Ordini Cavallereschi Crucesignati

Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.

domenica 23 dicembre 2018

UN SALUTO DEL NOSTRO PRESIDENTE INTERNAZIONALE NARESH AGGARWAL


Naresh Aggarwal
Ce l’abbiamo fatta
Namaste!
Dal luglio del 2014
abbiamo aiutato
più di 236 milioni di persone
e quest’anno siamo sulla buona strada
per aiutare più di 150 milioni di persone.
È stato un piacere essere
il vostro Presidente Internazionale.
I
l nostro centenario sta terminando. È tempo di riper
-
correre il nostro lavoro ed essere orgogliosi di tutto
ciò che abbiamo realizzato. È stato un anno dedicato alla
celebrazione di un grande servizio e allo stesso tempo
un anno di grandi service.
Abbiamo numerosi esempi notevoli di ciò che i Lions
hanno fatto in questo senso. Passeggiate per raccogliere
fondi e sostenere ospedali per bambini, Buddy Benches
per bambini soli, combattere la fame attraverso raccolte
alimentari, pedalate a favore della sensibilizzazione sul
diabete, costruzione di scuole, innalzamento di bandiere
sull’Everest, riciclo di componenti elettronici e, letteral
-
mente, edificazioni di ponti. I Lions stanno facendo di tutto
e io non potrei essere più orgoglioso di far parte di questa
organizzazione mondiale di persone che fanno fatti.
I numeri sono sbalorditivi. Dal luglio del 2014 abbiamo
servito più di 236 milioni di persone e continuiamo a
raggiungerne sempre di più ogni giorno. Avete portato
a termine più di 31.000 Legacy Projects che andranno
a beneficio delle vostre comunità per gli anni a venire.
Quest’anno, siamo sulla buona strada per riuscire a ser
-
vire più di 150 milioni di persone. Per favore, segnalate
i vostri service per assicurarvi che questo accada.
Ma c’è ancora tanto da fare. Non riposeremo sugli allori.
Abbiamo messo gli occhi sul nostro pros
-
simo secolo di servizio con LCI Forward.
Adesso è il momento di familiarizzare con
il nostro piano strategico quinquennale e di
condividere i nostri obiettivi a lungo ter
-
mine con il vostro club alla prossima riu-
nione.
È stato un piacere essere il vostro Presi
-
dente Internazionale in questo anno di ser
-
vizio davvero speciale. Anche se non vi
porterò più messaggi mensili, sarò sempre
vostro, con voi nel nome del servizio e un
Lion. Nel mio incarico di Lion Presidente
Internazionale Naresh Aggarwal, la mia
parola preferita è “Lion”.

mercoledì 28 novembre 2018

DUE BELLISSIMI ARTICOLI DELLA NEW ENTRY, DOTTORESSA ELISABETTA MARIA SALVATI


“Il Padre” … sublime, toccante, liberatorio…

                                                             di Elisabetta SALVATI

FatihAkin, turco di seconda generazione, nato ad Amburgo, è il regista ispirato de “Il Padre”, un’opera sublime, autentica, in una parola: bella!
Laddove l’etica sposa l’estetica, il miracolo si compie. Il glamour di Zeffirelli, la poesia di Visconti, l’autenticità di Pasolini, si fondono insieme con un tocco di spleen mediorientale, e una vicenda tragica e sorprendentemente attuale diventa arte pura, puro godimento per lo spettatore.
TaharRahim, giovane attore di origine algerina, dona spessore e tenerezza al suo personaggio con la sola magia dello sguardo. Reso muto da una ferita mortale, dalla quale viene salvato proprio dal suo carnefice, il protagonista vuole ritrovare a tutti i costi le figlie amate, disperse dalla guerra turca contro gli Armeni cristiani alle soglie della prima guerra mondiale.
E cosi percorre migliaia di chilometri a piedi e attraversa oceani e continenti. Senza mai perdere la dignità, la fede, la speranza.

Nazaret, il destino in un nome. Il “Padre” è un artigiano, sposato ad una donna gentile e garbata che canta la sera, prima di addormentarsi, come una preghiera di ringraziamento. Due figlie amatissime, molto legate ai genitori come nelle famiglie di una volta. Una fede cristiana semplice ma tenace, come quella dei bambini quando si confessano. Una vita ricca di amore per l’esistenza stessa, con la gioia nel cuore di chi non ha niente ma ha trovato tutto. Poi la guerra, la crudeltà, il martirio. E l’incontro con un “buon ladrone” che gli salva la vita dicendogli “perdonami”. E la speranza ritorna.
Le immagini scorrono chiare, con il ritmo dei pensieri e degli umori di chi attraversa il deserto con poca acqua e tanto ardore ad ogni passo. Pochi gesti, semplici ma intensi toccano il cuore e la mente dello spettatore che vive come un thriller dell’anima questa caccia al tesoro dei sentimenti e dei ricordi.
E Nazaret ci insegna ad aspettare, sperare, amare. Anche quando tutto sembra perduto, lui non si arrende. Perché la fiamma che lo abita è sempre viva, accesa, audace. I grandi silenzi, il vento del deserto, le dune capricciose, i sentieri perduti conducono là dove una umanità intera si incontra e si scontra, in fondo al cuore, come in un grande gioco che sempre si rinnova.
Ma il lume dell’amore non vacilla. Trasforma l’intensità dello sguardo, il calore degli abbracci, la piega di una guancia che dice addio al fratello amato e riprende il cammino. Fino alla fine.
Fino davanti alla tomba di una figlia perduta ma mai dimenticata. Fino al sorriso della sorella gemella che finalmente stretta al Padre lo accompagna verso la sua nuova vita.
La bellezza non ha confini. Oltre gli uomini, i sogni, la storia, le epoche, le filosofie, gli stili e i modus vivendi; oltre l’immaginazione, perfino oltre l’inimmaginabile, vi sarà sempre un occhio benevolo, una luce sapiente, un battito di ciglio per segnare l’inizio di un nuovo giorno, sotto l’egida della meraviglia.
Perché bellezza è meravigliarsi. Del Creato, di sé stessi, dell’alto e del basso, del micro e del macro, del nulla e del tutto. Come una preghiera che scorre nelle vene, bellezza è tutto quanto ci aspetta e tutto quanto speriamo, quando non cessiamo di guardare il mondo con occhi innocenti, cuore docile, mente leggera, e passo svelto.
“Il Padre” è un film bello perché vero oltre che reale, e narra dell’eterno dell’uomo, la cerca di sé, del proprio nucleo, di una comunione da ripristinare per ritrovare quella purezza d’animo che sola rende agile il vivere. Ed è attuale, vicino a tutti noi anche se narra di terre sconfinate nello spazio e nella memoria.
“Il Padre” ci accompagna, sui passi di ogni giorno, nella nostra lotta quotidiana per sbarcare il lunario e soprattutto per non perdere il senno. E il senso. Della bontà come della cattiveria. E indica la Via. Attraverso la fedeltà a sé stessi, a tutto quanto ci è più caro al mondo, fino a guardare negli occhi quel “padre Altro” che ci attende fin dagli inizi del mondo.

