MAL
DI RATING
di Antonio Laurenzano
Nubi minacciose si addensano sul
futuro della nostra economia. Anche Standard&Poor’s, in linea con le
valutazioni di Moody’s, conferma la forte criticità del rating dell’Italia che resta poco al di sopra
del temuto livello “junk” (“spazzatura”). Sotto esame da parte delle agenzie
statunitensi la solidità e la solvibilità del
debito pubblico. Una valutazione (rating) che apre scenari economici inquietanti sui mercati
finanziari (spread) e sul sistema bancario (liquidità), perché legata a un
outlook negativo, e cioè a stime di crescita al ribasso. “Il piano economico
del governo, sostiene l’agenzia, rischia di indebolire la performance di
crescita dell’Italia, rappresenta una inversione rispetto al consolidamento di
bilancio, un passo indietro sulla precedente riforma delle pensioni”. Manca un’agenda
di riforme coerenti per allineare la crescita italiana a quella degli altri
Paesi in modo sostenibile.
Un campanello d’allarme che mette
a nudo la fragilità di una manovra di bilancio costruita in deficit su
previsioni ottimistiche e condizionata da promesse elettorali non conciliabili
con il precario quadro di finanza pubblica del Paese. Per l’agenzia di rating i
numeri non tornano: la crescita viene rivista al ribasso all’1,1% rispetto
all’1,6 % del documento del governo e il deficit al rialzo, non 2,4% ma 2,7%
del Pil, suscettibile di ulteriore variazione negativa. La politica economica
del governo peserà sulla crescita del Paese, minacciando la sostenibilità
finanziaria di lungo termine dei conti pubblici con il trend del debito in
aumento per i maggiori interessi e per la debolezza delle prospettive
economiche. Una condizione che rende il sistema Italia più vulnerabile rispetto
a possibili schock esterni, dal caro petrolio alla guerra dei dazi.
Il rischio immediato è l’aumento
dello spread già registrato in queste settimane, schizzato a quota 340, record
da aprile 2013. Si erode la fiducia degli investitori con inevitabile fuga di
capitali verso mercati esteri più sicuri. Una fuga certificata dal Bollettino
economico della Banca d’Italia diffuso nei giorni scorsi che parla di “vendite di titoli di
portafoglio italiani” per 17,8 miliardi di euro negli ultimi mesi. E le vendite
sui titoli di Stato trascina a ruota quelle sui titoli bancari con ricadute
negative sull’accesso delle banche al finanziamento del mercato dei capitali (imprese e famiglie) e sul loro “coefficiente
patrimoniale”. Per il sistema bancario italiano, che incorpora nei suoi asset titoli
di Stato per circa 370 miliardi, un ulteriore innalzamento dello spread a quota
400 comporterebbe un pericoloso grado di rischio, rispecchiato dai rendimenti.
Lo ha ricordato il Presidente della Bce Mario Draghi a … un distratto (?) vice
premier.
Situazione di grande volatilità resa
ancor più intricata dalle tensioni che si sono scatenate tra il Governo e la
Commissione Ue a Bruxelles che ha respinto la bozza del Documento programmatico
di bilancio per una “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di
stabilità e crescita” dagli obiettivi sul deficit strutturale che lo stesso
governo a giugno si era impegnato a ridurre. Una bocciatura clamorosa, perché
non era mai successo che il Dpb venisse respinto senza trattative a conferma
che, al di là dei decimali in contestazione, nelle pieghe della prossima legge
di bilancio c’è molto assistenzialismo e nessuna traccia di un serio piano di
investimenti pubblici, unico volano di una efficace e duratura crescita economica.
La “manovra del popolo” ignora le riforme strutturali che incidono sul reale tasso
di crescita dell’ economia: la burocrazia, la macchina della giustizia, la
concorrenza, il fisco e la lotta
all’evasione, il mercato del lavoro.
Temo che ci sarà molto lavoro per
il premier Conte che all’atto del suo insediamento a Palazzo Chigi assunse, da
avvocato, l’impegno di “difendere l’interesse
dell’intero popolo italiano”.
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