Ordini Cavallereschi Crucesignati

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sabato 11 ottobre 2008

I LUOGHI DEL COMMIATO

Premessa
In una società multi culturale come la nostra, il rito funebre dovrebbe consentire l’espressione di credenze e visioni del mondo alquanto eterogenee. E’ oggi fortemente avvertita l’esigenza di avere a disposizione spazi aperti, multi confessionali che permettano il ricorso a simboli, gesti, pratiche e parole differenti.
Il rito funebre infatti è una potente espressione di identità sociale. L’apertura, la tolleranza e l’accoglienza si esprimono dunque anche nella capacità di consentire, attraverso il rito funebre, il dispiegarsi di altre logiche culturali.

Una realtà sfaccettata, in gran parte secolarizzata, decisamente incanalata nella pluralità dal punto di vista culturale, etnico e religioso non è necessariamente antiritualista: quando abbandona i grandi riti collettivi perché non riesce più a riconoscersi in essi, tende a percepire come problema la mancanza di ritualità e ad inventare altre forme per esprimere contenuti che sono cambiati, ma che rispondono comunque al bisogno di uno spazio, di un tempo e di un linguaggio rituali per la condivisione del dolore.
Ecco quindi che la richiesta di aree cimiteriali e di sale di commiato destinate a onorare degnamente i defunti non proviene soltanto dalle minoranze religiose presenti nella città ma anche dal fermento del mondo civile che, sempre più secolarizzato, chiede ai suoi amministratori di dargli la possibilità di celebrare riti non religiosi, personalizzati, volti a commemorare la vita di chi è scomparso.
Presso l’Ufficio della Consigliera Franca Eckert Coen hanno sede 3 Consulte: quella dei laici, delle religioni, dei cittadini stranieri. Ognuna di queste realtà necessita di attenzione specifica in relazione al commiato, ecco perché le esamineremo separatamente.
Il rito laico

Gli uomini del nostro tempo, anche quando hanno perso i legami con la propria tradizione, continuano a manifestare l’esigenza di un trascendimento della morte, mediante gesti e parole simboliche, mediante un rito.
Essi esprimono una nuova tendenza che è quella di commemorare i propri morti in modo più personale, parlando di chi non è più, ricordando la sua vita, i suoi affetti, le sue preferenze, il segno da lui lasciato su questa terra. Si tratta di una memoria che ha il suo luogo di elezione nella mente e nel cuore di chi rimane, oltre che nelle tombe o nelle cellette cinerarie di un cimitero o di un crematorio.
Inoltre il rito, che riunisce parenti e amici intorno al morto, sottolinea l’appartenenza di quest’ultimo all’umanità, lo reintegra nel gruppo sociale e familiare, attribuendo così un significato alla sua vita, malgrado quel limite, a dispetto della finitezza.
Infine il rito permette, nella condivisione del dolore, di far percepire ai sopravvissuti che la loro solidarietà alimenta il desiderio di una continuazione della vita, li sottrae alla sofferenza bruta e senza nome, consente di riconoscere e accettare l’accaduto.

L’esigenza di un rito laico volto a commemorare la persona quale era in vita risponde alla cultura della nostra epoca, che molta importanza attribuisce all’individualità di ciascuno. Indipendentemente dalle fedi religiose, molto avvertita è l’esigenza di avere un momento privato per dire addio ai propri cari nel modo che si ritiene più idoneo a commemorare ciò che lo scomparso fu e rappresentò per coloro che lo hanno amato.
La nostra società è fondata sulla convinzione della unicità e insostituibilità di ogni individuo: è pertanto comprensibile che l’addio sia pensato come una commemorazione del significato dell’esistenza, del ruolo sociale, delle relazioni amicali e affettive di chi è scomparso.
Gli elementi di questo rito del commiato sono dunque l’ascolto di musica, il silenzio e la riflessione, la lettura di brani poetici o letterari, i discorsi o gli elogi funebri, alcuni gesti che assumono un significato simbolico.

