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MUSSOLINI E GLI EBREI
di Gianfredo Ruggiero
Le leggi razziali italiane del
1938 furono, senza alcuna ombra di dubbio, una
vergogna nazionale la cui
responsabilità ricade interamente su Mussolini e su quanti, per ignavia o
servilismo, nulla fecero per evitarle.
Il rispetto per le vittime della
discriminazione razziale non può e non deve però impedirci di affrontare
l’argomento con il dovuto distacco e la necessaria serenità di giudizio.
Per troppi anni la storia è stata
viziata da preconcetti e comodi schematismi che ci hanno portati lontano dalla
verità. La stessa storia del popolo ebraico è costellata di stragi e
persecuzioni a causa di un pregiudizio - accusa dei cattolici di aver ucciso
Gesù - cui se ne
sono aggiunti altri nel corso dei
secoli: usura, internazionale ebraica per dominare il mondo attraverso il
controllo delle economie nazionali, devianza sessuale per la pratica della
circoncisione definita un patto con Cristo attraverso il pene, ecc..
Hitler in definitiva non ha
inventato nulla, ha semplicemente portato alle estreme conseguenze, in modo
raccapricciante e disumano, quell’antiebraismo figlio del pregiudizio ancor
oggi presente e che viene da lontano.
Daniel Goldhagen nel suo libro “I
volenterosi carnefici di Hitler”(1) afferma che la persecuzione ebraica fu resa
possibile grazie alla attiva partecipazione o, quantomeno, all’indifferenza se
non addirittura alla compiacenza di buona parte della popolazione tedesca; che
a essere antisemiti non erano solo Hitler ed i suoi seguaci, bensì larghi
strati
della società.
Tale avversione nei confronti
degli ebrei la troviamo radicata anche in altre nazioni, in particolar modo in
Francia e in Polonia.
In Italia la situazione era
invece del tutto diversa. Come hanno riconosciuto autorevoli storici del
calibro di George L. Mosse, docente dell’Università ebraica di Gerusalemme,
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l’autore de “La Nazionalizzazione
della Masse”(2), la più completa opera sul fenomeno dei totalitarismi
contemporanei, Renzo De Felice, il più profondo conoscitore della storia degli ebrei
sotto il fascismo e il rabbino Elio Toaff nel suo libro “essere ebreo”(3) tra i
Paesi
europei l’Italia è uno di quelli
che meno ha conosciuto il razzismo.
A differenza del
nazionalsocialismo che trae la sua essenza nella purezza della razza (razzismo
biologico di origine illuminista e darwiniana), il Fascismo non fu
ideologicamente
razzista.
Nella carta di Piazza San
Sepolcro del 1919, vero e proprio manifesto ideologico cui s’ispirò il Fascismo
nelle sue tre fasi - movimento, regime e sociale - di razzismo non vi è
traccia.
Mussolini stesso ebbe a
dichiarare in più occasioni che in Italia non esisteva una questione ebraica e
guardò con sufficienza alle teorie hitleriane. Nel ’34 a Bari il Duce afferma:
«trenta secoli di storia ci
permettono di guardare con sovrana pietà
talune dottrine di oltr’Alpe…»
Che nel bagaglio ideologico e
culturale del Fascismo non vi fosse alcuna forma di discriminazione a sfondo razziale
lo dimostra la presenza di ben cinque ebrei tra i partecipanti alla fondazione
dei Fasci di Combattimento (embrione del futuro Partito Nazionale Fascista) del
23 marzo 1919; ebreo era il milanese Cesare Goldman che offrì a Mussolini la
celebre sala di Piazza San Sepolcro; la partecipazione alla Marcia su Roma di
molti ebrei e l’iscrizione al
Partito Fascista fino al 1933 - data dell’ultimo censimento – di oltre
diecimila ebrei(4). Senza contare la presenza ebraica in tutti i settori
dell’economia e della vita pubblica e politica italiana fino ai primi mesi del
1939. Il “Manifesto degli intellettuali fascisti” del 1925, redatto dal
filosofo Giovanni Gentile, veniva sottoscritto da ben trentatré esponenti della
cultura di religione ebraica.
