri e i neonati, e lo sviluppo di accordi di cooperazione volti a sostenere i centri medici in El Salvador. Particolarmente significativo, anche perché legate ad un paese che vanta con l’Ordine un legame antico e speciale, è il rinnovo della collaborazione tra l’Ordine di Malta e il Ministero della Difesa italiano per l’impiego del Corpo militare dell’Associazione italiana nel campo del soccorso sanitario, nelle calamità naturali e nelle emergenze. Questa tradizione di ormai lunga durata, nata poco dopo l’Unità d’Italia, viene da allora puntualmente confermata.
In 120 paesi del mondo sparsi in cinque continenti, il sistema dell’Ordine di Malta viene messo quotidianamente alla prova attraverso l’opera dei nostri 59 Priorati e Associazioni Nazionali, dei 33 Corpi di Soccorso, della nostra agenzia internazionale di soccorso, Malteser International e di migliaia tra membri, medici e volontari.
Anziani, disabili fisici e mentali, poveri, lebbrosi, bambini abbandonati, ragazze madri…. descrivere in dettaglio l’insieme delle nostre operazioni che spaziano in tutti i campi della sofferenza umana, sarebbe impossibile in pochi minuti. Vorrei dunque limitarmi a qualche esempio significativo, partendo da quelli legati alla principale emergenza umanitaria dei nostri tempi: la migrazione è senza dubbio una delle prove più difficili. Mentre insieme alla comunità internazionale l’impegno è rivolto ad attuare delle strategie per affrontare il fenomeno di un “mondo in movimento”, la nostra azione si concentra sugli individui e le popolazioni coinvolte, a cui l’Ordine cerca per quanto possibile di restituire salute, dignità e fiducia nel futuro.
Sono migranti gli sfollati dell’Iraq in fuga dall’IS, i terroristi militanti della Jihad che in due anni hanno distrutto secoli di multiculturalismo e pacifica coesistenza. Nel Kurdistan iracheno, l’Ordine è presente con attrezzature e personale in ambulatori mobili gestiti dal Malteser International e da partner locali. In Turchia, dove più di un milione e settecentomila rifugiati siriani sono fuggiti a partire dal 2011, l’Ordine gestisce un ospedale da campo con medici specialisti e psicologi, in attiva collaborazione con le associazioni di soccorso musulmane.
Centri di assistenza e personale specializzato si vanno ad aggiungere a quanto realizzato nei trent’anni della nostra presenza in Libano, dove circa un terzo della popolazione è ormai composto da rifugiati.
Sono migranti i disperati che a migliaia si affidano al cinismo spietato dei trafficanti di uomini, salpando in imbarcazioni fatiscenti per i cosiddetti “viaggi della speranza” sulle acque del Mediterraneo. La criticità della situazione è nei numeri: oltre 130,000 persone sono arrivate sulle coste italiane nel 2014, con un 700% di neonati in più rispetto all’anno precedente. Con l’assistenza dei nostri medici le loro vite continuano, ma tante altre si sono concluse prima dell’approdo. Nell’isola siciliana di Lampedusa, ma anche a bordo delle motovedette che gestiscono i delicati salvataggi in mare, il personale specializzato del Corpo di Soccorso italiano dell’Ordine di Malta è operativo 24 ore al giorno. L’operazione Mare Nostrum è stata attualmente sostituita dall’iniziativa europea Triton. Cambiano le modalità di intervento ma non verranno meno la nostra presenza ed il nostro impegno. Infine, i nostri programmi medici, sociali e per l’integrazione linguistica in Francia, Belgio, Germania, Spagna ed Italia stanno offrendo un aiuto importante agli immigrati che arrivano in Europa con la speranza di una vita migliore. Le Associazioni dell’Ordine di Malta offrono assistenza alle persone prive di status legale per predisporre le domande di asilo e nella gestione delle procedure amministrative. L’aiuto offerto non si limita a fornire un pronto intervento, un alloggio ed un pasto caldo ma ha come scopo quello di facilitare l’inserimento sociale e aiutare le persone a diventare cittadini attivi nel paese dove vivono e lavorano. Dalla caduta del muro di Berlino nel 1989, la nostra Associazione tedesca ad esempio, ha offerto assistenza a richiedenti asilo, profughi ed emigranti e ha accompagnato oltre 1,5 milioni di persone provenienti da più di 70 paesi in centri di ricovero per conto dei Lander e dei comuni tedeschi.