 Sono stata folgorata dai campi…
Non ne volevo scrivere. Ma la voce dentro urla e la devo ascoltare. Gridare al mondo che anche io ho visto. L’orrore dei campi di sterminio.
Nel mio viaggio a Cracovia, una sosta ad Auschwitz e Birkenau era di rigore. La temevo. Avrei voluto fuggire, far finta di essere una turista un po’ annoiata, un po’ blasée, interessata solo alla bellezza.
E la bellezza l’ho scorta anche qui. Terribile, atroce.  La bellezza della vita che non vuole morire. Nello sguardo sgomento di un bambino, nell’abbraccio di una mamma al suo piccolo neonato che non vuole abbandonare e che seguirà imperterrita nelle camere a gas, nella sfilza di indumenti e oggetti d’uso quotidiano innalzati a muro di sdegno e di silenzio orrifico.
Un popolo che viaggia, un popolo che narra di una perdita di senso, di identità umana, di dignità personale. Un buio cosi impellente da costringere tutti noi ad accendere una luce nella nostra coscienza e urlare al cielo “perdono”. Perdonaci Signore perché anche noi siamo coinvolti.
Con i giudizi, le assenze, le colpe attribuite sempre a qualcun altro.

Come è stato possibile che una società nazionale, la Germania, ed un pubblico europeo e mondiale abbiano assistito all’ascesa del delirio? Se penso che ancora oggi esistono negazionisti mi sale come una sorta di disgusto su dallo stomaco fin nella gola. Per l’idiozia umana.
Il mostro, prima di essere cattivo, è semplicemente stupido, ignorante, assente, indifferente. Ogni volta che siamo indifferenti al vicino di casa, al collega malevolo, ad  un amore un po’ spento, ad un sogno infranto, ogni volta che abdichiamo non alla ragione ma alla passione per la vita intesa come sapore, gusto, scienza e sapienza, arte e  creatività, ci rinchiudiamo in uno sgabuzzino oscuro dal quale escono solo incubi.
La memoria non aiuta a ricordare, ma a vivere. Rivivere momenti di luce, di gioia, che possono illuminare le nostre scelte e aiutare il cammino quando il coraggio scema e la vita ci travolge. Questo forse l’antidoto alla follia, all’Isis come a Cogne.
Lasciarsi avvolgere dall’esistenza come da un caldo abbraccio anche quanto tutto sembra perduto, invocare la luce profonda che albeggia sempre nel profondo, ascoltare il sospiro di un battito d’ali, il fruscio di un petalo cadente, osservare i colori di una foglia d’autunno e guardare lontano…per non arrendersi alla bestialità e al cinico decadimento inferto dai tempi.
Lungo i viali tra una baracca e l’altra sembra di percepire un soffio, una tenue speranza. Sembra di scorgere un cuore palpitare e promettersi che mai più nulla di simile accadrà, che non è accaduto invano, che ogni passo di dolore è stato un piccolo grande sentiero verso un amore maggiore. Come sono sopravvissuti, dentro, i sopravvissuti dei campi?
E questa voce, mi è sembrato di udire: “Se coltivi la vita nel profondo, la vita stessa in qualche modo correrà in tuo aiuto. Se alimenti anche una piccola scintilla di interiorità, se guardi lontani, in alto, ancora più su nel cielo infinito ma soprattutto nel didentro dell’anima ancora più infinita, se non scappi da te stesso ma ti costeggi dappresso come si porta a scuola un bambino e fai pace con la tua metà oscura, se continui a sognare, evocare potenze di luce per trasformare il dolore in armonia, l’attesa in speranza, la solitudine in un nuovo inizio, se continui a cercare il senso profondo e la connessione invisibile che ci collega tutti sotto lo stesso destino, allora non potrai mai morire”...
E risorgeranno i volti ritratti in quelle foto. Risorgeranno nei ricordi, negli sguardi, nelle decisioni di oggi operate e sostenute da tutti noi, che siamo qui, ancora viventi.
 Elisabetta SALVATI

domenica 18 novembre 2018

LE ORIGINI DELLA LIBERA MURATORIA CON L'AMMISSIONE DELLA LEGGENDA DI HIRAM


Gentili amici del blog, Vi presento la Dottoressa Anna CHECCOLI, quale collaboratrice del blog International-La redazione