Diversi ebrei occuparono posti di
grande rilievo nelle strutture e nelle Istituzioni del Regime basti pensare,
solo per citarne alcuni, a Margherita Sarfatti che fino al 1936 diresse la
rivista ufficiale del Fascismo “Gerarchia” e autrice della biografia di
Mussolini “DUX”, a Ettore Ovazza direttore del giornale “La nostra Bandiera”
punto di riferimento
dell’ebraismo fascista. Nel suo
governo, Mussolini si circondò di una massiccia presenza di ebrei: Aldo Finzi, sottosegretario
agli Interni, ex aviatore della "Serenissima" di D’Annunzio
(fondamentale
fu il suo contributo alla nascita
dell’aeronautica militare italiana), squadrista, deputato e membro del Gran
Consiglio del Fascismo; Guido Jung fu a capo del Ministero delle Finanze dal
1932 al 1935, volontario nella guerra di Abissinia nonostante i suoi 65 anni di
età;
Maurizio Rava, anch’egli ebreo,
fu vicegovernatore della Libia e generale della Milizia Fascista; Paolo Orano,
uno dei padri del giornalismo italiano e rettore dell’Università di Perugia
(morirà nel 1945 nel campo di concentramento anglo-americano di Padula dove era
internato con altri fascisti); Giuseppe Toeplitz, direttore della Banca
Commerciale e
finanziatore del giornale di
Mussolini «Il Popolo d'Italia». Ebreo era anche il prefetto Dante
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Almansi, che fu vice capo della
polizia e Capo di Gabinetto durante il ministero Jung. L’ebreo Giorgio Del Vecchio,
ordinario di Diritto Internazionale, diventa il primo rettore fascista dell'Università di Roma.
Tra i primi caduti della
rivoluzione fascista figurano gli ebrei Gino Bolaffi, Bruno Mondolfo e Duilio
Sinigaglia. Molti altri parteciparono con entusiasmo alla guerra di Spagna come
il generale Alberto Liuzzi che si meritò la medaglia d’oro. Molti furono gli
ebrei italiani che parteciparono volontari alla guerra d’Africa. La vittoria e
la proclamazione dell’impero furono salutate dalla stampa ebraica con vero
entusiasmo. La
conquista dell’Etiopia fu sentita
non solo come una questione nazionale, ma anche come un fatto ebraico, dal
momento che nella zona presso Gondar e il lago Tana viveva una popolazione di
razza cuscitica e di religione giudaica, i falascià.
I rapporti tra istituzioni
ebraiche - che godettero d’ampia autonomia - e regime fascista furono sempre
improntati al reciproco rispetto.
Diversi furono i colloqui tra
Sacerdoti, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Mussolini
che portarono, ad esempio nel campo dell’insegnamento,
all’istituzione di sezioni
elementari ebraiche nelle scuole comunali e alla modifica dei manuali di
religione ad uso dei bambini ebrei nelle scuole statali.
La legge Falco del 1930 sulle
comunità israelitiche italiane, voluta da Mussolini per salvaguardare il
patrimonio artistico, storico e culturale ebraico, fu accolta con grande favore
dagli ebrei italiani.
Artisti, registi e scrittori
ebrei, molti dei quali profughi dalla Germania, poterono liberamente lavorare
nell’Italia fascista senza alcuna preclusione(5).
Significativa fu la
partecipazione di Mussolini al congresso ebraico sionista svoltosi, non a caso
in Italia, a Milano alla fine del 1928.
Apprezzamento per l’attenzione
nei confronti degli ebrei venne dal periodico sionista “Israel” che riconosceva
soddisfatto(6):
«dopo dieci anni di regime fascista,
il ritmo spirituale della vita ebraica in
Italia è più intenso, anzi assai
più intenso di prima»
Altra vicenda poco nota riguarda
la nascita della marina dello Stato d’Israele avvenuta con il supporto
dell’Italia(7).
