Ordini Cavallereschi Crucesignati

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giovedì 27 dicembre 2007

Casa mia era una succursale di casa Cupiello

... con una variante:
Parlando del presepe non possiamo non prendere le mosse dal “Natale in Casa Cupiello”, precisamente dalla scena esilarante in cui Edoardo va a svegliare il figlio, un po’ fannullone e sfaticato: “Ueh Tummasì, sùsete, che è tardi…” Dillo a Papà, ti piace u’ presepe?”.
Era una scena molto famigliare, questa di Natale in casa Cupiello, perché a casa mia avevamo un De Filippo in carne ed ossa. Era mio padre, napoletano verace. Il quale somiglia come una goccia d’acqua a Peppino De Filippo, ma aveva la passione per il presepe, come Edoardo. M adi questa bruciante passione, parleremo tra poco.
Prima di entrare in argomento voglio parlarvi dei simboli più significativi del Presepe: sono la mangiatoia e i pastori. A farne parola fu l’evangelista Luca nel secondo capitolo del Terzo Vangelo:
“Ed ella partorì il suo figliolo e lo fasciò, e lo pose a giacere nella mangiatoia, perciocché non vi era luogo per loro nell’albergo”. E gli altri evangelisti? Non ne fanno menzione, ritenendolo un “particolare superfluo”. E di un altro “particolare superfluo” ci parla sempre Luca: “Quando il bambino nacque v’erano in quella stessa contrada dei pastori che vegliarono e facevano di notte la guardia intorno al loro gregge. Ed ecco giunse tra di essi l’Angelo del Signore”:
L’attenzione, dunque, si sposta subito sull’Angelo che annuncia la buona novella, poi sulla “schiera celeste” che sopraggiunge cantando “Gloria in excelsis Deo”. Quindi i riflettori si spostano di nuovo sui pastori che s’affrettano a raggiungere Betlemme per adorare il bambino nel presepio.
Grazie a Luca, il quadro della Natività si arricchisce di uno sfondo prodigioso. Ma ecco entrare in scena l’evangelista Matto. E’ lui e non più Luca – a parlarci dell’adorazione dei Magi e della fuga in Egitto per sfuggire alla strage degli innocenti ordinata da Erode. E a questo punto non posso non parlarvi del “Natale in casa Coppola”. Quello di mio padre era un prese del settecento. Un presepe ereditato da uno zio che papà teneva in grande considerazione come una reliquia. Ogni anno, a dicembre, diventava l’arredo più artistico della nostra dimora. Ma venne la guerra e i tedeschi portarono via., con altre cose preziose, anche il presepe di papà. Avevamo perduto tutto, solo la nostra grande casa era rimasta in piedi. M papà non se ne doleva. Il suo cruccio maggiore era che gli avevano portato via il presepe…e che in quel dicembre postbellico, per la prima volta, non avrebbe potuto fare. Io avevo più o meno cinque anni, frequentavo la prima elementare, e non potevo far nulla per ovviare a quella situazione. Ma tutto ad un tratto un compagno di scuola mi offrì la soluzione in un piatto d’argento. “In cambio della mia squadra di calcio di bottoni, mi aveva dato l’intera Natività, ossia San Giuseppe, la Madonna, il bambino Gesu’ con il Bue e l’Asinello. E in un soldato di re Erode.
Adesso è necessaria una spiegazione. Noi ragazzi usavamo vecchi bottoni come giocatori. Avevamo organizzato un campionato che stato vinto dalla mia squadra, in quanto possedevo giocatori, anzi bottoni, molto gibbosi, che erano un portento in quel particolare gioco. Eravamo in tempi postbellici, e i bottoni scarseggiavano, come altre mercanzie. Di qui la loro preziosità.
E torniamo al baratto. Sia pure a malincuore, lo accettai senza pensarci su due volte anche per cancellare quella tristezza dal volto di mio padre. Il quale, ovviamente, fu felice quando mi presentai con quella Natività.
Papà li per li fu contento, ma poco dopo cominciarono le prime lagnanze. Non erano i pastori che gli avevano rubato i tedeschi, e poi era un presepe striminzito, fatto di pochi elementi. Non sapevo che fare, ma il ‘la’ me lo dette l’arrivo dei cognati: tre mariti e quattro fidanzati delle mi sette sorelle, tutti ospiti dei miei genitori in occasione delle festività natalizie.
Cosa escogitai? Di notte mentre tutti erano nelle braccia di Morfeo, arrivai arrivai quatto quatto nelle stanze dove le vittime designate dormivano profondamente. Munito di una forbice, feci incetta di tutti i bottoni, prendendoli non solo dalle maniche delle giacche, ma anche-e soprattutto-dalle brache dei pantaloni. A quei tempi non erano in uso le chiusure – lampo. E così di buon mattino sparìì con il prezioso malloppo-era l’ultimo giorno di scuola, prima delle vacanze natalizie-e raggiunsi in fretta il mio compagno di scuola. Il quale, come era nei patti, mi diede in cambio tutto il resto del presepe.
Ma il bello – anzi il peggio – doveva ancora venire. Quando giunsi a casa con il voluminoso pacco tra le braccia e mi fu aperta la porta, per poco non mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Le mie sorelle erano inviperite, i miei cognati mi guardavano torvamente. E, in aggiunta, erano in grave imbarazzo perché le loro brache erano state tamponate in fretta e furia con spille di sicurezza, quelle che comunemente definiamo da nutrice: tre per i cognati sposati, quattro per i fidanzati. Una precauzione, qust’ultima, presa da zia Candida (una zia zitella che viveva con noi) per mitigare forse il disagio in cui vesavano i cognati più giovani.
A togliermi da quella pericolosa situazione fu mio padre, evidentemente preoccupato che quel pacco finisse in frantumi. “Lasciatelo a me questo birbandello, gli darò io la giusta punizione. Lo chiuderò sottochiave nella mia camera da letto, e lì dovrà digiunare”. Scoppiai in lacrime per il disastroso esito di quella mia buona azione. Ma fu sempre mio padre a darmi sollievo, quando fummo a quattrocchi in camera da letto: ‘Non ti preoccupare. Ti porterò io da mangiare”. E devo confessare che non ci fu pranzo più lauto per me, tanti furono manicaretti e leccornie che papà portò nella mia temporanea prigione. E Lui, anche se stavamo a Natale, era felice come una Pasqua. Con quel presepe, ormai ricco e vario, ricevuto in cambio dei bottoni dei mie cognati. Ma no era finita. Le sorprese – come glòi esami di Edoardo – non finiscono mai. Qualche giorno fa mi arriva un catalogo della Casa d’aste San, Marco in cui viene messa all’asta un presepio del Settecento. Con mia grande meraviglia, lo sfoglio e si accendono alcuni ricordi. Riconosco poi un particolare che mi spinge a telefonare alla San Marco e a chiedere spiegazioni ad un collega, responsabile della sezione antiquario. Il quale mi da una terribile conferma. Quel presepio, anche se di fattura napoletana, proviene dalla germania. Per sbloccarne la vendita all’asta, avrei dovuto produrre una documentazione che attestasse il mio buon diritto. Purtroppo, foto non ne ha, e i testimoni diretti, E Più validi sotto il profilo giuridico, sono ormai passati a miglior vita. Che fare? Mi resta solo la rabbia. Che raggiunge il diapason quando leggo le valutazioni. Quell’elefante che aveva acceso i miei ricordi viene venduto all’incanto ad un prezzo che varia dai 40 ai 60 mila euro.
Come dire, oggi sarei super – milionario con il presepe di papà.
Di Vinicio Coppola

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