Ordini Cavallereschi Crucesignati

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sabato 1 dicembre 2007

I Doni di Natale

I Doni di Natale

Sulla via principale della città c’era un negozio originale.
Un’insegna luminosa diceva:
DONI DI DIO .
Un bambino entrò e vide un angelo dietro al banco.
Sugli scaffali c’erano grandi contenitori di tutti i colori.
---Cosa vendete?---chiese incuriosito
---Ogni ben di Dio!
Vedi, il contenitore giallo è pieno di sincerità, quello verde è pieno di speranza, in quello rosso c’è l’amore,
in quello azzurro la fede,
l’arancione contiene il perdono,
il bianco la pace,
il violetto il sacrificio, l’indaco la salvezza.
---E quanto costa questa merce?
---Sono doni di Dio e i doni non costano niente!
---Che bello! Allora dammi: dieci quintali di fede,
una tonnellata di amore, un quintale di speranza,
un barattolo di perdono e tutto il negozio di pace…
L’angelo si mise a servire il bambino.
In un attimo confezionò il pacchetto
piccolo piccolo, come il suo cuore.
---Ma come? Così poco?
--- Certo, nella bottega di Dio non si vendono frutti maturi,
ma i piccoli semi da coltivare. Vai nel mondo e fai germogliare i Doni di Dio che Dio ti ha dato.

Buon Natale a tutti- Pietro Vitale
(manoscritto trovato in una Cappella del 700°)

lunedì 26 novembre 2007

Il L.S. "Fermi di Bari" Istituto di qualità

Dott. Pietro Vitale
* Il “Palazzuolo”
Il Vicedirettore
Bisceglie Bari

La partecipazione allo Sport crea un sentimento di fraternità, spirito di comunione e di solidarietà.
Educazione allo Sport degli alunni. Lo Sport praticato nel Liceo Scientifico Statale “E.Fermi”
e “l’educazione fisica” Relazione della Prof.ssa Laura RAIMONDI.

Per educazione fisica si intende una parte formale del curriculum scolastico riguardante lo sviluppo della fiducia in se stessi e delle capacità fisiche degli studenti, nonché la loro abilità nell’applicarle in tutta una serie di attività. L’attività fisica è strettamente legata all’apprendimento di competenze, allo sviluppo di attività specifiche condizionate dalla mente e alla comprensione necessaria per partecipare ad attività sportive, alla conoscenza del proprio corpo e a tutta una varietà di capacità motorie, nonché alle attività fisiche permanenti attente alla salute.
Il termine “sport”, d’altro canto, ha un significa molto più ampio e rappresenta un fenomeno sociale largamente diversificato che comprende varie forme di attività fisica, a partire da competizioni di alto livello promosse da scuole, clubs o programmi organizzati da enti, per finire con attività fisiche spontanee e informali. La scuola è il luogo ideale per promuovere sia lo sport sia atteggiamenti positivi nei confronti di attività fisiche regolari.

L’ora di educazione fisica, tuttavia, a scuola è sempre stata vista dai più solo come un momento di svago e gioia, una pausa salutare fra una versione di latino e un compito do matematica. Ma il suo significato va al di là della corsetta o della partitella di pallavolo…
Questo momento ginnico rappresenta di fatto l’unica materia di insegnamento che mira a educare gli studenti a una vita salutare.

Un compito divenuto sempre più difficile. In Europa, per esempio, il numero dei bambini in soprappeso o affetti da obesità aumenta ogni anno e il problema non sembra essere tanto l’eccesso delle calorie, quando piuttosto l’inattività fisica. Un’attività regolare sin dalla giovane età può sortire effetti positivi in termini di benessere psico-fisico. Lo sport, inoltre, è anche un metodo efficace contro il vizio del fumo, oltre che un antidoto alla vita sedentaria e, con i suoi valori di “onestà” e “libertà”, offre un terreno fertile per incoraggiare lo sviluppo sociomorale.