Medaglia commemorativa coniata in
occasione della legge
Falco. La didascalia recita
"Vittorio Emanuele III Re - Benito
Mussolini Capo del Governo e le
Comunità ebraiche d'Italia a
ricordo della legge 30 X 1930.
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Nell’Ottobre del 1934 a seguito
di un accordo tra Mussolini, impegnato a sostenere il nascente stato ebraico, e
il leader sionista Jabotinsky, giungono a Civitavecchia i primi 28 allievi
ufficiali ebrei per essere addestrati alla Scuola Marittima; nei tre anni
successivi i diplomati saranno quasi 200. Sulle uniformi portano un'ancora, la
Menorah (il candelabro a
sette bracci) e il fascio
littorio e nelle cerimonie ufficiali salutano a braccio teso, come ha ricordato
Avram Blass, successivamente divenuto Ammiraglio della Marina Israeliana.
La formazione dei quadri della
futura Marina ebraica conferma i buoni rapporti che si istaurano fra il Duce e
il movimento sionista mondiale presieduto da Chaim Weizmann (il futuro primo
presidente dello Stato d'Israele).
Quando, con l’ascesa al potere di
Hitler, riprese vigore in tutta Europa il mai sopito antiebraismo, l’Italia
fascista, a differenza delle democratiche Francia e Inghilterra che si chiusero
a riccio rifiutandosi di ospitare gli ebrei nei loro confini e nelle loro
colonie, aprì le
sue frontiere(8).
Fu creato un organismo ad hoc -
il comitato di assistenza agli ebrei in Italia - che permise a circa diecimila
profughi provenienti da Germania, Polonia, Ungheria e Romania di trovare rifugio
nel nostro Paese; altri 80 mila ebrei poterono emigrare in Palestina e in altre
nazioni grazie alla collaborazione delle autorità italiane.
Dal porto di Trieste gli ebrei
emigranti viaggiavano su navi del Lloyd triestino che concedeva loro sconti
fortissimi, fino al 75%(9).
Mussolini, per un certo periodo,
abbozzò anche l’idea di costituire in Etiopia, colonia italiana dove viveva
tutelata dal Governo italiano una folta comunità di falascià (ebrei
africani), l’embrione della
futura nazione ebraica.
Uniche voci dissonanti di un
certo rilievo provenivano da Giovanni Preziosi e dalla sua rivista “La vita
italiana”, il cui antisemitismo si collocava nella tradizione cattolica (non a caso
Preziosi era un ex sacerdote) e da Telesio Interlandi che attraverso le pagine
del
“Tevere” riproponeva i luoghi
comuni dell’antiebraismo classico. Argomenti che, in ogni caso, ebbero scarsa
presa sull’opinione pubblica italiana e ancor meno considerazione da parte
della cultura fascista(10).
Improvvisamente (in verità
qualche accenno vi fu nel corso dell’anno precedente) nel 1938, a seguito di
una deliberazione del Gran Consiglio del Fascismo del 6 ottobre, furono emanate
le famigerate e mai tanto deprecate leggi razziali la cui essenza tuttavia,
essendo di natura spirituale, mirava ad emarginare gli ebrei senza perseguitarli,
contrariamente a
quanto avveniva in Germania, in
Europa orientale e, in maniera strisciante, in alcune democrazie occidentali.
Va evidenziato che l’opinione
pubblica, soprattutto quella cattolica, non fu del tutto ostile al quel
provvedimento considerate le 360 firme apposte al “Manifesto per la difesa
della Razza” da parte di intellettuali e scienziati di estrazione cattolica ed
anche di autorevoli esponenti della Chiesa e del cattolicesimo come il
fondatore dell’Università cattolica Padre
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Agostino Gemelli, Luigi Gedda,
storico presidente dell’Azione Cattolica, e il futuro leader democristiano
Amintore Fanfani.
In definitiva tale provvedimento,
che oggi ci appare aberrante, all’epoca fu accolto con indifferenza quasi fosse
un fatto normale, a causa di quel diffuso antisemitismo e razzismo ben radicati
in tutti i paesi occidentali (non dimentichiamoci che negli stessi anni in America
i neri erano pesantemente discriminati e organizzazioni paramilitari razziste
come
il Klu Klux Klan ampiamente
tollerate).
