ԻՏԱԼԻՈՅ
ՀԱՅՈՑ ՄԻՈՒԹԻՒՆ UNIONE
DEGLI ARMENI D’ITALIA Eretto Ente il 12/04/1955 – Decreto del Presidente della
Repubblica n°709
Piazza
Velasca, 4 – I-20122 Milano E-mail: unionearmeniitalia@virgilio.it
| unionearmeni@gmail.com
1
marzo, 2014
Con osservanza,
Prof. Baykar SIVAZLIYAN Presidente dell'Unione degli Armeni
d'Italia
All'attenzione
degli organi d'Informazione Comunicato-denuncia
contro una politica di armenofobia
diramato
dall'UNIONE DEGLI ARMENI D'ITALIA
[Eretto
in Ente Morale il 2/04/1955 – Decreto del Presidente della
Repubblica n°709]
Alla
cortese attenzione delle autorità e di tutti gli organi di stampa
italiani
con la
preghiera di darne la più ampia
e urgente
diffusione
possibile!
Segreteria
dell'Unione degli Armeni d'Italia
L’Unione
degli Armeni d’Italia chiede alle Istituzioni, alla società civile
e alla stampa di vigilare e censurare l’armenofobia fomentata
dall’Azerbaigian anche in Italia.
A
seguito della recente comparsa su alcuni media nazionali di articoli
aventi ad oggetto la questione del Nagorno Karabagh e del conflitto
sanguinoso che ne è seguito tra l’Armenia e l’Azerbaigian tra il
1991 e il 1994, l’Unione degli Armeni d’Italia intende esprimere
il proprio sconcerto nel constatare come, in quegli articoli, venga
ripetutamente richiamato, in maniera faziosa e selettiva, un episodio
collegato a quel periodo storico, per descriverlo come simbolo
tragico di massacri subiti dalle popolazioni civili di etnia
azerbaigiana ad opera delle Forze di Auto-Difesa Armene del Nagorno
Karabakh.
Trattasi
dei fatti avvenuti nel febbraio del 1992 e che prendono il nome dal
villaggio di Khojaly situato nella Repubblica del Nagorno Karabagh:
gli avvenimenti ci portano all’epoca in cui, in seguito al
referendum per l’indipendenza in conformità con la costituzione
vigente dell’URSS e dopo la proclamazione dell’indipendenza da
parte del parlamento eletto del Karabagh il 6 gennaio 1992,
l’Azerbaigian lanciò una vera e propria invasione militare contro
la neo-indipendente Repubblica del Nagorno Karabakh. Sin dai primi
giorni dell’invasione la popolazione civile armena era soggetta a
bombardamenti con missili Grad e bombe a grappolo, in palese
violazione del diritto umanitario internazionale. Tra il febbraio e
il marzo di quell’anno, il governo della Repubblica del Nagorno
Karabagh mise in atto un’operazione militare contro il blocco
dell’aeroporto di Khojaly e al fine di neutralizzare le postazioni
azere dei lanciarazzi Grad situate all’interno del villaggio di
Khojaly. In assenza di forze internazionali di peacekeeping, si
trattava di misure considerate necessarie per la sopravvivenza della
popolazione armena della regione. Il 25 febbraio l’operazione
militare contro Khojaly prese il via, non prima di avere concesso un
corridoio umanitario ai civili che avessero voluto lasciare la zona
delle operazioni militari. L’informazione circa il corridoio
umanitario era stata comunicata dalle autorità armene con largo
anticipo, nel rispetto delle norme umanitarie del diritto
internazionale, come confermato da alcuni funzionari azeri e dallo
stesso presidente azero all’epoca dei fatti Ayaz Mutalibov.
Tuttavia, da quanto riportato da fonti ufficiali azere, le autorità
azere non fecero nulla per evacuare la popolazione civile dall’area
delle attività militari.
Va
sottolineato come all’epoca degli avvenimenti, la stampa
dell’Azerbaigian riportò i fatti in modo sufficientemente
obiettivo, mentre negli anni seguenti l’Azerbaigian, per
contrastare la realtà storica dei massacri contro gli armeni a
Sumgait, Baku, Kirovabad e altre località dell’Azerbaigian, ha
inteso rappresentare i fatti di Khojaly come un genocidio degli azeri
da parte armena. Una tale ricostruzione, supportata da documentazione
fotografica che si è rivelata in molti casi clamorosamente falsa e
con un richiamo al numero delle vittime continuamente aggiornato “al
rialzo”, ha trovato smentite in molte dichiarazioni espresse dagli
stessi funzionari azeri, da
attivisti dei diritti umani, da giornalisti e da abitanti stessi di
Khojaly.
Al
di là del tema storico, come Armeni e cittadini italiani, intendiamo
segnalare il preoccupante crescendo di strumentalizzazione mediatica
su fatti sopra citati, che contrasta con i canoni di una corretta
informazione che sempre devono presidiare il dibattito in una società
evoluta e libera quale la nostra. Respingiamo con forza l’uso di
fatti storici ad evidente scopo propagandistico, destinato solo ad
alimentare una retorica bellicosa e a rinfocolare l’odio tra
popoli, ponendosi anche in contrasto con gli sviluppi del processo
negoziale sulla questione del Nogorno Kharabagh che è attualmente in
corso con la mediazione dell'OSCE; riteniamo, in tal senso, che la
ricerca di percorsi condivisi sulla verità storica dei fatti e
l’individuazione di soluzioni politiche che garantiscano pace,
stabilità e sicurezza nella regione del Caucaso corrispondano
all’interesse anche dell’Italia, in nome dei valori democratici,
da affermare in ogni ambito.
Non
possiamo esimerci da un appello, che rivolgiamo alla stampa, alla
società civile e alle Istituzioni italiane, affinché sia mantenuta
alta la vigilanza sui rischi che possono derivare, anche alla
comunità armena in Italia, da una campagna discriminatoria fomentata
con l’uso pubblico di verità manipolate. La secolare presenza
degli Armeni in questo Paese è animata da persone e comunità che
sempre hanno dato un contributo all’evoluzione della società in
ogni campo; alcuni di noi, sono figli e nipoti di coloro che in
Italia giunsero sospinti dalla furia genocidiaria che cancellò la
presenza armena in Anatolia nel 1915. In questo senso, appare
allarmante ed inquietante che si possano utilizzare contro gli
Armeni, a proposito degli eventi del Nagorno Karabagh, termini quali
genocidio o stragi di massa di civili, avvalendosi di fonti del tutto
inattendibili e provenienti da un regime che usa l’armenofobia per
consolidarsi e sembra additare indistintamente ogni armeno come un
nemico da abbattere.
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