L’intervento del Presidente della Bce Mario Draghi al
Consiglio europeo.
di Antonio Laurenzano
“Fare chiarezza sul futuro dell’Eurozona”. E’ forte il
richiamo alle responsabilità della politica lanciato dal Presidente della Bce
Mario Draghi a margine dell’ultima sessione economica del vertice Ue di
Bruxelles. L’economia non cresce e permangono i timori legati a una deflazione
che rischia di allontanare ogni ripresa. E in questa fase di persistente crisi
economica particolarmente efficace è il ruolo che sta svolgendo l’autorità
monetaria di Francoforte con misure di grande respiro. Significativo il “pacchetto”
varato la scorsa settimana: taglio dei tassi d’interesse, acquisti mensili di
titoli, anche aziendali (“corporate bond”), finanziamenti alle banche a tasso
zero, con un premio in caso di aumento del credito all’economia reale.
Ma la politica monetaria a sostegno dell’economia ha i suoi
limiti, non può affrontare le debolezze sistemiche dell’economia europea. E
Draghi lo dice chiaramente: servono riforme strutturali, investimenti pubblici
e riduzione delle tasse per far ripartire la domanda. Spetta cioè alla politica
recuperare la sua centralità per reagire alla crisi, spetta ai Paesi dell’Eurozona
rafforzare la governance dell’euro, superando ogni divisione, e rispondere all’austerità tedesca.
Come ha ribadito di recente Giorgio La Malfa sul Corriere,
l’unificazione monetaria sta pagando la mancanza di una unione politica, e
quindi di un’unione fiscale dei Paesi firmatari del Trattato istitutivo
dell’UEM. Si sperava che le regole fissate a Maastricht e le loro successive
modificazioni avrebbero consentito ai Paesi dell’Eurozona una crescita forte ed
equilibrata. Speranza spazzata via dalla crisi economica e finanziaria del 2007!
Senza una vera unione fiscale e una banca centrale prestatore di ultima istanza
ogni Paese risponde da solo dei debiti emessi dal suo governo con la
conseguenza che eventuali dubbi circa la sua solvibilità provoca un aumento dei
tassi d’interesse, una rarefazione del credito, l’arresto della crescita. Ai
singoli Paesi sono stati tolti gli strumenti monetari con i quali, prima
dell’Unione, affrontavano le crisi macroeconomiche, in primis la svalutazione
della moneta nazionale, senza trovarne altri per affrontarle all’interno delle
regole che l’Unione si è data. E questo vuoto regolamentare, aggravato dai
vincoli imposti alle finanze pubbliche dal Fiscal compact del 2012, ha finora
avvantaggiato quei Paesi che sono entrati nell’Unione in una situazione di
maggiore stabilità: debito pubblico sotto controllo, flessibilità del costo del
lavoro, organizzazione industriale e amministrazione pubblica più
efficiente.
Il richiamo di Draghi va proprio in direzione del superamento
degli attuali squilibri economici presenti all’interno dell’Unione: promuovere
una revisione profonda dei trattati istitutivi dell’Unione europea con la
realizzazione di una unione fiscale di supporto a quella monetaria, con un
forte consenso politico dei Paesi che vi aderiscono. Nell’Eurozona l’infinita
disputa politica sui vincoli di bilancio ha fatto perdere di vista il nodo
centrale della questione: la ripresa economica in un contesto di economia
globalizzata dove la forza del mercato in continua evoluzione spiazza non solo
le sovranità monetarie ma anche quelle politico-statuali.
Nel quadro europeo sono profonde le divergenze di strutture e
di interessi politici ed economici per poter elaborare una comune strategia finalizzata
a rafforzare la governance dell’euro. La sfiducia che serpeggia nell’opinione
pubblica nei confronti dell’Europa e delle sue istituzioni nasce proprio dalle
faide di palazzo e dai tanti egoismi che ritardano ogni progetto di maggiore integrazione. L’Unione avrà un futuro se
dimostra di saper costruire crescita e benessere e non un’asfittica gabbia di
procedure!
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