Le scelte (obbligate) della
politica : lavoro e fisco del Dottor Antonio
Laurenzano
Allarmanti i dati diffusi dal Centro Studi di
Confindustria: nel manifatturiero il numero di occupati è sceso di
circa il 10% e “le imprese italiane saranno probabilmente costrette
a tagliare ulteriori posti di lavoro bei prossimi mesi”.
Dall’inizio della crisi persi 539 mila posti! Una situazione di
grande criticità all’interno della quale si colloca il dato sulla
disoccupazione giovanile che ha raggiunto in Italia un tasso del 42%
sull’aggregato degli occupati, con un significativo aumento nel
primo trimestre dell’anno di quasi 6 punti percentuali sul
corrispondente del 2012.
Il nostro Paese vive da tempo un’emergenza economica
con preoccupanti segnali di tensione sociale. Sul tappeto tanti
problemi che si vanno sempre più aggravando, dal prelievo fiscale
divenuto insostenibile alla drastica riduzione dei flussi creditizi
delle banche. Le ricette per il salvataggio del sistema Italia si
sprecano. Ma tutte, nella prospettiva di una ripresa dell’economia
reale, pongono l’impresa al centro del rilancio del Progetto-Paese.
Dal Governo si attende una efficace politica nei confronti delle
attività produttive, le uniche in grado di generare reddito e
soprattutto occupazione. Una politica che deve poggiare su un diverso
e più leggero trattamento fiscale degli utili d’impresa (esenzione
per i redditi che restano nell’impresa) associato a una chiara
esplicitazione della normativa, ad ogni livello, con un minor carico
di adempimenti burocratici.
Occorre dare certezze a chi vuole intraprendere
un’attività d’impresa: non si possono aggiungere al normale
rischio generico d’impresa i rischi legati alla indeterminatezza
del quadro normativo. La lamentata scarsità degli investimenti
esteri in Italia si spiega soprattutto con le incertezze legislative,
con le pastoie burocratiche e i tempi lunghi della giustizia. Va
riaffermato, in definitiva, il ruolo dell’impresa quale strumento
di creazione di lavoro, premessa per la crescita del benessere
dell’intero Paese e per arginare la fuga all’estero dei
“cervelli” nostrani.
Il nostro sistema economico scricchiola sotto il peso
della pressione fiscale e della crescente burocratizzazione. Non è
tempo di “manutenzione ordinaria”. Il sistema va ribaltato per
liberare le tante energie imprenditoriali presenti in Italia e
risvegliare l’interesse degli operatori stranieri per il Bel Paese.
Dobbiamo sciogliere innanzitutto il nodo
dell’occupazione, aumentare cioè i posti di lavoro. E’ il
problema centrale dell’attuale situazione di crisi. E per creare
lavoro c’è una sola strada percorribile: lo sviluppo delle
attività produttive, al di là di qualche banale e inconsistente
enunciazione di principio registrata finora. Essere consapevoli che
l’impresa è l’unico mezzo, o almeno il principale, attraverso il
quale si può sviluppare l’occupazione. Impostare dunque una
politica coerente nei fatti, e non solo nelle enunciazioni di
facciata, spesso in odore elettoralistico!
Fare impresa, creare lavoro a una condizione
imprescindibile: ridurre il costo del lavoro con una progressiva
eliminazione dalla base imponibile Irap del costo del lavoro (una
vera assurdità!) e con una riduzione degli oneri sociali sulle
imprese, in parte fiscalizzandoli e in parte armonizzando le aliquote
contributive per gli ammortizzatori sociali. Questo potrebbe favorire
il recupero della competitività di prezzo dei nostri prodotti,
specie sui mercati internazionali, oltre a propiziare incrementi
retributivi se affiancati a provvedimenti di detassazione dei salari
di produttività.
E per dare ampio respiro al progetto di ripresa,
perseguire una politica di investimenti che incorporano ricerca e
innovazione nell’ambito di un piano pluriennale finanziato da
“project bonds” europei per una politica industriale moderna al
passo con le economie più sviluppate
Si è perso molto tempo nell’inseguire politiche
economiche fallimentari, prive di ogni previsione di crescita. Nelle
emergenze è necessario recuperare il coraggio delle scelte. Presto!
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