Riti multi etnici
Inscindibile dalla trattazione delle cerimonie del commiato, e delle sale ove queste dovranno avere luogo, è il tema delle esigenze rituali delle comunità minoritarie dal punto di vista religioso e/o etnico che vivono nel nostro territorio.
Il tema dei riti funebri e delle modalità di sepoltura e dei cimiteri non è stato preso ancora in seria considerazione fino ad oggi nel dibattito sull’immigrazione, probabilmente perché altri problemi appaiono (e forse sono) più urgenti.
Tuttavia è utile ricordare che la prima nozione che viene messa in discussione nel bagaglio culturale del migrante è quella dell’identità, e che i riti della comunità di appartenenza connessi con la vita e la morte sono parte integrante e costitutiva dell’identità di un uomo, qualunque sia la posizione intellettuale che egli assume nei loro confronti, di accettazione, di critica o di rifiuto.
Il problema dell’identità, nell’incontro fra culture diverse, non riguarda, evidentemente, solo l’immigrato, ma anche la società che “accoglie”. Ogni identità, anche quella cosiddetta “etnica”, si definisce in rapporto ad un’alterità, e non è data dalla nascita, ma è una costruzione culturale, fluida e flessibile, sovente invocata per rivendicare qualcosa.
L’intolleranza e il razzismo nascono da un’identità vissuta come rigido confine protettivo tra “noi” e “loro”, dalla percezione di una minaccia nei confronti della propria identità; è pertanto su una concezione più aperta e dialettica di identità che bisogna lavorare per sconfiggerli. L’importanza di un’apertura conoscitiva reciproca fra paese che accoglie e gruppi immigrati su un tema come quello dei riti di morte ha direttamente a che fare con il nocciolo dell’accettazione e con quello del radicamento, dunque, della convivenza possibile tra differenti gruppi.
Oggi in Italia la maggior parte degli immigrati tende a rimpatriare la salma dei propri cari defunti all’estero. Questi rimpatri sono emblematici riguardo all’assenza di una situazione interculturale nel nostro paese. La scelta di rimpatriare la salma può infatti essere letta come il sogno di un ritorno a casa, come legame forte con la propria comunità e terra d’origine, come un rifiuto della terra d’immigrazione e, comunque, come segno di uno scarso radicamento.
D’altronde, perché il rimpatrio non sia una scelta forzata come oggi si presenta, è necessario che il paese che accoglie si preoccupi di creare le condizioni affinché una sepoltura e un rito funebre compatibili con le usanze dell’immigrato siano possibili: il dialogo si crea nel momento in cui ad una richiesta di spazi –ad esempio cimiteriali- viene data una risposta consona da parte delle istituzioni del paese che accoglie.

Tanto più che, col crescere delle generazioni di immigrazione, si verificano nella vita degli immigrati eventi biografici che rendono estranea la pratica del rimpatrio, data per scontata oggi in Italia dai maghrebini e non solo (il più delle volte ottenuta con collette della comunità messe insieme con difficoltà e non immediatamente dopo il decesso): in particolare, non va sottovalutato lo spostamento del proprio nucleo affettivo e familiare in terra d’immigrazione, i matrimoni misti, la presenza di figli e nipoti, l’effettivo tramonto dell’idea del ritorno e l’invecchiamento in terra d’immigrazione.
Pertanto sul versante del rito, una volta superata l’idea di una sorta di “maledizione” del morire “in esilio”, senza aver potuto fare ritorno, è possibile che l’immigrato accetti una forma di costruzione del rito funebre in terra d’immigrazione non come crisi identitaria, ma come positivo fattore di mediazione e integrazione, passando da un sentimento di vergogna per essere sepolto in terra straniera al sentirsi onorato di esserlo.

I riti religiosi
Oggi, il percorso più comune che segue un decesso è ospedale – obitorio – trasporto funebre – rito religioso in chiesa – cimitero (o crematorio). Con l’eccezione, forse, dei veri credenti, per i quali il rito cattolico mantiene il suo profondo significato, tale percorso è sovente vissuto come un insieme di formalità da adempiere, come un momento spoglio e deludente. Va tenuto presente, a questo proposito, che circa il 33,8% degli italiani (dati del 1995) dichiara di credere nell’esistenza di un’anima immortale. Per gli altri, evidentemente, il rito religioso cattolico, fondato sull’idea della salvezza e della sopravvivenza dell’anima, viene sovente scelto per conformismo o per la mancanza di un’alternativa.
Il rito funebre funge da contenitore del cordoglio, sospende il tempo ordinario, il fluire quotidiano degli eventi, e mette pertanto le persone colpite da un lutto di fronte alla possibilità di esprimere, in modo solenne, il dolore, lo sconvolgimento e l’impotenza che l’uomo prova di fronte al mistero della morte.
Anche qualora non vi siano convinzioni salvifiche di fronte alla morte, l’espressione collettiva del dolore è già il riconoscimento di un senso, la presa di coscienza (che può essere sofferta ma salda) dei limiti dell’umano.
E la morte è precisamente, innanzitutto, tale limite, che offre l’orizzonte di significato nel quale l’uomo vive e dà un senso al tempo e alle sue azioni. In un contesto di immortalità, le possibilità sarebbero infinite e il valore dei singoli atti umani completamente diverso. Il riconoscimento della realtà della morte e del senso del limite che ne deriva è dunque uno dei primi contenuti del rito stesso.

La Consulta delle Religioni della città di Roma annovera la partecipazione di 16 realtà religiose differenti, ognuna con i propri riti, ordinamenti e leggi. Una questione centrale a ogni rito funebre religioso è quella che concerne il destino del corpo, oggetto in vita di consistenti investimenti di natura affettiva, estetica, culturale e religiosa. Ai riti funebri di ogni religione si richiede di sancire pubblicamente la forma di congedo prescelta per i corpi.
Se, da una parte, Cristiani delle varie confessioni, Ebrei e Musulmani godono già di aree cimiteriali dedicate e non necessitano di luoghi aggiuntivi per il commiato, diversa è la situazione degli Induisti e dei Bahá'í che vivono nella nostra città. Entrambe le Fedi, allo stato attuale, non dispongono di un luogo per il commiato e necessitano di aree cimiteriali per poter espletare le esigenze della tipologia di sepoltura, dell’orientamento del corpo e dei rispettivi rituali.
Estrapolato da i fratelli ospedalieri.

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