                                                ****
CURRICULUM
Anna Checcoli ha una laurea in giurisprudenza ed una specializzazione in psicopatologia forense,
vive e lavora a Firenze. I suoi studi e l'amore per l'arte l'hanno condotta ad una ricerca approfondita
delle implicazioni che discendono dal legame fra l'essere umano e gli oggetti di uso quotidiano, con
particolare attenzione alle epoche passate. La sua attività è oggi indirizzata verso lo studio dei
ventagli, e si realizza nel restauro di esemplari antichi e nella stesura di testi e saggi ad essi dedicati.
Ha tenuto lezioni sull’argomento in Scuole Elementari del comprensorio fiorentino ed in Istituti di
Moda, conferenze su invito della sezione Rotary Marino Marini, dell’Associazione appassionate
romanzi storici “La vie en rose” e presso la Mostra del ricamo e del tessuto in Valtopina, assieme
alla Dott.ssa Giordana Benazzi ed al sociologo Roberto Segatori. Ha collaborato con la rivista
Etiquette, con Collectors Weekly, British Optical Museum, Fan Circle International, Cercle de
l'Eventail e FANA ( Fan Association of North America) scrivendo articoli e monografie. Le sue
ultime due pubblicazioni sono "Il ventaglio e i suoi segreti" e "Ventagli cinesi giapponesi ed
orientali" ambedue edite da Tassinari, la prima delle quali riedita anche nella traduzione russa. La
sua collezione è stata oggetto di studio da parte di molti Istituti Universitari e di alcune tesi di
laurea, fra le quali possiamo citare quella di Francesca Dalle Crode presso l'Università di Torino -
corso in Scienze dei Beni Culturali, e quella di M.me Anne Ferrette, presso l'Université de la
Sorbonne, oltre che di numerose esposizioni in città italiane ed europee. I suoi ventagli sono apparsi
anche su riviste quali Vogue gioiello, Chi, Antiquariato, Collezionare, La Gazzetta dell'Antiquariato,
Weranda Magazine, e ancora su Rai 2, nella trasmissione Piazza Grande del 15 maggio 2008, su Rai
1, nella trasmissione Uno Mattina del 7 agosto 2013 e di nuovo su Rai 2 nel novembre 2013, oltre a
“Storie di collezioni” su TV2000 il 3 Marzo 2016, “I fatti vostri” su Rai 2 il 29 Marzo 2016 e nella
rubrica del Tg2 “Costume e società” del 27 Settembre 2017.
Studiosa di esoterismo, collabora inoltre con la rivista Officinae, organo ufficiale della Gran Loggia
d'Italia ALAM, ed è fra gli articolisti dell'International Web Post.
Di Anna CHECCOLI
La Muratoria delle origini e l’Opera di Santa Maria del Fiore
a Firenze
Anna Checcoli
«E il Re e tutti i Signori garantirono ciò. Ed essi portarono i loro figli a Euclide
perché li dirigesse a suo piacimento ed egli insegnò loro quell'Arte, la Massoneria, e
le diede il nome di Geometria, a causa della divisione del terreno che aveva insegnato
alle persone al tempo della costruzione delle mura e dei fossati, e Isidoro dice, nelle
Etymologiae, che Euclide la chiamò Geometria. Ed egli diede loro il compito di
chiamarsi l'un l'altro Compagno e non altrimenti, perché appartenevano a un'Arte ed
erano di sangue nobile e figli di Signori»
Mi accingo ad affrontare un tema complesso, quello della Muratoria delle origini,
vedremo poi circoscritto esattamente a cosa e quando, partendo da un testo molto
importante, direi basilare: il Manoscritto di Cooke.
Questo fu redatto in inglese antico nel primo trentennio del XV secolo e tradotto per
la prima volta in italiano nel 1989. Probabilmente ancora in uso presso le Crafts
inglesi del XVI secolo, contiene una parte normativa divisa in nove articoli e nove
punti preceduta da una narrazione mitica delle origini della Massoneria, struttura che
servì da canovaccio al pastore Anderson per le sue Costituzioni del 1723.
Tale narrazione è dunque incentrata sulla geometria, «origine di tutte le arti liberali»;
la trasmissione delle arti liberali nel tempo affonda quindi le sue origini nel
Quattrocento, ed è stata riscritta al principio del Cinquecento, essenzialmente per due
motivi. In primis, ancorare l'Ars aedificandi alle arti liberali e specificatamente alla
geometria consentiva di emanciparla dalle arti minoritarie, meccaniche o servili,
processo che inizia proprio nei primi anni del XV secolo grazie agli artisti italiani.
Tale aspirazione relativa all’architettura è ciò che l’autore del manoscritto manifesta
attraverso la citazione di fonti antiche e autorevoli.
Il secondo motivo è la necessità di ribadire che il sapere delle origini non si è
interrotto con il diluvio; quindi il mestiere (notiamo che la derivazione dall’etimo
ministerium ha una interessante assonanza con mysterium), la sua tradizione e
trasmissione, sono integri, senza soluzione di continuità. Questo al fine di potervi
mantenere un’aura di sacralità, anteponendo le origini delle arti liberali alla
confusione delle lingue avvenuta con la torre di Babele.
Nel manoscritto di Cooke affiora il tema delle due colonne, che i discendenti
d'Adamo eressero temendo che l'ira di Dio cancellasse con un cataclisma la razza
umana e la sapienza originaria. La principale fonte di questa leggenda è Giuseppe
Flavio, che nelle sue Antichità giudaiche racconta dei figli di Seth.
Benché in Cooke siano, tuttavia, gli eredi di Caino, e non di Seth, a erigere le due
colonne, così come a ritrovarle furono Ermete e Pitagora, notiamo che tuttavia
l’Egitto gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione della scienza muratoria in
quanto l’autore del manoscritto così afferma: «In tale modo la suddetta Arte, iniziata
in Terra d'Egitto, si propagò di Terra in Terra, di Regno in Regno».
