Questa leggenda,
tradotta dal francese, e che si chiama "Leggenda dei tre Magi
che hanno visitato la grande volta e scoperto il centro della idea"
è profondamente esoterica. Come nessuno sa chi sia lo scrittore
dell'altra leggenda meravigliosa di Hiram, nessuno conosce chi abbia
scritto questa.... a cura di Andrea De
Pascalis"... tre viaggiatori
giunsero, sui loro cammelli nei paraggi di quella terra desolata.
Erano dei Magi, Iniziati babilonesi, membri della Confraternita dei
Sacerdoti universali." Molto tempo dopo la morte di
Hiram, di Salomone e di tutti i loro contemporanei, dopo che le
armate di Nabucondonosor avevano distrutto il regno di Giuda, rasa al
suolo Gerusalemme, demolito il Tempio, condotti prigionieri tutti
quelli che erano scampati alla strage, quando il monte Sion non era
che un arido deserto ove pascolava qualche magro armento guardato da
Beduini affamati o da predoni, tre viaggiatori giunsero, sui loro
cammelli nei paraggi di quella terra desolata.
Erano dei Magi,
Iniziati babilonesi, membri della Confraternita dei Sacerdoti
universali, che andavano, in pellegrinaggio ad esplorare le rovine
dell'antico Santuario che Salomone aveva eretto all'Eterno.
Dopo
un pasto frugale i tre pellegrini si misero a perlustrare il recinto
rovinato. I resti delle mura e le basi residue delle colonne
permisero loro di individuare il luogo del Tempio. Subito si misero a
esaminare i capitelli che giacevano a terra, e rivoltare le pietre
per vedere se vi fossero in esse delle iscrizioni o dei simboli.
Mentre erano intenti a questa operazione, sotto un'ala di un muro
rovesciato in mezzo a dei roveti, scoprirono una apertura. Era
situata questa a sud-est del Tempio; cominciarono ad allargare il
pertugio, e uno di loro, il più anziano, colui che poteva sembrare
il Capo, curvandosi col ventre in terra sul margine, si mise a
scrutare nell'interno.
Era l'oro di mezzogiorno,
quando il Sole brilla allo Zenith, e i suoi raggi piombavano, quasi
verticalmente, su quel luogo. Un oggetto lucentissimo investì gli
occhi del pellegrino, il quale chiamò gli altri due, che si
inchinarono anch'essi a guardare. Evidentemente vi era laggiù un
oggetto degno di attenzione, senza dubbio un gioiello sacro. I tre
pellegrini decisero di impadronirsene; si tolsero le cinture che
portavano intorno alla vita, le legarono l'un l'altro e gettarono
quella specie di corda nell'apertura; decidendo che avrebbero
sostenuto colui che sarebbe disceso in basso. Allora il Capo scivolò
su questa specie di corda e disparve nel pertugio. Mentre questi sta
effettuando la discesa, vediamo che cosa era l'oggetto che aveva
attirato l'attenzione dei pellegrini.
Quando il Maestro Hiram,
alla porta d'Oriente ricevette il colpo di squadra dal secondo
cattivo compagno e fuggì per uscire dalla porta del Sud, trovò
anche questa sbarrata dal terzo compagno; allora si tolse dal collo
il gioiello che era sospeso ad una catenella composta da 77 anelli, e
lo gettò nel pozzo, che s'apriva entro il tempio, nell'angolo dalla
parte est-sud.
Questo gioiello era un Delta di puro metallo, sul
quale Hiram, che era un perfetto iniziato, vi aveva inciso il Nome
ineffabile, che egli portava al collo, con la faccia al rovescio, in
maniera che nessuno poteva vedere ciò che esso rappresentava.
Mentre
il pellegrino, aiutandosi con le mani e con i piedi, scendeva nel
pozzo, constatò che le pareti di esso erano divise per zone, o
anelli, fatti con pietre di diverso colore, di un cubito circa di
altezza ciascuna. Quando giunse in basso contò quelle zone e
constatò che erano dieci. Abbassò gli occhi in terra, vide il Nome
ineffabile. E poiché gli altri suoi due compagni non avevano ancora
conquistata la perfezione iniziatica, e quindi non potevano
comprendere il significato della parola, si mise la catena al collo,
mettendo il dritto palesemente al contrario di quanto aveva fatto il
Maestro Hiram. Guardò ancora intorno a lui e constatò che nel muro
vi era una apertura, per la quale un uomo vi poteva benissimo
entrare. E vi entrò difatti camminando a tastoni nell'oscurità; le
sue mani sentirono un ostacolo, che al contatto gli parve qualche
cosa come di bronzo. Ritornò indietro al pozzo, e avvertì che i due
compagni che tenessero ferma la corda e risalì.
