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lunedì 21 marzo 2016

IL FUTURO DELL'EURO ZONA



 
            L’intervento del Presidente della Bce Mario Draghi al Consiglio europeo.
                                               di Antonio Laurenzano
“Fare chiarezza sul futuro dell’Eurozona”. E’ forte il richiamo alle responsabilità della politica lanciato dal Presidente della Bce Mario Draghi a margine dell’ultima sessione economica del vertice Ue di Bruxelles. L’economia non cresce e permangono i timori legati a una deflazione che rischia di allontanare ogni ripresa. E in questa fase di persistente crisi economica particolarmente efficace è il ruolo che sta svolgendo l’autorità monetaria di Francoforte con misure di grande respiro. Significativo il “pacchetto” varato la scorsa settimana: taglio dei tassi d’interesse, acquisti mensili di titoli, anche aziendali (“corporate bond”), finanziamenti alle banche a tasso zero, con un premio in caso di aumento del credito all’economia reale.   
Ma la politica monetaria a sostegno dell’economia ha i suoi limiti, non può affrontare le debolezze sistemiche dell’economia europea. E Draghi lo dice chiaramente: servono riforme strutturali, investimenti pubblici e riduzione delle tasse per far ripartire la domanda. Spetta cioè alla politica recuperare la sua centralità per reagire alla crisi, spetta ai Paesi dell’Eurozona rafforzare la governance dell’euro, superando ogni divisione,  e rispondere all’austerità tedesca.  
Come ha ribadito di recente Giorgio La Malfa sul Corriere, l’unificazione monetaria sta pagando la mancanza di una unione politica, e quindi di un’unione fiscale dei Paesi firmatari del Trattato istitutivo dell’UEM. Si sperava che le regole fissate a Maastricht e le loro successive modificazioni avrebbero consentito ai Paesi dell’Eurozona una crescita forte ed equilibrata. Speranza spazzata via dalla crisi economica e finanziaria del 2007! Senza una vera unione fiscale e una banca centrale prestatore di ultima istanza ogni Paese risponde da solo dei debiti emessi dal suo governo con la conseguenza che eventuali dubbi circa la sua solvibilità provoca un aumento dei tassi d’interesse, una rarefazione del credito, l’arresto della crescita. Ai singoli Paesi sono stati tolti gli strumenti monetari con i quali, prima dell’Unione, affrontavano le crisi macroeconomiche, in primis la svalutazione della moneta nazionale, senza trovarne altri per affrontarle all’interno delle regole che l’Unione si è data. E questo vuoto regolamentare, aggravato dai vincoli imposti alle finanze pubbliche dal Fiscal compact del 2012, ha finora avvantaggiato quei Paesi che sono entrati nell’Unione in una situazione di maggiore stabilità: debito pubblico sotto controllo, flessibilità del costo del lavoro, organizzazione industriale e amministrazione pubblica più efficiente.   
Il richiamo di Draghi va proprio in direzione del superamento degli attuali squilibri economici presenti all’interno dell’Unione: promuovere una revisione profonda dei trattati istitutivi dell’Unione europea con la realizzazione di una unione fiscale di supporto a quella monetaria, con un forte consenso politico dei Paesi che vi aderiscono. Nell’Eurozona l’infinita disputa politica sui vincoli di bilancio ha fatto perdere di vista il nodo centrale della questione: la ripresa economica in un contesto di economia globalizzata dove la forza del mercato in continua evoluzione spiazza non solo le sovranità monetarie ma anche quelle politico-statuali.
Nel quadro europeo sono profonde le divergenze di strutture e di interessi politici ed economici per poter elaborare una comune strategia finalizzata a rafforzare la governance dell’euro. La sfiducia che serpeggia nell’opinione pubblica nei confronti dell’Europa e delle sue istituzioni nasce proprio dalle faide di palazzo e dai tanti egoismi che ritardano ogni progetto di maggiore  integrazione. L’Unione avrà un futuro se dimostra di saper costruire crescita e benessere e non un’asfittica gabbia di procedure!      



   

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