Il tema delle due colonne della sapienza verrà ripreso da Anderson, ulteriore segnale
che il manoscritto di Cooke fu il canovaccio del pastore.
Poco prima del manoscritto di Cooke, però, fu redatto il Regius Manuscript, che è del
1390. Anche in esso si identifica l’Egitto come patria d’origine e si ritiene Euclide
primo maestro, inoltre si racconta l’origine mitica della Massoneria come Geometria,
arte e scienza applicata alla muratoria. L’opera è scritta in versi, e l’appendice,
intitolata Ars quatuor coronatorum, oltre a quanto detto prima e alla definizione delle
regole di condotta dei liberi muratori, racconta il mito dei “Santi Quattro Coronati”
ripreso dalla Legenda Aurea, una raccolta medievale di biografie agiografiche
composta in latino da Jacopo da Varazze, un riferimento indispensabile per
interpretare la simbologia e l'iconografia religiose.
Legata all’immaginario biblico è, inoltre, la figura di Hiram. Nella bibliografia
contemporanea si sostiene che i gradi massonici fossero inizialmente due,
l’apprendista e il compagno, mentre il termine maestro servisse ad indicare il fratello
incaricato di presiedere la seduta dell’Ordine. Si sostiene inoltre che tale termine
subisca, con l’immissione della leggenda di Hiram, un processo di tipizzazione tale
che l’introduzione degli Alti Gradi avvenuta con le costituzioni del 1762 per i 25
gradi del Rito di Perfezione, e l’introduzione dei 33 gradi del Rito Scozzese Antico ed
Accettato nel 1801, non scalfiranno in alcun modo.
Le documentazioni in mio possesso, però, relative all’Opera del Duomo di Firenze, ci
raccontano anche qualcosa di diverso…
Non mi soffermerò sulle differenti versioni relative al mito dell’architetto del tempio,
non essendo questo il tema della mia trattazione in questo luogo, né sul dibattito fra le
massonerie inglesi e scozzesi in merito alle interpretazioni riguardanti la cosiddetta
Mason Word, cioè se la lettera “G” significhi God o un termine di sostituzione il cui
significato l’iniziato debba scoprire lungo il suo cammino. Nella mia opinione, la
lettura del Manoscritto Regio e di quello di Cooke danno una risposta chiara ed
esaustiva in merito.
L’ingresso di nuovi soggetti in seno all’Ordine muratorio, provenienti per la maggior
parte dall’emergente ceto intellettuale ed iniziati grazie alla pratica dell’accettazione,
fu, insieme al declino dell’ordinamento corporativo e delle confraternite di mestiere,
la ragione del mutamento di indirizzo di un concetto di Massoneria ormai in crisi, che
lentamente si trasformò anche in speculativa, grazie all’introduzione di tematiche
appartenenti alla cultura ermetica, alchemica e qabbalistica, dilaganti in Europa già
dal XV secolo.
Con la nascita della Grande Loggia di Londra, evento spartiacque della storia
massonica, la Massoneria inizia ad assumere una fisionomia del tutto nuova:
mantiene i legami con la religiosità, attitudine caratterizzante dell’epoca operativa,
che tuttavia, a causa degli sconvolgimenti religiosi avvenuti nell’Europa dal XVI al
XVII secolo, inizia ad assumere un peso inferiore all’interno delle logge, e accoglie
elementi provenienti dal ceto intellettuale, cosa che portò le logge ad essere non più
preminentemente un “centro spirituale”, ma a trasformarsi in microrganismi politici
della società civile.
Tutto questo comporterà un cambiamento radicale in una realtà che, sorta come
confraternita di mestiere e basata su una tradizione iniziatica, si avvierà verso un
nuovo tipo di organizzazione in cui elementi un tempo considerati “profani” pongono
nuovi interessi e valori.
Ma siamo così certi che questo processo, realizzato e compiuto definitivamente in tal
guisa nell’Inghilterra del XVIII secolo, sia l'unico possibile, senza tener conto di
fenomeni di tal genere evolutisi assai prima in Italia?
Facciamo dunque un passo indietro, e torniamo al periodo fra il V e l’XII secolo.
I documenti scritti reperiti sono piuttosto rari, soprattutto quelli sulle confraternite di
mestiere, che furono straordinariamente importanti nella vita, nella storia e nell'arte
dell'Europa medievale; si ha comunque notizia di comunità celtiche strutturate come
una sorta di monaci-muratori, si sa che gli ordini cavallereschi o monastici
intrapresero la costruzione di chiese, monasteri, castelli.
Insieme ai Magistri Comacini, il VI-VII secolo d.C. vede anche il sorgere della
comunità benedettina, in cui il monaco concilia lavoro e preghiera e costruisce edifici
sacri accanto ai refettori ed ai laboratori.
Nell’Editto di Re Rotari, del 643, si fa un chiaro riferimento ad una società di
muratori, provenienti dal territorio di Como, i Comacini, appunto, (esulando dalle
interpretazioni fantasiose che molti storici hanno dato del loro nome), esercenti l’arte
del costruire, e anche nel 713, nell’Editto di Re Liutprando, nella cui appendice vi è il
famoso Memoratorio, ove si parla delle spese, delle tariffe, persino dello stile
Romano e Gallico utilizzato da questa società di Maestri Comacini.
Le confraternite non erano semplici corporazioni in quanto, oltre a riunire chi
esercitava un'arte, trasmettevano anche insegnamenti etici e spirituali. Era inoltre
luogo di riconoscimento sociale e culturale, con proprie norme e gerarchie. I segreti
edificatori erano noti solo a coloro che vi appartenevano. Esisteva dunque una sorta
di “aristocrazia” dell'arte di edificare per cui in ogni cantiere di cattedrale c'era
qualche decina di Maestri muratori, mentre il resto era rappresentato da altro tipo di
prestatori d’opera. Erano ammesse anche le vedove dei maestri, in quanto eredi dei
