Ordini Cavallereschi Crucesignati

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venerdì 14 settembre 2007

i grandi della storia

Storia dei grandi Ordini Cavallereschi


Fin dagli albori del Medio Evo, gli Ordines erano i livelli sociali in cui s’immaginava organizzato e distinto il Corpus Christianorum. La società stessa: cioè gli Oratores quelli che pregavano e che studiavano. I Bellatores coloro che assicuravano l’ordine interno ed esterno difendendo la società con le armi e amministrando la giustizia e i Laboratores: coloro che assicuravano la prosperità con la fatica delle loro braccia. Quest’organizzazione fin dal XII secolo incomincia ad invecchiare anche se formalmente sopravvisse fino al XVIII.
Quelli che noi, cari lettori, definivamo “Ordini” eravamo, più propriamente, delle “associazioni” fondati sulla base di una “Regola”, uno “statuto” che disciplinava la forma di vita che disciplinava uomini e donne che intendevano vivere in comunità o da soli (come eremiti o cenobiti) un’esperienza spirituale. Si crearono difatti gli Ordini monastici, su modello dei quali, in Occidente, quello fondato nel VI sec. da Benedetto da Norcia e perciò detto Benedettino, in breve tempo scissosi in diverse “Congregazioni” che ne riformarono: la Cluniacense, la Cistercense ecc…
Degli Ordini facevano parte monaci che era Chierici o Sacerdoti e laici. Tutti però, erano, tenuti a rispettare la Regola caratteristica, appunto, di quel che noi, chiamavamo “Ordine”. In seguito sarebbero poi nati gli Ordini Canonicali: sono preti secolari, in vita comune con gli Ordini Mendicanti, in altre parole Domenicani e Francescani.
Tanto in Terrasanta che in Spagna, all’inizio del XII sec., si accusava l’esigenza di difendere qui territori conquistati all’Islam dal pericolo di una sortita musulmana e di tutelare i pellegrini, si determinò l’esigenza di fondare un altro tipo di Religio, cui sì “arruolarono” molti milites cioè cavalieri i quali fin d’allora, spesso in espiazione dei loro peccati (tipo come una legione straniera), si erano riuniti in fraternitates cioè confraternite aventi appunto come scopo la vita comune in preghiera e in povertà e la difesa dei più deboli contro l’arroganza o il rischio del viaggio tra gli infedeli. Questi laici armati, dotati di un’alta specializzazione dell’arte e nella strategia militare, si organizzarono in un nuovo tipo di Religio che naturalmente comprendeva anche sacerdoti per l’assistenza spirituale, laici armati di condizione non cavalleresca e laica disarmati con funzioni sottoposte che in genere furono definite Militai.
Nacquero così Pauperes Milites Christi et Salomonici Templi; i Fratres Hospitalitis Sanciti Johannis in Jerusalem ; di gente che volontariamente serviva negli ospizi per i pellegrini, quindi un “Ordine Ospedaliero”, che divenne poi “militare”, i Fratres Sanctae Mariane Teutonicorum, un Ordine riservato a personalità provenienti dal mondo germanico. Nel XII secolo, si svilupparono nella Penisola Iberica e nel Nord-Est europeo altri Ordini similari “militari” con compiti opportunamente specifici. In alcuni casi, come in quello dell’Ordine Teutonico, essi furono elemento costitutivo dell’identità nazionale, tutti gli Ordini Militare ebbero esiti differenti: i Templari furono sciolti all’inizio del trecento in seguito a un drammatico processo inquisitoriale avviato per volontà del Re di Francia; gli Ospedalieri di San Giovanni si trasferirono a Rodi nel XIV secolo e a Malta nel XVI, e si riciclarono come combattenti di mare; i Teutonici aderirono in parte alla Riforma protestante e furono laicizzati, in parte si trasformarono in Ordine religioso restando cattolici; Gli Ordini iberici vennero praticamente assorbiti dalle monarchie spagnola e portoghese.
Orbene, a partire dall’anno trecento, il dilagare della cultura cavalleresca e il bisogno dei principali nascenti di Stati assoluti di collegare strettamente a sé le èlites aristocratiche avevano determinato il sorgere di“Ordini cavallereschi di corte”, sovente dotati di una simbolica, e di una sfarzosa liturgia che avevano il ruolo di costituire come titolo d’onore e di dignità che ricompensassero la fedeltà al sovrano. Hanno origini analoghe gli Ordini pontifici come quello del “Santo Sepolcro” che nasce in Gerusalemme, ma dai canonici della basilica della Resurrezione, non da cavalieri; “del Cristo” e “dello Speron d’Oro”. Da tali Ordini sono nati i moderni Ordini cavallereschi di Stato: le “croci di cavaliere”, tutt’ora assegnate hanno pertanto, queste lontane origini.

Esistono moltissime pubblicazioni sulla storia della cavalleria medievale e mi piace precisare, al lettore, che l’idea di pubblicare il presente volumetto, non ha altri scopo, se non quello di divulgare, specialmente tra i più giovani, le conoscenze, le gesta e l’affascinante storia della cavalleria antica, specialmente a partire dal 1040 circa, anno in cui Fra Gerardo, ad Amalfi, fondò l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme detto di Rodi e di Malta. (continua)
I gradi militare dell’Ordine:

La nomenclatura dei gradi dell’Ordine, similmente a quelle adottate dai Cavalieri Costantiniani di San Giorgio e degli Ospedalieri di San Giovanni (poi Ordine di Malta), fu stabilita in Gran Croci, Cappellani e Serventi d’arma e d’ufficio, e con incarichi di Priori, Commendatori, Precettori, affidati a Cavalieri professi.

Sono appassionato di studi storici antichi, lo confesso, specialmente nel campo della Cavalleria, come ho precedentemente accennato, è una passione che mi appartiene di diritto, in quanto, in Sicilia casa di mio nonno paterno Pietro, era sistemato in belle evidenza un dipinto, tratto dal volume: elenco dei Cavalieri del Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme ricevuto nella veneranda lingua d’Italia, compilato da Francesco BONAZZI di Sannicandro, edito per i tipi di Detken e Rocholl 1714-1907 e che riporta la seguente dicitura: oltre allo stemma (con esattezza tre) Alessandro Vitale Duca di Tortora fu Cavaliere di Giustizia del Sovrano Ordine nel 1788, mentre nella Enciclopedia Nobiliare Italiana del Dott. Vittorio Spreti, Arnoldo Forni Editori, recita: Vitale nobile ed antica famiglia decorata dal titolo di Marchese, riconosciuta dal 14 settembre 1782 e ricevuta nel Sovrano Militare Ordine di Malta, in Priorato di Capua nel 1782, in persona dei Cavalieri Gaetano e Raffaele Maria Vitale, (Archivio Ordine di Malta n. 4893). Ancora, Vitale famiglia Messinese del sec. XIV che si ritiene originaria dalla Spagna, venuta in Sicilia con un Giovanni Vitale al seguito di re Pietro d’Aragona dal quale ottenne concessione di terre in Val Mazzara, Arma: D’azzurro a tre tralci di vite, fruttati d’oro, impalati dello stesso e accostati. Dalla Sicilia, adunque, la famiglia si diramò nel resto del Regno: in altre parole nel Napoletano in Calabria e in Puglia.

Un Ordine destinato a far parlare ancora di sé.

Può capitare ancora oggi, in Sicilia e dintorni, di assistere da qualche teatrante di strada o tradizioni folclorice le strofe di grida disperate: allarmi! Allarmi! La campana sona. Narra l’assalto dei Turchi o di barbareschi “alla marina”, del pronto giungere delle galee di Malta, più volte soccombevano dall’impari confronto con un più forte nemico, e dalla rabbia e disperazione del comandante della flotta biancocrociata che non piangeva, le galee perdute in fondo al mare e che si possono rifare, ma piangeva i suoi amati cavalieri morti in fondo al mare.
Ricordi tragici anche se gloriosi, che oggi in mezzo a tante forme di “revisionismo” e “pentitismo”sarebbe ingiusto dimenticare.
Un grande storico, Fernand Braudel, ci ha ricordato nella sua celebre opera dedicata al Mediterraneo del Cinquecento con le torri di avvistamento, erette un po’ dappertutto sulla costa della Spagna alla Grecia per difendere le popolazioni rivierasche cristiane dalle incursioni Turche e Barbaresche, avessero il corrispettivo nelle costruzioni di difesa erette fra Marocco e Albania, per difendere le genti dei litorali musulmani contro gli attacchi delle navi di Malta e di Santo Stefano.
Questa è la storia del nostro mare e dei nostri difficili eppur proficui e anche amichevoli rapporti con il vicino Islam, cui sotto la sapienza culturale e tecnologico, tanto dobbiamo. Ma dovevano comunque scannasi, strappare la battaglia il loro vessillo (Baussant o Vaucent) e viceversa, di una storia cha non racconta sola violenza e carneficina: ma che è una storia di fede, di abnegazione, di carità, di moderazione, di prudenza diplomatica, il mecenatismo artistico e letteraio.
L’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme (poi di Rodi e ora di Malta) fu fondato nel 1099 dagli amalfitani. In quell’epoca era ricorrente il fermento e l’isteria religiosa è possibile quindi che l’idea di fondare un secondo ordine sulla scorta di quello di frà Gerardo di Amalfi provenga dalla stessa fonte. In quei tempi, dall’esistenza, a Nocera poi Nuceria Paganorum attualmente in provincia di Salerno e, quindi nella zona del territorio di Amalfi, di una famiglia Pagano dalla quale ha preso il nome il paese di Pagani, che avrebbe avuto per arma tre teste di moro, sembra, in sostanza, che tale arma sia stata anche quella usata dal fondatore dell’Ordine del Tempio, cioè Ugo de Pajns altre volte indicato come de Pjens.