Anche le migliaia di persone vittime del conflitto nella Striscia di Gaza hanno bisogno di una patria sicura, proprio in quella zona del Medio Oriente dove il nostro Ospedale della Sacra Famiglia a Betlemme è da decenni un punto di riferimento per tutte le madri. Attualmente, quest’isola di pace in una terra così travagliata sta estendendo le sue attività e i suoi programmi fornendo assistenza e cure alle donne dei villaggi limitrofi. Pur operando in un teatro di guerra e di distruzione, nella culla della Cristianità, i medici dell’Ordine continuano caparbiamente a fare nascere nuove vite e dunque nuova speranza.
Siamo impegnati anche nella lotta contro alcuni “flagelli” a cominciare dalla nuova insorgenza del virus Ebola che in Africa occidentale ha provocato oltre 8.000 morti. Un flagello che cerchiamo di contrastare con l’invio di medicinali ed attrezzature in Liberia, dove da anni siamo impegnati per aiutare un paese che si trova in grandi difficoltà. Lo stesso avviene in Guinea Conakry dove Ordre de Malte France gestisce centri medici, programmi per la diagnosi precoce e campagne di sensibilizzazione. Insieme a loro e sparsi in tutta l’Africa, numerosi specialisti che indossano la croce a otto punte lottano da anni contro nemici invisibili quali la malaria, la tubercolosi e l’AIDS. Un impegno che è anche di natura sociale, come dimostrano i programmi di assistenza attivi nella Repubblica del Sud Africa per i giovani orfani di genitori malati di AIDS. L’ostacolo principale alla nostra azione è comunque l’instabilità politica di molti Paesi. Per questo l’area centrale dell’Africa costituisce una delle nostre frontiere più impegnative. Pensiamo alla Repubblica Democratica del Congo, in cui forniamo assistenza psicologica alle vittime di stupri; o al Sud Sudan, dove il nuovo recente Centro di Formazione Medico a Rumbek sta creando una nuova generazione di personale sanitario qualificato indispensabile nella regione. Mentre ciò accade, tuttavia, le sanguinose violenze dei conflitti armati continuano a flagellare questi due Stati, costringendo quasi un milione e mezzo di persone a fuggire nel vicino Uganda. Per questa legione di diseredati, il campo profughi di Rhino, nel nord del paese, è come un faro nella notte. Qui, il Malteser International, è impegnato nella distribuzione di cibo e sementi agli sfollati, nella riqualificazione delle risorse idriche e nel miglioramento delle condizioni igieniche.
Non c’è solo l’immediato presente con cui fare i conti; dopo gli aiuti della prima ora, spesso i problemi della ricostruzione sociale e materiale rimangono irrisolti. Per questo il nostro “stile” operativo prevede di rimanere nei luoghi delle emergenze anche quando si spengono i riflettori dei media internazionali. Abbiamo consolidato questo modus operandi nel Sud Est asiatico devastato dallo tsunami nel 2004, dove negli ultimi anni abbiamo concluso con successo interventi di depurazione dell’acqua, corsi di formazione per agricoltori e programmi di micro credito. Ad Haiti, esattamente cinque anni dopo il terremoto che ha devastato l’isola, continuano i nostri programmi di alfabetizzazione, assistenza familiare e di prevenzione delle epidemie. Allo stesso modo, a Samar e nelle altre isole dell’Arcipelago delle Filippine, dove un anno fa il tifone Haiyan ha seminato dolore e morte lontano dall’attenzione dei media, proseguiamo la fornitura di medicinali e indumenti, la ricostruzione di edifici crollati e a sviluppare iniziative per incrementare il reddito delle famiglie.
Ovunque la trama è identica: nelle aride savane o nel fitto delle foreste subequatoriali, ma anche nei recessi di quell’emarginazione urbana che è lo “scarto di lavorazione” delle città del mondo industrializzato. In Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio ma anche nell’Europa dell’Est e in Sud America….in questi e in molti altri luoghi, il volto sofferente della solitudine e dell’abbandono trova conforto nei sorrisi dei nostri volontari impegnati nelle mense per i poveri, nella distribuzione di coperte e medicine ai senzatetto e nell’assistenza agli anziani che vivono soli.

Eccellenze,
Questi brevi e limitati accenni che ho voluto sottoporre alla vostra attenzione in questa occasione non rendono giustizia alla realtà dei fatti. Non mi riferisco al nostro operato ma piuttosto a quanto complessivamente rimane ancora da fare. Un’umanità emarginata e dolente pone alle coscienze dei contemporanei di interrogarci sulle nostre scelte per il futuro: Nord e Sud, primi e ultimi, benessere e degrado: nel mezzo il futuro che saremo in grado di costruire.