Lo sport e l’educazione fisica, in generale e in particolare presso l’Istituto Liceo Scientifico “E.Fermi” di Bari, dunque, possono fornire, continua la Professoressa Raimondi, una base solida per la promozione della responsabilità individuale e sociale. Si è notato che esiste un legame tra la partecipazione ad attività fisiche e sport, e l’integrazione e i rapporti sociali. Nella società moderne i giovani sono meno capaci di creare rapporti sociali duraturi rispetto al passato. Ciò attribuisce alle reti sociali – comprese la scuola e la classe – un’importanza considerevole. L’emarginazione dal gruppo e l’isolamento sociale conducono ad uno stress estremo; al contrario, l’integrazione è positiva per l’autostima. L’educazione fisica e lo sport in generale sono visti come elementi importanti per neutralizzare le tendenze disgreganti, in quanto lo sport offre l’opportunità di partecipare, di fare esperienza del sentimento di fraternità, dello spirito di comunione e di solidarietà. In ogni caso, ciò dipende soprattutto dal modo in cui l’educazione fisica e lo sport vendono insegnati e organizzati. Infatti anche l’isolamento e l’emarginazione possono essere conseguenza dello sport. Questa relazione mette in primo piano il ruolo dello sport e l’ora di educazione fisica a scuola e mira a rendere consapevoli e responsabili dello stretto legame che esiste fra sport a scuola e vita sana.

Un binomio che è messo in pericolo dall’aumento dei tassi di obesità e dalla diminuzione della ore concesse allo sport nel programma scolastico. In media, infatti, nella scuola superiore le ore disponibili sono passati dalle 117 alla 101 ore.
Per invertire la tendenze bisognerebbe puntare il dito sulle attrezzature obsolete e sul disequilibrio fra attività indoor e all’aperto, oltre a rilevare la necessità di adeguare l’attività sportiva scolastica alle esigenze di tutti gli studenti. La mancanza di attrezzature sportive moderne, così come di professori all’altezza, fa si che sovente l’attività sportiva sia sacrificata a discapito di altre materie. Ultimamente il Parlamento Europeo ha chiesto pertanto che gli Stati membri propongono almeno tre lezioni d i educazione fisica la settimana. Conclude la Raimondi: “ il consiglio ai bambini e ai ragazzi è quello di praticare attività fisica quotidianamente sia dentro che fuori la scuola, mentre agli adulti di fare sport almeno tre volte la settimana.

E i ragazzi cosa ne pensano?
C’è abbastanza spazio per l’educazione fisica a scuola?


Dott. Pietro VITALE
* Il “Palazzuolo”
Il Vicedirettore
Bisceglie Bari

Presso il Liceo Scientifico Statale “E. Fermi” di Bari uno Staff d’eccezione.

Il Prof. Giuseppe Mario FORENZA è il Capo d’Istituto ed è persona di grande intelligenza e di innate dopo manageriali egli si avvale, per l’andamento dell’Istituto della collaborazione del Prof. Alfonso MINICHELLI (Vice Preside) e della Prof.ssa Donata FERRARA. All’interno dell’Istituto “Fermi”, opera in concerto con gli altri uffici Amministrativi, l’ufficio del Personale.

L’ufficio del Personale Amministrativo come tutti sanno, in ogni Amministrazione che si rispetti, è sempre stato l’ago della bilancia ed il trainer di ogni sistema operativo Tecnico-amministrativo, come esattamente in questo Istituto. Cari Lettori, la qualità, la competenza, e la professionalità dell’Ufficio del Personale Amministrativo, presso il Liceo Scientifico Statale “E. Fermi” di Bari sono occupate, con le relative competenze di servizio dai sigg:

Sig.ra. Concetta NATALE (Capoufficio, collabora con il Preside ed interagisce con il C.S.A. per tutto il personale Docente ); Sig.ra. Angela DEBELLIS (coord. di tutto il personale Ausiliario); Sig.ra. Carmen RIGLIETTI (di supporto al personale Docente); Sig. Pietro VITALE al protocollo e servizi vari).

Tutto il personale della Redazione de * il “Palazzuolo” augura al Preside FORENZA ed a tutti i Suoi dipendenti: Docenti e personale A.T.A. Buon lavoro il classico AD MAJORA SEMPER.