I Custodi del Tempio:Milites Christi Templique Salomonis:

Amici lettori, da quest’istante sarete testimoni di rivelazioni che non troveranno in nessun libro di storie sull’Ordine del Tempio. Questo volumetto non si propone di ripercorrere la storia dei Templari ve ne sono già molti da cui si possono ricavare notizie, vuole essere invece un viatico di sei approfondimenti sulle vicende relative all’Ordine del Tempio, ricavate da ricerche e gelosamente custodite da bibliografi passati a miglior vita. Io tratterò il lato di mistero che ancora pervade tutta la storia dei Templari, i riti d’iniziazione per l’ammissione all’Ordine, il significato esoterico degli armamenti, gli addobbi e del loro sigillo.
“I Cavalieri del Tempio”, vissuti nell’epoca dell’urto fra due civiltà, la cristiana e la musulmana, riuscirono a rendere concreto il duplice ideale di monaci e di guerrieri.
Parte seconda:
Sono due aspetti diversi che apparentemente, sembrano in contrasto, ma che sono coerenti fra loro. Un sistema dualistico pervade tutta l’organizzazione del Tempio che è sacro e profano, orientale e occidentale, tragico e trionfante. Il sigillo con due cavalieri in groppa ad un solo cavallo non è il simbolo delle due facce dell’Ordine: quella scoperta e quella segreta. Nei portali delle grandi cattedrali gotiche d’Amiens, di Chartre e di Reims sono raffigurati due cavalieri del tempio che si riparono sotto il medesimo scudo. Il dualismo templare si manifesta ancora più evidente nello Stendardo o Baussant, il vessillo mezzo bianco, e mezzo nero. Non solo i cavalieri uscivano a due a due, ma anche le loro costruzioni non erano mai singole: le commende che venivano chiamate precettorie avevano sempre le loro “gemelle” nelle vicinanze, come Pajns e Trojes, Tolosa e Lespinet, Narbonne e Pejrens, Bailes e Marsilia. Indubbiamente si trattava dell’applicazione di una filosofia dualistica dell’esistensa, perciò ogni coppia di cavalieri, di commende e di baliaggi rappresentava i due aspetti di una medesima cosa. “Questo è quando scrive Bianca Capone, una dei maggiori studiosi di templarismo in Italia, nel suo libro i “I Templari in Italia” ed. Armenia del 1977.
Vediamo ora, cari lettori, l’opinione a riguardo di Giuseppe Lazzano nel saggio “I Temlari, storia, tradizione e fenomeno del Templarismo Cavalleresco” contenuto nel libro “TEMPLARI TRA MITO E STORIA, pubblicato in Ravenna nel 1992 per iniziativa del Lions Club Ravenna Bisanzio.
La storia, protagonista di questo appassionante itinerario sulla vicenda dei Templari che mi accingo ad esporvi, ambisce a far chiarezza su alcune ambiguità e contraddizioni frutto purtroppo spesso di approccio superficiale e pregiudiziale, e ci accompagna fedelmente alla scoperta delle origini e della vita dell’Ordine dei difensori del Tempio di Gerusalemme: la loro nascita, la loro espansione, le loro abitudini, le loro gesta, la loro inaudita persecuzione, la loro scomparsa. A tal proposito, come succitato i soci del Lions Club Ravenna “Bisanzio” di Ravenna-Complesso di San Vitale di via Fiandrini, hanno allestito una mostra itinerante permanente, sull’Ordine del Tempio, un’occasione per capire e anche per sorprendersi. Orbene, amici lettori, la mostra sui Templari a Ravenna! Potrebbe sembrare, a prima vista, un inutile gioco accademico per patiti d’antiche vicende cavalleresche. Invece no. Se si guarda la cosa più da vicino e si pone maggiore attenzione al tutto, ci si accorge che non è così: A sinistra dell’entrata, una cronologia essenziale introduce ad una video cassetta sulla storia dei Templari: il presente richiamo poi sulla storia, attraverso la visione dei costumi e delle insegne degli ordini Cavallereschi esistenti all’epoca e giunti fino ai giorni nostri (ad esempio l’Ordine dei Cavalieri di Malta). Il percorso prosegue (prima sala, a destra dell’entrata), nella riscoperta delle motivazioni dell’impegno templare. Nato anche per soccorrere i pellegrini in Terrasanta dopo la conquista musulmana, i Templari furono tra i protagonisti delle crociate, animati da un
Fervore e da un coraggio non comuni. Si possono notare lance e scudi templari di varie epoche ed una figura riproducente un’intera armatura del sec. XIV. Nella sala successiva, un pannello didascalico, introduce l’organizzazione gerarchica dei Templari, distinguendo coloro prendevano i voi, da coloro che servivano il Tempio senza prendere i voti, mentre alcuni disegni propongono una dettagliata descrizione del vestiario: vengono raffigurate il turcopiliere (comandante dei turcopoli, mercenari assoldati dai templari), il cavaliere dalla nascita del nucleo che avrebbe dato vita all’Ordine fino all’immagine più tradizionale. Nel corso della mostra, altri disegni e manichini riproducono le figure dell’arciere, del turcolpolo, del fratello sergente anche con l’ultima armatura adottata dall’Ordine prima dello scioglimento (decretato da Papa Clemente V nel 1312) quando i Templari difendevano il loro ultimo insediamento a Cipro. Nelle vetrine sono esposti vari elementi delle armature indossati dai crociati, risalenti al secolo XIII e XIV. Si possono notare ancora sulla destra, un lacerto musivo pavimentale dell’inizio del XIII sec. riproducente i crociati in battaglia con la raffigurazione del sigillo dell’Ordine. Al centro della sala, è collocato un interessante plastico della magione templare di San Quirino (Pn).
Entriamo ora nella lunga sala in fondo alla quale possiamo vedere uno splendido crocifisso ligneo del XII sec., cioè di epoca templare. Sempre verso il fondo della sala, al centro del corridoio, protetto da vetrina, incontreremo uno degli ornamenti originali in pietra (“Madonna con Bambino”), appartenenti ad uno degli edifici di pertinenza proprio della magione templare di San Quirino. Nella sala vediamo all’inizio, sulla destra, la riproduzione di una cartina degli itinerari e della storia delle Crociate, mentre nelle vetrine, le gesta dei cavalieri del Tempio, sono ricordate dagli innumerevoli elementi caratteristici delle loro armature. La didascalia della mostra, ci offre alcune informazioni su come dormivano i Templari; essi non rinunciavano nemmeno durante il tempo dedicato al sonno, alla preghiera e alla riflessione in comunità: interrompevano il sonno per la recita del mattutino e quindi celebravano la Santa Messa subito dopo il risveglio. Per quello che riguarda il vestiario, viene distinto il corredo di pace e di convento, da quello di guerra e di pattuglia. In fondo alla sala, una cronologia essenziale di Rinaldo da Concorezzo, ci presenta colui che è il vero protagonista della mostra. Orbene, l’Arcivescovo di Ravenna nel primo decennio del 1300, Grande Inquisitore nel processo ai Templari dell’Italia settentrionale, svoltosi a Ravenna, fu l’indiscusso artefice della sentenza assolutoria celebrata con formula piena il 18 giugno 1311. In fondo alla stessa sala, sotto il crocifisso, osserviamo la gigantografia del sarcofago (V sec.) dove sono conservate le spoglie dell’Arcivescovo; il sarcofago è collocato nella Basilica Metropolitana di Ravenna. A destra si entra nella sala dedicata a Dante, che pur non essendo mai stato Templare, dimostrò sempre, anche nei suoi scritti, grande interesse per le vicende dell’Ordine. La sua mai nascosta avversione nei confronti di Filippo il Bello, grande persecutore dei Templari, e di Papa Clemente V che firmò la bolla di scioglimento dell’Odine, è testimonianza di questo suo convinto atteggiamento (Divina Commedia, pur. XX, vv. 91 – 93).