Di fronte alle dimensioni della sfida e all’inadeguatezza degli strumenti, torna alla mente il monito di Gesù: “la messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Lc 10,2). Saldo nei suoi convincimenti, da parte sua l’Ordine di Malta rinnova oggi qui con voi l’impegno a fare la sua parte, mettendo in gioco tutte le proprie potenzialità e guardando soprattutto alle giovani generazioni, promessa di vita nuova per il mondo ed anche per la nostra opera millenaria. Un percorso avviato già oggi con iniziative come il Progetto Caravan per i disabili del Libano, che ogni anno coinvolge ragazzi e ragazze europei; con gruppi di volontariato per gli adolescenti, o con le deliberazioni conclusive del nostro Seminario Strategico di Rodi, che da qui al prossimo decennio ci impegneranno ad adottare strategie per un sempre maggiore coinvolgimento dei giovani nella vita dell’Ordine. Senza riserve o pregiudizi anagrafici, dunque, tendiamo la mano alle “nuove leve” affinché, con il loro entusiasmo e la loro disponibilità a spendersi per gli altri, scrivano un nuovo e fecondo capitolo della nostra lunga storia.
Ma è proprio la storia a ricordarci nuovamente che non ci sono solo le braccia e i cuori generosi dei nostri volontari su cui contare. Oltre alle risorse personali esistono quelle istituzionali – prerogativa giuridica dell’Ordine – da spendere per creare nuovi legami tra governi e tra culture, in nome del superiore interesse dello sviluppo umano. La lieta e recentissima novità dell’apertura di rapporti diplomatici con il Sud Sudan è la dimostrazione di ciò che una diplomazia sincera può creare, se orientata verso l’uomo e non contro di esso. Su questo fronte tendo soprattutto la mano a voi, i professionisti della diplomazia, nostri interlocutori privilegiati, affinché ci aiutiate ad aiutare. Affinché sempre più, nelle aree derelitte del mondo, si possa dire ciò che nelle antiche cronache dell’Ordine si narra circa l’ospedale creato a Gerusalemme dal nostro fondatore, il Beato Gerardo: “i poveri vengono sostentati e nutriti, i malati vengono curati, i sacramenti amministrati, i pellegrini e gli afflitti ristorati, gli ignoranti istruiti, i prigionieri riscattati”.
Con questi sentimenti porgo ad ognuno di voi, alle vostre famiglie e alle Nazioni che rappresentate i più sinceri auguri per un 2015 operoso e ricco di grazie spirituali.
Fra’ Matthew Festing

PALERMO, LA SOLIDARIETA' DEL SACRO MILITARE ORDINE COSTANTINIANO DI S.GIORGIO.

Nota stampa
n. 01/2015
  IL SACRO MILITARE ORDINE COSTANTINIANO DI S. GIORGIO
...la “Storia” è il punto di partenza per un futuro migliore...

GIORNATA DELL’EPIFANIA – LA DELEGAZIONE SICILIA DISTRIBUISCE TANTI DONI PER I BAMBINI -
Palermo – 6 gennaio 2014. Giorno 6 gennaio la Delegazione Sicilia, in occasione della giornata dell’Epifania, ha organizzato la distribuzione di doni per i bambini (giocattoli e calze con i dolciumi).
La prima, alle ore 12.00 presso la chiesa di S. Nicola da Tolentino in via Maqueda, dove circa 50 bambini hanno ricevuto il pacco dalla Sig. Giovanna Galli che ormai da anni interpreta la befana. Presenti ad accogliere i bambini anche i cavalieri costantiniani: Antonio di Janni, Carmelo Samarco, Gasperino Como, Claudio Ragusa e Francesco Paolo Guarneri.

Nel pomeriggio alle ore 17.00, presso la chiesa di S. Francesco di Paola, una seconda distribuzione per oltre 150 bambini, con la collaborazione dei Padri minimi costantiniani e dell’associazione Onlus “Croce Bianca” ed il suo presidente Pietro Spezia. I Padri minimi sono cappellani costantiniani e sono: Padre Saverio Cento, Padre Giorgio Terrasi e Padre Antonio Porretta.






lunedì 12 gennaio 2015

LA LEGGENDA DI HIRAM E DEI TRE MAGI UNIVERSALI

Questa leggenda, tradotta dal francese, e che si chiama "Leggenda dei tre Magi che hanno visitato la grande volta e scoperto il centro della idea" è profondamente esoterica. Come nessuno sa chi sia lo scrittore dell'altra leggenda meravigliosa di Hiram, nessuno conosce chi abbia scritto questa.... a cura di Andrea De Pascalis"... tre viaggiatori giunsero, sui loro cammelli nei paraggi di quella terra desolata. Erano dei Magi, Iniziati babilonesi, membri della Confraternita dei Sacerdoti universali." Molto tempo dopo la morte di Hiram, di Salomone e di tutti i loro contemporanei, dopo che le armate di Nabucondonosor avevano distrutto il regno di Giuda, rasa al suolo Gerusalemme, demolito il Tempio, condotti prigionieri tutti quelli che erano scampati alla strage, quando il monte Sion non era che un arido deserto ove pascolava qualche magro armento guardato da Beduini affamati o da predoni, tre viaggiatori giunsero, sui loro cammelli nei paraggi di quella terra desolata.