El-Alamein: ignoto tenente e ignoto messaggio

Geom. A. Sciortino

L'episodio, della battaglia di El Alamein, che segue, merita la giusta considerazione perchè ricorda l'eroismo dimostrato dal sacrificio di un combattente. Durante i brevi istanti di una rara sosta notturna del fuoco, il tetro desertico veniva, improvvisamente, interrotto da strazianti lamenti di un ferito che in lingua tedesca e con una pessima pronuncia italiana disperatamente invocava l'aiuto di un infermiere. Invero sovente si verificavano le così dette "sacche", cioè una sorta di imboscata consistente nella simulazione, da parte inglese, di richiesta di aiuto, appunto in lingua italiana o tedesca, in modo da stimolare il senso umano di eventuali soccorritori che regolarmente venivano fatti prigionieri, per cui non era possibile un immediato intervento senza tentennare, anzi la circostanza imponeva rapida riflessione e valutazione del da farsi. Tuttavia, con le dovute precauzioni, il capitano Andrea Fundarò, ha ritenuto inviare, verso il luogo di provenienza dei lamenti, un infermiere e una pattuglia armata di due fucili mitragliatori e bombe a mano. Al ritorno, compiuta la missione, dal comandante della pattuglia, si veniva a conoscenza che effettivamente l'aiuto era invocato da un tenente tedesco che presentava gravissime e multiple ferite alle gambe e quasi sicuramente per tentare di strappare da sicura morte la sua giovane vita, si rendeva necessario e urgente l'idoneo intervento chirurgico per l'amputazione di entrambi gli arti inferiori e quindi si doveva trasportarlo in ospedale. Lo sfortunato, ma valoroso, ufficiale tedesco, balbettando appena malamente in lingua italiana, faceva comprendere che partito in motocicletta dal suo reparto per una delicata e importante missione, le ruote del suo mezzo investivano una mina e che, a causa dello scoppio, era saltato in aria unitamente alla sua motocicletta. Il tenente, grondando sangue dagli arti inferiori rifiutava il trasporto nelle retrovie e aveva implorato solamente la medicazione alla meno peggio per avere modo di proseguire e concludere la missione affidatagli consistente nel riferire verbalmente e personalmente un importantissimo urgente segreto messaggio al Maresciallo Rommel. L'Ufficiale, escludeva anche l'eventuale accompagnamento con mezzo meccanico; dopo le medicazioni nel migliore dei modi possibile, veniva rifocillato e rifornito di una borraccia piena d'acqua, quindi, ringraziando i soccorritori, con il lamento del dolore dovuto alle ferite subite ed a denti stretti si allontanava, nel buio tenebroso, molto lentamente e faticosamente aiutandosi con le mani e trascinando per terra i suoi lacerati e sanguinanti arti inferiori. Luminoso esempio di attaccamento al dovere nel volere con ostinazione e fino all'ultimo momento portare da buon soldato, personalmente a termine il compito affidatogli, nella consapevolezza delle responsabilità assunte. Non si conosce se il tenente tedesco, fedele al giuramento, sia risuscito a raggiungere il Maresciallo Rommel ma il suo dovere di soldato e di combattente era quello di proseguire a qualsiasi costo nel disperato tentativo di assolvere pienamente il suo compito anche a costo dell'estremo sacrificio. Le svariate e sfortunate avventure belliche di El Alamein e la successiva prigionia, non hanno consentito dare un nome all'eroico tenente tedesco, restandone ignoto sia il nome che il messaggio.