In questa sala, sono esposti anche due preziosissimi codici originali del poema dantesco, il Codice Phillips e il Codice Trivulziano, sicuramente i pezzi più pregiati della mostra. Interessante anche una microcalligrafia della Divina Commedia ed alcuni codici miniati di epoca templare. Si entra così nella parte più interessante della mostra dove esposti i documenti del processo ai Templari dell’Italia Settentrionale. Sono documenti di grandissimo valore, riproducenti ad esempio, le bolle degli Arcivescovi di Ravenna e Pisa relative ai beni templari dei quali essi stessi erano amministratori, nonché i rendiconti sui beni templari destinati al processo di Ravenna e complicati da alcuni degli Arcivescovi delle diocesi dell’Italia settentrionale (Pavia, Piacenza, Pordenone): ancora possiamo vedere i documenti relativi ai vari Concili diocesani convocati sulla questione dei Templari e relativi alle nomine dei rispettivi vicari incaricati all’esame dei libri d’economato, delle masiones e dei beni in genere di proprietà templare. Di grande importanza, le bolle papali di Clemente V sull’inquisizione dei Templari di Zara e sulla conversazione dei beni templari di Grado. Sulla conquista di Zara ad opera dei Templari, notiamo (il primo dei due pannelli sulla destra) un lacerto musivo pavimentale del XIII sec. Nella sala sono esposti il sigillo anulare ed i guanti di Rinaldo da Concorezzo ed un suo grande ritratto, forse l’unica immagine rimastaci dell’illuminato Arcivescovo. In vetrina, sempre sulla destra del corridoio, possiamo osservare una copia dell’historiarium Ravennatum Libri Decem di Girolamo Rossi, storico ravennate, che fu l’unico a riprodurre gli atti del processo e la sentenza di piena assoluzione, riprodotta tra l’altro, in pannello didascalico in carattere medievale così come è stata tradotta dal testo del Rossi stesso. Proseguendo nella stessa sala, sempre in didascalia, alcune notizie sull’intensa attività economica de Templari, che ricevettero in lasciti e donazioni un patrimonio ingentissimo tale da suscitare l’invidia di Filippo il Bello, Re di Francia, che inagurò la persecuizione dell’Ordine proprio per impossessarsi di quel patrimonio.
La fine dei Templari, raccontata in didascalia, è legata ad alcune figure i cui ritratti sono esposti in mostra proprio nella sala che stiamo visitando. Filippo il Bello appunto, Papa Clemente V , Jaques de Molaj ultimo Gran Maestro, arso vivo sul rogo dopo lo scioglimento dell’Ordine. Notiamo che il ritratto di Bernardo di Chiaravalle, che dettò la regola dei Templari. Nell’ultima sala vengono date alcune notizie didascaliche su come ad esempio si curavano i Templari (da ricordare il frequente uso delle erbe, così come avevano imparato da arabi e su come mangiavano: la riproduzione non troppo dettagliata del refettorio di una magione templare, mette comunque in luce uno stile dedito alla semplicità e ispirato alla virtù della povertà. In primo nome di quello che poi è divenuto l’Ordine dei Templari, fu proprio quello di “ Poveri cavalieri di Cristo”.
Motivazione alla sentenza assolutoria del processo ai Templari: debbono essere considerati innocenti coloro per i quali è possibile dimostrare che hanno confessato solo per timore della tortura. E’ innocente anche chi ha ritirato la confessione estorta con la violenza oppure non ha osato ritirarla temendo di essere di nuovo torturato.
Ravenna, 18 giugno 1311.
Cesare Beccarla pone questa tesi come punto di partenza del suo “Dei delitti e delle pene” nel 1764.
Orbene, torniamo ai nostri “amici” Templari.
I Templari si mostrarono sempre valorosissimi e n’ebbe gloria il loro Stendardo, detto “Bouceant” –bipartum ex albo et nigro-che consisteva in due bande orizzontali, e conferme della loro dottrina, lo stendardo rappresentava il “dualismo universale”, cioè l’aspetto spirituale nel bianco, dominio del bene e quello materiale, col nero dominio del male. Lo Stendardo dei Templari non cadde mai in mani nemiche. Nel 1237, sotto il Maestrato d’Armando di Périgord, un cavaliere italiano, il Templare Reginaldo da Argentonio, che portava il “Boucèant”, lo tenne levato in alto i nemici, trafittone molte volte il corpo, non ne recisero le mani che continuavano a stringerlo. Circa la bipartizione in bianco e nero del bauceant, di diverso avviso è Louis Charpentier ne “I Misteri dei Templari” editrice Atanor, Roma, del 1974. In esso si legge:” Presso il Gran Maestro era custodito lo stendardo dell’Ordine chiamato Baussanta o Beaussèant, metà bianco e metà nero. In battagli era il cardine del combattimento, un che analogo alla bandiera ammiraglia. Al campo sventola sulla tenda del Gran Maestro. E’ possibile che questa partizione in bianco e nero (sabbia e argento) abbia un significato esoterico. Al riguardo sono state scritte molte cose, più o meno sensate, ma è evidente, per chi conosce il cielo d’Oriente divorato dalla luce, che non era immaginabile un’insegna più visibile che quest’accoppiamento di nero e di bianco. Il Beaussèant è, innanzi tutto, una bandiera di combattimento che localizza il comandante e non è pensabile che quella parte d’Ordine rappresentata dall’armata d’Oriente fosse così appassionata d’occultismo, di filosofia e di simbolismo.”Qui occorre subito eccepire a Charpentier che ogni bandiera, ogni stendardo, ogni vessillo ad una valenza simbolica e allegorica e non si vede perché il beausseant doveva fare eccezione. Inoltre il beausseant non era il vessillo soltanto dell’armata templare d’oriente, ma di tutto l’Ordine che lo poteva avere scelto sia perché ben visibile, ma anche perché rappresentativo di un filosofia. Di proposito abbiamo riportato quanto innanzi per mostrare la diversità di opinioni a riguardo allo stendardo templare, ma per quanto ci riguarda la scelta del bianco e del nero (quarda caso il nero: assenza di colore e il bianco: fusione di colori) è voluta e significativa. E qui potremmo rimescolare tutto quanto si è scritto sul significato del bianco e del nero ripetendo quando riportato tutti i dizionari dei simboli, ma più opportuno è sottolineare che la “dualità” è un momento, una fase, una tappa, Conosciamo l’importanza dell’unità, quella della trinità, il valore mistico della “tetraktis”, il valore coniugale del cinque (unione di un numero pari ed uno dispari), tutti momenti che debbono condurci all’unità, a quell’androgino presentato dalle dottrine gnostiche come lo stato iniziale che deve essere riconquistato. Dei Templari possono avere ammirazione per le loro grandi capacità d’amministratori, costruttori, agricoltori, banchieri senza dire della loro misteriosa filosofia e del loro occulto essoterismo. Ne consegue che non si può accettare in loro l’angusta visione di tre religioni monoteiste che si combattono per distruggersi e se quest’antagonismo aveva luogo per ragioni storiche restava pur sempre un momento in vista della riconciliazione.
I capi Templari erano uomini d’ingegno e d’intelletto (non dimentichiamo lo stesso Bernardo di Chiaravalle) gran protettore dell’Ordine); solo per opportunità storica combattevano gli uomini dell’Islam dei quali erano ammiratori al punto da attingere da quella civiltà usanze e costumi.
Le persecuzioni:

Poco dopo l’anno mille, stante l’aggravarsi delle persecuzioni contro i Custodi del Tempio di Salomone e la distruzione di biblioteche preziose, i pochi Templari rimasti in Francia e Italia decisero di proseguire la lotta, non solo contro il re di Francia Filippo, il Bello. Uno storico arabo dell’epoca, testimone oculare racconta: ” Saladino promise cinquanta denari a chiunque portasse un templare od ospitaliero (per ospedaliero si intende l’attuale ordine di Malta) prigioniero. Subito i soldati ne portarono centinaia, ed egli li fece decapitare perché preferì ucciderli piuttosto che ridurli in schiavitù. Il Sultano era circondato da un gruppo di dottori della legge e di mistici, e di un certo numero di persone consacrate alla castità e all’ascetismo. Ognuno di loro chiese il favore di uccidere un prigioniero, sguainò la spada e scoprì l’avambraccio. Saladino stava seduto con faccia sorridente, mentre quelle dei miscredenti erano accigliate. Le truppe erano schierate, con gli emiri per due file. Fra i religiosi, alcuni diedero un taglio netto ed ebbero ringraziamenti; la spada di altri esitò e rimbalzò: furono scusati; altri ancora furono derisi e sostituiti. Lo storico, testimone, riferisce che il sultano sorrideva al massacro, e scorse in lui l’uomo di parola e d’azione. Quante promesse non adempirono! Quante lodi non si meritarono! Quante ricompense durature a causa del sangue da lui versato!
Ritornando alle persecuzioni molti entrarono nelle corporazioni dei costruttori dei Templari, altri si fecero frati, quelli che avevano i mezzi si ritirarono e si isolarono, salvo i francesi, molti dei quali fuggirono in altri stati (come scrive G. Ventura nel suo libro Templari e Templarismo, Anatra ed.) per non cadere nelle mani degli scherani di Filippo IV il Bello e dei tribunali a lui asserviti non ebbero noia e poterono riunirsi in nuove confraternite come, ad esempio in Spagna dove si associarono nel 1317 con l’Ordine del Cristo, e fondarono, nel 1319 quello di Mentisco. Altri passarono agli ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Altra ancora, e particolarmente gli inglesi continuarono a riunirsi, alcuni passando in Scozia. Di qui sarebbe sorta una delle principali branche del teplarismo, il fenomeno dello scozzesismo. Due sono le fonti quali si collegano le origini del Templarismo. 1) La leggenda della esistenza in Scozia di una Loggia di Massoneria operativa, alla quale si sarebbero associati alcuni Cavalieri Templari fuggiti dalla Francia, che avevano trovato protezione presso il Re Roberto Bruce.( Gli stessi avrebbero aiutato il Re Bruce a vincere la battaglia di Bannck-Burn, ed il Sovrano scozzese, per ricompensarli, avrebbe istituito a loro favore l’Ordine dei Cavalieri di Sant’Andrea di Scozia dandogli la funzione di Sovrano Capitolo della leggendaria loggia); 2) L’affermazione che il Gran Maestro Giacomo de Molaj, nel periodo della sua provvisoria libertà nel 1313 aveva passato i suoi poteri al Cavaliere Jean Marc Larmenius che li avrebbe esercitati dal 1314 al 1324, quando, morendo li avrebbe trasmessi a Theobald d’Alexandrie. L’Ordine, quindi visse regolarmente, seppur nell’ombra, e senza modificare i suoi Statuti fino al 1705 quando il principe Filippo d’Orleans n’avrebbe assunto la Maestranza.
In conclusione giusto per chiarire e fare appena un po’ di “luce” circa il tanto discusso esoterismo dei Templari, la Loggia Massonica di Kilwinning alla quale appartenevano i costruttori di cattedrali scozzesi e che godeva di particolari prerogative e privilegi, avrebbe dunque accolto nel suo seno alcuni Cavalieri Templari, Maestri architetti, sfuggiti alla persecuzione di Filippo IV il Bello. In quell’anno 1840 circa, secondo i Liberi Muratori francesi, gli ultimi cavalieri del Tempio si sarebbero riuniti alla massoneria facendosi iniziare in una loggia detta “dei Crociati” all’obbedienza della Gran Loggia di Francia (Rito Scozzese Antico Accettato dei 33 ultimo grado). A questo punto amici lettori non si può escludere nè negare (sempre come riferisce G. Ventura) che qualche Joannita, o protestante, abbia seguito questa sorte, con questo è assolutamente e storicamente falso la fuga totale dei cavalieri , l’Ordine sia scomparso. Infatti, come riferisce G. Ventura nel suo libro l’11 febbraio 1841, ebbe luogo a Parigi un accordo generale fra cattolici e johanniti grazie alla mediazione magistrale del Conte di Saint Cesan, si decise che tutti i cristiani, di qualunque confessione, potevano essere ricevuti nell’Ordine e che la religione ufficiale era quella cattolica apostolica romana. In accodo cattolici e johanniti fu nominato Reggente il cavaliere di Malta avvocato generale della Corte di Cassazione Jean Marie Raoul. In Raoul 1843, conservando il vicariato generale, offrì il titolo di Gran Maestro al re di Svezia Carlo XIV (maresciallo napoleonico G.B. Bernadotte) che vi apparteneva fin da quando Napoleone n’era stato proclamato Gran Protettore.
Parte terza:
Tornando alle origini delle persecuzioni i Templari, durante il giorno lavoravano confondendosi tra la moltitudine, ma di sera tornavano ad essere gli Intellettuali di un tempo e si dedicavano allo studio della Gnosi e dei Simboli. In tal modo le iniziazioni si rinnovarono e presero il nome d’Ermetismo. Ufficialmente questa parola significava ricerche alchimistiche ma in realtà, sotto l’egida dell’Alchimia, gli iniziati studiavano i manoscritti del passato, la luce della Gnosi ed i mezzi per riportare la Chiesa alla sua forma primitiva. Venne adottato un gergo simbolico alchemico incomprensibile al profano: cioè ogni cosa deriva dall’Azoto, dal Solfo e dal Mercurio – come c’insegna un’insigne Maestro: Frate Basilio Valentino – il che sta a dimostrare semplicemente che il triangolo, simbolo della Trinità, era il punto di partenza della Gnosi.
Furono appunto alcuni Monaci Ermetismi che insieme con gli Iniziati Muratori, ebbero l’idea di costruire un gran tempio significante la traduzione in pietre dell’antico e nuovo Testamento e rendere perenne, in tal modo, la vecchia tradizione dell’Iram.
I muratori di San Dionigi e di San Giovanni, si misero all’opera e nacque così la cattedrale Gotica. All’ombra di questa l’Ermetismo fiorì meravigliosamente, ed i Muratori decisero di propagare il nuovo simbolo costruendo su tutta la Terra, una fioritura di Templi. Avendo gli stessi Muratori chiesta la protezione della Santa Sede, furono esentati da servitù ed imposte: pare che parta da qui l’origine della dizione “Libero Muratore”. Mentre questi Iniziati Muratori tramandavano attraverso la pietra la tradizione del passato, altri Iniziati andavano in Oriente, alla sorgente della Gnosi: questi erano i Templari.
Sullo sfondo storico delle Crociate, agli inizi del XII secolo, nasce l’Ordine dei Templari, il cui emblema era una croce vermiglia cucita sul cuore . Agli occhi dei semplici questi ordini dei cavalieri di Dio rappresentava quando vi era di meglio, il più alto valore morale, qualcosa come la quintessenza della Cavalleria.
Dopo aver fatto la sintesi degli antichi Misteri e del Cristianesimo primitivo, i Templari tornarono in Europa e vollero ricostruire il Tempio morale che l’oscurantismo del potere di quel tempo aveva fatto rovinare. Fondarono Misteri secondo quelli d’Iside, misteri cristiani che dovevano fornire alla Chiesa una scelta schiera d’Iniziati. Ma in verità il loro obbiettivo segreto era ancora più vasto: aspiravano a colmare l’abisso che separava gli Gnostici dai Cristiani, (sul gnosticismo templare tratterò il cap. successivo) di porre fine alla guerra secolare che martoriava le menti e spianava odio dove, invece, sarebbero dovuto sbocciare amore, fratellanza e tolleranza. Così, gli Iniziati persiani, indiani ed arabi avrebbero salutato Roma come amica (sorella). Brama, Vetan, Ormus, ed Allah si sarebbero fusi in Cristo ed il Tempio umano sarebbe risorto superbo come un tempo, quando Can governava il mondo.
I Templarismo fa un movimento di natura monastica ed al tempo stesso militare, tanto che il fondatore, Ugo de Pajns ed i suoi sette compagni, (oggi il numero sette è necessario per formare una loggia massonica) “Christi Milites”. Esso sorse con lo scopo di tutelare l’incolumità dei pellegrini che si recavano a Gerusalemme. La organizzazione templare, cominciò a permearsi della tradizione iniziatica che si ricollegava alla costruzione del Tempio ebraico. E cioè nel momento in cui rinunciava alla regola agostiniana per adottare quella cistercense, costituendosi in quattro sottordini: dei Cavalieri, degli Scudieri, dei Laici e dei Sacerdoti. Si forma così tra loro una gerarchia rituale a capo della quale era il Gran Maestro – chiamato Magister Militiate Templi – coadiuvato dai dignitari dell’Ordine. Sul labaro era scritto il motto: “Vincere aut mori”. Motto che non aveva solo valore simbolico se si ha a mente un canone fondamentale dei Cavalieri: “Non indietreggerai se dovrai combattere da solo contro 23 nemici”.
La potenza dei Templari aumentava pari al loro valore espresso in molte imprese d’armi. Tra queste vanno menzionate quella di Tiberiade nel 1187, quella di Gaza nel 1244, quella di Mansurach nel 1280. Verso la metà del secolo 13°, l’Ordine agiva non soltanto in Oriente, ma in Francia, in Inghilterra, in Aragona ed altre Province.
Riconosceva autorità costituite e aveva alcuna soggezione. Protesse Re, Principi e Cardinali. Tutto ciò lo portò a possedere straordinarie ricchezze. Si può affermare che con i Templari ebbe origine l’organizzazione bancaria, affidandogli i potenti i loro tesori sia in Patria sia all’estero. Non è inesatto affermare che nella metà del 13° secolo l’Ordine traeva un reddito di oltre 110 milioni annui, con beni immobili in numero di 9.000 tra baliaggi, castelli, priorati, capitanie e case. Forse una metà della stessa Parigi era in mano all’Ordine. Questa ricchezza paragonabile ai tempi, ha del favoloso e non è difficile credere quali cupidigie mossero all’interno del potere temporale e da parte del Re di Francia Filippo IV il Bello. A questo punto è necessario avere presente la missione dei Templari che era quella di realizzare la Grande Opera. Ma per fare ciò era necessario che il popolo rinunciasse al potere temporale. Quando Filippo il Bello tentò di opporsi all’azione del Papa e non esitò a farlo schiaffeggiare, i Templari lo acclamarono. Ma Filippo, quando conobbe la missione dei Cavalieri, ebbe paura della vendetta papalina e rifiutò loro il suo aiuto.
Filippo il Bello tradì quindi i Templari e tornò ad allearsi con il Papa, l’allora Clemente V. Alleanza che avrebbe compiuto una sistematica opera d’accaparramento e di distruzione. L’Ordine fu fatto apparire come un pericolo per gli Stati e per la Religione, tanto che Federico II di Svevia li escluse dalla Sicilia, il Papa li dichiarai eretico e Filippo che chiese la soppressione. Di qui il più osceno processo della Storia, incorniciato dall’ipocrisia del Papa, emblematicamente rappresentata con la nobile figura del Gran Maestro Giacomo de Mola torturato ed avvolto dalle fiamme di un rogo che grida ancora vendetta. La morte di Mola supera la sua persona; essa è un simbolo e l’ultima espressione di quello che fu il vero medio-evo, “enorme e delicato, le cui conseguenze furono tremende ed incredibili”.
Dei 15.000 Fratelli del Tempio, molti erano già morti nel primo decennio del 1.300 e tanti altri continuarono a morire nelle galere.