I due pellegrini,
vedendo il gioiello che ornava il collo del loro Capo, si inchinarono
davanti a lui, e immaginarono che essi avrebbero ricevuta una nuova
consacrazione. Egli spiegò loro quanto aveva veduto e la porta di
bronzo che aveva incontrato. Allora pensarono che là doveva essere
un mistero, e deliberarono risolutamente di andare, tutti e tre
insieme alla scoperta dell'enigma. Legarono la corda, fatta con le
loro cinture, ad una pietra levigata che giaceva vicino al pozzo e
sulla quale si leggeva ancora la parola JAKIN, vi posero sopra un
altro pezzo di colonna, ove si leggeva la parola BOAZ, e si
assicurarono che la corda, così tenuta, sostenesse il peso di un
uomo. Due di essi si accinsero subito a sviluppare il fuoco sacro,
fregando con le mani due bacchette di legno duro e rigirandole entro
un foro di un altro pezzo di legno tenero. Quando il legno fu acceso,
vi soffiarono sopra perché producesse la fiamma. Quindi andarono a
prendere le torce di resina, che stavano sulla groppa dei loro
cammelli e che avevano portate per difendersi contro gli animali
feroci, durante i loro accampamenti notturni, le avvicinarono alla
fiamma del legno che si era incendiato, e si infiammarono essi stessi
del medesimo fuoco sacro.
Ciascuno di loro, tenendo
la propria torcia in mano, si lasciò scivolare lungo la corda, fino
in fondo al pozzo. Una volta essi scesi, dietro la guida del loro
Capo, s'inoltrarono verso la porta di bronzo. Arrivati davanti a
quella, il più anziano la esaminò attentamente alla luce della sua
torcia. Egli scoprì nel mezzo della porta medesima, l'esistenza di
un disegno in rilievo, avente la forma di una corona reale,
circondata da un cerchio composta da 22 puntini; si concentrò in una
profonda meditazione, poi pronunciò la parola MALLAKUTH, e subito la
porta si aprì. Gli esploratori si trovarono allora di fronte ad una
scala che si inabissava nel suolo; si ripromisero, sempre con le
torce in mano, di contare gli scalini e quando ne ebbero discesi tre,
incontrarono un pilastro triangolare, alla cui sinistra cominciava
un'altra scala. Si introdussero anche in quella, e dopo cinque
scalini, trovarono un nuovo pilastro della medesima forma e delle
identiche dimensioni dell'altro. Questa volta la scala continuava
dalla parte destra, ed era composta ancora di sette scalini.
Oltrepassato anche questo pilastro, scesero ancora nove scalini e si
trovarono di fronte ad una seconda porta di bronzo. Il vecchio
pellegrino la esaminò come aveva fatto precedentemente, e vide sulla
porta un altro disegno in rilievo, rappresentante una pietra angolare
circondata anche questa da un cerchio di 22 puntini. Pronunciò la
parola JESOD e anche questa porta si aprì. I tre pellegrini
entrarono in una grande sala concava e rotonda, le cui pareti erano
ornate da nove grandi foglie, le cui nervature, partendo dal suolo si
incontravano al punto centrale del soffitto. Esaminarono al lume
delle loro torce, facendo il giro della sala, per vedere se vi erano
altre porte, oltre quella dalla quale erano entrati.
Non trovando
nulla stavano per ritirarsi, quando il loro Capo, ritornando sui suoi
passi, esaminò le foglie ad una ad una, cercò un punto di
riferimento, contò le nervature, e tutto ad un tratto chiamò gli
altri due pellegrini. In un angolo scuro aveva scoperto una nuova
porta di bronzo. Questa recava come simbolo un Sole raggiante, tutto
circondato da un cerchio di 22 puntini. Pronunciò la parola NETZAH e
la porta si aprì, e apparve un a seconda scala. Successivamente gli
esploratori oltrepassarono altre cinque porte, ugualmente nascoste e
si introdussero in una nuova cripta. Su ciascuna di queste porte vi
erano rispettivamente i simboli di una Luna splendente, di una Testa
di Leone, di una Colomba leggera e graziosa, di un Regolo, di un
Rotolo della Legge, di un Occhio, e di una Corona Reale. Le parole
pronunciate furono successivamente: Hod, Tiphereth, Chesed, Geburah,
Chochmah, Binah, Keter (1). Quando essi entrarono nella nona arcata,
si arrestarono sorpresi, abbagliati, spaventati. Questa non era
immersa nell'oscurità ma al contrario era rischiarata luminosamente.
