il dott. Pietro Vitale, direttore del blog, presenta il dott. Alberto Guidorzi. La Redazione.
Cassimi amici del blog che mi leggete da sempre. Vi presento il dott. Alberto Guidorzi, autore del pezzo. Alberto, già mio commilitome quando i tempi erano ancora verdi in Caserma....ci siamo ritrovati per caso, ed abbiamo deciso di collaborare. Egli è un Agronomo di lunga esperienza professionale, grande cultore delle tradizioni contadine agroecologiche, del tempo passato e di oggi. Leggiamolo insieme.
Domanda: dott. Guidorzi ci vuole spiegare nel Suo articolo, cosa intende: "i nuovi servi della gleba"?
Risposta:
Il
wwoofing è un acronimo delle parole inglesi “World wide opportunities on
organic farms”. In pratica si tratta di uno scambio di buone pratiche
agricole tra un contadino e stagisti interessati accolti nella sua azienda. Evidentemente
si fa apologia delle aziende “agroecologiche” dove si pratica permacultura
(con la “u” e non con la”o”) , agricoltura biodinamica, agricoltura sinergica,
l’agricoltura di Masanobu Fukuoka, più semplicemente nota come “agricoltura del non fare”.
Il tutto con obiettivi palingenetici che dovrebbero essere forieri di un “nuovo
modo di vivere” e che hanno trovato un inedito appoggio nell’ambiente
ecclesiastico, tant’è che sull’Osservatore Romano si possono leggere panegirici
a sostegno di queste nuove tendenze.
La
fotografia mostra una coltivazione di cereali a paglia secondo i concetti di Masanobu Fukuoka
Anche in Italia abbiamo degli esempi largamente citati dalla
stampa e dagli ambienti radical-chic ma che difficilmente penetrabili ai fini
di una disamina critica.
Da agronomo mi pare che il leitmotiv sia quello di mostrare
che l’agricoltura, quella che la stragrande maggioranza degli agricoltori
pratica, è solo “sfruttamento” ed è su questo che ci si
sofferma quasi esclusivamente, mentre l’aspetto
“agricolo” inteso nel senso di coltivazione dei campi per ricavarne cibo
per nutrire molti sia sempre più spesso lasciato a parte.
Dato che molto si legge dei principi mentre poco si sa della
vera organizzazione di questi “santuari aziendali” ho finito per optare per una
disamina di quanto avviene in Francia, dove ho avuto modo di visitare una di
queste aziende e dove sono reperibili sufficienti notizie su siti internet degni
di fede.
L’azienda visitata si trova nel dipartimento del Nord (zona
del Pévèle poco lontana dalla città di Lilla). Sono un conoscitore della zona
perché ho lavorato per un’azienda sementiera della regione per 40 anni. In
Francia vi sono 400 di queste aziende e 4000 membri iscritti nei registri
nazionali di stagisti volontari. Kévin conduce una di queste aziende, una
microazienda di ¼ di ettaro dove si coltivano specie orticole all’aperto ed in
serra con metodo biologico. I prodotti li vende ai soci di una confraternita di
consumatori che vuole promuovere l’agricoltura contadina (quelli di “Terra
Madre” di Carlin Petrini per intenderci). Come manodopera egli si serve appunto
di volontari non pagati attratti dal voler viaggiare nel mondo, conoscere altre
culture e venire a contatto con altre persone con lo stesso loro modo di
pensare, quello ambientalista radicale. Alla mia osservazione che la sua
manodopera volontaria gli dava molto di più (5 ore di lavoro al giorno
inginocchiati a zappettare e a raccogliere cipolle, scalogno o fragole per 6
giorni la settimana) di quello che lui offrisse loro come vitto (in tutto un “uso
cucina” per cucinare i suoi prodotti bio) e alloggio (in un container), Kévin ha
risposto che io ero un prevenuto poiché lui non obbligava nessuno a lavorare
per lui, trattandosi solo di un baratto tra persone libere.
In Francia esiste anche un guru mondializzato dell’agricoltura
naturale che si chiama Pierre Rabhi (se cercate “Pierre Rabhi italiano” su
Google trovate tutte le notizie e gli elogi che la nostra stampa gli ha profuso).
Egli ha fondato
l’associazione Terre & Humanisme per
coniugare ecologia e solidarietà e rinforzare i legami tra gli uomini e tra
questi e la terra nutrice o terra madre, anche attraverso la diffusione
dell’agroecologia, intesa come alternativa globale che unisce la pratica
agricola all’etica. Non vi sembra di sentire parlare il nostro Carlin Petrini (consulente
del Papa)? Comunque l’associazione
gestisce un’azienda agricola a Labrachère
nell’Ardèche ed è qui che l’AFIS (associazione francese per
l’informazione scientifica) ha fatto visita
pubblicandone un resoconto (http://afis-ardeche.blogspot.com/2012/09/humanisme-notre-visite-chez-des.html).
