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Intervista
al dottor Antonio LAURENZANO, noto economista a livello mondiale.
Dopo
una brevissima introduzione del direttore del blog international:
dottor Pietro VITALE.
Domanda:
Dott.
LAURENZANO, come Lei sa l'italia è un paese spaccato quasi a metà.
Fra pochi ricchi e molti poveri. Un divario che ora con la crisi, si
fa sentire sempre di più, e acuisce le diseguaglianze sociali. Quasi
il 50% della ricchezza totale è infatti in mano solo al 10% delle
famiglie. Il 90% invece deve dividersi il resto della torta (il 53%),
a confronto
il compenso medio.
Lo segnala la Fisac Cgil, sulla base di uno studio sui salari nel
2012. Una differenza che diventa macroscopica mettendo a confronto il
compenso medio di un lavoratore dipendente e quello di un top
manager: nel 2012 il rapporto è stato di 1 a 64 nel settore del
credito, di 1 a 163 nel resto del campo economico. Insomma dottor
Laurenzano, tornando all’Europa che non c’e:
dalla crisi economica a
quella sociale. Lei come la vede la nostra economia. Considerando
che, almeno come si dice, che molti dei nostri “cervelli” stanno
ritornando in Patria? L'Europa c'è o non c'è?
Risposta:
Orbene,
dottore VITALE, la sistuazione economica nel nostro paese, al
momento, credo di capire è questa: sempre beninteso, con il senno di
poi e il beneficio dell'inventario. Consegnato alla storia il 2013:
l’anno horribilis del blackout fra debiti sovrani e sistema
bancario. L’anno della crisi economica e delle turbolenze
finanziarie generate dalla speculazione dei mercati in quei Paesi
dell’Eurozona in forte ritardo sulle riforme strutturali. Una crisi
che ha messo a nudo le criticità del sistema monetario europeo privo
di una politica economica, fiscale e di bilancio ancora di competenza
degli Stati membri che non vogliono cedere a un’autorità
sovranazionale la loro sovranità. Alla base, una moneta unica orfana
di un’Unione politica con un’azione di governo autonoma rispetto
ai singoli Stati.
E
provvidenziale è stato lo scudo anti-spread offerto dalla Banca
centrale europea che, forzando un po’ i dogmi dell’ortodossia
germanica, ha di fatto allontanato il rischio di un rovinoso default
monetario. Ma particolarmente “aggressive” sono risultate le
politiche di austerità seguite dall’Ue durante la crisi: un mix di
rigore fiscale e finanziario, ispirato dalla Merkel, che ha causato
una recessione economica con caduta della produzione e dei livelli
occupazionali. Ferma la crescita, la crisi dell’eurozona ha
superato i confini dell’ economia diventando sociale e avviandosi a
diventare istituzionale. Sono anni che lo spirito europeo è andato
affievolendosi nelle coscienze dei cittadini e nell’azione dei
governanti. Una deriva che ora sta facendo un inquietante salto di
qualità: da stato d’animo diffuso si sostanzia in “movimenti”
anti-europei e anti-mercato unico.
Cresce
l’euroscetticismo e con esso la voglia di fuga da un’Europa che
non fa più sognare. La crisi economico-finanziaria che ancora
attanaglia i Paesi dell’Eurozona sta colpendo duramente l’immagine
e sta indebolendo la fiducia collettiva nelle istituzioni
comunitarie. A pochi mesi dal voto di maggio per il rinnovo del
Parlamento di Strasburgo, nelle capitali europee è allarme rosso.
Molti partiti antieuropeisti, secondo i sondaggi, potrebbero
trionfare e fare arrivare in Alsazia l’onda lunga di una protesta
che affonda le sue radici nella irresponsabile politica europeista
delle singole istituzioni nazionali che, con le ambiguità di quelle
comunitarie, hanno contribuito a vanificare per i popoli del Vecchio
Continente il sogno di una comune casa europea costruita sulla
solidarietà e sulla sussidiarietà. Crollati questi pilastri,
l’Europa è vista come il feroce guardiano dei conti pubblici
nazionali, il fautore di tasse e balzelli. Ed è per questo che il
salvataggio dell’euro e dell’intero sistema economico-monetario
europeo deve passare attraverso scelte condivise senza egemoniche
fughe in avanti da parte di quei Paesi che sull’euro hanno finora
lucrato fortune industriali e commerciali, realizzando grossi
profitti.
L’Europa
paga il conto per non aver definito in tempo una strategia imperniata
sulla convergenza e su una reale integrazione nell’interesse
generale. I Padri fondatori, all’indomani dei lutti e delle
distruzioni della seconda guerra mondiale, l’avevano pensata come
un’entità federale sovrannazionale con un governo unico e non come
un organismo intergovernativo, composto da Stati diffidenti e
litigiosi. E’ l’Europa che non c’è!
I
Governi nazionali si sono limitati a una governance basata su regole
e parametri codificati a Bruxelles, rigidi e insufficienti, senza
realizzare quelle riforme strutturali interne che il Trattato di
Maastricht imponeva per armonizzare il sistema economico-monetario
con una moneta unica. Una latitanza politica che, abbinata alle
soluzioni minimaliste adottate dall’Ue sui grandi temi comunitari
(migrazione, sviluppo, difesa, politica estera), ha causato diffusi
sentimenti antieuropei alimentati da un inquietante populismo. E’
lo scellerato “tanto peggio tanto meglio” con il quale non si
costruisce l’Europa del futuro, ma si rischia di evocare i tristi
fantasmi del passato!