BYE BYE LONDRA, UN DIVORZIO DIFFICILE
di Prof. Antonio Laurenzano
Dolcetto o scherzetto? Si avvicina il 31 ottobre, il giorno
di Halloween. E sarà il Brexit Day, l’uscita del Regno Unito dall’Unione
europea sancita dal referendum del 2016. Fra analisi, proclami e tempestosi ultimatum
continua il lungo braccio di ferro fra Londra e Bruxelles per scongiurare lo
spettro del no-deal. La Commissione europea ha respinto le “inaccettabili” proposte
di accordo formulate dal bizzarro premier inglese Boris Johnson, irremovibile
anche dinanzi al tentativo di negoziazione delle ultime ore del Presidente del
Parlamento di Strasburgo Sassoli, in trasferta a Londra. Si va verso la
rottura, un divorzio senza un accordo, senza un negoziato sui tanti problemi
sul tappeto: la questione dei confini irlandesi, i controlli doganali, la quota
di budget Ue di 39 miliardi di sterline. Nè dolcetto, né scherzetto. Forti saranno
le ripercussioni della hard Brexit sulla sterlina, sul settore immobiliare, sui
costi dei vincoli doganali, sui diritti dei cittadini, sul turismo. Un day
after da incubo per il Regno di Sua Maestà, un macigno sulla storia dell’Europa.
Il paradosso è che Brexit, con le sue conseguenze negative
sull’economia reale, finirà per impoverire ancora di più quegli stessi soggetti
che nel voto referendario contro l’Unione europea hanno riposto le
speranze di un riscatto sociale ed
economico. La povertà e le disuguaglianze che persistono anche nel Regno Unito
richiedono sicuramente un responsabile ripensamento delle politiche nazionali,
ma questi problemi, in un’epoca di grandi interdipendenze economiche, possono essere affrontati meglio se non ci si
isola dalla più grande economia con cui si confina.
“Uscire dall’Unione europea è un azzardo sciagurato”,
dichiarò all’indomani del referendum l’ex Presidente Giorgio Napolitano. Pensare
che per arginare ogni asimmetria socio-economica le soluzioni nazionali
funzionino meglio di quelle europee significa alimentare uno sterile populismo. Il superamento del diffuso disagio sociale nell’Ue passa
attraverso il rilancio dell’Europa, delle sue istituzioni comunitarie, delle
sue austere politiche economiche per una governance della sovranità
condivisa. L’Unione europea non ha
ancora trovato un’architettura istituzionale capace di creare stabilità e
sicurezza, di garantire crescita e sviluppo. E l’euro ha generato quegli stessi
conflitti che l’integrazione avrebbe dovuto prevenire. L’Europa però non può
essere il capro espiatorio di ogni male,
la causa delle rovine sociali ed economiche nazionali. La stragrande maggioranza
delle decisioni politiche viene presa dal Consiglio europeo, l’istituzione
comunitaria che definisce l’orientamento politico generale e le priorità dell’Unione della quale fanno parte i Capi di Stato e di
Governo dei Paesi membri. E’ pretestuoso affermare “L’Europa ci impone”. Si
vota a favore di questioni importanti a Bruxelles per poi tornare euroscettici
appena scesi dall’aereo. Significa alimentare un demagogico euroscetticismo per
catturare consensi elettorali.
Conto alla rovescia dunque per la Brexit. La Gran Bretagna ha
scelto di liberarsi dei lacci e laccioli comunitari, l’Unione europea si libera di un Paese che è sempre stato con
un piede dentro e con un altro fuori dall’Unione, un partner critico,
arrogante nelle sue incessanti rivendicazioni sovrane e che, colpevolmente, ha dimenticato il pensiero illuminato
di Winston Churchill, ideatore degli Stati Uniti d’Europa. Un divorzio nel
segno di un anacronistico nazionalismo e di una inquietante miopia storico-politica.
Per Londra, in un mondo globale, un ritorno allo “splendido isolamento” di fine
Ottocento. Dov’è finito il “senso della
storia” ? E’ sparito all’ombra di Westminster.
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