Discorso di S.A.R. Vittorio Emanuele

Duca di Savoia, Principe di Napoli

Oggetto: 90° Anniversario del Convegno di Peschiera del 1917 - Peschiera

del Garda – 11 novembre 2007 - Autorità, Guardie d’Onore, Gentili Signore, Cari Signori, sono molto felice di celebrare insieme a tutti voi questa storica ricorrenza, che ci dà l’opportunità di ricordare mio nonno Re Vittorio Emanuele III. Troppe volte la figura eroica di questo Sovrano d’Italia è stata sminuita e offerta alla critica di parte di chi non ha la minima conoscenza dei fatti storici; Vittorio Emanuele III fu un grande uomo, un grande re e soprattutto un autentico patriota. La sua condotta irreprensibile, in anni molto difficili per tutta l’Europa, consentì all’Italia di svilupparsi economicamente e socialmente. Durante il ventennio, certamente non accettò di buon grado la coabitazione con il fascismo: è doveroso ricordare infatti che proprio in quel complesso periodo Egli ebbe il grande merito di mantenere il controllo della Patria evitando le indicibili derive che il Nazismo disgraziatamente ebbe in Germania. Il suo acume, unitamente alla visione internazionale del ruolo dell’Italia, lo portò a rafforzare il ruolo della nostra Patria a livello mondiale. Vorrei anche riportare alla memoria un fatto che in molti hanno scordato: fu proprio Vittorio Emanuele III a volere fortemente la nascita dell’odierna F.A.O., unico organismo internazionale per combattere la fame nel mondo. Ma fu proprio a Peschiera che “il piccolo grande Re” divenne un simbolo per tutti gli italiani. Qui, dopo la disfatta di Caporetto, quando tutte le forze dell’Alleanza erano favorevoli ad una ritirata del Fronte, impose la sua coraggiosa visione, che ebbe il merito di mantenere la “linea del Piave”, portando l’Italia alla vittoria sull’Austria-Ungheria. Lo chiamarono “Re Soldato” proprio per la sua costante presenza in mezzo alle truppe al fronte. È vero, fu un Re Soldato che portò i suoi valorosi ed eroici soldati alla vittoria! A Peschiera, cari Amici, si giocarono le sorti della nostra Patria, e fu grazie a Re Vittorio Emanuele III se essa poté uscire vittoriosa da quel conflitto epocale che sancì la tanto attesa annessione di Trento e Trieste, portando così a compimento l’Unità d’Italia. Cari Amici vi ringrazio e vi saluto, rileggendo l’intervento che fece mio nonno novant’anni or sono, proprio qui a Peschiera: “Italiani, Cittadini e Soldati ! Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d’Italia suoni così nelle trincee come in ogni remoto lembo della Patria, e sia il grido del Popolo che combatte, del Popolo che lavora. Al nemico che, ancor più che sulla vittoria militare, conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: Tutti siam pronti a dar tutto, per la Vittoria, per l’onore d’Italia.
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Nota di Casa Savoia
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Oggetto: nota Savoia su causa beni e lettera Principe Emanuele Filiberto
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Precisazioni in seguito alle notizie oggi riportate sulla stampa
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Si rende noto che relativamente alla causa contro lo Stato i Principi Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto di Savoia hanno al momento inviato una lettera di "messa in mora" per evitare la decadenza dei loro diritti. La scelta, pesata e ponderata, nasce dal fatto innegabile che il Principe Vittorio Emanuele, per 56 anni, ed il Principe Emanuele Filiberto, per 30 anni, hanno subito una gravissima privazione dei diritti fondamentali di un individuo sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. E' stato loro vietato l'ingresso nel loro Paese, è stato loro tolto il diritto fondamentale alla proprietà privata ed al voto. La Costituzione italiana ha palesemente violato quanto previsto dalla Convenzione dal 1948 in poi. È bene ricordare che in altri paesi sono stati trattati severamente dall'Europa, anche in maniera retroattiva. E' il caso della Grecia, che ha dovuto pagare un cospicuo risarcimento a re Costantino e alla sua famiglia per l'ingiusto esilio. Per quanto concerne i beni bisogna non confondere i beni della Corona che erano a disposizione della Casa Reale, come il Quirinale, ed i beni privati che erano di proprietà dei membri della Famiglia Reale da molti secoli. Ancora nessuna richiesta è stata avanzata i merito ai secondi e non è stato fatto un elenco del patrimonio personale. È inaccettabile un tale accanimento nei confronti di una richiesta legittima, sarà la giustizia a dare torto o ragione alla richiesta avanzata. In merito alla risposta del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito al fatto che sarà il Governo a valutare una causa a Casa Savoia credo sia dettata dalla stizza più che da un'analisi serena della situazione. Si rende noto che i proventi dell'eventuale vittoria processuale del Principe Emanuele Filiberto andrebbero alla "Fondazione Emanuele Filiberto di Savoia" al fine di finanziare opere di beneficenza e di sostegno alle fasce sociali più disagiate. Filippo Bruno di Tornaforte, Portavoce Casa Savoia press@casasavoia.org
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Lettera di S.A.R. il Principe Emanuele Filiberto di Savoia