Erano dei Magi, Iniziati babilonesi, membri della Confraternita dei Sacerdoti universali, che andavano, in pellegrinaggio ad esplorare le rovine dell'antico Santuario che Salomone aveva eretto all'Eterno.
Dopo un pasto frugale i tre pellegrini si misero a perlustrare il recinto rovinato. I resti delle mura e le basi residue delle colonne permisero loro di individuare il luogo del Tempio. Subito si misero a esaminare i capitelli che giacevano a terra, e rivoltare le pietre per vedere se vi fossero in esse delle iscrizioni o dei simboli. Mentre erano intenti a questa operazione, sotto un'ala di un muro rovesciato in mezzo a dei roveti, scoprirono una apertura. Era situata questa a sud-est del Tempio; cominciarono ad allargare il pertugio, e uno di loro, il più anziano, colui che poteva sembrare il Capo, curvandosi col ventre in terra sul margine, si mise a scrutare nell'interno.
Era l'oro di mezzogiorno, quando il Sole brilla allo Zenith, e i suoi raggi piombavano, quasi verticalmente, su quel luogo. Un oggetto lucentissimo investì gli occhi del pellegrino, il quale chiamò gli altri due, che si inchinarono anch'essi a guardare. Evidentemente vi era laggiù un oggetto degno di attenzione, senza dubbio un gioiello sacro. I tre pellegrini decisero di impadronirsene; si tolsero le cinture che portavano intorno alla vita, le legarono l'un l'altro e gettarono quella specie di corda nell'apertura; decidendo che avrebbero sostenuto colui che sarebbe disceso in basso. Allora il Capo scivolò su questa specie di corda e disparve nel pertugio. Mentre questi sta effettuando la discesa, vediamo che cosa era l'oggetto che aveva attirato l'attenzione dei pellegrini.
Quando il Maestro Hiram, alla porta d'Oriente ricevette il colpo di squadra dal secondo cattivo compagno e fuggì per uscire dalla porta del Sud, trovò anche questa sbarrata dal terzo compagno; allora si tolse dal collo il gioiello che era sospeso ad una catenella composta da 77 anelli, e lo gettò nel pozzo, che s'apriva entro il tempio, nell'angolo dalla parte est-sud.
Questo gioiello era un Delta di puro metallo, sul quale Hiram, che era un perfetto iniziato, vi aveva inciso il Nome ineffabile, che egli portava al collo, con la faccia al rovescio, in maniera che nessuno poteva vedere ciò che esso rappresentava.
Mentre il pellegrino, aiutandosi con le mani e con i piedi, scendeva nel pozzo, constatò che le pareti di esso erano divise per zone, o anelli, fatti con pietre di diverso colore, di un cubito circa di altezza ciascuna. Quando giunse in basso contò quelle zone e constatò che erano dieci. Abbassò gli occhi in terra, vide il Nome ineffabile. E poiché gli altri suoi due compagni non avevano ancora conquistata la perfezione iniziatica, e quindi non potevano comprendere il significato della parola, si mise la catena al collo, mettendo il dritto palesemente al contrario di quanto aveva fatto il Maestro Hiram. Guardò ancora intorno a lui e constatò che nel muro vi era una apertura, per la quale un uomo vi poteva benissimo entrare. E vi entrò difatti camminando a tastoni nell'oscurità; le sue mani sentirono un ostacolo, che al contatto gli parve qualche cosa come di bronzo. Ritornò indietro al pozzo, e avvertì che i due compagni che tenessero ferma la corda e risalì.
I due pellegrini, vedendo il gioiello che ornava il collo del loro Capo, si inchinarono davanti a lui, e immaginarono che essi avrebbero ricevuta una nuova consacrazione. Egli spiegò loro quanto aveva veduto e la porta di bronzo che aveva incontrato. Allora pensarono che là doveva essere un mistero, e deliberarono risolutamente di andare, tutti e tre insieme alla scoperta dell'enigma. Legarono la corda, fatta con le loro cinture, ad una pietra levigata che giaceva vicino al pozzo e sulla quale si leggeva ancora la parola JAKIN, vi posero sopra un altro pezzo di colonna, ove si leggeva la parola BOAZ, e si assicurarono che la corda, così tenuta, sostenesse il peso di un uomo. Due di essi si accinsero subito a sviluppare il fuoco sacro, fregando con le mani due bacchette di legno duro e rigirandole entro un foro di un altro pezzo di legno tenero. Quando il legno fu acceso, vi soffiarono sopra perché producesse la fiamma. Quindi andarono a prendere le torce di resina, che stavano sulla groppa dei loro cammelli e che avevano portate per difendersi contro gli animali feroci, durante i loro accampamenti notturni, le avvicinarono alla fiamma del legno che si era incendiato, e si infiammarono essi stessi del medesimo fuoco sacro.
