Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.
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martedì 8 aprile 2008
IL CASO PETER ARKADEVIC STOLYPIN
“Stolypin: chi era costui?” si chiederebbe un pò stralunata una marea di persone, cui venisse posto il dilemma di dare una collocazione storica a questo nominativo. Alla stregua di Don Abbondio alle prese col nome di Carneade, ognuno fingerebbe di scandagliare le meningi per concludere infine con le braccia sconsolatamente aperte in segno di resa. E allora, poiché c’è da scommettere che la figuraccia non risparmierebbe persino qualche docente di storia, non ci resta che salutare con soddisfazione il recente studio che, per i tipi di Controcorrente di Napoli, il dottor Bruno Tarquini ha voluto dedicare al personaggio. Diciamo subito che l’oggetto della ricerca riguarda una di quelle figure destinate a finire nel dimenticatoio della storia ufficiale, per le loro idee non in sintonia con il modo di vedere corrente. Per Stolypin ne è prova l’assoluta mancanza di siti a lui dedicati su Internet, mentre anche dal punto della produzione libraria non si segnalano che sporadiche biografie, mai tradotte da noi, come quelle curate dal suo pronipote Dmitrij Stolypin o da Abraham Ascher.
Proviamo qui a capire le ragioni dell’ostracismo, dicendo subito che Stolypin cercò di attuare un programma di riforme che, se fosse giunto a termine, avrebbe forse risparmiato alla Russia zarista gli orrori del bolscevismo. E questa può essere di per sé una prima risposta. Ma vi sono altri elementi che giova considerare. Discendente da antica famiglia nobile, egli non volle tuttavia fregiarsi del titolo di conte che Nicola II gli conferì, mostrando già con questo gesto di qual tempra fosse. Uomo di grande modestia, si nutrì del contatto diretto con il popolo che non considerò mai “un mito con la maiuscola”, per dirla con Julius Evola, “ma una somma di individui reali”. In sostanza, anziché pretendere di rappresentare i bisogni di un popolo bazzicato al massimo a livello cerebrale da illuministi e giacobini d’ogni sorta, Stolypin volle raccogliere dalla viva voce dei contadini tutte quelle delusioni ed aspettative, che in quel momento ne facevano un combustibile pronto ad infiammarsi al primo soffio rivoluzionario. Ebbe così modo di elaborare sul campo soluzioni che possono apparire addirittura paradossali per la loro arditezza, visto che cercavano di conciliare con la modernità una visione feudale indirizzata a beneficio dell’intera nazione, anziché di pochi. Essendo nato nel 1862, e cioè ad un anno dall’abolizione della servitù della gleba ad opera di Alessandro II, aveva avuto modo di toccare con mano i problemi provocati nella società russa dalla riforma. Il decreto del 1 marzo 1861 non produsse infatti miglioramenti significativi per la maggior parte dei suoi destinatari (contadini e feudatari), che videro frapporsi tra di loro le Comunità rurali (Mir) nelle vesti di detentrici pro tempore dei fondi rustici. Anche se era possibile il riscatto delle terre, l’indebitamento dei contadini durava interi decenni, con l’aggravante che spesso toccavano loro in sorte particelle poco omogenee e meno estese di prima. Tra l’altro, era persino svanito ogni minimo impegno a coltivare gli appezzamenti da parte dei contadini, i quali alla fine se li vedevano portar via dai Mir che li assegnavano ad altri.
Stolypin ebbe occasione di fare le sue prime esperienze a Kovno, dove fu assegnato col grado di maresciallo di nobiltà nell’ultimo decennio del XIX secolo. Qui applicò per la prima volta i suoi programmi, che miravano ad eliminare l’intermediazione dei Mir permettendo ai contadini di trasformarsi in proprietari terrieri in poco tempo. I successi riportati gli fruttarono nel 1903 la nomina a governatore di Saratov, che costituiva la classica gatta da pelare per via dei continui tumulti innescati dalla miseria. Cooptato tre anni dopo come ministro dell’interno, subito dopo divenne primo ministro in concomitanza con la crisi che contrappose i fautori dell’autocrazia zarista ai sostenitori dei poteri legislativi dell’Assemblea legislativa (Duma). Stolypin aveva ormai capito che l’unico espediente capace di affrancare i contadini dall’abbrutimento, sottraendoli nel contempo alla propaganda sovversiva, era quello di mettere a loro disposizione “un lotto di terra, dapprima provvisoriamente a titolo di esperimento e in seguito definitivamente in piena proprietà”. Secondo Emmanuel Malynski, egli mirava a “costituire una società personalistica e decentralizzata, basata sulla proprietà privata”, che era l’opposto di quella “centralizzata e collettivizzata, basata sul capitale privato”. Era altresì convinto che le rendite agrarie dovessero essere impiegate nella stessa terra per migliorarla, anziché essere affidate all’anodina speculazione bancaria. Voleva di conseguenza che le proprietà più estese fungessero da centri d’attrazione per quelle minori, costituendo il nucleo iniziale di un’industrializzazione in grado di resistere alla penetrazione della finanza internazionale. Si muoveva in sostanza su un piano diametralmente opposto a quello che invece aveva sin lì battuto un altro primo ministro, quel Sergeij Julevic de Witte che, spalancando le porte della Russia all’invasione dei capitali francesi, aveva avviato un tipo d’industrializzazione di stampo capitalistico con quanto di negativo ne conseguiva. Come notò Evola negli anni Trenta, Stolypin, lungi dal voler realizzare forme di