di Antonio Laurenzano
Dall’ Istat arrivano segnali positivi
per la nostra economia: sono in crescita gli indicatori di produzione e
occupazione dopo la devastante crisi degli ultimi anni, la più grave della
storia economica dell’Italia in tempo di pace. Risultati confortanti sui quali
però si proietta minacciosa l’ombra del debito pubblico salito a quasi 2300
miliardi di euro, pari al 132% del Pil! Per l’anno appena iniziato una pesante
eredità che da decenni condiziona la nostra economia, esponendoci ai contestati
diktat europei e agli umori dei mercati finanziari. La “prova debito” resta il
vero esame dell’Italia in ripresa: una fragilità strutturale con la quale deve
fari i conti la campagna elettorale che, in vista del voto del 4 marzo, ha
finora registrato promesse e proclami non compatibili con il precario quadro di
finanza pubblica.
Annunci di tutti i leader su
improbabili tagli e costosissimi impegni. Dalla cancellazione del Jobs Act alla
legge Fornero, dal bollo auto alle tasse universitarie, al canore Rai, dal
salario minimo al reddito di cittadinanza, all’aumento delle pensioni minime,
dalla flat tax agli studi settore: una fantasiosa e pirotecnica sagra della
“bugia istituzionale” che, nel delegittimare ogni serio e credibile progetto
politico, offende l’intelligenza dell’elettore, allontanandolo sempre più dal
voto. Un proliferare quotidiano di proposte che richiederebbero attenzione e
rigore. Una fuga da ogni responsabile programma di governo per catturare
consensi con promesse prive di adeguata copertura finanziaria. Un
“rischiatutto” dai risvolti inquietanti sul piano della sostenibilità economica
e della credibilità internazionale sui mercati finanziari. E, in presenza di
una crisi di fiducia degli investitori, lo spread non perdona!
Nel discorso di fine anno, il
Presidente della Repubblica Mattarella, commentando la fine della legislatura, è
stato molto chiaro: “servono proposte realistiche e concrete, necessarie per la
dimensione dei problemi del Paese”. Un appello di buon senso rivolto alla
politica caduto miseramente nel vuoto. Impietoso il check dei costi delle
proposte dei partiti fatto da Il Sole 24 Ore: 200 mld di promesse e bugie elettorali,
pari al 12% del Pil. Una cifra enorme, lontana dalla realtà e dai cronici
problemi di bilancio. Un libro dei sogni da … leggere dopo il responso
elettorale delle urne per “apprezzarne” la leggerezza e il contenuto surreale
(o ingannevole?) di chi lo ha scritto. Il capitolo sulla legge Fornero è
certamente quello più “fiabesco” nella consapevolezza che cancellare la riforma
Fornero, uno dei pilastri del sistema pensionistico italiano e della
sostenibilità (e sovranità) finanziaria del Paese, significa ipotecare un crack
catastrofico con ricadute sul patrimonio di famiglie e imprese e compromettere
il destino delle future generazioni.
Pur tra mille sfumature
dialettiche, un tema accomuna gli schieramenti politici in campo: la guerra
dichiarata al fiscal compact, ovvero al trattato europeo del 2012 con i vincoli
sui conti pubblici, in particolare il pareggio strutturale di bilancio con
l’impegno di ridurre di un ventesimo l’anno la parte del debito pubblico
eccedente il 60% del Pil. Tutti concordi nel costruire la crescita sul deficit,
anche riducendo le tasse, dimenticando che senza l’intesa sulle regole del
fiscal compact, sottoscritto dall’Italia, la Banca centrale europea non avrebbe
mai avallato l’acquisto massiccio dei nostri titoli pubblici (“quantitative
easing”) che ha consentito una forte contrazione dei tassi d’interesse sul
nostro debito e quindi considerevoli risparmi pubblici, non utilizzati però per
la riduzione dell’elevato indebitamento
dei conti.
Più che lanciarsi in facili promesse,
che non potranno mai essere mantenute in assenza di un taglio della spesa
pubblica improduttiva e di una robusta crescita economica, sarebbe forse più corretto
politicamente onorare nei programmi di governo un “vincolo di responsabilità”, impegnarsi cioè
per interventi concreti a favore dei grandi temi da cui dipende il futuro del
Paese (infrastrutture, riforme, investimenti, spending review, giustizia, pubblica
amministrazione, ecc.). Nessun gioco di prestigio programmatico, ma una realistica
assunzione di responsabilità, superando egoismi partitici per il superiore
interesse della comunità nazionale. Favorire, con la futura azione di governo, l’incremento
del Pil è la precondizione per garantire
la discesa del rapporto debito/pil, nella prospettiva anche della riduzione
degli acquisti dei nostri Titoli di Stato da parte della Bce. Non si può
abbassare la guardia sui conti pubblici, né la campagna elettorale, con tanti
dilettanti allo sbaraglio, può generare incertezze sul futuro del Paese. Riduzione
del debito e crescita economica, in un
quadro di affidabilità politica condivisa a livello europeo, devono rappresentare
per le forze politiche l’obiettivo di ogni serio progetto governativo, al di là
di ogni populistica suggestione anti-euro. Una clausola di garanzia a tutela
della sostenibilità della finanza pubblica. Missione impossibile?
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