I cosiddetti riconciliati furono ammessi negli Ospedalieri (ora cav. di Malta) antico Ordine antecedente i Templari ed i Teutonici. Altri passarono i Pirenei e trovarono asilo nelle Capitanerie spagnole e portoghesi. Altra ancora si rinchiuse in qualche torre famigliare nell’attesa di una nuova partenza oltre mare. Ma anche lo spirito della crociata era scomparso tra le fiamme della piccola isola della Senna (chiamata oggi Ponte du Vert-Galant). Li troviamo un po’ dovunque, divennero persino navigatori dalle vele contrassegnate con la croce del Tempio. In Inghilterra il Re diede loro una pensione e poterono finire i loro giorni nelle antiche Capitanerie dell’Ordine. Non ve dubbio, comunque, che dopo la morte di Giacomo di Mola, i Cavalieri esercitarono un ruolo occulto tra gli “Antichi fratelli di mestiere” (come ho accennato avanti) continuando a diffondere i loro insegnamenti ed a passare le loro consegne (và ricordato che l’Ordine aveva i suoi architetti, i suoi ingegneri, i Maestri d’Ascia, i tagliatori di pietra, i muratori, i carpentieri, i maniscalchi, i drappieri, e gli armaioli, oltre a quelli di secondo rango).
Ma si ritiene che non si limitino a questo: è probabile che si riunissero in piccoli gruppi e proseguissero un’azione di cui, purtroppo, non risulta sia rimasta traccia alcuna. Le direttive che espressero e le testimonianze che le potrebbero attestare sono avvolte da una profonda oscurità.
Tutto ciò accadeva nel tempo in cui Dante Alighieri scriveva nella sua opera immortale e così recitava trattando dei Fratelli Templari nel canto XX del Purgatorio: Veggio in Alagna intrar lo fiordaliso e nel Vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ‘l fele, e tra vivi ladroni asser inciso ecc… (argomento che tratterò pross. art. su Dante e i Templari). E certamente un forte desiderio di giusta vendetta che invoca Dante ed il posto che Egli riserva ai Templari nella sua prospettiva celeste, i simboli che usa, l’ascensione che compie, i pericoli che affronta, il metodo che impiega per purificare la sua anima dalle colpe e vedere finalmente che non ha fine né inizio, tutto ciò procede dall’etica Templare.
Assai utile è inserire qui il pensiero del Porciatti sul Templarismo. Egli sostiene che il Templarismo non deve essere considerato come reazione di vendetta per quanto è stata perpetrata a loro danno. E’ solo una caratteristica contingente, giustificabile quanto si vuole, ma non essenziale. Il Templarismo non si è mai dichiarato palesemente avverso all’autorità papale; ha mantenuto con Roma rapporti non di dipendenza, ma in un certo senso di soggezione; non si è mai dichiarato avverso a questa o quella corona; ha vissuto rapporti gentili dall’Occidente all’Oriente. Non è quindi dei Templari la pugnalata alla Tiara o alla Corona.
Orbene, soltanto dopo la distruzione dei cavalieri del Tempio si è sentito il bisogno, da parte dei loro “eredi”, di vendicare il delitto commesso contro i loro padri.
Questo desiderio di vendetta nulla ha che vedere con quello della difesa virile ed attiva dei “beni aviti”, in altre parole di quello che è il retaggio dei Templari. Pertanto, tale azione “vendicativa”, se non rimane contenuta entro i limiti di una espressione di sdegno, finirebbe con il rappresentare una forma degenerativa dei principi dell’Ordine, tale da disperdere la spiritualità dei Templari e farebbe perdere al nostro rito una delle più belle caratteristiche: quella cioè di sintesi di tutte le manifestazioni superiori.
Con la distruzione dell’Ordine dei Templari per la perfidia ostinata dell’inquisizione e dell’assolutismo reale, tutto sprofondava bruscamente. E coloro che, per prudenza o lusinghe, avevano abbandonato i Templari non si rendevano conto che con la fine dell’Ordine suonava la loro condanna a morte e che loro stessi sarebbero stati aboliti e in altre parole che erano in gestazione già li respingeva. Quella Cavalleria che avevano conosciuto, nella quale erano cresciuti, era ormai un ricordo. La caduta del Tempio precedeva la guerra dei cent’anni, la Riforma, la scomparsa della feudalità, la costituzione dell’armata nazionale e del potere assoluto. Il vecchio onore dei Cavalieri era sostituito dallo spirito capzioso e dal freddo calcolo. Michelet comprese bene gli avvenimenti se così si espresse: “Questo avvenimento non è che un episodio della guerra eterna che combattono l’uno contro l’altra lo spirito e la lettera, la poesia e la prosa”.
Quello che avvenne delle “eredità” di de Mola purtroppo sa molto di leggenda: esempio tipico è la storia del tesoro del Tempio che ha generato della stravagante letteratura. Pare che i frammenti dell’Ordine riuniscano da due Gran Maestri succeduti alla morte di Mola: il Conte di Beaujeu e mounsieur Aumont, uno dei Templari rifugiati in Scozia. Tanto che il Magistero dell’Ordine si sarebbe perpetuato senza interruzione. Tradizione, questa, non priva d’interesse poiché è stato ripreso dalla Massoneria. Michele di Ramsay, infatti, propagatore della Massoneria di rito scozzese, in Francia, collega questo movimento dei Cavalieri del Tempio e ne cerca le origini ancora più lontano. Secondo quanto lui ci fa sapere, i Templari sarebbero già stati Massoni e non esita ad affermare che i vari fondatori della “frammassoneria” sarebbero stati i Crociati.
Ammesso di poter procedere ad una provvisoria conclusione, possiamo affermare che nella tradizione iniziatica l’Ordine dei Templari ha un posto di gran rilievo; essa rappresenta un anello dell’infinita catena delle istituzioni che nei secoli hanno tramandato il fuoco sacro e la parola rilevatrice della Verità. I Templari compivano un’azione palese a carattere religioso-spirituale, di natura esoterica; possono pertanto ritenersi dei veri adepti. Anche se per l’immensa catena di proprietà e potenza loro attribuite può avere “casualmente tralignato”, ciò non attenua i meriti dell’Ordine il quale se ne riscatta con la tragica fine dei principali personaggi che restano per sempre segnati dall’aureola del martirio. Essendo i Templari nati con le Crociate, possiamo spiritualmente inquadrarli con tali avvenimenti, riprendendo quanto dice Ramasay nel suo “Discours”: “I Crociati vollero riunire in una sola Confraternita gli uomini di tutte le nazioni. Quale riconoscenza noi dobbiamo a questi uomini superiori che, senza interessi mondani, senza soddisfare il desiderio materiale di dominare, hanno immaginato un’organizzazione il cui unico scopo è la riunione degli spiriti e dei cuori per renderli migliori e formare, nel corso del tempo, una nazione spirituale? Essi erano non soltanto gli architetti che volevano consacrare il loro talento ed i loro beni alla costruzione dei templi materiali, ma anche dei principi religiosi e guerrieri che volevano far risplendere, edificare e proteggere i templi dell’Altissimo”. Ad onorare i “Fratelli del Tempio” vada la lettura di questa pagina del Bordenove: “In fin dei conti, è possibile affermare che “lo spirito del Tempio” sia sopravissuto alla distruzione e, in qualche modo, sopravviva ancora? E d’altronde, quale era “lo spirito del Tempio”? Un’impresa sublime dove l’onore e la fede avevano parte uguale. Coloro che esso animava, dovevano essere nello stesso dei santi e degli eroi, degli speculativi e degli uomini d’azione, degli amministratori e dei capi militari, dovevano accettare, inoltre, che l’azione personale servisse la comunità e non la fama dell’uomo, per elevato che egli fosse nella gerarchia, e per di più accettare che la gloria del Tempio fosse in realtà quella di Dio: “Non Nobis Domi ne, non nobis, sed nomini tuo da gloriam”. Era anche un modo di essere, di sentire., di pensare, di agire, nello stesso tempo il vertice della fierezza e dell’umiltà. Infine ciò significava, in tutta l’estensione del termine, sforzarsi di essere, agli occhi di Dio, “un figlio d’elezione”: saper attendere ai propri doveri, saper contenere le proprie impetuosità naturali, obbedire, trattare i sottoposti con dignità. Essere degno del mantello bianco e degno di sé stesso, di quest’universo che ogni uomo reca in sé nascendo. Essere un vero gentiluomo, in tutte le circostanze della vita, cioè comportarsi “bellamente ed in pace”. No! Questo spirito non è morto, né è prossimo a morire. Tutti coloro che ciò farà vibrare intimamente, profondamente, ne sono molto vicini! Era quello che impose a Padre Foucauld le solitudini che conosciamo. E’ quello che sostenne nell’eroismo e nelle dure prove un uomo come Estienne d’Orves e migliaia di resistenti anonimi a centinaia di combattenti e che anima ancora una folla di essere ignoti e diversi, che neppure sanno cosa fu il Tempio. Si ritrovava frammentario, disperso, multiforme e tuttavia unico, i numerosi scrittori: Pèguy, Bernanos, e, talvolta, Montherlan (il Maestro di Santiago è un “templare” fino alla punta delle unghie). Chateaubriand ha fatto rinascere questo spirito in La rèponse du Seigneur, il cui intreccio, ad un tempo divertente e grave, ricordo l’iniziazione di un giovane da parte di un vecchio Cavaliere. Un risultato simile raggiunge, in tempi a noi più vicini, Jules Roy, la cui simpatia ed acuta comprensione si esprimono in Beau Sang, dramma ammirevole che ha per protagonista un dignitario fuggiasco. E n’abbiamo citato solo alcuni. Ciò che conferisce alle loro opere questa profondità e quest’accenno patetico non è altro che il vecchio spirito del Tempio che continua a levarsi, con voci diverse, contro la barbarie e l’oscurantismo dei valori morali, per una migliore comprensione dell’umanità per amore della persona umana, perché si perpetui, contro venti e tempeste, questo modo di vivere che era stato dei Fratelli del Tempio, il loro contributo alla grande storia dell’Uomo. Uno spirito religioso non deve del pari contrariarsi perché i Figli della Vedova pretendono di continuare la Grande Opera templare, ma caso mai giudicarne l’intenzione? Al punto in cui siamo nell’evoluzione umana, vi è in solo delitto contro lo spirito: e’ trascurare, per passione politica o confessionale, per durezza di cuore, ambizione o stupidità, ciò che può e vuole servire per difendere un certo atteggiamento dell’uomo di fronte agli avvenimenti, ad elevarlo e preservarlo da un avvilimento totale, a conferirgli le sue vere dimensioni. Le apparenze sono ingannevoli. Tra i compagni d’Ugo di Payns o di Giacomo di Mola e l’elite (non solo intellettuale) della nostra epoca, il divario è molto minore che tra noi e gli enciclopedisti, la borghesia di Thiers, gli ambienti industriali e commerciali dell’inizio del secolo. Un universo scompare, nessuno lo contesta! Nel momento in cui l’astronautica compie i suoi primi passi e la Terra assume le dimensioni di una pista d’atterraggio, mentre l’Uomo allarga le sue conoscenze ai confini della Galassia e recupera un’immagine di se stessa tanta bontà e modestia, da non arrestare la prodigiosa fioritura che si prepara! Dice Michelet: “Il soldato ha la gloria, il monaco, il riposo. Il Templare rifiutava l’uno e l’altro. Egli riuniva ciò che queste due vite avevano di più duro: i pericoli e le astinenze. La grand’epopea del Medioevo fù la guerra santa, la crociata; l’ideale di questa pareva realizzata nell’Ordine dei Templari. Era la Crociata divenuta stabile e permanente. Era la FRATELLANZA!.
Templari e Gnosticismo:

Trattando quest’altro capitolo templari e gnosticismo mi avvicinano ai lettori scusandomi a priori per le ripetizioni che mi accingo a fare, ma, necessarie per poter meglio comprendere il senso della mia esposizione.
Orbene, Data per scontata la conoscenza della storia e della leggenda del Templarismo, dalle quali posso dedurre che non è facile affermare che i Templari possedessero una Dottrina Segreta Unica e accettata da tutti i Cavalieri, ma è a che difficile negare ciò. Fra i 123 capi d’accusa nei confronti dei Templari, vi era quello di coltivare la “dottrina dei demoni”, cioè di occuparsi di Scienze Occulte; risulta, infatti, che la loro attività cosiddetta segreta era orientata all’ermetismo ed alla “magia”. Questo non deve sorprendere vivendo essi in quei paesi ove tali dottrine erano note da secoli e per i contatti che i Templari dovettero naturalmente ricercare con i Centri Iniziatici ove esse erano più profondamente coltivate. Bisogna avere sempre presente che i Templari intrattennero cavalleresche relazioni con i nobili guerrieri avversari (altro capo d’accusa), non per fellonia poiché il loro valore era leggendario, ma per quella affinità che è stata così espressa da Evolva: “La Cavalleria Crociata finì col trovarsi di fronte ad una specie di fac-simile di sé stessa, cioè guerrieri che avevano la stessa etica, gli stessi costumi cavallereschi, gli stessi ideali di una “guerra santa” e, infine, corrispondenti vene esoteriche, poiché ai Templari fece esatto riscontro nell’Islamismo l’ordine cavalleresco degli Ismaeliti. In tali termini non poteva non prodursi , a poco a poco, un riconoscimento inter pares di la di ogni spirito di parte e d’ogni contingenza, una intesa, per così dire, su-per tradizionale, come super – tradizionale era lo stesso simbolo del Tempio”.
Forse non è occasionale che Templari ed Ismaeliti hanno gli stessi colori: rosso e bianco. In ogni caso anche se si parla di distruzione dell’Ordine del Tempio, è certo che non vi fu mai alcun Concilio religioso che ne sentenziò la condanna; ordine che serviva da un punto di vista ufficiale, la regola ortodossa cistercense. Ciò non toglie che l’Ordine stesso, sin dalle sue origini, ebbe sempre contatti con l’Oriente, come già detto, come pure in Europa, dopo la caduta di Gerusalemme (ma forse anche prima); soprattutto in Francia e in Italia, i Templari avevano contatti con Albigesi e Catari.
E’ pur vero che la regola cistercense vietava qualunque contatto con gli eretici, ma l’Ordine del Tempio trattò anche con loro, allo scopo anche di “convertirli” ed ammetterli addirittura in seno all’Ordine se n’avessero avute le caratteristiche.
Da ciò non possiamo trarre la conclusione che i Templari assorbirono un po’ tutte le credenze con le quali ebbero contatti, malgrado appunto la regola dettasse la più stretta ortodossia. Basti pensare a tutte le accuse, le confessioni di solito sotto tortura, le testimonianze interessate, le trattazioni le quali ancora oggi costituiscono elemento di notevole confusione tale che è assai difficile poterne venire a capo. Si comprende però che se vi fù una dottrina segreta questa potrebbe sintetizzarsi nei seguenti quattro punti: 1) Monoteismo strettissimo assieme e frequenti contatti con i mussulmani;
2) Negazione della divinità del Cristo; 3) Negazione della Trinità in favore di un principio dualistico; 4) Negazione dell’autorità assoluta della chiesa cattolica.
Da tali concezioni e da tanti altri elementi che continuamente riscopriamo, diviene relativamente facile rendersi conto che il modo di pensare era assai vicino alle teorie dello Gnosticismo le quali, a loro volta, si ispirano alla dottrina persiana e di Zoroastro, con l’esclusione delle concezioni panteistiche, ma conservando la visione universale dualistica: il bene e il male, la luce e l’ombra – non dimentichiamo il dualismo dei Templari, nel mangiare in due nello stesso piatto, cavalcare in due su di un cavallo alle due torri delle cattedrali.
Lo Gnosticismo dei Kadosch i quali, con ogni probabilità, furono i teorici dell’Ordine, che può essere così riassunto: 1) ricerca della verità contro la supina accettazione del dogma imposto dalla chiesa; 2) visione dell’Universo come concatenamento di cause ed effetti, secondo regole fisse. Il tentativo del saggio di conoscere queste leggi e attraverso di esse avvicinarsi sempre più alla verità, pur senza mai raggiungerla è il principio fondamentale della Gnosi; 3) le varie religioni possono contenere frammenti di verità, ma nessuna è la sola detentrice della gnosi; 4) l’Universo appare formato da due principi contrastanti ed è dovere dell’uomo in quanto essere cosciente e pensante, specchio della Verità lottare ininterrottamente per la vittoria finale e definitiva sul bene e sul male, della luce sulle tenebre anche se l’uomo è conscio e che mai potrà esservi vittoria definitiva perché questa costituirebbe l’annullamento di ciò che è. Da quando affermato, cosa è possibile dedurne per ciò che riguarda il pensiero dell’essere? Che cosa rappresentano oggi gli ultimi Cavalieri di Kadosch? Ad essere degni di quelli che li hanno preceduto e di preparare degnamente quelli che seguiranno, e questo impegno si può riassumerlo, secondo me, nei seguenti principi: a) ricercare sempre la verità respingendo il comodo adagiaresi nel dogma; b) amare la libertà più di noi stessi; c) vivere - ad ogni costo – nel modo nel quale vorremmo che tutti gli uomini vivessero per perseguire i due primi principi sopra indicati.
Bisogna anche tener presente che all’origine di tutti quei “Misteri” dei Templari vi era senza dubbio San Bernardo da Chiaravalle, Maestro del Tempio, estensore della regola del Tempio, e in lui va ricercata tale origine, impregnata non c’è dubbio, dell’antica cultura celtica. Ma la ricerca potrebbe essere fatta nei secoli precedenti, all’incirca sei, in San Benedetto da Norcia, le cui norme comportamentali fossero in larga parte ispirata dalla ancor più antica cultura araba. Vedete cari lettori come l’occidente si avvicina sempre più all’oriente! Orbene, San Benedetto è un personaggio che potremmo considerare “Templare” per eccellenza?
Ai Templari fu certamente affidata all’origine una missione che, secondo Charpentier, sarebbe stato invece tre, e in altre parole: - ritrovare l’Arca d’Osé; - sviluppare la civiltà occidentale; - costruire il Tempio.
Molti Templari si discostarono da tali imperativi e i ruderi delle Commende stanno a testimoniare muti un eloquente passato che ha visto i Templari stessi essere “nutritori, albergatori, agricoltori, guardiani” e benefattori; Famosa era la loro reputazione di “ospitalità, di protezione e di carità”. Cose queste che mai furono messe in dubbio, come pure le loro qualità cavalleresche ed il loro rispetto per ogni cultura.
Ma, allora, cari amici, che valore può avere tutte le menzogne costruite per il processo che fu loro ignominiosamente inventato? Certamente nessun valore per tutti gli uomini “liberi e di buoni costumi”, e loro lo sanno bene, e sanno altrettanto bene, purtroppo, che con la distruzione del dell’Ordine del Tempio veniva drasticamente stroncata quella civiltà occidentale che in quel secolo stava risorgendo in Europa.
L’esoterismo di Federico II di Svevia. La “Patio Segreta” dell’Ordine del Tempio?:

Divino, aquila, agnello tra i lupi, martello del mondo, pur Apuliae, stuper mundi, questi i più risaputi dei molteplici appellativi attribuiti a Federico II di Svevia uno dei pochi veri “Grandi di tutti i tempi” che ha lasciato nella storia profonde tracce ed il ricordo incancellabile del suo genio. Un attento storico e cronista del tempo, il frate francescano Salimbene da Parma nella sua opera “Cronica” un ritratto espressamente dettagliato e veritiero di Federico II, grazie principalmente alle continue e dirette informazioni del confratello Fra Elia da Cortona che, vivendo a corte dell’imperatore, era messo a parte non solo dall’intensa vita che in essa si svolgeva, ma anche dei fatti più intimi di Federico, nonché delle sue credenze e dei suoi pensieri.
Fra Salimbene definisce il carattere e la fede di Federico estremamente complessi contraddittori ed enigmatici. Trascrivendo dalla “Cronica” la definizione che ne fece dell’Imperatore dice:”….. non aveva alcuna fede in Dio, era astuto, scaltro, sensuale, malvagio ed iracondo, tuttavia sapeva essere uomo di gran garbo e, quando voleva dimostrava gentilezza e benignità, sapeva essere amichevole, ridente e cortese. Era operoso, sapeva come leggere, scrivere, cantare e comporre musica e canzoni. Sebbene fosse piccolo di statura, era avvenente e di aspetto armonioso. Parlava molti linguaggi e se mai fosse stato un buon cattolico e avesse amato Dio, la Chiesa e la sua stessa anima, pochi imperatori avrebbero potuto stargli a pari…..”
Questo quando ci tramanda Fra Salimbene, confermato d’altronde il tutto da successivi approfonditi studi e ricerche fatte su Federico II.
Ma se Fra Salimbene non fosse stato un cattolico, un frate, un dirigente del moto religioso dei Flagellanti, se fosse stato meno sensibile alla indifferenza di Federico verso la religione, invece di scrivere “pochi imperatori avrebbero potuto stargli a pari”, forse avrebbe asserito “nessun imperatore potrebbe stargli a pari”.
Secoli dopo nella Cambridge Medioevale Historj Michelangelo Shipa osserva:…fra tutti i sovrani che vanno da Carlo Magno a Napoleone, Federico II non ha l’uguale”.
La naturale genialità di Federico scaturita dalla mescolanza del sangue di un a matura (40 anni) nobildonna Mediterranea di origine Normanna, la siciliana Costanza d’Altavilla, e quello di un giovane (29 anni) nordico, il germanico Enrico VI Hohenstufen figlio a sua volta di un altro grande, Federico I detto il Barbarossa, si sviluppo ed affinò nell’allora semiorientale cosmopolita città di Palermo, regno del casato materno, intrisa di civiltà latina, greca, israelita, ma principalmente araba.
Il piccolo Federico, ormai orfano di entrambi i genitori, nonostante già dall’età di tre anni imperatore, si formava ed acquisiva esperienze non già come si doveva al suo rango tra le austere mura di un reggia affidato alle cure dei severi precettori e pedagogi, ma nei vicoli e nelle piazze della Palermo brulicante di gente di ogni estrazione, razza, religione, cultura e credenza.
Egli la sua adolescenza, il momento più determinante per la formazione del carattere dell’uomo, l’ha vissuta a contatto di questa umanità tanto disparata e contrastante come laboriosi artigiani, avventurosi e vivaci uomini di mare, ricchi e scaltri mercanti orientali, gretti ed umili popolani, dotti arabi cultori di scienze esatte, rozzi ed ignoranti soldati di ventura importati dalla Germania, fanatici religiosi, intriganti, avventurieri, uomini e donne di malaffare. Il tutto mescolato da un insieme di lingue, colori di pelle, usanze, religioni, credenze. Fanatismi e per di più in un momento particolare evolutivo nella terra di Sicilia, dove nell’osservanza delle più profonde e grette tradizioni medievali, prepotentemente cominciarono a farsi largo nuove trasformazioni e movimenti di liberazione. Il Federico, aggiungendo all’insegnamento di questa impareggiabile scuola di vita l’istruzione che gli venne impartita dal Caid Saraceno prima e successivamente l’educazione più ortodossa dei sacerdoti cattolici dai quali aveva accettato senza però approfondirgli i dogmi della fede Cristiana, acquisì esperienze irripetibili e maturò un carattere estremamente fermo e deciso, anche se in apparenza spesse volte contraddittorio, ed una personalità potente e complessa, dai quali trasse quella morale e filosofia della vita che lo fecero enormemente grande, e lo spinsero a fare cose che affascinarono grandemente i contemporanei e i posteri. Ma la complessità degli insegnamenti ricevuti e per la parzialità di alcuni di essi, ne uscì sì indottrinato di tutto o quasi lo scibile della sua era, ma assolutamente non soddisfatto e convinto delle risposte ricevute ai molti “perché “, e quindi carico di dubbi, ed interrogativi e sempre avido di nuovo sapere, verità, certezze. Essendo un acuto e critico indagatore di scienze esatte e scienze naturali, riuscì a scoprire tutte o quasi le verità ad esse concernenti, anche spesse volte in disprezzo della vita umana, ma quelle che la logica e la scienza non potevano dimostrare, l’assillarono fino alla fine dei suoi giorni e per cercare di raggiungerle, profuse tutte le sue energie intellettuali ed interiori. Federico nonostante avesse grossi problemi per riorganizzare il suo vasto traballante impero sconvolto dalle lotte dei vari pretendenti ed usurpatori, nonostante avesse gravi e frequenti contrasti con la Chiesa, contrariamente alle consuetudini dell’epoca, trasformò la sua corte di Palermo in un centro di intensa vita culturale ed intellettuale. In essa ospitò le più colte, fervidi ed intraprendenti menti dell’epoca, i più grandi poeti, filosofi, letterati, matematici, conoscitori di scienze esatte e scienze naturali, astronomi, astrologhi, alchimisti, negromanti, storici, traduttori, scrivani, ecc. Il fior fiore della cultura scienza, avanguardia dell’epoca, senza discriminazioni di nazionalità, estrazione, fede o religione, senza porre barriere alle fonti del sapere anche se prioritariamente concedeva le sue preferenze alla cultura araba, con sempre però molto interesse a quella ebraica oltre che a quella latina e greca.
L’Imperatore alle frivolezze, alle lussurie ed alle amenità della corte, che assolutamente non disdegnava, anzi….., essendo dedito nello stesso tempo ai vizi ed alle virtù, dava sempre più spazio e generalmente di tarda sera e di notte a particolari riunione culturali con pochi selezionati intimi con i quali, immergendosi nella magica atmosfera del loro intenso mondo esoterico, disquisiva sui più disparati argomenti, senza tema di offendere o dissacrare le convinzioni, credenze e fede dei partecipanti. Nessuna teoria veniva considerata audace, e nessun soggetto troppo sacro per sfuggire all’analisi. Da queste “tornate esoteriche”, dal suo innato eclettismo, dal continuo nutrimento di scienze, dottrine e pensieri che gli eletti che lo circondavano gli profondevano, in Federico germogliavano quelle idee, quelle intuizioni e quelle volontà creative che si concretizzarono nelle innumerevoli eccelse opere e rivoluzionarie iniziative che diedero alle tradizioni dei tempi decisive svolte all’impronta di una estrema modernità ed avanguardismo per cui non a torto, successivamente, il geniale Federico venne considerato uno dei lontani precursori dal Rinascimento. Federico, anche se attraversato da forti tensioni esoteriche, era pur sempre un materialista anche se non assoluto, e proprio per questa sua dualità il suo esoterismo nel senso di interesse a dottrine, ricerche, soluzioni, si materializzò in molti casi di pragmatismo, nella prevalenza cioè della pratica sulla teoria per il soddisfacimento dei molteplici bisogni umani e sociali, e ciò lo portò alla realizzazione di opere altamente civili a mezzo delle quali, spargeva sapere e scienza e con altre suscitava nuovi ideali di dignità umana e di libertà per il miglioramento delle condizioni dell’uomo comune. Infatti creò e divulgò trattati di filosofia, medicina, veterinaria, falconeria, ornitologia, botanica, scienze naturali, astronomia, astrologia ecc. Ma più grande di tutte fu la stesura e promulgazione del “Liber Augustalis” o “Costituzioni di Melfi” con la quale veniva sancito un organo nuovo corpo di leggi ed ordinanze imperiali che gettarono le basi per la costituzione di uno stato sovrano laico moderno e democratico, rivoluzionando radicalmente le concezioni e l’ordine costituito medievale. Opera ciclopica questa nella quale nulla fu trascurato e tutto curato con massima sapienza e professionalità, dalla giustizia alla sanità, dalla amministrazione alla politica, della suddivisioni territoriali in province alla concentrazione del potere militare alla Corona, dalla politica finanziaria all’economia, dai monopoli ed il controllo del commercio ai traffici internazionali, dai provvedimenti per la salvaguardia della condizione femminile alla eliminazione dell’oppressione del ricco sul povero, della privazione dei privilegi dei feudatari sui loro vassalli e servi, ai limiti dei poteri temporali della invadente Chiesa, e così via. In altri casi l’esoterismo di cui abbiamo accennato prima, lo ribaltò in essoterismo concedendo cioè a tutti la possibilità di accadere a conoscenze e dottrine, e da qui altra grandiosa realizzazione; la fondazione della Università di Napoli, in quanto lo Svevo intuì che uno Stato non poteva svilupparsi e progredire se il suo popolo non fosse istruito ed indottrinato, sollevandosi così da quell’ignoranza della quale era volutamente immerso, essendo lo strumento più subdolo per mezzo della quale la Chiesa esercitava