LA SPENDING REVIEW : IL BUCO NERO DELLA POLITICA ECONOMICA ITALIANA
di
Antonio Laurenzano
La difficile arte del far quadrare i
conti pubblici! Ne sa qualcosa il Ministro Padoan con la Legge di stabilità che
non ha superato a Bruxelles l’esame della Commissione europea. La manovra
italiana per il 2016 è “a rischio di non
conformità con il Patto di stabilità per il significativo scostamento dai
parametri di aggiustamento richiesti per il medio termine”. Tutto rinviato in
primavera per una verifica definitiva. L’obiettivo per il 2016, nella
prospettiva del raggiungimento del pareggio di bilancio, era infatti di un deficit pari all’1,8% del
Pil. Per la Commissione obiettivo mancato: il deficit di bilancio sarà del
2,3%, allontanando così il prescritto equilibrio fra entrate e uscite. Fortemente
censurati il taglio delle tasse sugli immobili (“più opportuna la detassazione
sui fattori produttivi”) e, soprattutto, il modesto intervento sulla spesa pubblica,
un annoso problema alimentato dalla colpevole inerzia della politica italiana a
difesa di sprechi e ruberie di Stato.
In presenza di un debito pubblico che
supera i 2191 miliardi, pari al 132% del Pil, razionalizzare la spesa
rappresenta un impegno di finanza pubblica non più differibile. E la spesa
pubblica italiana è dannatamente elevata: nel 2015 è al 50,8% del Pil, rispetto
al 47,4% della media Ue, al 43,5% della Germania. Ma il “rottamatore” Renzi ha
dovuto arrendersi ai meccanismi oscuri della politica. Cestinata la revisione
delle “tax expenditures” (le detrazioni e agevolazioni fiscali sfiorano le 300
voci!) con le conseguenti dimissioni di Roberto Perotti, commissario alla
spending review. Dopo Giarda, Bondi, Cottarelli, richiamato in Italia dal Fondo
Monetario Internazionale, anche il bocconiano Perotti ha gettato la spugna. Cambiano
i Governi, cambiano premier e ministri, ma la musica rimane la stessa! In Italia tagliare la spesa
pubblica resta impresa ardua. Ai documenti e ai piani di intervento sbandierati
ai quattro venti, la politica -in concreto- non dà alcun seguito e il
Commissario di turno, dopo gli iniziali proclami da …. “gran tagliatore”, non
può fare altro che prendere atto del fallimento della sua missione per le resistenze e i veti incrociati. Viene
confermata la tesi che nel momento in cui la politica riprende la supremazia
nelle decisioni della cosa pubblica i tecnici, prima invocati come salvatori
della patria e poi relegati in miseri
ruoli… coreografici, fanno presto le valigie e lasciano delusi Palazzo Chigi. Emblematica la dichiarazione
di commiato di Roberto Perotti: “In questo
momento non mi sentivo molto utile”!
E con Perotti escono di scena I
prospettati tagli (non lineari) ai ministeri, alle partecipate, ai
superstipendi dei dirigenti dell’apparato centrale e locale dello Stato: il tutto
finisce nel libro che racconta la telenovela delle promesse mancate, di quello
che si sarebbe potuto fare e che invece rimane impaludato nella inquietante mancanza
di volontà politica. Un errore strategico perché la revisione della spesa va di
pari passo con quella del fisco: se si taglia ciò che drena le risorse dal
privato al pubblico, quei tagli consentono interventi sulla leva fiscale per
ridare ossigeno all’economia reale. E la cancellazione della prevista riduzione
per il 2016 dell’imposta sul reddito delle società (IRES) per mancanza di
adeguata copertura ne è la conferma. Ma è cosa nota: alla vigilia di ogni
elezione rimane in vigore “la legge del ciclo elettorale della spesa”. Il
politico non tocca mai comparti sensibili di spesa quanto più si avvicina l’election
day!
La spending review dovrebbe
invece costituire una chiara scelta
programmatica finalizzata ad assicurare “moral suasion” alla politica economica
perché, come ha dichiarato Perotti, “nessun Governo può chiedere sacrifici ai
propri cittadini se prima non dimostra di saper dare una spallata ai privilegi
più assurdi.” E’ una semplicissima
questione di credibilità!
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