loro diritti. Nel Poema Regius, addirittura, si fa chiaramente riferimento alla presenza
femminile: «…E così ciascuno insegnava all’altro e si amavano come Fratello e
Sorella…»
Essi si riunivano in umili baracche attigue al cantiere, chiamate logge, che troviamo
talvolta raffigurate nelle miniature medievali, appoggiate al muro del cantiere, e qui
tagliapietre, scultori, scalpellini, si riunivano per ascoltare le parole del Maestro e le
sue direttive, dove si giurava di rispettare i segreti del mestiere, gli obblighi e le
regole, si apprendevano le parole e i segni per riconoscersi tra muratori anche durante
le loro migrazioni da una loggia all’altra. Luogo di origine e culla dei Maestri
Comacini e delle loro associazioni di Liberi Muratori fu la Lombardia, dove troviamo
per la prima volta, in un atto notarile del 918, scritta la parola “Massonica” e cioè:
Petelpertus de Graveduna vende a Alloni una “casa Maconica”.
Dalla Lombardia si espansero in Inghilterra, in Scozia, a San Pietroburgo e a
Costantinopoli, furono il nucleo originario delle “Logge Frammassoniche”, composte
sul principio da soli Maestri Architetti, Costruttori e loro “colleganti”.
In questo contesto, di cui tanti hanno scritto, senza, spesso, entrare in contatto con le
fonti originarie, ecco che si inserisce il mio lavoro di ricerca, iniziato quasi per caso,
imbattendomi nella digitalizzazione e trascrizione dei documenti dell’Opera del
Duomo, cioè quelli conservati a Firenze presso la Fondazione, legati alla costruzione
della nostra cattedrale fiorentina, i cui lavori sono iniziati nel 1296 e terminati dal
punto di vista strutturale nel 1436.
Le fonti reperite, di una vastità impressionante e conservate in modo ineccepibile,
partono dal 1416 e procedono fino alla fine dei lavori. Da queste emerge un contesto
in parte assai diverso da quello che siamo abituati a sentirci propinare da anni e anni a
causa dei testi in circolazione e della loro elaborazione. La prima cosa di cui mi sono
resa conto, in totale contrasto con la reiterata convinzione che le leggi scritte in
proposito fossero all’epoca quasi nulle, è stata la consistenza del corpus normativo
correlato alle attività di ogni singola persona che avesse a che fare a vario titolo con
l’Opera del Duomo.
Tutto era regolato, dai salari alla spesa, per fare un esempio, stabilita per l’acquisto
dei guanti bianchi in capretto per gli operai che avevano ottenuto il privilegio di
essere scelti come accompagnatori per le processioni che si svolgevano in occasione
di festività religiose. E ancora erano normate le punizioni per i manovali svogliati, e
per quelli che si allontanavano senza permesso. Poteva infatti capitare che qualcuno
facesse il furbo, e lavorasse contemporaneamente in due cantieri, cosa vietatissima
senza la licenza di prestazione d’opera in altro loco.
Financo le spese per il vino di cui si poteva ogni tanto gratificare i lavoratori, con
cautela, in quanto esso era vietato, o per qualche cibo più prelibato, erano stanziate,
approvate, registrate e comunicate ufficialmente.
Accadeva anche che qualche prestatore d’opera si macchiasse di delitti, in questo
comprendendo le percosse conseguenti a qualche rissa, ed ecco pronta la sanzione,
immediatamente trascritta e comunicata alla comunità.
Sì, una grande comunità regolata come un orologio, dove niente era lasciato al caso.
Vi è però, almeno nel caso fiorentino e sicuramente toscano, un primo particolare che
colpisce: i muratori non solo facevano parte dell’Arte degli scalpellini, tanto per
citarne una, ma soprattutto e in maggior quantità dell’Arte della Lana. Questo ci fa
riflettere sul fatto che l’appartenenza non era sempre legata al tipo di mestiere, ma
anche alla zona in cui certe attività si svolgevano. Esisteva anche l’Arte dei Maestri,
cui appartenevano maestri di cazzuola e di scalpello, come da Bando emesso il 17
Marzo 1417, valido fino al 1418.
L’introduzione e l’applicazione di una delibera per la realizzazione di un “Luogo per
Operai” avverrà relativamente tardi nella fattispecie fiorentina: il 9 Dicembre 1432.
Questo non significa che prima non esistesse un rifugio per i lavoratori, la cosiddetta
loggia, ma in questo caso si identifica una costruzione vera e propria; il decreto si
intitola infatti “Scelta del casolare degli Alessandri e prima dei Tedaldi come sede
delle maestranze e degli ufficiali e autorizzazione a farvi l'udienza degli operai e il
luogo del provveditore e del notaio”.
Qui è dove gli operai e i maestri scalpellatori dovranno ritirarsi dopo quella che viene
definita la “clausura”, cioè il termine dell’orario di lavoro, in considerazione del fatto
che molti di loro hanno la propria dimora lontana, o non l’hanno affatto! Dove Ser
Brunelleschi parlava con loro, confrontandosi sulle decisioni da prendere.
Cito parte del testo:
«Dichiararo e diliberaro che 'l chasolare che ll'Opera à in pengnio dagli Alesandri, che fu de'
Tedaldi, sia quello dove l'Opera e gli operai cho maestri, manovali, scharpelatori, proveditore,
notaio e altri ministri sia quello s'aoperi; e che Batista e Filippo di ser Brunellescho posano in
quello luogho fare udienza per gli operai e luogho di provedittore e notaio dove a lloro più
piacerà.»
Facendo qualche passo indietro, esattamente al 5 Maggio 1419, ecco che spunta un
lungo giuramento degli operai, relativo anche al rispetto della tempistica nello
svolgimento dei lavori. Riporto qui il testo, in cui possiamo notare una cosa davvero