Ciascuno di loro, tenendo la propria torcia in mano, si lasciò scivolare lungo la corda, fino in fondo al pozzo. Una volta essi scesi, dietro la guida del loro Capo, s'inoltrarono verso la porta di bronzo. Arrivati davanti a quella, il più anziano la esaminò attentamente alla luce della sua torcia. Egli scoprì nel mezzo della porta medesima, l'esistenza di un disegno in rilievo, avente la forma di una corona reale, circondata da un cerchio composta da 22 puntini; si concentrò in una profonda meditazione, poi pronunciò la parola MALLAKUTH, e subito la porta si aprì. Gli esploratori si trovarono allora di fronte ad una scala che si inabissava nel suolo; si ripromisero, sempre con le torce in mano, di contare gli scalini e quando ne ebbero discesi tre, incontrarono un pilastro triangolare, alla cui sinistra cominciava un'altra scala. Si introdussero anche in quella, e dopo cinque scalini, trovarono un nuovo pilastro della medesima forma e delle identiche dimensioni dell'altro. Questa volta la scala continuava dalla parte destra, ed era composta ancora di sette scalini. Oltrepassato anche questo pilastro, scesero ancora nove scalini e si trovarono di fronte ad una seconda porta di bronzo. Il vecchio pellegrino la esaminò come aveva fatto precedentemente, e vide sulla porta un altro disegno in rilievo, rappresentante una pietra angolare circondata anche questa da un cerchio di 22 puntini. Pronunciò la parola JESOD e anche questa porta si aprì. I tre pellegrini entrarono in una grande sala concava e rotonda, le cui pareti erano ornate da nove grandi foglie, le cui nervature, partendo dal suolo si incontravano al punto centrale del soffitto. Esaminarono al lume delle loro torce, facendo il giro della sala, per vedere se vi erano altre porte, oltre quella dalla quale erano entrati.
 Non trovando nulla stavano per ritirarsi, quando il loro Capo, ritornando sui suoi passi, esaminò le foglie ad una ad una, cercò un punto di riferimento, contò le nervature, e tutto ad un tratto chiamò gli altri due pellegrini. In un angolo scuro aveva scoperto una nuova porta di bronzo. Questa recava come simbolo un Sole raggiante, tutto circondato da un cerchio di 22 puntini. Pronunciò la parola NETZAH e la porta si aprì, e apparve un a seconda scala. Successivamente gli esploratori oltrepassarono altre cinque porte, ugualmente nascoste e si introdussero in una nuova cripta. Su ciascuna di queste porte vi erano rispettivamente i simboli di una Luna splendente, di una Testa di Leone, di una Colomba leggera e graziosa, di un Regolo, di un Rotolo della Legge, di un Occhio, e di una Corona Reale. Le parole pronunciate furono successivamente: Hod, Tiphereth, Chesed, Geburah, Chochmah, Binah, Keter (1). Quando essi entrarono nella nona arcata, si arrestarono sorpresi, abbagliati, spaventati. Questa non era immersa nell'oscurità ma al contrario era rischiarata luminosamente. Nel centro vi erano tre lampadari, di 11 cubiti di altezza, con tre bracci ciascuno. Queste lampade che erano rimaste accese dopo tanti secoli, dalla distruzione del Regno di Giuda, dall'incendio di Gerusalemme e dalla demolizione del Tempio, non si erano mai spente, e brillavano di vivo splendore, illuminando di una luce, ora dolce, ora intensa, tutt'intorno, tutti i dettagli della meravigliosa architettura di quelle arcate, senza paragone, tagliate nella roccia viva. I pellegrini si liberarono delle loro torce, di cui non avevano più bisogno, le posero in terra presso la porta, si tolsero i loro calzari, si aggiustarono i capelli come se fossero in luogo santo, e si avanzarono, inchinandosi nove volte verso i giganteschi lampadari.
Alla base del triangolo formato da questi, vi era un altare a forma di cubo di marmo bianco, di due cubiti di altezza. Sul davanti, in oro, riguardando la sommità del triangolo, vi erano rappresentati gli arnesi della Massoneria: il Regolo, il Compasso, la Squadra, la Livella, la Cazzuola, il Maglietto.
