Ordini Cavallereschi Crucesignati

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mercoledì 23 aprile 2008

LA BATTAGLIA di ALAMO

di Marabello Dott. Gaetano (presidente del Comitato Scientifico)

Poco tempo fa la Disney ha dedicato un film alla battaglia di Alamo, spendendovi oltre 100 milioni di dollari che non sono stati però compensati dal mezzo fiasco registrato al botteghino. La tiepida accoglienza riservata dal pubblico a questa ennesima riproposta (ben 13 volte!) del celebre scontro tra messicani e americani è probabilmente dovuta al fatto che stavolta i fatti venivano riproposti sic et simpliciter come s’erano svolti. Ciò faceva storcere la bocca a chi si aspettava il solito pistolotto sugli eroi di Alamo. E la verità storica, si sa, mal si concilia con le esigenze dello spettacolo, dal quale lo spettatore pretende che indulga sempre su qualche stereotipo consolidato come quello proposto negli anni sessanta da John Wayne, con la regia non dichiarata di John Ford. Figuriamoci quindi quale effetto può aver sortito sugli americani, che mettono Alamo sullo stesso piano delle Termopili, una visione non manichea della vicenda.
Quella domenica del 6 marzo 1836 ci volle in effetti un intero esercito messicano per spuntarla con un pugno di soli 182 gringos, che s’erano barricati nella ex missione francescana di San Antonio, denominata Alamo per i filari di pioppi (alamos) che ne fiancheggiavano le mura. Certo, difendersi per 13 giorni in tali condizioni d’inferiorità è un atto d’eroismo, se non d’incoscienza. Ciò non deve indurre a dipingere come spietato il nemico perché non risparmiò nessuno dei difensori, non fosse altro perché quello stesso nemico aveva offerto invano l’amnistia e aveva preannunziato le sue intenzioni col suono lugubre del deguello e con l’esposizione di una bandiera rossa in bella vista.
Poiché la tendenza generale è volta a sorvolare sia sulle vere ragioni degli avvenimenti, sia sugli aspetti meno nobili dei suoi protagonisti principali, vediamo di fare chiarezza. La causa prima dello scontro va ricercata nella politica estera degli Stati Uniti, che tra il 1806 ed il 1919 è costata la bellezza di 14 aggressioni al Messico. La disgrazia di questo paese, secondo un motto locale, è di essere “così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti”. Profittando delle leggi messicane del 1823 e del 1825 che volevano favorire la colonizzazione delle zone comprese tra il Colorado e il Brazos, nuclei via via più consistenti di speculatori e di pionieri americani si accaparrarono a prezzi irrisori gli immensi territori che oggi corrispondono al Texas. In cambio di tanta manna, veniva chiesto ai coloni di non possedere schiavi che la fede cattolica prevalente in Messico non ammetteva. Nessuno dei nuovi arrivati ottemperò a questa condizione, tanto che una legge dovette espressamente sancire nel 1835 il divieto, che però non venne ugualmente osservato. Analoga fine aveva fatto cinque anni un’altra legge, che poneva un freno all’immigrazione selvaggia. A lungo andare, i coloni pretesero pure l’indipendenza dal paese che li aveva accolti ed iniziarono ad assalire le guarnigioni messicane sparse tra i due fiumi. La conquista di Anahuac e di San Antonio da parte dei ribelli indusse infine il capo del governo Antonio Lopez de Santa Ana a mettersi personalmente alla guida di una spedizione militare per stroncare la secessione. Condusse allora a tappe forzate il suo esercito contro San Antonio, costringendo i ribelli a rinchiudersi in Alamo. Il resto è noto: dopo strenua battaglia, che costò carissima anche agli attaccanti, la ridotta capitolò. Fu poi la volta di Goliad, i cui difensori furono fucilati dopo la resa come traditori, perché tutti i coloni al momento d’impiantarsi nella zona avevano dovuto acquisire la cittadinanza messicana. Le truppe di Santa Ana, sorprese infine durante una siesta. A San Jacinto, furono travolte in pochi minuti dai regolari di Sam Houston che si abbandonarono ad un vero macello contro i fuggiaschi. Ottenuta così l’indipendenza da parte degli sconfitti, il Texas divenne in seguito uno stato degli USA.