interessante, che già avevo accennato precedentemente: gli operai sono spesso presi
fra i virgulti della nobiltà cittadina. Era infatti questo non solo un onore di cui i nuovi
nobili andavano orgogliosi, ma anche un compito non adatto a tutti.
La mansione di operaio non era squalificante, anzi presupponeva una certa dose di
cultura e di consapevolezza nella propria attività, e quindi troviamo un Vecchietti, un
Albizi, un de’ Minerbetti, e ancora Corsini, Sacchetti, tutti facenti parte dell’Arte
della Lana.
«Prudentes et discreti viri
Iacobus Vannis de Vecchiettis
Pierus domini Zanobi de Mezola
Lucas domini Masi de Albizis et
Iohannes Andree Betti de Minerbettis
cives honorabiles et lanifices florentini operarii Operis Sancte Marie del Fiore maioris cathedralis
ecclesie florentine, una cum
Iohanne Mattei de Corsinis et
Forese Antonii de Sacchettis
eorum in dicto officio collegis licet tunc absentibus, insimul in dicto Opere et loco eorum solite
audientie pro dictorum eorum officio exercendo more solito collegialiter adunati, dictis tamen Piero,
Luca et Iohanne de novo intrantibus ad dictum officium primo et ante omnia iuratis ad sancta Dei
evangelia scripturis corporali manu tactis ad delationem mei Laurentii Pauli notarii dicti Operis de
dicto eorum officio bene, fideliter, legaliter et sollicite faciendo et exercendo et pecuniam dicti
Operis conservando et ipsam non expendendo nisi si, prout, ubi et quando crediderunt fore utile pro
dicto Opere et de dicto Opere nichil quomodolibet extrahendo directe vel indirecte in venditione,
mutuo vel dono vel alio quoquo modo; et formam hedificii dicti Operis sequendo secundum
formam modelli ad id designati et facti, positi et existentis iuxta campanile dicte ecclesie et alia
quelibet faciendo que facere tenentur et debent secundum formam statutorum et ordinamentorum
Communis Florentie et universitatis Artis Lane et dicti Operis sub pena in dictis ordinamentis
contenta. Advertentes ad quandam locationem factam per eorum precessores in officio et seu per
alium ex commissione dictorum eorum precessorum, licet verbotenus et per scriptam privatam, in
certis magistris de faciendo et murando voltas sale maioris habituri Pape in Sancta Maria Novella
pro soldis quinque f.p. pro quolibet bracchio omnibus suis expensis exceptis mattonibus sive
mezanibus et calce; et ad quandam aliam locationem dicto modo et ut supra factam certis aliis
magistris de intonicando dictam maiorem salam pro denariis quinque f.p. pro quolibet bracchio
omnibus eorum expensis excepto solum calcem, omni modo etc. deliberaverunt etc. quod
capomagister sive vice capomagister et provisor dicti Operis mensurent dictas voltas et dictum
murum intonicatum et quod dictis magistris solvatur secundum dictas locationes etc….»
Il 1° Aprile 1418 viene citato anche un “Messer Cavaliere operaio”, nella persona di
Rinaldo Gianfigliazzi, che sarà operaio in carica durante il semestre.
Sì, perché l’alternanza della prestazione d’opera aveva ritmi ed avvicendamenti ben
precisi, squadre che lavoravano a periodi di quattro mesi alla volta oppure di sei. Nel
caso di quattro, firmavano contratti, o meglio giuramenti e impegni, che li
obbligavano a tornare nella stagione dell’anno successivo. Vi erano lavoratori estivi e
lavoratori invernali, e, a vedere dai documenti, non vi erano differenze di stipendio
fra le stagioni, che variavano, invece, secondo le mansioni e i gradi, fra i 10 e i 20
soldi giornalieri, con qualche picco inferiore forse destinato ai bambini, escludendo
coloro che prestavano opera gratuitamente. Ogni lavoratore comunque è citato con
nome e cognome, e non sono rari i casi in cui il salario conteneva anche frazioni, che
venivano computate in denari. Esistevano libri accuratissimi, chiamati delle
deliberazioni, che venivano tenuti dai Notai. Dal 1 Novembre 1416 al 31 Dicembre
1417, per esempio, vi fu preposto Lorenzo di Paolo di ser Guido Gigli, notaio
dell'Opera.
Difficile esprimere l’emozione provata trovandosi di fronte, all’improvviso, alle
delibere di pagamento a Donatello, definito in alcune di esse Operaio, per la
realizzazione della statua di Abacuc e di altri personaggi. Egli ricevette
complessivamente la cifra, sostanziosa, di 80 fiorini, da elargire in parte anche ai suoi
collaboratori.
In un documento del 22 Ottobre 1418 l’intestazione recita: Salari per Maestri,
Manovali e Ragazzi. In alcuni casi troviamo anche segnalati i pueri, ugualmente al
lavoro. Mai, però, con la qualifica di Apprendisti. Da un quadro d’insieme emerge
che la struttura di questa grande macchina era costituita dal Provveditore,
Capomagister, Vice Capomastro, Maestro ( di cui esistevano molteplici
specializzazioni), Operaio (nobile), Compagno, Manovale, Ragazzo e Puero.
Tralasciando Camarlinghi, Notai, ecc…I Compagni vengono sempre identificati
come “compagni di”, illuminandoci quindi sul fatto che tale qualifica era data in
rapporto all'appartenenza ad una compagnia di qualche Maestro.
Più esattamente, i principali incarichi dell'Opera, uffici riservati agli iscritti dell'Arte
della Lana, istituzione madre dell'Opera di Santa Maria del Fiore, erano appunto:
OPERAIO
Massimo incarico dell'Opera, non retribuito. Nel periodo degli Anni della Cupola, di
regola, sei operai, estratti a sorte tra i qualificati allo scrutinio degli iscritti dell'Arte
della Lana, si alternano per periodi di quattro mesi (4 entrano in carica nel gennaio di
ogni anno, 2 in marzo, 4 in maggio, 2 in luglio, 4 in settembre, 2 in novembre). Essi
costituiscono il corpo deliberante con autorità di determinare le scelte istituzionali,