 Sulla faccia laterale sinistra vi erano le figure geometriche: il Triangolo, il Carro, la Stella a cinque punte, il Cubo; sulla faccia laterale destra si leggevano i numeri: 27, 125, 343, 729, 1331; infine sulla faccia posteriore vi era rappresentata l'Acacia simbolica. Sull'altare vi era la Pietra d'agata, di tre palmi per ogni angolo, e al di sopra, scritta a caratteri d'oro, la parola ADONAI. I due magi discepoli si inchinarono, adorando il nome di Dio, ma il loro Capo, alzando al contrario il volto, disse loro: "E' tempo di ricevere l'ultimo insegnamento che farà di voi dei perfetti iniziati.
Questo nome non è che un tenue simbolo, che non esprime realmente l'idea della conoscenza suprema"; prese allora con le mani la Pietra d'agata, ritornò presso i due discepoli, dicendo loro: "Guardate, ecco la conoscenza suprema. Voi siete al centro dell'idea".
I discepoli compitarono le lettere IOD, HE', VAU, HE, e mentre si accingevano a pronunciare la parola, il Capo comandò loro: "Silenzio! E' la parola ineffabile che non può essere pronunciata da nessuno".
Rimise sull'altare la Pietra d'agata, si tolse dal collo il gioiello di Hiram e mostrò loro i medesimi segni che vi si trovavano incisi e disse loro: "Apprenderete ora che non fu Salomone a edificare queste volte ipogee, né a costruire le altre otto che le precedono, né a deporre la Pietra d'agata. La Pietra fu messa da Henoch, il primo fra tutti gli iniziati, l'Iniziato degli Iniziati, che non è morto mai attraverso i suoi discepoli spirituali. Henoch visse molto tempo prima di Salomone, avanti lo stesso diluvio. Non si conosce perciò in quale epoca furono costruite le otto volte, e questa scalpellata nella roccia viva".
  
Quindi i nuovi grandi iniziati distolsero l'attenzione dall'altare e dalla Pietra d'agata e guardarono la volta della sala, che si perdeva verso un'altezza indefinita, e dalla vasta navata la loro voce veniva ripetuta da un'eco portentosa. Giunsero, di poi, davanti ad una porta, accuratamente nascosta e sulla quale era ben visibile il simbolo di un Vaso incrinato. Chiamarono il loro Maestro e gli domandarono: "Aprici ancora questa porta, vi deve essere dentro un nuovo mistero". "No, rispose loro l'anziano, non si può aprire questa porta. Un mistero vi è, ma è un mistero terribile, un mistero di morte". E loro a lui: "Tu vuoi nasconderci qualche cosa, che serbi per te solo; ma noi vogliamo tutto conoscere, tutto sapere, e noi stessi apriremo quella porta".
E si misero a ripetere tutte le parole che avevano intese pronunciare dal loro Maestro; e poiché nessuna di queste produceva alcun effetto, pronunciarono tutte quelle che il loro spirito suggeriva.
 Ed erano per rinunciarvi quando uno di essi disse: "Noi non possiamo, peraltro, continuare all'infinito". A questa parola la porta si spalancò con tale violenza, che i due imprudenti furono gettati a terra, un vento furioso soffiò nella volta e le lampade si spensero. Il Maestro si precipitò verso la porta, la puntellò con il suo corpo, chiamò in aiuto i due discepoli, i quali, accorsi alla sua voce, riuscirono così, uniti in uno sforzo supremo, a richiudere la porta. Ma le lampade non si riaccesero più e i pellegrini rimasero prigionieri delle tenebre più profonde. Si avvicinarono alla voce del Maestro che disse loro: "Questo avvenimento terribile era da prevedersi; era scritto che voi dovevate commettere questa imprudenza. Noi corriamo grande rischio di morire in questo sotterraneo sconosciuto dagli uomini. Tentiamo ordunque di uscirne, di traversare le otto arcate e giungere al punto da dove noi siamo discesi. Prendiamoci per mano, e così cammineremo fino a che non troveremo la porta di uscita. Noi rincominceremo da tutte le sale, fintanto che saremo giunti ai piedi della scala di ventiquattro scalini. Speriamo di arrivarci".
 Così fecero. Passarono delle ore angosciose, ma non disperarono mai. Giunsero finalmente ai piedi della scala di 24 scalini; cominciarono a salire contando 9, 7, 5 e 3 e si ritrovarono in fondo al pozzo. Era mezzanotte, le stelle brillavano; la corda vi era ancora.