Passiamo ora ai protagonisti. Come ha detto giustamente il regista John Lee Hanccock, “molti di loro avevano fallito in un modo o nell’altro”, sicché “Alamo rappresentava la loro seconda chance”. L’appena ricordato Sam Houston, deputato al Congresso americano e comandante in capo dei rivoltosi, era il classico alcolizzato che tanti film hollywoodiani ci hanno trasmesso e che non a caso il popolo Cherokee aveva ribattezzato “l’ubriacone”. Definì “una maledetta menzogna” tutte le missive d’aiuto che provenivano dai due fortini poi distrutti dal generale Santa Ana, perché riteneva che “là non potevano esserci forze messicane”. Una volta sbarazzatosi del comandante di Goliad che mirava a fargli le scarpe per la carica di capo del nascente staterello del Texas, cercò di pararsi dalle critiche che gli piovevano addosso per il mancato invio di soccorsi. Accusò quindi di “disobbedienza” i comandanti delle due piazze, salvo poi sfruttarne la memoria a San Jacinto allorché aizzò i suoi al grido di “Ricordatevi di Alamo e Goliad!”. Il secondo personaggio era William Barret Travis, un oscuro avvocato costretto alla fuga per aver ucciso un presunto corteggiatore della moglie, dalla quale aveva poi divorziato per correre dietro alle gonnelle di Rebecca Cummins. Finì di malavoglia a comandare i regolari ad Alamo, dove fu tra i primi a cadere con una palla in testa. Di carattere intransigente, odiava i messicani ed i bevitori. Entrò perciò subito in urto con Jim Bowie, capo dei volontari e incallito tracannatore di alcool. Quest’ultimo fu costretto ben presto dalla tisi e da una caduta a starsene immobile su una brandina del forte per quasi tutto l’assedio. Secondo i suoi agiografi, sarebbe poi morto nelle ultime fasi della battaglia quando il nemico dilagò ovunque, non prima d’aver ucciso alcuni messicani con il suo micidiale coltello bowie-knife. Tuttavia le sue miserande condizioni fisiche non confortano tale leggenda. Il suo conflitto con Travis non giovò certo alla difesa, pur avendo in comune entrambi l’affiliazione alla massoneria. Prima di fuggire in Texas, era stato un falsificatore di titoli così abile da esser riuscito ad appropriarsi indebitamente di decine di migliaia di acri di terra: Inoltre, aveva trafficato col pirata Jean Lafitte in barba alle leggi che vietavano la tratta degli africani, ricavandone ingenti somme. Il vertice di Alamo veniva completato da David Crockett, popolare cacciatore giunto ufficialmente a dare una mano ai ribelli. In realtà, come scrisse egli stesso alla moglie il 9 gennaio 1836, lo aveva fatto “per mettere insieme una fortuna” in quella terra promessa. Spirito indipendente, da giovane amava anteporre l’aria aperta ai libri, ma ciò non gli impedì in seguito di scrivere un’autobiografia. Il 3 novembre 1813 partecipò al massacro di un intero villaggio di Creek a Tallusahatchee, gloriandosi poi d’aver gustato delle patatine fritte nel grasso di un indiano ucciso. Dotato di una pittoresca verve oratoria, si difendeva dalle accuse di adulterio che gli piovevano addosso dicendo di non esser mai fuggito con la moglie di un altro “che non fosse d’accordo”. La sua opposizione alla decisione di Andrew Jackson di trasferire ad ovest i nativi americani gli costò nel 1834 la candidatura nel partito democratico, nelle cui fila era stato eletto deputato due volte. Della sua mira con il fucile battezzato Betsy si dicevano mirabilie e, stando alle testimonianze degli stessi messicani, pare che ad Alamo non si sia smentito. Delle tre versioni che circolano sulla sua fine, il film in esame accredita quella che lo vede intimare provocatoriamente la resa al nemico che sta per passarlo per le armi. Era, in fin dei conti. il meno antipatico del terzetto a causa della guasconeria, che lo conduceva al punto di vantarsi in pieno Congresso di saper inghiottire senza strozzarsi “un negro intero”, una volta “imburrata la testa e tirati indietro gli orecchi”. Naturalmente, per poter digerire l’ipotetico sventurato, Davy Crockett aveva a disposizione quei fiumi di wisky, del cui abuso veniva spesso accusato da parte degli avversari. A suo dire, però, del tutto ingiustamente, visto che comunque non ce la faceva lo stesso ad ubriacarlo!

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