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Nella stampa di oggi tutto è stato incentrato sulla causa che mio padre ed io abbiamo intenzione di intentare contro lo Stato Italiano per la violazione della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. Si è cercato di stravolgere con ironia il senso stesso dei fatti cercando di dipingerci come degli individui bramosi di denaro che in barba alle tasche degli italiani vogliono ottenere indennizzi milionari. Vorrei esprimere la verità sull’argomento e soprattutto i sentimenti che mi hanno spinto in una scelta quanto mai difficile: fare causa al mio Paese. Tutto inizia nel Giugno del 1946, all’indomani del Referendum Istituzionale che decretò la vittoria della repubblica (referendum i cui metodi e successivi risultati sono sempre stati oggetto delle più ampie riserve da parte di giuristi, la stessa Corte di Cassazione, e di storici) quando mia nonna e mio padre prima e mio nonno Re Umberto II poi, partirono per un esilio “temporaneo” che durò di fatto tutta la vita per mio nonno, cinquantasei anni per mio padre e trent’anni per me, che in esilio sono nato. Quel mese di Giugno fu per la nostra famiglia un momento drammatico ed indimenticabile; partimmo lasciando tutto nel nostro Paese, quello stesso Paese che divenne Patria Unita grazie alla mia famiglia, lo stesso Paese che ci ha condannati ad un’esistenza di cittadini diseguali, privati, da una Costituzione iniqua, di ogni diritto civile (cittadinanza, diritti elettorali, diritti alla proprietà, diritti alla libertà di espressione e di circolazione nella propria nazione). Vorrei per un momento portare l’attenzione del lettore su questo aspetto perché è fondamentale per comprendere la nostra vita dimezzata: in un mondo in cui i diritti dell’Uomo sono garantiti da un’apposita normativa internazionale l’Italia ha emanato una Costituzione contraria a queste leggi che ha modificato, sospendendo parzialmente gli effetti dei commi in contrasto, solo cinquantasei anni dopo la sua entrata in vigore. Ma in questi anni cosa è accaduto alla mia famiglia? Mio padre Vittorio Emanuele conserva preziosamente l’ultimo ricordo della sua infanzia italiana: era sul balcone del Quirinale davanti ad un’immensa folla plaudente tenuto per mano da suo padre Umberto II appena divenuto Re d’Italia. D’un tratto si è trovato trasportato con mille peripezie in un paese lontano, il Portogallo, poi dopo pochi mesi è stato trasferito in Svizzera per frequentare un collegio: lontano dalle persone care, dagli affetti, dalla sua Patria. Per tutta la vita ha vissuto come un uomo incompleto, e per tutta la vita a lavorato sodo per mantenere la sua famiglia privata di ogni proprietà e di ogni diritto. Nonostante questo ha cercato di essere utile all’Italia sostenendone l’imprenditoria a livello internazionale. Mio nonno, Re Umberto II, fu un uomo dalla dignità insuperabile con un profondo amore per gli italiani: fu un esempio per tutti. Ha lasciato l’Italia per evitare una guerra civile, nonostante i brogli elettorali; ha sofferto in Portogallo con il solo sogno di poter un giorno rivedere la sua Patria, purtroppo non gli è stato consentito neppure morire in Italia e ancora oggi riposa in terra straniera. Nonostante questo ha donato al popolo italiano l’ultima sezione del Corpus Nummorum Italicorum: la più vasta collezione di monete antiche d’Italia dal valore inestimabile. E veniamo a me: è vero ho vissuto una bella infanzia con una famiglia unita ed amorevole, non mi è mancato materialmente nulla ma certamente mi è mancata la mia Patria che vedevo dalle cartoline che i tanti italiani mi spedivano. Tutta questa sofferenza è stata provocata da una norma non solo ingiusta ma contraria a leggi internazionali chiare e limpide. Dopo una lunga e sofferta riflessione mio padre ed io abbiamo deciso di procedere mettendo in mora lo Stato Italiano per i danni patiti a causa dell’esilio per un importo di circa 260 milioni di euro. Abbiamo anche voluto evidenziare che lo Stato ha avocato a sé tutti i beni privati di Casa Savoia: beni che provenivano dal patrimonio personale che nulla aveva a che fare con la dotazione del Capo di Stato. Questa causa verrà dibattuta nelle sedi di giustizia e sarà la giustizia a decidere se la ragione è dalla nostra parte. La Convenzione sui Diritti dell’Uomo lo ha già sancito: molti sono gli esempi di Stati che hanno dovuto versare indennizzi a famiglie reali ingiustamente private dei diritti civili. Vorrei, cari lettori, spiegare che ben prima dell’iniziativa legale avevo dato mandato ai miei legali Avvocati Murgia e Calvetti di costituire la Fondazione Savoia a cui sarebbe andata la cifra ottenuta dalla causa contro lo Stato. Questa cifra dovrà essere utilizzata per azioni concrete a sostegno delle fasce deboli della popolazione italiana con particolare attenzione agli anziani, alle famiglie prive di reddito o con redditi inferiori alla soglia di sussistenza e a giovani a cui fornire gli strumenti per costruire un proprio futuro. Non voglio fare moralismi ma credo che non ci sia fatto più grave in un paese democratico di privare il cittadino dei suoi diritti civili e della libertà, questo è accaduto alla mia famiglia e questo, purtroppo, spesso accade ingiustamente a molti italiani. La sofferenza patita per una vita intera ha un prezzo? Non per me, ma chi ha sbagliato è giusto che paghi.
Tratto da La Circolare Spigolosa.