ECONOMIA
ITALIANA AL BIVIO
di Antonio Laurenzano
Dal Convegno dei giovani imprenditori di Confindustria svoltosi lo
scorso fine settimana a Rapallo giungono notizie positive per la nostra
economia in vista della Legge di stabilità che, precarietà politica permettendo,
dovrà essere presentata dal Governo al Parlamento entro il 15 ottobre.
“Non sarà una manovra di lacrime
e sangue e potrebbe arrivare anche un taglio del cuneo fiscale per i giovani.”Lo
ha assicurato il vice ministro dell’economia, Enrico Morando, garantendo che si
riuscirà a scongiurare anche l’aumento dell’IVA previsto dalle clausole di
salvaguardia. Quale la ragione di tanto ottimismo? La risposta è nell’apertura
di credito in arrivo dall’Unione europea: uno sconto di circa 9 miliardi sul deficit strutturale, ossia una riduzione
da 0,8 a 0,3 punti di deficit della manovra di bilancio 2018, come richiesto
dal Ministro Padoan. Il nulla osta è atteso per il prossimo giovedi in
occasione della riunione a Lussemburgo di Eurogruppo ed Ecofin. Ad anticipare l’attenzione
“benevola” della Ue nei confronti dei conti pubblici italiani, in perenne
apnea, è intervenuto da Bruxelles il Commissario agli Affari economici, il
francese Pierre Moscovici: ”la nostra valutazione sarà guidata dalla volontà di
non fare nulla che possa costituire un ostacolo alla crescita del Paese”. Sarebbero
quindi sufficienti, secondo le stime del Ministero dell’Economia, sei miliardi
di intervento, e non più quindici, per sterilizzare l’aumento dell’IVA con le temute ricadute negative sui
consumi e sulla produzione.
Scelta tecnica? Non soltanto, è anche
politica. E’ una scelta che serve a superare il diffuso euroscetticismo nel
Belpaese alla vigilia elettorale già intrisa di veleni, ma serve soprattutto a
dare una mano al neo presidente francese Macron che per il 2018 ha bisogno di
un allentamento temporaneo delle richieste di contenimento di deficit
(superiore al 3%) e debito, rinviando
ogni misura di austerità. Una partita tutta in salita. Uno sconto all’Italia
potrebbe aprire nuove prospettive anche per la Francia.
A Rapallo, a spegnere qualche
facile entusiasmo sulle previsioni della nostra economia è intervenuto con la
sua abituale chiarezza il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che ha
inviato un ….“pizzino telematico” al Presidente Gentiloni e al suo Governo:
“agisci come se fosse l’ultimo giorno!” Fortemente critico sull’azione
riformatrice che va al rilento. “Si è parlato troppo di legge elettorale,
parlare di economia significa parlare di vita del Paese e del futuro dei
cittadini italiani, ma capisco che parlare di macroeconomia è una cosa
difficile per cui penso che uno prima di entrare in politica dovrebbe fare un
corso”! Troppi i ritardi, troppe le lungaggini nel portare a termine i
provvedimenti necessari per la competitività delle imprese e per il rilancio
degli investimenti pubblici e privati. Le
misure urgenti per la ripresa economica non possono essere sacrificate sull’altare
dell’instabilità politica, o peggio degli equilibri interni al governo.
Una severa presa di posizione quella
del Presidente di Confindustria che aveva già tuonato in occasione delle
“considerazioni finali” del settennato del Governatore della Banca d’Italia
Ignazio Visco, a Palazzo Koch, lo scorso fine maggio. In sintonia con le parole
del Governatore che aveva invocato un “salto di qualità e il consenso convinto di tutti per una
stagione di corresponsabilità”, Vincenzo Boccia aveva dichiarato: “noi siamo
per la stabilità e la governabilità, precondizione per un piano economico di
medio-lungo termine. Non è solo la legge di stabilità che ci interessa, ma è
cosa vogliamo fare nei prossimi anni della politica economica italiana e della
questione industriale”.
Il nodo centrale è la
produttività che è la strada da percorrere per salvare il lavoro. Tra il 1995 e
il 2016 il tasso d’incremento del Pil è stato pari allo 0,5% in media d’anno,
contro l’1,5% della Francia e l’1,3% della Germania. Secondo i dati di Banca
Italia, in tale contesto economico è stato modesto (appena lo 0,3%) l’apporto fornito
dalla produttività oraria del lavoro, sia per effetto della riduzione di
investimenti e sia per la presenza nel tessuto produttivo nazionale di piccole
e piccolissime aziende. Una frammentazione antieconomica. Si tratta ora di
voltare pagina, far ripartire la spesa per la crescita, con uno Stato in grado
di far incontrare domanda e offerta e di mobilitare investimenti pubblici e
privati per garantire infrastrutture al passo con i tempi. Uno Stato capace di
rendere finalmente efficiente la macchina della burocrazia e della giustizia.
Se cresce la produttività cresce l’economia e con essa il Paese. E’ questa la
grande sfida politico-economica con la quale misurarsi per azzerare la mancanza
di posti di lavoro, l’eredità più
dolorosa della grande crisi degli ultimi anni.