socializzazione o di statizzazione, auspicava tra latifondi e piccole proprietà “un sistema di scambi e di prestazioni reciproche”, destinate “ad abolire sia la proletarizzazione che la tirannide del capitale” e a creare di fatto un ordinamento autarchico. In definitiva, egli preconizzava un regime di proprietà immobiliare che, estendendosi anche allo sfruttamento del sottosuolo, avrebbe dato l’avvio ad un sistema a circuito chiuso orizzontale e verticale, in cui il credito si sarebbe ammortizzato da sé attraverso la reciprocità dei servizi. E le stesse crisi di superproduzione, che generano miseria nel sistema capitalistico, si sarebbero trasformate nell’opposto col sistema di Stolypin. Come si vede, egli, essendo tra l’altro sostenitore di uno “Stato cristiano” le cui leggi dovevano ispirarsi al precetto divino, si discostò completamente dai principi che avevano preso piede altrove dopo la Rivoluzione francese. Presentò allora un disegno di riforma agraria, che però incontrò nella Duma resistenze così forti da indurlo a scioglierla anticipatamente. Ottenuta un’assemblea meno ostile, condusse in porto il suo progetto di soppressione dei Mir a fronte della creazione di una classe di piccoli proprietari terrieri (kulaki), sostenuti da un’apposita Banca agraria. Ciò gli permise nel giro di pochissimo tempo di iniziare la colonizzazione degli immensi territori orientali, che la Transiberiana costruita dal de Witte aveva ignorato. Stolypin ne fece estendere il percorso attraverso le ricche lande del Sud della Siberia, che, pur vantando un’estensione addirittura superiore alla nostra Europa, erano pressoché deserte per mancanza di vie di collegamento. Però, affinché il programma potesse realizzarsi, occorreva che venisse assicurato al paese un periodo continuativo di pace, che lo Stesso Stolypin quantificò in un ventennio. Di conseguenza, s’impegnò a realizzare questa condizione indispensabile. Ciò lo costrinse ad adottare il pugno di ferro all’interno contro i movimenti terroristici anarchici e nichilisti, mentre in politica estera cercò di evitare all’occorrenza il ricorso alle armi, facendosi propugnatore sin da allora di un organismo internazionale capace di dirimere i casi più gravi di controversie tra Stati. Nella difesa del suo programma, non disdegnò mai di misurarsi in Parlamento dove ingaggiava coraggiosi scontri dialettici che volevano convincere gli scettici della necessità di creare attraverso i proprietari-contadini la classe portante del regime zarista. Oltre che dagli avversari, non fu però capito neanche dai conservatori più accesi, che mal tolleravano la presenza di organi elettivi che mettevano in ombra i poteri dello zar. Il 1 settembre 1911, mentre assisteva a Kiev ad una rappresentazione teatrale, fu abbattuto dalla rivoltella di un attentatore di nome Bogrov che riuscì là dove avevano fallito tanti altri terroristi in precedenza. La sua scomparsa sembrò preannunziare quella dei Romanov, che di lì a poco si sarebbero irrimediabilemte invischiati nel primo conflitto mondiale che ne segnò la tragica fine. Anche se il delitto portò all’immediato arresto dell’omicida, le indagini non riuscirono o non vollero risalire ai mandanti. Sicché, mentre è certo che con il grande statista moriva pure il suo sogno, ancor oggi resta in ombra chi abbia armato la mano del suo assassino. Certo, furono in molti, forse in troppi, a desiderarne la morte. E tutti appartenevano stranamente a fronti opposti che andavano da quello della sovversione per finire a quello della reazione. Gli antisemiti non mancarono di sottolineare che Bogrov era ebreo. Crediamo che questo particolare non possa esser messo in rapporto con una qualsivoglia attività dell’ucciso in senso razzista. Seppure la pregiudiziale antigiudaiuca non difettasse in alcun ambiente dell’epoca, la politica di Stolypin non ne fu influenzata. Risulta anzi dalla Piccola Enciclopedia giudaica del 1976 che, appena sei mesi dopo la sua nomina a premier, Stolypin presentò inutilmente alla Duma e allo stesso zar una risoluzione che mirava a sopprimere alcuni divieti che discriminavano gli ebrei. Ci riprovò in seguito alla chetichella con misure amministrative, tirandosi addosso le ire dei partiti razzisti tanto che l’Unione del Popolo Russo finì per sedersi all’opposizione parlamentare. I suoi tentativi non furono però apprezzati neanche da una parte del mondo ebraico, che non gli perdonava la “nazionalizzazione del credito” di cui s’è detto. Come ha ben rilevato Bruno Tarquini, altre sono le ragioni dell’omicidio. Esse vanno ricercate nelle qualifichedell’attentatore tanto di “membro del partito rivoluzionario socialista” quanto di informatore della polizia dell’attentatore. Il che fa intuire che “l’attentato fu esclusivamente di natura politica”. E’ probabile che, salvo imprevisti colpi di scena dovuti al rinvenimento di qualche documento sconosciuto, la verità non si sappia mai. Resta però scontato che qualcuno volle far pagare a Stolypin il coraggio mostrato nell’avventurarsi nel mare aperto di riforme tanto contrastate. Il 27 aprile 1911, poco prima della morte, Stolypin rivendicò “la politica viva e determinata” sin lì condotta, concludendo che non vi fosse “peccato più grande per chi è al potere di declinare vilmente la propria responsabilità”. Un epitaffio perfetto per la sua tomba oggi negletta perché egli percorse con coerenza la strada intrapresa. In fondo, l’attendeva la canna fredda d’una pistola.
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