Qui se ne riporta solo l’essenziale.
L’azienda
che ha una superficie di meno di un ettaro, ospita ogni anno 150-170 volontari per una o due settimane
ciascuna. Essi s’impegnano a partecipare all’attività aziendale (è un eufemismo
perché si tratta di lavoro vero e proprio) senza nessun salario e per minimo 6
ore al giorno. Qualora lo desiderino i volontari ricevono vitto (spartano
direi, essendo costituito da cereali, legumi, olio,condimenti vari, zucchero,
tè e caffè che gli stessi volontari si devono cucinare) e l’alloggio in campeggio.
Ma non è finita qui, perche é prevista una partecipazione solidale allo stage
costituita da 4 €/giorno nel periodo di formazione e 3 €/g dopo. In più vi è
l’obbligo di aderire all’associazione di cui sopra con 16 €/annui.
Un
piccolo calcolo ci permette di dire che su meno di un ettaro l’azienda può
contare in media su 150 lavoranti annui,
per 10 giorni ciascuno e per 6 ore al giorno, ossia godere di 9000 ore gratuite
l’anno. E’ evidente che in queste condizioni ci si può permettere di seminare a
mano, di combattere le infestanti non permettendo loro di mettere fuori la
testa dal terreno, di “convincere” ogni insetto che si avvicina ad una pianta
ad allontanarsene e di preparare con cura ogni partitina di frutta e verdura da
recapitare fin sulla soglia di casa di ogni cliente, che, essendo un acquirente
fideista, probabilmente pagherà prezzi nettamente superiori a quelli del
normale mercato.
Se
poi si considera che l’azienda dichiara di ospitare in più 200 stagisti annui
che pagano 350 € per un corso di 5 giorni di iniziazione all’agroecologia, si
evince che l’incasso annuo prevede un ricavo extra di 70.000 € , una cifra che
per chi possiede meno di un ettaro di terreno equivale a vincere ogni anno alla
lotteria, il che si ottiene semplicemente offrendo una soddisfazione morale ai
seguaci di ideologia basata su credenze esoteriche. Vi immaginate se questa fosse l’organizzazione
praticata anche sui 600
ettari coltivati a biodinamico della Giulia Crespi?
Forse è per questo che dice che la sua azienda crea impiego!
La
permacoltura ha come obiettivo di creare negli ambienti temperati del globo un
ecosistema alla stregua dei giardini-foresta di commestibili degli ambienti
tropicali. Essa pertanto si propone di
creare vari piani di vegetazione (alberi, arbusti e piante erbacee) nell’ottica
di fornire una produzione alimentare abbondante e con poco lavoro. Alla resa
dei conti, però, questo esercizio teorico si scontra sul fatto che l’ecosistema
artificiale così creato è poco produttivo perché al di sotto di alberi e
arbusti cresce poco o niente. E’ vero, si crea un ambiente con maggiore
biodiversità ed un po’ di nutrimento si ricava, ma il paragone con
l’agricoltura è perdente. Inoltre se si deve vivere con quanto si produce
occorre modificare il proprio regime alimentare e cibarsi solo con verdure,
frutti verdi e secchi. La permacultura è praticata anche come forma di
orticoltura comunitaria, nel senso che la gente fa altro e nel tempo libero
partecipa ai lavori per appagare l’appartenenza all’ambientalismo radicale e si
porta a casa qualche prodotto a cui dà un plusvalore romantico. Insomma anche
qui la redditività (in senso finanziario) non viene tanto dalla vendita dei
prodotti a prezzi di mercato quanto: (a)
dalla “vendita” dell’idea a persone che si sentono tanto appagate da prestare
la propria opera gratuitamente, (b) dalla vendita di una letteratura che
idealizza questa forma di vita e infine (c) dalla cessione a scopo di lucro di
prodotti a persone che non danno al bene alimentare il vero valore economico,
ma lo sopravvalutano. Non vi sembra un voler resuscitare dei “servi della
gleba” pagati solo a livello del minimo vitale?
Si
potrebbe obiettare che questa è una crociata contro persone che hanno l’unico
difetto di cercare di sopravvivere non
potendo disporre di più terra da coltivare. Da noi in Italia, però, questa
obiezione è spuntata in partenza, visto che i 600 ettari per la Giulia Crespi non
sono di per sé uno strumento di sopravvivenza, possedendo ella tanto altro. E anche
in Francia esiste un esempio similare: si tratta dell’azienda “Domaine du
possible” nei pressi di Arles in Provenza (la città che ha ispirato Van Gogh).
Ecco qui una singolare loro offerta di lavoro.
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