Le leggi italiane per la tutela
della razza oltre ad essere blande, se confrontate con le legislazioni di
Germania e poi di Francia, prevedevano numerosissime eccezioni (parenti di caduti
per la Patria, partecipanti alla marcia su Roma, meriti militari e civili,
ecc.). In
alcune sue parti furono inoltre
volutamente ignorate, come ad esempio il mai applicato divieto di matrimoni
misti.
Nella sua sintesi la legislazione
razziale italiana mirava ad escludere gli ebrei dalla funzione pubblica e da
alcune professioni come quella di notaio e a porre limitazioni di principio come
quella che vietava agli ebrei benestanti di avere al loro servizio ariani (ben
più
pesanti erano le limitazioni
imposte ai neri, in quegli anni e in quelli successivi, da parte della
democratica America).
Gli ebrei che abbandonarono
l’Italia in quel periodo, pur potendolo fare (non vi era alcuna limitazione
alla libera circolazione. Tutti, tranne i sorvegliati speciali, avevano in
tasca il passaporto e potevano usarlo quando volevano) furono ben pochi. Furono
infatti solo personalità di rilievo a lasciare il nostro Paese, a dimostrazione
di come i provvedimenti
razziali non intaccarono in
profondità la vita della comunità ebraica la quale accettò - seppur obtorto
collo - le limitazioni imposte.
Non vi furono emigrazioni di
massa, anche perché gli ebrei italiani non avrebbero saputo dove andare,
considerato ciò che avveniva nel resto d’Europa e il netto rifiuto ad accoglierli
da parte delle Nazioni cosiddette democratiche, Inghilterra in testa.
Durante la guerra, nonostante le
pressanti richieste da parte tedesca, Mussolini si rifiutò sempre di consegnare
gli ebrei italiani ai nazisti e diede disposizioni per attuare nelle zone controllate
dall’esercito italiano (Tunisia, Grecia, Balcani e sud della Francia) vere e
proprie forme di boicottaggio per sottrarre gli ebrei ai tedeschi (era
sufficiente avere un
lontanissimo parente italiano,
spesso inventato, per ottenere la cittadinanza italiana e sfuggire in questo
modo alla deportazione).
Fino a quando Mussolini ebbe il
pieno controllo dell’Italia, questo fino al 25 luglio del 1943, nessun ebreo fu
deportato in Germania.
Solo successivamente con la
Repubblica Sociale Italiana essendo, di fatto, l’Italia centro settentrionale
diventata un protettorato tedesco, i nazisti poterono imporre facilmente la loro
volontà fatta di rastrellamenti e deportazioni. Ma, a differenza di altri paesi
occupati,
come ad esempio la Francia di
Vichy, dove i tedeschi poterono attuare il loro programma
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di persecuzione degli ebrei con
il pieno appoggio delle autorità locali (che superarono per zelo gli stessi
nazisti), in Italia i tedeschi dovettero provvedere in prima persona per la ferma
opposizione del governo fascista che negò sempre la sua collaborazione.
La partecipazione dei fascisti ai
rastrellamenti degli ebrei fu, infatti, sporadica e opera di formazioni
irregolari che sfuggivano ad ogni controllo.
La Risiera di San Sabba a
Trieste, unico campo di concentramento di ebrei in Italia fu, non a caso,
istituito e gestito totalmente dai tedeschi.
Lo storico israelita Léon
Poliakov, fondatore del Centro di Documentazione Ebraica di Parigi, nel suo
libro “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei” (pagine 219, 220) afferma:
«Ovunque penetrassero le truppe
italiane, uno schermo protettore si
levava di fronte agli ebrei (…).