Prima di lasciare salire i suoi due compagni, il Maestro mostrò loro il cerchio scoperto nel cielo, che si intravedeva dal pozzo e loro disse: "i dieci cerchi che noi abbiamo visti discendendo, rappresentano le volte e gli archi della scala; l'ultima arcata corrisponde al numero UNDICI, quello che ha soffiato il vento del disastro, ed è il cielo INFINITO CON I LUMINARI DELLA NOSTRA COSCIENZA CHE LO POPOLANO.

I tre iniziati riguadagnarono il recinto del Tempio in rovina; rimossero di nuovo il fusto della colonna senza rivedervi più la parola BOAZ; staccarono le loro cinture, se le rimisero, rimontarono in sella;poi, senza proferire alcuna parola, piombati in una profonda meditazione, sotto il cielo stellato, in mezzo al silenzio della notte, s'incamminarono al passo lento dei loro cammelli, verso la città di Babilonia.
Questa leggenda, tradotta dal francese, e che si chiama "Leggenda dei tre Magi che hanno visitato la grande volta e scoperto il centro della idea" è profondamente esoterica. Come nessuno sa chi sia lo scrittore dell'altra leggenda meravigliosa di Hiram, nessuno conosce chi abbia scritto questa, come l'altra di profonda dottrina massonica. Mentre quella illumina il senso dei simboli dei misteri, questa penetra nella profondità dello spirito. Mentre quella insegna che Hiram ha costruito il Tempio, questa avverte di un Tempio ancora più lontano ove sono custoditi, in una luce abbagliante, i simboli della Massoneria, e dove le fiaccole stanno da secoli, perennemente accese ad illuminare gli arnesi della Maestria.
Il Tempio più remoto, quindi, sorregge l'altro di Hiram; se non fosse preferibile lasciare a ciascuno di interpretare a seconda della preparazione iniziatica del proprio intimo, l'allegoria che scaturisce dalla leggenda, vi sarebbe da concludere che vi è un Tempio infinito, che non sarà mai distrutto, ed è quello che ognuno deve saper costruire nell'intimo della sua anima, del quale ogni pietra è l'anelito della propria coscienza, anelante a conoscere la certezza della verità infinita.

Molti sono i rapporti che si incontrano in questo racconto, in armonia con i simboli massonici. E come questi Magi scoprono i residui dell'antico tempio di Hiram, quando il sole brilla alto allo Zenith, così i massoni aprono i loro tavoli a mezzogiorno; e quando riprendono la via del ritorno, terminano i loro lavori a mezzanotte. I numeri 3, 5, 7 e 9 sono le età rispettive che il massone deve raggiungere prima di penetrare nella cripta dei Rosa-Croce, e le parole che manifestano il Nome Incognito le ritroverà in seguito percorrendo i gradini della Piramide.
Soltanto con lo studio dei simboli egli può raggiungere a comprendere l'esoterismo della dottrina massonica l'insegnamento delle sue tavole fondamentali; le stesse parole sono dei simboli dell'idea che si sviluppa; l'idea è il simbolo della maturazione; la maturazione è il simbolo della perfezione; la perfezione è il simbolo della Verità.
Nella massoneria il simbolo è perenne; si avvicina al neofita, da subito, e lo accompagna per tutti gli sviluppi ulteriori; perché se iniziato vuol dire messo sul cammino, l'iniziazione non può essere se non una continua evoluzione, anche quando sembri congiunta ad una percezione pressoché completa.
 Il simbolo è un'immagine, un pensiero, è una specie di rivelazione. Giambilico, il neo-platonico, che concepì la filosofia come una teurgia;cioè come la scienza dei riti e della forma, scrive: "La conoscenza del Divino non è sufficiente per unirci a Dio … la forza inesplicabile dei simboli ci dona l'intelligenza delle cose divine".
La massoneria non può avvolgere nei simboli lo sviluppo della sua dottrina, per la sua essenza esoterica, e naturalmente, e gelosa custode della loro inalterabilità.