facilmente il suo potere. A coronamento della creatività di Federico non bisogna assolutamente dimenticare le energie di ogni genere profuse nel proteggere e favorire l’arte con la poesia ( la corte di Palermo fu la culla della poesia artistica italiana e si cominciò qui a parlare il primo volgare), la musica, il canto e prime fra tutte l’architettura per onore della quale oltre che per i primari motivi di strategia militare, inondò il suo regno di oltre 200 tra castelli regge e fortificazioni, ed essendo moltissimi di questi giunti a noi in perfette condizioni, tramite la loro maestosità e bellezza oggi ci fanno capire ancora meglio chi fu Federico II di Svevia. Ma come si è detto innanzi Federico non era un materialista “assoluto”, era anche un sognatore, un meditativo affascinato dai tanti misteri quale la creazione dell’uomo e dell’immortalità della sua anima, l’esistenza di un Dio e, primo per tutti , la grande legge che regge l’Universo. In questa sfaccettatura è da ricercarsi il suo interesse per l’esoterismo puro, per venire cioè a conoscenza di queste dottrine e verità che antiche scuole di filosofie e circoli mistici, unitamente ai loro riti consideravano come sacre e custodivano gelosamente per svelarle solo ad iniziati.Tale suo interesse lo si evince in modo estremamente palese in una lettera che indirizzò al suo personale filosofo ed astrologo Michele Scoto, nella quale tra l’altro chiese: “Maestro mio carissimo…….spesso e in modi diversi abbiamo ascoltato questioni e soluzioni differenti intorno a corpi celesti, quali il sole, la luna, le stelle fisse, intorno agli elementi, all’anima del mondo, alle genti pagane e cristiane e agli essere che si trovano sulla terra, come le piante, o dentro di essa, come i metalli. Nulla però abbiamo inteso intorno a questi misteri, che, per mezzo della sapienza, danno diletto allo spirito, come il paradiso, il purgatorio e l’inferno, e intorno al fondamento della terra e della sue meraviglie. Ti preghiamo pertanto acciocché, per il tuo amore della sapienza e per la riverenza che presti alla nostra corona, tu ci esponga il fondamento della terra, in che modo cioè essa sia ferma sull’abisso, in che modo sia l’abisso sotto la terra, e se l’abisso sia saldo per virtù propria oppure poggia sopra cieli che gli stanno sotto; quanti siano i cieli e chi siano i loro reggitori e i loro abitanti principali; e quanto con misura esatta disti un cielo dall’altro; e di quanto un cielo sia maggiore dell’altro, e che cosa esista dietro l’ultimo cielo; in quale cielo Dio si trovi sostanzialmente, e in che modo egli segga sul tono del cielo in compagnia degli angeli e dei santi,e che cosa questi facciano di continuo davanti a Dio. Parimenti dicci quanti siano gli abissi, e che nome abbiano gli spiriti che in essi dimorano, dove si trovano l’inferno il purgatorio e il paradiso celeste, e sotto o sopra la terra; se sopra o negli abissi e quale sia la differenza tra le anime che vi approdano e gli spiriti che vi caddero dal cielo; e se le anime dell’aldilà si conoscano a vicenda, e se possiamo ritornare in questa vita e parlare e mostrarci; e quante siano le pene dell’inferno……..e come ti spieghi che l’anima di un uomo vivente; trapassata ad altra vita, non possa essere indotta a ritornare ne dal primo amore ne da odio, come se nulla fosse stato, e non si curi più delle cose lasciate”. Cari lettori, commentare è superfluo, da questa serie di domande si individua la sete di sapere di Federico ed il costante indagare sul problema dell’immortalità dell’anima. Ma tutto questo viene fuori dalla sua mancanza di fede dalla sua ambiguità del suo credo religioso in quanto non un cattolico ortodosso, non condivideva l’eresia e l’islamismo e si intratteneva, sempre per la ricerca della verità, sui riti religiosi ebraici ed indiani. Papa Gregorio IX lo accusò formalmente per aver negato la nascita verginale di Cristo e per aver dichiarato che il mondo era stato ingannato da tre impostori: “Mosé, Maometto e Cristo”, teorie non sue in quanto già circolavano alla fine del XII secolo e quindi prima della sua nascita, ma senz’altro da lui discusse ed approfondite, con le conseguenti deduzioni pregne di dubbi, perplessità ed interrogativi sulle tre grandi religioni – l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, e per avere soddisfacenti risposte per decidere in che cosa veramente credere, egli compiva continuamente ricerche contattando sia fisicamente che epistolarmente i dotti di tutto il mondo. Il momento più esoterico di Federico lo riscontriamo sicuramente intorno al 1240, in un periodo di disorientamento intellettuale in quanto teorie filosofiche di persone che erano accettate dal mondo occidentale perché più concilianti con il credo cattolico, vennero sconvolte da quel più razionalistiche e logiche di Aristotele che Federico,. Con sommo disappunto delle autorità ecclesiastiche, divulgò dopo averle fatte tradurre dal Michele Scoto. Proprio su questa controversie pro e contro Aristotele, Federico chiese chiarimenti a studiosi del mondo arabo (Egitto, Siria, Irak, Dubub, Yemen e marocco), formulando una serie di quesiti noti come i “Quesiti Siciliani”. Cinque interrogativi sul rapporto tra Dio e il mondo, sull’eternità del Mondo, sui problemi Aristotelici di rapporto tra intelletto e fede dello spirito, sull’immortalità dell’anima. Iniziativa questa che non piacque, tanto per cambiare, alla Chiesa, che non ammetteva che un Imperatore cristiano, nella speranza di sedare le lotte del suo intimo, chiedeva lumi a degli “infedeli”. Nello stesso periodo (1240) Federico si affliliò alla “Pactio Segreta” dei cavalieri, che si era costituita per la liberazione del Santo Sepolcro, ed alla quale faceva parte anche l’Ordine dei Templari, un potente e vasto ordine religioso militare ai cui adepti Federico fu molto vicino ed essi a Federico tanto da offrirgli la corona di Imperatore del Mondo in previsione del loro programma di impadronirsi dell’Europa per diffondervi il culto del Dio Unico, comune all’ebraismo, all’islamismo ed al cristianesimo. Altri legami prevalentemente esoterici tra Federico ed i Templari, li abbiamo per la comune appartenenza ai “Fedeli d’Amore”, grandi iniziati e poeti che attribuivano dottrine teologiche-politiche ed idee mistiche ed iniziatiche parafrasandole sotto le forme convenzionali dell’amore in canti e poesie dedicate ad evanescenti donne ideali. Forse intorno allo stesso anno commissionò (di certo ne ordinò l’esecuzione di alcuni lavori), la edificazione di “Castel del Monte”, la più misteriosa la più affascinante, la più enigmatica delle opere di Federico II di Svevia e del Medioevo tutto. Su questa costruzione tanto singolare, adagiata su una collina talmente regolare da far dubitare sulla sua naturalezza e sar supporre che sia un tumolo, sono state scritte tantissime teorie circa la sua erezione. Ma se consideriamo che è stato costruito con le proporzioni dettate dal sole, in connessione con le formule astronomiche che reggono i ritmi eterni del cielo, e quindi con gli stessi criteri adottati in epoche diverse da altre enigmatiche costruzioni come il Tempio di Salomone, l’anello dei megaliti di Stonehenge in Inghilterra, le Piramidi d’Egitto e tanti altri, se recepiamo i mille messaggi trasmessi attraverso i copiosi simboli in esso riportati, tanto da essere giustamente definito, fra tante, “un libro di pietra”, se consideriamo la sua invivibilità come residenza, non può dedursi altro se non che esso sia stato progettato ed eretto come “Tempio”, come luogo di adunanza per le disquisizioni e conversazioni che erano tanto dentro il cuore e lo spirito dei suoi frequentatori. E perché no, cari lettori, come sede simbolica di quell’imperatore del Mondo auspicato dai Templari? Per la sua ottagonale infine, senz’altro non a caso adottata, ci fa pensare automaticamente alle già preesistenti costruzioni sacre a stessa pianta, ma ci porta anche a pensare che l’otto è il simbolo dell’infinito orizzontale e verticale e quindi simbolo dell’Autorità Universale, otto sono le direzioni della rosa dei venti, otto sono le facce a vista della pietra cubica a punta, cioè il cubo sormontato da piramide, otto i lati del leggendario vaso di smeraldo “il Santo Graal” contenente il sangue di Gesù, che secondo la leggenda i Templari possedettero unicamente alle mitiche Tavole delle legge di Mosé. Orbene, se come è certo i Templari ebbero forte attinenza con Castel del Monte e se è vero la leggenda che essi vennero in possesso delle Tavole di Mosé e del Santo Graal, in Castel del Monte forse sono rinchiusi i segreti della grande legge dell’Universo e della Sapienza Divina. Vi chiedo, cari lettori, ancora un po’ di pazienza per un’ultima considerazione: Castel del Monte è ubicato in un luogo equidistante dai centri abitati più vicini, quindi nel punto più isolato della zona. Questo è stato voluto oppure è causale? Forse voluto per essere simbolicamente immerso nel silenzio, quel silenzio che i grandi profeti cercavano nel deserto per ascoltare la voce di Dio.
Cari amici lions, alla luce di quanto magistralmente sopra esposto, ritengo che la nostra Associazione dei Lions sia necessario ritornare ad una tradizione di Libero Pensiero e confronto su quanto effettivamente accade intorno a noi. IL riferimento ai Templari e al Temlarismo esoterico che ho interpretato come simbolo del grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato dei 33 ed ultimo grado speculativo, chiarisce molto la nostra origine di Lions nella storia.

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