progettuali ed economiche dell'Opera. Le delibere e gli stanziamenti sono dettati
dagli operai, e possono essere revocati solo con l'approvazione dei consoli dell'Arte
della Lana. Tra gli operai veniva spesso tratto un Preposto dotato di poteri esecutivi
nell'intervallo fra le riunioni degli Operai.
CAMARLINGO
Tesoriere dell'Opera, estratto a sorte tra i qualificati allo scrutinio degli iscritti
dell'Arte della Lana. Svolge la propria attività retribuita per un periodo di 6 mesi, a
partire dal 1 gennaio e dal 1 luglio di ogni anno. Tiene i libri contabili dell'Opera,
incassa le spettanze ed effettua i pagamenti autorizzati dagli operai; è personalmente
responsabile delle propria gestione finanziaria.
QUATTRO UFFICIALI DELLA CUPOLA
Ufficio istituito nel 1419 per affiancare lo schieramento ordinario degli operai nel
seguire da vicino la costruzione della cupola; è costituito da quattro membri
appositamente eletti dall'Arte della Lana per la durata di un anno, è variamente
rinnovabile e non retribuito. Organo consultivo, non autorizzato a delibere o
stanziamenti.
QUATTRO UFFICIALI DELLA SACRESTIA
Ufficio elettivo non retribuito dell'Arte della Lana, istituito per la prima volta nel
1413, ma stabilmente solo dal 1426, per difendere ed esercitare i diritti dell'Arte della
Lana nella gestione de divinis in cattedrale. Dal 1427 furono riunite sotto di loro
anche le funzioni degli ufficiali della cupola. Nelle fonti questi alti ufficiali
compaiono spesso, seppure impropriamente, denominati Sagrestani.
UFFICIALI SOPRA L'ALTARE E SEPOLTURA DI SAN ZANOBI, GLI ORGANI,
I PERGAMI E ALTRI LAVORI
Ufficio elettivo dell'Arte della Lana, non retribuito, di durata indeterminata istituito
nel 1432 per sollecitare e gestire direttamente alcuni prestigiosi lavori all'interno della
croce della chiesa in previsione della sua apertura al culto. Fu composto da tre exoperai,
tra cui Matteo di Simone Strozzi fino al suo allontanamento per via dell'esilio,
che lo colpì nel 1434. Essi ebbero inizialmente autorità di distribuire fondi per i
progetti loro affidati, ma la gestione non risultò efficace e l'ufficio fu soppresso nel
1437.
RAGIONIERI DELL'ARTE DELLA LANA
Ufficiali eletti dall'Arte tra i propri iscritti per rivedere le ragioni dei camarlinghi
dell'Opera.
Incarichi elettivi accessibili agli esterni dell'Arte della Lana.
NOTAIO
Notaio dell'Opera eletto dall'Arte della Lana, normalmente per periodi annuali
rinnovabili. L'incarico, retribuito, comprende la rogazione e redazione ufficiale in
latino di tutti gli atti degli operai, quali le delibere e gli stanziamenti.
PROVVEDITORE
Ufficiale amministrativo salariato, eletto dall'Arte della Lana, con incarico di durata
variabile e rinnovabile. Il provveditore segue i lavori e le forniture del cantiere e tiene
per conto proprio copia degli stanziamenti e di altri atti, redatta in volgare.
CAPOMAESTRO
Incarico elettivo dell'Arte della Lana di capocantiere dell'Opera, salariato. Nel
periodo precedente la costruzione della cupola esso comprendeva tradizionalmente un
importante ruolo progettuale. Negli Anni della Cupola, invece, l'ufficio verrà
denominato di Capomaestro dell'Opera per distinguerlo da quello degli architetti
responsabili del progetto della cupola, Brunelleschi e Ghiberti, propriamente noti
come Provveditori della Cupola. In questo periodo l'incarico, annuale e rinnovabile, è
stabilmente ricoperto da Battista d'Antonio, che comparirà anche come Vice
Capomaestro dell'Opera, quando lascerà l'incarico formale al figlio.
PROVVEDITORI DELLA CUPOLA
Per gli Anni della Cupola vi sono due provveditori responsabili del progetto e della
realizzazione della cupola, Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, eletti dall'Arte
della Lana con incarico annuale rinnovabile fino alla fine del lavoro. L'ufficio è
variamente retribuito nel corso degli anni.
SCRIVANO DELLE GIORNATE
Ufficiale eletto a seguire le presenze delle maestranze nel cantiere dell'Opera;
incarico rinnovabile con retribuzione salariale.
MESSI ED ESATTORI
Ufficiali eletti dagli operai per servire il loro ufficio nelle commissioni e per le
riscossioni delle spettanze in città e in contado. Ufficio di durata variabile e
rinnovabile, variamente retribuito.
AVVOCATO DELL'OPERA
Ufficio straordinario per elezione diretta da parte dell'Opera al fine di tutelare i propri
interessi in eventuali vertenze. La nomina è tipicamente annuale, retribuita con
onorario.
NOTAIO DEI TESTAMENTI
Incarico elettivo da parte dell'Opera, saltuario e talvolta retribuito a provvigione
anziché a salario, per la rilevazione e la riscossione dei diritti spettanti all'Opera sui
testamenti.
RAGIONIERI
Ufficiali eletti dall'Opera per seguire i propri diritti presso gli uffici comunali, come
le prestanze e le nuove gabelle, tenuti a contribuire alle finanze della cattedrale. Si
tratta di incarichi retribuiti di durata normalmente limitata e saltuaria nel tempo.
Uffici elettivi dislocati rispetto alla gestione centrale dell'Opera
GUARDIA DELLA SELVA
Ufficio elettivo dell'Opera per tutelare i propri interessi nelle foreste del Casentino
attribuitele dal Comune. Incarico salariato, rinnovabile, di durata variabile.
PROVVEDITORI DI CANTIERI ESTERNI
Sono varie e numerose le situazioni che hanno dato luogo all'elezione, da parte
dell'Opera, di personale salariato con l'incarico di seguire sedi di lavori dislocate
rispetto alla Cattedrale. Così si trovano provveditori abilitati alla cava di Trassinaia,
ai lavori dell'appartamento papale in Santa Maria Novella, alle fortificazioni in
