Il referendum nel Regno
Unito sull’Unione europea, timori e rischi.
di Antonio
Laurenzano
“Leave” o “remain”? E’ questo l’amletico … dubbio che sarà
sciolto giovedi 23 giugno nel Regno Unito per decidere se lasciare o rimanere nell’Unione
europea. Un referendum dai tanti risvolti economici e politici con il fondato
timore che possa provocare un effetto domino su altri paesi dell’Unione in cui
l’euroscetticismo è in aumento, alimentato dai problemi legati ai flussi
migratori e alla crisi dell’economia europea. A distanza di
settant’anni dal discorso pronunciato da Winston Churchill all’Università di
Zurigo in cui l’ex Primo ministro inglese auspicava la nascita degli “Stati
Uniti d’Europa” l’orologio della storia del Vecchio Continente rischia di fermarsii
ad opera dei suoi … nipotini, per molti dei quali l’Ue, con i suoi vincoli burocratici, è una gabbia di regole e di tasse. Ma il nodo
centrale della Brexit è politico per la dura lotta di potere in atto a Londra fra
laburisti e conservatori che comunque non
può rimuovere la posizione di privilegio del Regno Unito all’interno
dell’Unione consolidatasi con negoziati condotti spesso sul filo del
compromesso istituzionale.
Una partecipazione comunitaria del tutto singolare quella
britannica. Il “Regno di Sua maestà”,
per sua scelta, è fuori dall’Unione monetaria e dai suoi parametri, è fuori dal
sistema Schengen con la libera circolazione delle persone provenienti dall’Unione,
beneficia di un trattamento di favore sul contributo che ogni Stato membro
versa al bilancio Ue rapportato al suo pil, può non applicare la Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione, fruisce di significative deroghe in materia
comunitaria di giustizia e affari interni. Un mix di “benefit” che nel tempo
hanno alleggerito sempre più i vincoli comunitari del Regno Unito il cui peso
decisionale è rimasto però inalterato! Una posizione di privilegio rafforzatasi
lo scorso febbraio a seguito del riconoscimento dell’ impegno non vincolante di
procedere verso “un’Unione sempre più
stretta”. ottenuto a Bruxelles dal premier
Cameron. Nell’accordo con i leader europei è prevista inoltre una
riforma del Trattato di adesione che concederà a Londra uno status speciale di
autonomia su una serie di questioni: potenziamento della competitività europea,
promozione degli atti di libero scambio, limitazione dell’accesso ai servizi
del welfare per lavoratori immigrati comunitari (!) che vivono in territorio
britannico, oltre alla garanzia di pari trattamento per i Paesi non aderenti
all’Eurozona.
Appare dunque in odore
populistico, fortemente emotiva, la
posizione dei sostenitori della Brexit i quali, in caso di successo
referendario, dovranno fare i conti con
i tanti riflessi economici negativi. Goldman Sachs prevede una fuga dalla
sterlina inglese. Secondo i suoi analisti, la valuta britannica potrebbe
registrare un tonfo del 12% nei confronti delle principali valute, con gravi
ripercussioni sul commercio internazionale. L’ultima analisi dei giorni scorsi del Fondo monetario internazionale parla di
“rischio recessione nel 2017” per il Regno Unito con l’uscita dall’Ue. Per il
Fondo un addio all’Europa avrà sull’economia britannica un “effetto negativo e
sostanziale nel lungo termine” associato a “una considerevole incertezza, con
potenziali implicazioni per il commercio e gli investimenti, la produttività,
il mercato del lavoro e le finanze pubbliche”, un buco nero stimato da Cameron
fra i 20 e i 40 miliardi di sterline. Sulla stessa linea la Banca d’Inghilterra
che ipotizza “volatilità e instabilità finanziaria”. “Un atto gratuito di
autolesionismo”, secondo il Financial Times, voce autorevole della City
finanziaria londinese.
Come finirà? Paolo Scaroni, già
numero uno di Enel ed Eni, intervistato su Radio 24, ha rievocato il pensiero
di Napoleone, secondo il quale “gli
inglesi sono una nazione di bottegai. Quando vanno a votare non votano con il
cuore, votano con il portafogli”. Ergo, secondo Scaroni, “per il portafogli
Brexit sarebbe un disastro e, quindi, voteranno a favore di rimanere
nell’Unione europea”. Ma che sia comunque un’occasione di riflessione generale
per “rifondare l’Europa”, con iniziative pragmatiche e lungimiranti. Una nuova
alleanza tra gli Stati sovrani dell’Unione per rilanciare, con il ritrovato
spirito originario, il progetto di una reale integrazione dell’Europa , un’Europa
della crescita e della solidarietà, fuori dagli orpelli burocratici, dagli
egoismi nazionali e dai diktat finanziari. La fallimentare governance politica
europea impostata sul metodo intergovernativo lasci il posto a una reale
governance comunitaria della sovranità condivisa per tornare a un’Europa fedele
al suo motto: “Unita nella diversità”.
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