Appena giunte sui luoghi di loro
giurisdizione, le autorità
italiane annullavano le disposizioni decretate
contro gli ebrei ( …). Un aperto conflitto
si determinò tra Roma e Berlino a
proposito del problema ebraico»
Il procuratore generale al
processo contro il gerarca nazista Eichmann Gideon Hausner(11)
nella sua relazione introduttiva
afferma:
«La Nazione più cara a Israele è
l'Italia: per quello che le autorità civili,
diplomatiche e militari hanno
fatto per sottrarre alla deportazione masse
di ebrei di Francia, Grecia,
Croazia; per l'atteggiamento assunto dalla
popolazione verso gli ebrei
stessi italiani, per l'aiuto dato ai rifugiati ebrei
d'ogni parte d'Europa che furono
concentrati in varie direzioni
geografiche. Passare nella zona
italiana, tanto in Grecia che in Francia,
era andare verso la salvezza».
Il docente dell’Università
ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”,
a pag. 245 scrive:
«Il principale alleato della
Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica
ebraica nazista nei territori
sotto il suo controllo (…). Ovunque,
nell’Europa occupata dai nazisti,
le ambasciate italiane protessero gli
ebrei in grado di chiedere e
ottenere la nazionalità italiana.
Le deportazioni degli ebrei
cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono
l’Italia»
Dopo molte insistenza da parte
tedesca Mussolini, nel 1942, si decise a firmare il nullaosta per la
deportazione in Germania degli ebrei jugoslavi.
Appena il Ministro tedesco Von
Ribbentrop fu partito da Roma il Duce convocò il generale Robotti e gli
confidò:
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«È stato a Roma per tre giorni e
mi ha tediato in tutti i modi il Ministro
Ribbentrop che vuole a tutti i
costi la consegna degli ebrei jugoslavi. Ho
tergiversato, ma poiché non si
decideva ad andarsene, per levarmelo
davanti, ho dovuto acconsentire,
ma voi inventate tutte le scuse che
volete per non consegnare neppure
un ebreo. Dite che non abbiamo alcun
mezzo di trasporto per portarli
sino a Trieste via mare, dato che via terra
non è possibile farlo»
Così avvenne: mai un ebreo, di
qualsiasi nazionalità fosse, fu consegnato ai tedeschi conla collaborazione
delle autorità italiane.
E’ vero che molti italiani,
fascisti e non, fecero opera di delazione e contribuironoattivamente per
consegnare gli ebrei ai nazisti, spesso per motivi personali, ma è altrettanto
vero che moltissimi altri italiani, fascisti e non, si adoperarono per
salvarli, rischiando per questo la loro vita.
Purtroppo la proverbiale e
provata generosità del nostro popolo è spesso contraddetta da episodi di pura
cattiveria e grande meschinità.
Cosa indusse Mussolini ad
imboccare la strada dell’antiebraismo che portò alla espulsione degli ebrei
dagli incarichi pubblici e a negare loro molti diritti civili, è ancora oggi
oggetto di discussione tra gli storici onesti.
Scartata la tesi marxista della
contiguità ideologica con il nazismo che, come abbiamo visto, è totalmente
priva di fondamento(12), quella più accreditata fa riferimento all’alleanza con
la Germania e al conseguente influsso nefasto che le teorie di Rosenberg ebbero
sul finire degli anni trenta anche in Italia e che andarono a rinfocolare il
mai sopito
antisemitismo di matrice
cattolica.
Altra probabile causa fu
l’avversione dell’internazionale ebraica verso il nazismo e, di riflesso, verso
il fascismo (nonostante le proteste degli ebrei italiani contrari a quella sorta
di Fatwa(13) e, infine, il tentativo di porre un freno al fenomeno del
meticciato esploso nelle colonie italiane.
Non è un caso che le leggi
razziali furono promulgate ben 16 anni dopo la presa di potere di Mussolini a
conferma che per l’Italia fascista la presenza ebraica nel nostro Paese non costituiva
alcun problema.
Fin qui l’Italia. Proviamo ora ad
allargare lo sguardo e a vedere cosa accadeva nel resto del mondo negli stessi
anni.
La Svezia, ad esempio, nello
stesso periodo inviò in Germania una delegazione del suo Parlamento per
studiare la legislazione razziale tedesca e, insieme a Norvegia eDanimarca,
attuò una politica eugenetica che portò tra il 1934 e il 1976 alla
sterilizzazione coatta di oltre 200.000 persone, ritenute geneticamente
pericolose per la purezza della
razza(14).