contado.
I Maestri erano veramente tanti, e ognuno si dedicava alla propria specialità. Poteva
essere vetraio, addirittura musico, ma quelli che a noi più interessano sono lo
scalpellino (o scalpellatore), il maestro di piccone, il maestro di cazzuola, quello per
la lanterna.
A questo proposito, interessantissimo è un decreto del 1417 che nominava i maestri di
piccone con relativo capomagister per la costruzione della strada che portasse alla
Selva, i quali dovevano anche tenere il conto delle spese necessarie per inviare gli
operai a prendere il legname di cui vi era necessità. Il bacino di approvvigionamento
cui ci si riferisce erano i boschi casentinesi, mentre le pietre venivano ricavate nei
pressi di Settignano dove, durante una passeggiata, ho trovato un cartello che indica
la “Sentieristica degli Scalpellini”.
Sono repertoriate addirittura le spese per l’acquisto della pietra per il filo a piombo,
quelle per i compassi con segno dell'Arte Lana , eseguito da Giovanni d'Antonio di
Banco, intagliatore di pietre, ed il premio mensile di un fiorino per un Maestro, così
come la paga di due mesi di uno Scalpellatore o l’importo dovuto all’Opera del
Duomo di Firenze quale cauzione da parte dell’Abbazia di Passignano a causa di un
loro manovale che evidentemente era stato catturato a Firenze, e ancora l’acquisto di
capretti come dono agli Operai, il 6 Aprile 1417, molto probabilmente
approssimandosi la Pasqua.
Curioso un documento del 16 Aprile 1417 che attesta la “Elezione del sollecitatore di
maestranze lavoranti in alto. Francesco di Lorenzo, sarto sollecitatore dei maestri e
manovali”; sì, perché non tutti lavoravano lassù, alla cupola…Bisognava avere
qualità particolari, non ultima quella di non soffrire di vertigini, ma anche grandi
capacità muratorie.
A questo proposito, quanti di noi hanno sempre creduto che Ser Filippo Brunelleschi
si presentasse ai maestri muratori e mostrasse loro il progetto da eseguire senza
discussioni? Errore madornale! Il 31 Agosto 1418, infatti, si provvede ad eleggere i
maestri per controllare la fattibilità del modello di Brunelleschi. Sono in realtà due
operai, Giovanni Tommaso de Corbinelli e Piero Filippi del Signore Leonardo degli
Strozzi, ad eleggere i Maestri in questione:
«Item quod Iohannes et Pierus duo ex dictis operariis eligant magistros qui stent ad videndum
laborium et modellum Filippi ser Brunelleschi et si fieri potest ut dicunt etc.»
Sappiamo quindi che Brunelleschi presentò il suo progetto e chiese alle maestranze se
erano in grado di realizzarlo, sottintendendo con questo che se i Maestri Muratori
avessero detto di no, no sarebbe stato. Ciò la dice lunga sull’autonomia e
insindacabilità del loro giudizio, in quanto unici esperti ed esecutori.
Il 4 Febbraio 1425 viene emesso un «Ordine di seguire nell'avanzamento dei lavori
della cupola il rapporto redatto da quattro esperti su commissione di tutti gli ufficiali
responsabili», il cui testo, riportato per esteso, viene approvato, riservando piena balia
agli operai e agli ufficiali della cupola, seguito dalla nomina di un Capomaestro
Maestro Esperto, nella persona di Battista D’Antonio.
Interessante, a questo proposito, il ritrovamento di una piccola cupola durante gli
scavi effettuati da Cooperativa Archeologia per l’ampliamento del museo dell’Opera
del Duomo. Considerata la sorella minore della Cupola del Duomo di Santa Maria del
Fiore, posizionata nell’area dell’ex Teatro degli Intrepidi, in seguito trasformato in un
garage, potrebbe veramente essere il modello realizzato in miniatura per verificarne
la fattibilità. In effetti è costruita con le creste e vele a coltello, trasversali, a distanza
di circa un braccio fiorentino e realizzata con mattoni in scala a spina di pesce, la
stessa tecnica usata nell’architettura della Cupola da Filippo Brunelleschi.
Gli scavi avrebbero inoltre portato alla luce, nell’area del cantiere della Cupola del
Duomo (1420-1436), strutture databili tra il XIV e il XV secolo, riconducibili alle
attività ivi svolte.
Concludo il mio studio con la considerazione che esiste un legame mai interrotto con
il passato, una trasmissione che viene da molto lontano e che rappresenta, in un certo
senso, il nostro vero “lignaggio”.
La continuità con la tradizione è ciò che oggi ci qualifica, e il mio auspicio è che ci
dedichiamo maggiormente alla conoscenza di ciò che è avvenuto in Italia, culla di
una evoluzione storica e umana che non ha riscontri altrettanto originali in altri paesi.
Appartenere all’Arte Muratoria è dunque un filo rosso senza soluzione di continuità,
che si perde nella notte dei tempi e che ci rende orgogliosi nel ricordo di coloro che
tanto ci hanno lasciato, pur nella conservazione dei segreti necessari. Oggi il concetto
di segreto non è più relativo alle tecniche costruttive, ma coinvolge piani più sottili
certamente non meno importanti.
A tal proposito, vale sempre la pena di ricordare ciò che asseriva Giacomo Casanova
nelle sue Memorie:
«Il segreto della Libera Muratoria è inviolabile per sua propria natura, perché il
libero muratore che lo conosce, lo conosce soltanto per averlo indovinato. Egli non
lo ha appreso da alcuno. L’ha scoperto a forza di frequentare la loggia, di osservare,
di ragionare di dedurre».
BIBLIOGRAFIA:
Esistere o apparire – Pirodda, Collesano, Moio, Ghidoni
Corpus documenti digitalizzati Opera del Duomo – Firenze
Da “operativa” a “speculativa”: origini ed evoluzione della Massoneria – L.C.
Schiavone
I Maestri Comacini: precursori italici della Masson