Dott. Pietro Vitale, Direttore del blog International
del Prof Antonio Laurenzano
9 novembre 1989: una data storica che rivive
nelle coscienze. Quel giovedi di trent’anni fa, dopo oltre 28 anni, cade il
muro di Berlino che dal 13 agosto 1961 aveva di fatto tagliato in due non solo
una città, ma un Paese, un Continente. Cadeva
uno dei simboli della guerra fredda, la “cortina di ferro”, il simbolo della
divisione del mondo in due blocchi politici, economici e militari contrapposti:
quello americano sotto l’egida della Nato e quello sovietico sotto l’egida del
Patto di Varsavia, l’alleanza tra gli Stati comunisti segnata dal terrore del regime.
Per l’opinione pubblica mondiale la costruzione
del “muro della vergogna” fu uno shock, accettato colpevolmente dalle
cancellerie occidentali per “salvaguardare la stabilità dei due blocchi in
Europa”. Solo dopo, quando le conseguenze della brutale divisione della
Germania diventarono sempre più evidenti nella loro drammaticità, si
registrarono le prime reazioni. Famosa è rimasta la visita a Berlino del
Presidente americano J.F.Kennedy che pronunciò in lingua tedesca, davanti a
migliaia di berlinesi, la storica frase: “Ich bin ein Berlinen”, “Anche io sono
un abitante di Berlino”.
Parole suggestive che non servirono però a
rimuovere una delle più grandi vergogne della storia del XX secolo: 43 Km di muro che separavano
Berlino Est da Berlino Ovest. Lo sbarramento che chiudeva ermeticamente il
resto della RDT, la micidiale “striscia della morte”, aveva una lunghezza di
circa 112 Km e un’altezza di oltre tre metri e mezzo. Drammatico è stato il
contributo di sangue a questa follia: 130
i cittadini dell’Est in fuga verso la libertà uccisi dal fuoco dei
soldati di frontiera della Germania comunista, gli spietati VoPos. Altri
annegarono tragicamente nelle fredde acque del fiume Sprea che tagliava gli
sbarramenti.
La svolta la sera del 9 novembre 1989: il muro si
sgretolava sotto le pacifiche picconate di migliaia di persone, a seguito della
“revoca delle restrizioni per i viaggi all’estero” annunciata in diretta tv,
nel corso di una conferenza stampa, da Gunter Schabowski, alto funzionario di
partito nella RDT. Le lacrime e gli
abbracci dei berlinesi ricongiunti sotto lo stesso cielo suggellarono l’atto
finale della implosione comunista, la dissoluzione dell’Unione sovietica propiziata
dalla perestrojka di Michail Gorbaciov. Con la caduta del muro venne restituita
la libertà e la dignità a milioni di persone. I Paesi del blocco comunista
tormarono nella comunità dell’Europa dell’umanesimo. Dal totalitarismo alla
democrazia. Fu il riscatto di intere popolazioni da una lunga oppressione.
Dopo anni di violenta divisione, per la Germania
l’anno zero, la “wende”. La “rivoluzione di velluto” fu il preludio della riunificazione
tedesca. Un’operazione politica fortemente osteggiata dall’allora primo
ministro britannico Margaret Thatcher e, inizialmente, dal presidente francese
Mitterand per i quali le ombre del passato non erano ancora fugate. Lo stesso
nostro ministro degli esteri del Governo Craxi, Giulio Andreotti, con la
consueta sottile ironia affermava: “Amo così tanto la Germania che ne voglio
due.” Una Germania unita, un gigante egemone al centro dell’Europa faceva
nuovamente paura. Per tutti prevalse la realpolitik: diffidenze, dubbi e timori
si dissolsero dinanzi al disegno della moneta unica che in quegli anni andava
prendendo forma. In cambio della rinuncia al marco e del sostegno all’euro da
parte del Cancelliere Helmut Kohl, instancabile artefice dell’operazione, cadde ogni riserva sul processo di riunificazione
tedesca che si concluse formalmente il 3 ottobre 1990, con generale soddisfazione
di tutti i partner europei nella prospettiva di un’Europa più forte sullo
scacchiere internazionale.
In un rinnovato clima di forte tensione morale, la
Germania, ai piedi della storica Porta di Brandeburgo, celebra il Trentennale della
caduta del muro. Il tutto per raccontare i cambiamenti sociali e architettonici
che hanno interessato la grande metropoli tedesca (3,8 milioni di abitanti) negli
ultimi trent’anni, tornata ad essere dal 20 giugno 1991 capitale di un Paese
testimone di uno degli eventi più importanti del XX secolo che ha cambiato
profondamente l’Europa e gli equilibri mondiali.
Ma la “storia del Muro” ha insegnato qualcosa a
quei Paesi dell’Est impegnati a ricostruire muri e recinzioni nel segno di
anacronistiche divisioni? Il timore è che la miopia storico-politica di qualche
novello “padre della patria” possa alimentare pericolosi rigurgiti
nazionalistici e riesumare i tristi fantasmi del passato. Una brutta pagina di
storia del Vecchio Continente. La libertà dei popoli non può essere barattata in nome di illusori
sovranismi!
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