UMBERTO DI GRAZIA, IL RABDOMANTE DEL PASSATO

di Roberto LORI

Velthur, figlio di Larth e di Ramtha, sacerdote etrusco interprete dei fulmini, conobbe il triste destino degli illuminati; fu condannato per stregoneria dall’ignoranza e dalla superstizione degli uomini del suo tempo. Se con lo scorrere della clessidra del tempo il suo corpo si è ridotto in polvere, il suo spirito non ha subito l’annientamento. Si è reincarnato in un etrusco di oggi, nell’ultimo sensitivo degno di questo nome appartenente a quella schiera di eletti che rispondono ai nomi di Eusapia Palladino, Edgar Cayce, Gustavo Roll. Stiamo parlando di Umberto Di Grazia. Ho la fortuna di conoscere Di Grazia da più di trent’anni e da più di trent’anni lo considero uno degli amici più cari. Alto, quadrato, robusto, dagli occhi dalla profondità insondabile, non è molto cambiato nel tempo. I capelli saranno ingrigiti, la pancia si sarà arrotondata, ma nulla di più. L’uomo di Capranica – è nato nel viterbese nel ’41 – ha mantenuto intatto il magnetismo col quale ha da sempre affascinato donne e uomini. Soprattutto, si è mantenuto coerente alla purezza dei suoi intenti di base, dedicando la sua vita allo studio e alla sperimentazione nell’ambito della Ricerca psichica e della sua fenomenologia. Quando lavoravamo insieme a Dimensione Uomo, un’organizzazione che s’interessava di ricerca e divulgazione scientifica, ho assistito ad innumerevoli fenomeni precognitivi che hanno avuto come epicentro Umberto. All’epoca, grazie ai sogni lucidi di Di Grazia, sapevamo dieci giorni prima del verificarsi dell’evento che due Jumbo si sarebbero scontrati a terra in un grande aeroporto internazionale. La sciagura è poi puntualmente avvenuta a Tenerife, nelle Canarie. Sapevamo del tentativo di attentato al presidente americano Reagan. Non solo, sapevamo anche che le particolari scenografie oniriche di Umberto avrebbero condotto a importanti scoperte archeologiche, come in realtà è stato. Il nostro interesse non era, tuttavia, il fenomeno in quanto tale, ma le sue connessioni logiche. Ci chiedevamo: Umberto pare essere l’elemento catalizzatore, il tramite tra il nostro universo fisico e un altro universo molto più vasto e, soprattutto, ignoto ai più, ciascuno di noi potrebbe a sua volta provocare gli stessi fenomeni? E’ indubbio che le enormi facoltà di Umberto “gli permettano di entrare in contatto con una dimensione di presente continuo, dove le leggi costruite dalla logica sono destinate a ribaltarsi per riproporsi in uno stato di nuovo equilibrio.” Ciò ha portato Di Grazia a mettere in pratica l’idea, studiata anche da C.G. Jung, de’ “l’unione degli opposti”, o meglio del superamento dei contrari perché ci si renda conto che anche le contraddizioni non si elidono ma hanno la loro giusta collocazione come poli di una medesima sostanza primordiale. E’ importante riconoscere la loro complementarietà perché ciò è necessario per giungere alla sintesi e alla centralità del problema. Il secondo punto all’ordine del giorno è stato la messa a punto del metodo della biostimolazione, che consiste in una serie ordinata di esercizi di meditazione, di posture e movimenti accompagnati da suoni e ritmi che Umberto ha chiamato “Tecniche dell’Unione e del Risveglio”. Lo stesso Emilio Servadio, grande psicanalista e fondatore della Società italiana di psicanalisi, ha valutato assai positivamente tale metodologia scrivendo tra l’altro che “Umberto Di Grazia è stato in grado di elaborare una serie di esercizi fisici e mentali, che consentono di aprirsi ai messaggi della mente e dell’inconscio. Si tratta di tecniche semplici e piacevoli, che ampliano le facoltà sensibili dell’individuo, ponendolo in grado di percepire le energie e le vibrazioni di cui è composto il cosmo. Tale metodo, definito “biostimolazione” ha come finalità l’unione degli opposti, sia interni che esterni alla mente, e d’indurre all’amalgama delle energie e all’armonia interiore, tanto da sentirsi, consapevolmente, parte del tutto.” · Umberto Di Grazia è sempre stato convinto che l’essere sensitivi non sia prerogativa di pochi eletti, ma, piuttosto, una potenzialità latente in ogni essere umano o, comunque, accessibile a molti. Presidente dell’Istituto di Ricerca della Coscienza, in questi anni ha impostato una particolare ricerca tendente a far emergere alla coscienza le informazioni del profondo al fine di darne un’applicazione pratica con l’uso quotidiano del “paranormale”, che in questo modo diverrebbe più che “normale”. Nel corso di una serie di esperimenti basati sulla precognizione e sull’archeologia psichica, ha potuto constatare che i risultati migliori venivano ottenuti da chi era digiuno di certe pratiche ed era del tutto ignaro delle realtà paranormali o era addirittura scettico sulle proprie possibilità e affrontava i test per semplice divertimento. · Malgrado l’oscurantismo che permea il villaggio globale del nostro mondo, la rivoluzione delle idee è in atto. L’etrusco venuto dal passato è il vessillifero di una marea montante che finirà per spazzare via l’arroganza della scienza e delle sette per dare via libera alla rivoluzione delle coscienze. Una rivoluzione certo non cruenta che ciascuno di noi deve fare per se stesso se vuole realizzare quella verità, che molti vogliono ancora sotterrata.