di Antonio Laurenzano
“Snella e utile alla nostra economia per favorire crescita e
occupazione”. E’ la manovra di bilancio 2018, secondo la definizione del
premier Gentiloni, che dopo una serie
infinita di emendamenti in commissione
Bilancio al Senato è arrivata in aula a Palazzo Madama per l’approvazione
parlamentare. Un iter particolarmente complesso (si concluderà a Montecitorio) che
ha registrato in sede referente il classico “assalto alla diligenza” da parte
dei vari gruppi politici per portare a casa non solo modifiche sui grandi temi
in discussione ma anche sconti e agevolazioni
in singoli settori. E’ iniziata la campagna elettorale con la caccia al
voto! Presentati oltre 700 emendamenti: dagli aiuti alle famiglie (bonus bebè,
voucher babysitter per le madri lavoratrici, contributi per l’assistenza ai
familiari malati o disabili) alle misure fiscali (cedolare secca del 10% su affitti
brevi, web tax per imprese italiane, crediti
d’imposta per le librerie, alleggerimento del superticket sanitari.),
agli interventi sulle pensioni (lavori usuranti esclusi dallo scatto dell’età
pensionabile previsto nel 2019) e sul codice della strada (giro di vite per
l’utilizzo di cellulari durante la guida).
Un mix di emendamenti approvati nell’ottica di una manovra di
bilancio leggera che punta alla coesione sociale e alla crescita economica, grazie
anche alla limitazione del deficit strutturale di bilancio allo 0,3% del Pil in
luogo dello 0,8% fissato dal Documento di economia e finanza dello scorso
aprile. Com’era prevedibile, sul Ministro dell’Economia Padoan (candidato alla
guida dell’Eurogruppo) sono piovute richieste di maggiori spese, ma non tutte correlate
alla realtà della precaria finanza pubblica italiana. Cifre alla mano, la Legge
di bilancio 2018 “pesa” 20,4 miliardi: la copertura è assicurata per 10,9
miliardi dal deficit aggiuntivo sul Pil e per gli altri 9,5 da maggiori entrate
(60%) e tagli di spesa (40%). In particolare, le entrate riguarderanno ”misure
strutturali”, come concordato con la Commissione europea (lotta all’evasione)
e, solo in parte “misure una tantum” (rottamazione bis delle cartelle, introiti
dall’asta delle frequenze per la banda larga mobile) che comunque non potranno
impattare sul deficit strutturale.
Obiettivo principale della Legge di bilancio 2018, quello più
pesante che assorbe circa i tre quarti dell’impegno finanziario della manovra,
è il blocco degli aumenti fiscali legati soprattutto all’Iva (aliquota ordinaria dal 22 al 25%) previsti dalle
clausole di salvaguardia introdotte dalla Legge di stabilità del 2015. La
promozione degli investimenti (5,1%), industriali e pubblici, completa l’elenco
degli obiettivi della manovra insieme alla spinta dell’occupazione.
Tutto ok? Non proprio. Dalla Commissione Ue è già arrivata la
pagella sui conti pubblici italiani: “debito troppo alto, rischio di
inadempienza”. Il giudizio definitivo, per non interferire sulla prossima
scadenza elettorale, non arriverà prima delle elezioni politiche di primavera.
La “lettera di richiamo” pervenuta da Bruxelles parla di debito elevato e di un
deficit che migliora ma solo marginalmente. Una richiesta implicita di
aggiustamento dei conti con una manovra correttiva (che Padoan esclude) per
evitare l’apertura di una procedura d’infrazione. Con il richiamo a un più
rigoroso controllo della finanza pubblica, la Commissione ha ammonito il governo
italiano a evitare “una retromarcia su importanti riforme strutturali di
bilancio, specificatamente sulle pensioni che garantiscono la sostenibilità a
lungo termine del debito”. Anche perché “la ripresa appare fragile, la
disoccupazione è alta e il sistema bancario resta vulnerabile”. Tutti i nostri mali, al di là di ogni facile
(e irresponsabile) promessa elettorale,, sono sempre riconducibili alla entità
del debito pubblico (salito a novembre a 2283 miliardi di euro, circa il 133%
del Pil!). Quando finirà la finanza allegra nel Belpaese?
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