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Gli Stati Uniti tra 1899 e il
1979 costrinsero con la forza oltre 65.000 uomini e donne soprattutto immigrati
a sottoporsi alla sterilizzazione per il miglioramento della razza e per contenere
i costi di assistenza sociale(15).
Da notare che mentre nei paesi
cosiddetti democratici si obbligavano le donne emarginate e disadattate a
sottoporsi alla sterilizzazione e si vietavano perfino i matrimoni tra “adatti
e inadatti”, l’Italia fascista non solo bandiva tale pratica, ma istituiva un
sistema di protezione sociale a sostegno della maternità e l’infanzia,
soprattutto per le classi meno
abbienti.
In Sud Africa gli Afrikaner, i
bianchi di origine europea, attuarono la segregazione razziale rimasta in
vigore fino al 1994.
L’America nello stesso periodo
proseguiva imperterrita nella sua politica di rigida separazione razziale nei
confronti dei neri. Si dovettero attendere gli anni sessanta per vedere
abrogate queste odiose misure razziste per le quali nessuno mai pagò, neppure davanti
al tribunale della storia.
Stalin, non pago di aver
massacrato milioni di contadini russi (Kulaki) contrari alla collettivizzazione
forzata e altrettanti oppositori politici eliminò, come ha documentato lo storico
russo Arkaly Vaksberg nel suo libro “Stalin against Jews”, non meno di 5
milioni di
ebrei. Di questi ebrei, appunto
perché perseguitati e uccisi dai comunisti si è, ovviamente, persa la memoria.
Un capitolo a parte riguarda le
responsabilità dei vincitori: America, Inghilterra e Russia sapevano, vedevano
e lasciavano fare.
La Germania sul finire della
guerra era ridotta ad un ammasso di rovine ad opera dei bombardamenti alleati,
ma le linee ferroviarie, tra cui il tristemente famoso binario 21 da dove
partivano i vagoni carichi di ebrei per i campi di concentramento, rimanevano inspiegabilmente
intatte e neppure un solo campo di prigionia fu volutamente colpito dalle
bombe che giorno e notte
martellavano ogni angolo della Germania (tranne il lager di Buchenwald colpito
per errore, dove trovò la morte sotto le macerie delle bombe alleate
Mafalda di Savoia)(16).
Come dimostrato da una inchiesta
di Rainews24 condotta da Angelo Saso attraverso documenti inediti degli archivi
americani e testimonianze di protagonisti dell’epoca, gli alleati sapevano
tutto. Infatti tra l'inizio di aprile del 1944 e il 27 gennaio del 1945 il campo
di concentramento di Auschwitz fu fotografato dai ricognitori alleati non meno
di 30
volte.
Eppure l’ordine di bombardare le
vie ferroviarie e d'accesso ad Auschwitz e agli altri campi di concentramento,
azione che avrebbe evitato la morte di moltissimi altri esseri umani, non fu
mai dato. Evidentemente la salvezza degli ebrei non era nelle priorità degli
alleati.
In precedenza i tentativi di espatrio
degli ebrei dalla Germania nazionalsocialista furono sempre violentemente
contrastati dalle Nazioni democratiche(17).
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Come ci ricorda lo storico e
giornalista Filippo Giannini Roosevelt fece intervenire la U.S. Navy per
impedire con la forza l'approdo sulle coste statunitensi di un piroscafo carico
di ebrei partiti da Amburgo. Churchill minacciò di silurare a Sulina, nel Mar
Nero, un altro carico di ebrei in navigazione verso la Palestina. Nel febbraio
del 1942 lo “Struma”, una
nave di profughi ebrei
proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di
sbarcare, e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero: 770 persone annegarono(18).
Nella Terra Promessa gli inglesi
fucilavano e impiccavano gli ebrei riottosi per scoraggiare ulteriori sbarchi.