Nel centro vi erano tre lampadari, di 11 cubiti di altezza, con tre
bracci ciascuno. Queste lampade che erano rimaste accese dopo tanti
secoli, dalla distruzione del Regno di Giuda, dall'incendio di
Gerusalemme e dalla demolizione del Tempio, non si erano mai spente,
e brillavano di vivo splendore, illuminando di una luce, ora dolce,
ora intensa, tutt'intorno, tutti i dettagli della meravigliosa
architettura di quelle arcate, senza paragone, tagliate nella roccia
viva. I pellegrini si liberarono delle loro torce, di cui non avevano
più bisogno, le posero in terra presso la porta, si tolsero i loro
calzari, si aggiustarono i capelli come se fossero in luogo santo, e
si avanzarono, inchinandosi nove volte verso i giganteschi
lampadari.
Alla base del triangolo formato da questi, vi era un
altare a forma di cubo di marmo bianco, di due cubiti di altezza. Sul
davanti, in oro, riguardando la sommità del triangolo, vi erano
rappresentati gli arnesi della Massoneria: il Regolo, il Compasso, la
Squadra, la Livella, la Cazzuola, il Maglietto.
Sulla faccia
laterale sinistra vi erano le figure geometriche: il Triangolo, il
Carro, la Stella a cinque punte, il Cubo; sulla faccia laterale
destra si leggevano i numeri: 27, 125, 343, 729, 1331; infine sulla
faccia posteriore vi era rappresentata l'Acacia simbolica.
Sull'altare vi era la Pietra d'agata, di tre palmi per ogni angolo, e
al di sopra, scritta a caratteri d'oro, la parola ADONAI. I due magi
discepoli si inchinarono, adorando il nome di Dio, ma il loro Capo,
alzando al contrario il volto, disse loro: "E' tempo di ricevere
l'ultimo insegnamento che farà di voi dei perfetti iniziati.
Questo
nome non è che un tenue simbolo, che non esprime realmente l'idea
della conoscenza suprema"; prese allora con le mani la Pietra
d'agata, ritornò presso i due discepoli, dicendo loro: "Guardate,
ecco la conoscenza suprema. Voi siete al centro dell'idea".
I
discepoli compitarono le lettere IOD, HE', VAU, HE, e mentre si
accingevano a pronunciare la parola, il Capo comandò loro:
"Silenzio! E' la parola ineffabile che non può essere
pronunciata da nessuno".
Rimise
sull'altare la Pietra d'agata, si tolse dal collo il gioiello di
Hiram e mostrò loro i medesimi segni che vi si trovavano incisi e
disse loro: "Apprenderete ora che non fu Salomone a edificare
queste volte ipogee, né a costruire le altre otto che le precedono,
né a deporre la Pietra d'agata. La Pietra fu messa da Henoch, il
primo fra tutti gli iniziati, l'Iniziato degli Iniziati, che non è
morto mai attraverso i suoi discepoli spirituali. Henoch visse molto
tempo prima di Salomone, avanti lo stesso diluvio. Non si conosce
perciò in quale epoca furono costruite le otto volte, e questa
scalpellata nella roccia viva".
Quindi i nuovi grandi
iniziati distolsero l'attenzione dall'altare e dalla Pietra d'agata e
guardarono la volta della sala, che si perdeva verso un'altezza
indefinita, e dalla vasta navata la loro voce veniva ripetuta da
un'eco portentosa. Giunsero, di poi, davanti ad una porta,
accuratamente nascosta e sulla quale era ben visibile il simbolo di
un Vaso incrinato. Chiamarono il loro Maestro e gli domandarono:
"Aprici ancora questa porta, vi deve essere dentro un nuovo
mistero". "No, rispose loro l'anziano, non si può aprire
questa porta. Un mistero vi è, ma è un mistero terribile, un
mistero di morte". E loro a lui: "Tu vuoi nasconderci
qualche cosa, che serbi per te solo; ma noi vogliamo tutto conoscere,
tutto sapere, e noi stessi apriremo quella porta".
E si
misero a ripetere tutte le parole che avevano intese pronunciare dal
loro Maestro; e poiché nessuna di queste produceva alcun effetto,
pronunciarono tutte quelle che il loro spirito suggeriva.
Ed erano per
rinunciarvi quando uno di essi disse: "Noi non possiamo,
peraltro, continuare all'infinito". A questa parola la porta si
spalancò con tale violenza, che i due imprudenti furono gettati a
terra, un vento furioso soffiò nella volta e le lampade si spensero.
Il Maestro si precipitò verso la porta, la puntellò con il suo
corpo, chiamò in aiuto i due discepoli, i quali, accorsi alla sua
voce, riuscirono così, uniti in uno sforzo supremo, a richiudere la
porta. Ma le lampade non si riaccesero più e i pellegrini rimasero
prigionieri delle tenebre più profonde. Si avvicinarono alla voce
del Maestro che disse loro: "Questo avvenimento terribile era da
prevedersi; era scritto che voi dovevate commettere questa
imprudenza. Noi corriamo grande rischio di morire in questo
sotterraneo sconosciuto dagli uomini. Tentiamo ordunque di uscirne,
di traversare le otto arcate e giungere al punto da dove noi siamo
discesi. Prendiamoci per mano, e così cammineremo fino a che non
troveremo la porta di uscita. Noi rincominceremo da tutte le sale,
fintanto che saremo giunti ai piedi della scala di ventiquattro
scalini. Speriamo di arrivarci".
