Tra i documenti relativi al secondo conflitto mondiale che sono ancor oggi secretati, figurano alcune note intercorse - prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti - tra Roosevelt e Churchill. La maggior parte di esse venne divulgata solo tra il 1950 e il 1975, trattandosi di un carteggio che, se fosse stato divulgato per tempo, avrebbe compromesso il presidente americano svelandone le trame guerrafondaie orchestrate alle spalle dell’opinione pubblica del suo paese. Eppure, questa rete di rapporti “top secret” rischiò d’essere compromessa ad opera di un giovane statunitense pressoché sconosciuto ai più.
Nel settembre 1939, era ambasciatore a Londra Joseph Kennedy, detto Joe, padre del futuro presidente ucciso a Dallas. Con la disinvoltura tipica di un certo mondo d’oltreoceano, era divenuto uno dei maggiori capitalisti americani, grazie ad alcune speculazioni nel campo degli alcolici e della cinematografia dopo la crisi del ‘29. Avendo appoggiato Roosevelt, nel ’37 fu promosso ambasciatore a Londra, dove portò una famiglia di ben nove figli. Come grandissima parte degli americani, si dichiarava apertamente favorevole alla neutralità statunitense nel conflitto scoppiato tra Hitler e l’Inghilterra, non desiderando che i suoi figli morissero “in una guerra che non riguarda l’America”. E qui inizia il giallo, che coinvolge un giovane addetto all’ufficio dei codici cifrati dell’ambasciata. Tyler Gatewood Kent è il suo nome e proviene da un’ottima famiglia, che vanta come antenato il celebre David Crockett. Frequenta i migliori istituti in patria e all’estero e, seguendo le orme paterne, intraprende la carriera diplomatica nel 1933. Dalla prima sede di Mosca viene trasferito nell’ottobre del ’39 a Londra, dove il suo lavoro lo porta a conoscere le note riservatissime che Churchill, “bypassando” il ministero degli affari esteri inglese, scambia con Roosevelt. Scopre così che i due statisti complottano per la defenestrazione di Chamberlain, in combutta con il “partito della guerra” di Eden. Lo colpisce, tra l’altro, la circostanza che Churchill utilizzi tranquillamente il più segreto codice americano. Kent è un isolazionista alla pari del suo ambasciatore e, quindi, la conoscenza per motivi d’ufficio del contenuto compromettente di quella corrispondenza trova i due uomini sulla stessa lunghezza d’onda. Ma qui cominciano i misteri
. Secondo il giornalista Seymour Herst, autore de “Il lato oscuro di Camelot”, Joseph Kennedy intendendo correre per la presidenza americana avrebbe ad un certo punto pensato di servirsi del povero Kent. L’avrebbe quindi incaricato di copiare tutte le lettere, in modo da disporre di un’arma di pressione su Roosevelt. Questi infatti gli negava il permesso di rientrare in patria, essendo intenzionato a ricandidarsi, ma avrebbe cambiato atteggiamento solo quando il suo rivale gli recapitò alcune copie per fargli capire d’essere pronto a divulgarne il contenuto. Incredibilmente, però, al suo rientro l’ex ambasciatore non solo non si candidò, ma appoggiò Roosevelt. Cosa era avvenuto? Era accaduto intanto che Kent fosse finito nelle grinfie della giustizia inglese, che gli aveva inflitto 7 anni di lavori forzati. Herst ventila l’ipotesi che Kennedy sia sceso a più miti pretese, essendo a sua volta “ricattabile “. Churchill, infatti, informato da Roosevelt, avrebbe messo sotto controllo il telefono della delegazione prima della partenza di Kennedy, procurando al suo referente le prove dell’infedeltà dell’ambasciatore. Non essendo disponibili ancora le trascrizioni delle telefonate, è evidente che Herst può fare solo illazioni. In ogni caso, la dinamica dei fatti porterebbe a concludere che Kennedy abbia preferito bruciare Kent, per non bruciarsi a sua volta. Il giovane aveva avuto la pessima idea d’avvicinare il capitano inglese Archibald Henry Maule Ramsey, parlamentare tory, che sapeva essere favorevole ad un compromesso onorevole con la Germania. Sperava in una sua interpellanza che vanificasse le bellicose intenzioni del presidente americano. Venutane a conoscenza, Scotland Yard il 18 maggio del ’40 informava della cosa Kennedy, il quale, forse per non esser compromesso, toglieva l’immunità al suo aiutante consentendone l’arresto due giorni dopo. In effetti, dato che gli USA non erano in guerra, la copiatura della corrispondenza non integrava tradimento e poteva essere al limite un fatto disciplinare interno all’ambasciata. Ma, poiché c’era il serio rischio che Kent rivelasse ad altri ciò che sapeva, bisognava neutralizzarlo. Si individuò un escamotage nell’
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