Poco nota è anche la vicenda
della famiglia di Anna Frank che cercò inutilmente rifugio negli Stati Uniti.
Fra il 30 aprile e l’11 dicembre 1941 Otto Frank, il padre di Anna, scrisse ripetutamente
a parenti, amici e alti funzionari americani spiegando che era pronto ad
«ogni sacrificio» pur di riuscire
a superare l’Oceano Atlantico, ma in ogni occasione la risposta fu negativa.
Osserva al riguardo Richard Breitman, storico dell’American University:
«Il tentativo di emigrazione
verso gli Stati Uniti accomuna i Frank a
migliaia di ebrei europei ed in
particolare tedeschi che trovarono le porte
sbarrate dalle leggi dell’epoca»
Dopo la fine della guerra i
“liberatori” decretarono la nascita di Israele, scaricando di fatto sui
palestinesi il peso delle loro responsabilità per non aver fatto nulla per
evitare la persecuzione nazista del popolo ebraico e per aver rifiutato con la
forza di accettare i profughi ebrei in fuga dalla Germania. A differenza
dell’Italia fascista che si adoperò per
accoglierli e proteggerli.
Tornando alle leggi razziali del
1938, queste furono indubbiamente un fatto deprecabile, sarebbe però moralmente
ingiusto e storicamente sbagliato non riconoscere che se molti ebrei scamparono
ai campi di concentramento ed ebbero salva la vita lo devono proprio a
lui, a Mussolini.
Gianfredo Ruggiero
Note
(1) Ed. Mondadori, 1996.
(2) Ed. il Mulino, Bologna 1975.
(3) Ed. Einaudi, Torino 1993. ed.
Bompiani, Milano 1996, pag. 134.
(4) Renzo De Felice : Storia
degli ebrei italiani sotto il fascismo. Ed. Einaudi, 1993, Torino.
(5) Osserva Maurizio Cabona in un
lungo articolo del marzo 2013 dal titolo “fascisti, neofascisti,
postfascisti ed ebrei”: «l'Italia
fascista è stata più ospitale di varie democrazie con gli esuli
dalla Germania
nazionalsocialista, ebrei o non ebrei, e con le loro opere. Nel 1933 Max
Reinhardt rappresenta a Firenze
il "Sogno di mezza estate" e nel 1934 a Venezia "Il mercante
di Venezia"; negli stessi
anni "L'opera da tre soldi" di Bertolt Brecht va in scena sotto il
titolo
Circolo Culturale Excalibur 10
"La commedia dei ladri"
per la regia di Anton Giulio Bragaglia; nel 1934 Walter Gropius
partecipa all'ufficialissimo
Convegno Volta di Roma sul teatro drammatico; nel 1939 il
regista Max Neufeld gira e firma
a Roma tre film di successo (dopo, lavorerà sotto
pseudonimo). A partire dal 1933
soggiornano o si stabiliscono in Italia Stefan Andres, Walter
Benjamin, Franz Blei, Rudolf Borchardt,
Paul Oskar Kristeller, Alfred Neumann, Saul
Steinberg, Veit Valentin, Franz
Werfel, Karl Wolfskehl e un ragazzino promettente, Edward
Luttwak. Prima dell'autunno 1938,
sul mercato librario italiano ci sono oltre cento titoli di
esuli, due terzi dei quali
pubblicati dopo il 1933: di Alfred Doeblin, Lion Feuchtwanger, Erich
Kaestner, Heinrich e Thomas Mann, Joseph
Roth, Arnold e Stefan Zweig (cfr. Klaus Voigt, "Il
rifugio precario", La Nuova
Italia, vol. I, 1993; vol. II, 1996; Giorgio Fabre, "L'elenco",
Zamorani, 1998)
(6) Arrigo Petacco: L’uomo della
Provvidenza, Mussolini ascesa e caduta di un mito, Oscar
Mondadori, 2004, Milano.
(7) Mario Veronesi, “La Marina di
David” .www.storiain.net.