Così fecero.
Passarono delle ore angosciose, ma non disperarono mai. Giunsero
finalmente ai piedi della scala di 24 scalini; cominciarono a salire
contando 9, 7, 5 e 3 e si ritrovarono in fondo al pozzo. Era
mezzanotte, le stelle brillavano; la corda vi era ancora.
Prima di
lasciare salire i suoi due compagni, il Maestro mostrò loro il
cerchio scoperto nel cielo, che si intravedeva dal pozzo e loro
disse: "i dieci cerchi che noi abbiamo visti discendendo,
rappresentano le volte e gli archi della scala; l'ultima arcata
corrisponde al numero UNDICI, quello che ha soffiato il vento del
disastro, ed è il cielo INFINITO CON I LUMINARI DELLA NOSTRA
COSCIENZA CHE LO POPOLANO.
I tre
iniziati riguadagnarono il recinto del Tempio in rovina; rimossero di
nuovo il fusto della colonna senza rivedervi più la parola BOAZ;
staccarono le loro cinture, se le rimisero, rimontarono in sella;poi,
senza proferire alcuna parola, piombati in una profonda meditazione,
sotto il cielo stellato, in mezzo al silenzio della notte,
s'incamminarono al passo lento dei loro cammelli, verso la città di
Babilonia.
Questa leggenda,
tradotta dal francese, e che si chiama "Leggenda dei tre Magi
che hanno visitato la grande volta e scoperto il centro della idea"
è profondamente esoterica. Come nessuno sa chi sia lo scrittore
dell'altra leggenda meravigliosa di Hiram, nessuno conosce chi abbia
scritto questa, come l'altra di profonda dottrina massonica. Mentre
quella illumina il senso dei simboli dei misteri, questa penetra
nella profondità dello spirito. Mentre quella insegna che Hiram ha
costruito il Tempio, questa avverte di un Tempio ancora più lontano
ove sono custoditi, in una luce abbagliante, i simboli della
Massoneria, e dove le fiaccole stanno da secoli, perennemente accese
ad illuminare gli arnesi della Maestria.
Il Tempio più remoto,
quindi, sorregge l'altro di Hiram; se non fosse preferibile lasciare
a ciascuno di interpretare a seconda della preparazione iniziatica
del proprio intimo, l'allegoria che scaturisce dalla leggenda, vi
sarebbe da concludere che vi è un Tempio infinito, che non sarà mai
distrutto, ed è quello che ognuno deve saper costruire nell'intimo
della sua anima, del quale ogni pietra è l'anelito della propria
coscienza, anelante a conoscere la certezza della verità infinita.
Molti sono i
rapporti che si incontrano in questo racconto, in armonia con i
simboli massonici. E come questi Magi scoprono i residui dell'antico
tempio di Hiram, quando il sole brilla alto allo Zenith, così i
massoni aprono i loro tavoli a mezzogiorno; e quando riprendono la
via del ritorno, terminano i loro lavori a mezzanotte. I numeri 3, 5,
7 e 9 sono le età rispettive che il massone deve raggiungere prima
di penetrare nella cripta dei Rosa-Croce, e le parole che manifestano
il Nome Incognito le ritroverà in seguito percorrendo i gradini
della Piramide.
Soltanto con lo studio dei simboli egli può
raggiungere a comprendere l'esoterismo della dottrina massonica
l'insegnamento delle sue tavole fondamentali; le stesse parole sono
dei simboli dell'idea che si sviluppa; l'idea è il simbolo della
maturazione; la maturazione è il simbolo della perfezione; la
perfezione è il simbolo della Verità.
Nella massoneria il
simbolo è perenne; si avvicina al neofita, da subito, e lo
accompagna per tutti gli sviluppi ulteriori; perché se iniziato vuol
dire messo sul cammino, l'iniziazione non può essere se non una
continua evoluzione, anche quando sembri congiunta ad una percezione
pressoché completa.
Il simbolo è
un'immagine, un pensiero, è una specie di rivelazione. Giambilico,
il neo-platonico, che concepì la filosofia come una teurgia;cioè
come la scienza dei riti e della forma, scrive: "La conoscenza
del Divino non è sufficiente per unirci a Dio … la forza
inesplicabile dei simboli ci dona l'intelligenza delle cose
divine".
La massoneria non può avvolgere nei simboli lo
sviluppo della sua dottrina, per la sua essenza esoterica, e
naturalmente, e gelosa custode della loro inalterabilità.
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