(8) Nel 1935 con l’autorizzazione
del Governo e il contributo economico dell’industriale di Prato
Giulio Forti, furono acquistate
tre fattorie in Toscana per la preparazione agricola degli ebrei
tedeschi che poi dovevano
stabilirsi in Palestina. Analoghe iniziative si ebbero in altre località
italiane.
(9) R. De Felice : Storia degli
ebrei italiani sotto il fascismo. Ed. Einaudi, 1993, Torino, pag. 116.
(10) Telesio Interlandi fu per 20
anni il direttore del giornale il Tevere a cui collaborarono, fra gli
altri, Luigi Pirandello, Emilio
Cecchi, Ungaretti, Cardarelli, Vitaliano Brancati, Alberto
Moravia, Elio Vittoriani, Ardengo
Soffici, Julius Evola e Umberto Barbato e, dal ’36, Giorgio
Almirante poi divenuto redattore
capo.
(11) Di Gideon Hausner vedasi il
libro “Sei milioni di accusatori”. Ed. Mondadori, 2010.
(12) De Felice afferma che le
differenze ideologiche tra i due regimi sono ben maggiori delle
affinità. "Per Hitler il
razzismo è ragione di vita, per Mussolini una mossa tattica dettata dal
mutamento nei rapporti di forza
internazionali", sintetizza Meir Michaelis in "Mussolini e gli
ebrei" (Comunità, 1982).
(13) Il 24 marzo del 1933, tre
mesi dopo l’elezione di Hitler alla Cancelleria del Reich, il
Congresso Ebraico Americano
dichiarò la guerra economica e finanziaria alla nuova
Germania e il totale embargo dei
prodotti tedeschi al fine di strangolarne l’economia. Il
governo tedesco reagì, attuando
come rivalsa, il 1° aprile del 1933 il boicottaggio di un
giorno dei negozi ebraici in
Germania. Da notare che gli ebrei tedeschi, soprattutto quelli
sionisti, mal digerirono il
boicottaggio delle merci tedesche voluto dell’Internazionale
Ebraica.
(14) In Svezia, tra il 1934 e il
1996, sono stati sterilizzati prevalentemente handicappati, malati
mentali e asociali, delinquenti,
minoranze etniche, indigeni di razza mista e prostitute, tutti
accusati di pesare sull’assistenza
pubblica e di essere portatori di malattie e di stili di vita
dagli alti costi sociali. La
sterilizzazione coattiva è rimasta in vigore fino al 1976, anno in cui
una nuova legge rende
obbligatorio il consenso degli interessati. La Svezia è stato il primo
paese a fondare, nel 1921, un
Istituto statale di biologia razziale. Gianni Moriani “ il secolo
dell’odio” ed. Marsilio Padova,
1999.
(15) È del 1907 la prima legge
che autorizza la sterilizzazione forzata nello stato dell’Indiana,
segue nel 1909 la California,
che, con una legge ulteriore del 1913, prevede la
sterilizzazione dei pazienti
degli ospedali psichiatrici e delle prigioni.
www.cinziaricci.it/resistenze/galleria06-note.htm.
(16) Alcuni campi di
concentramento furono comunque bombardati, come il lager di Buchenwald
dove trovò la morte sotto le
macerie Mafalda di Savoia, ma come effetto collaterale o per
errore e non per precisa volontà
degli alleati.
(17) Degna di nota è la
collaborazione tra Gestapo e alcuni movimenti ebraici sionisti come il
Mossad e l’Irgum di Abraham Stern
per favorire l’emigrazione degli ebrei e dei loro averi
verso la Palestina. In effetti il
Governo tedesco aveva tutto l’interesse a sbarazzarsi degli
Circolo Culturale Excalibur 11
ebrei e lo stesso interesse a lasciare
la Germania lo avevano gli ebrei nazionalisti (sionisti)
che vedevano nella Palestina la
loro Nazione, fortemente contrastati in questo dagli inglesi. -
Ingrid Weckert e Marck Weber:
“Sionismo, Nazionalsocialismo ed emigrazione ebraica”. Ed.
Effepi 2011 Genova.
(18) Paul Johnson, Storia degli ebrei, pag. 582.
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