Ordini Cavallereschi Crucesignati

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lunedì 24 settembre 2007

Storiografia delle Origini del Cristianesimo

L’Imperatore Diocleziano contribuì alla fine “temporanea” della Chiesa fondata personalmente da Gesù Cristo?

“Se ciò che avrete fatto sarà ancora vivo ed apprezzato quando nessuno ormai si ricorderà di avervi conosciuto, allora si potrà dire che avete ben seminato e ben costruito”. (proverbio)

Cari amici lettori, questo non vuole essere un titolo provocatorio, ad un certo punto, da una parte si ha il diritto di conoscere la verità e di esigerla, e dall’altra si ha il sacrosanto dovere di fornirla. Perché ai nostri giorni il silenzio più completo, da parte di chi sa e dovrebbe parlare, continua ancora a nascondere la verità sull’argomento ed a fornire risposte evasive, deludenti e false alle predette domande?

Trattandosi, infatti, della Chiesa fondata personalmente da Gesù Cristo, non si può ragionevolmente pensare che essa sia destinata a scomparire definitivamente e per sempre dalla faccia della terra.

E,’ infatti, nell’ottica teologica cristiana, che tutto ciò che Dio crea si debba configurare di illimitata durata. Dio è eterno e non può creare che cose eterne.

Le cose umane e fatte dagli uomini, invece, sono poco durevoli e spesso addirittura effimere. Così, infatti, sono i regni e gli imperi che si sono succeduti sulla ribalta terrena, così sono le città, le opere d’arte ed i preziosi volumi che contengono il pensiero dell’umanità. Questo recita, ammonisce e sentenzia il libro dell’Ecclesiaste sulla “vanità” di tutte le cose umane.

Orbene, cari lettori-visitatori, cerchiamo ora di capire insieme, perché anche le opere di Dio sulla terra, che in un certo senso sono fatte per essere eterne, tuttavia possono “temporaneamente” scomparire. Come ad esempio è il caso di tantissime specie sia di piante e di animali, una volta esistenti ed oggi del tutto estinte.

Il Prof. Angelo Scarpulla, mio amico, (autore del volume Architettura Arte e Religione) individua una giustificazione che secondo me è del tutto plausibile: il motivo per cui l’opera di Dio possa subire una fine sia pure temporanea, è da ricercare nel fatto che, trattandosi di beni destinati alla fruizione umana, cioè di beni regalati da Dio agli uomini, il Creatore abbia voluto condizionare la loro durata alla volontà dell’utente, cioè l’uomo. L’autore del volume, ci tiene a far sapere, di averlo scritto pensando a tutti gli amici della sua città natale (Barrafranca En) ed a coloro che vuole particolarmente bene, con l’auspicio che essi, leggendolo, conoscono meglio le loro remote radici religiose e ne traggono il massimo vantaggio culturale e pratico, per aiutarli ad apprezzare maggiormente le loro scelte religiose, e a rafforzare ulteriormente la loro testimonianza cristiana ed ha vivere con maggiore consapevolezza la loro fede).

Le numerose profezie messianiche, contenute nella Bibbia e note a noi credenti, ci rassicurano in proposito in quanto sappiamo che presto o tardi Dio interverrà per mettere fine all’attuale degrado e per ripristinare l’ordine, l’integrità e la bellezza su tutta la terra.

Ed è lo stesso motivo che ci aiuta a non angosciarci di fronte al problema della scomparsa totale della Chiesa di Gesù Cristo su tutta la crosta terrestre, che sarà l’argomento della prima parte di questo lavoro.

Questo mio lavoro sarà articolato in due parti. La prima è essenzialmente costituita dalla ricerca su questo interrogativo: La Chiesa fondata personalmente da Gesù Cristo scomparve del tutto tra la fine del secolo III e l’inizio del secolo IV, cioè durante la persecuzione scatenata dall’imperatore Diocleziano?

La seconda parte è caratterizzata sostanzialmente dalla ricostruzione storica ed ideale di come nacque la Chiesa Cattolica, che l’imperatore Costantino fondò dieci anni dopo la scomparsa di quella fondata personalmente da Gesù Cristo, si prefigge dimostrare che la Chiesa fondata da Costantino , analizzata sia dal punto di vista dogmatico che da quello prammatico ed istituzionale, è del tutto diversa da quella creata da Gesù Cristo e su questo nono ci sono dubbi.

Chiedo scusa ai lettori per questa mia lunga introduzione, sperando che il mio lavoro, di ricerca sistematica nelle biblioteche vaticane e non, per la vastità e l’importanza degli argomenti trattati ed anche per la sua importanza d’impostazione, piaccia al lettore, che ringrazio anticipatamente ed al quale auguro cordialmente buona lettura e d il classico “ad maiora”.

GAIO AURELIO VALERIO DIOCLEZIANO nacque a Salona, presso l’odierna Spalato (Split) in Dalmazia nel 242 d.C. ed ivi morì nel 313 d.C.
Fu un grandissimo generale. Il che gli spianò la strada all’impero, in quanto come tanti altri imperatori del III secolo fu proclamato imperatore dalle sue legioni.
Conquistato così, nel 285 d.C. lo scettro imperiale, ebbe come scopo del suo impero quello di riordinare e rafforzare lo Stato romano. A giudizio degli esperti fu un dei più grandi imperatori romani, il più formidabile organizzatore dell’impero dopo Augusto.
Dopo aver abdicato al trono imperiale, in base allo statuto della Teocrazia concordato col collega Massimiano, si ritirò nel suo palazzo presso Salona, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita nel 313, ed il suo corpo fu tumulato nel tempio funerario da lui eretto all’interno del suo palazzo.

I meriti che gli storici riconoscono all’imperatore sono innumerevoli, di cui i seguenti sono i più importanti ed i più noti, in politica estera: consolidò i confini dell’impero contro le invasioni barbariche, riconquistò la Britannia e varie altre regioni, riformò l’esercito e la sua utilizzazione, portando il suo numero ad oltre mezzo milione di soldati effettivi, schierandone una parte ai confini e lasciandone l’altra come massa di manovra mobile, restaurò le fortificazioni di confine e rinsaldò la disciplina militare, si impegnò a fondo per risolvere il gravissimo problema della successione al trono imperiale ed evitare l’anarchia che dilagava da sempre, istituendo la tetrarchia nel 286 d.C., per cui si affincava un Cesare ad ognuno dei due Augusti con diritto automatico di successione.

I meriti di Diocleziano in politica interna: Accelerò e stabilizzò il processo di attaccamento dei contadini alla terra e degli artigiani alla loro bottega, rinnovò il sistema fiscale, fondandolo sul catasto, intervenne fortemente sul rialzo continuo dei prezzi, imponendo un calmiere generale in tutto l’impero, divise il poter civile da quello militare sia nelle diocesi che nelle prefetture e nelle province, raddoppiò il numero delle province dell’impero portandolo da 50 a 100, incrementò l’attività edilizia tanto a Roma che in tutto l’impero, raddoppiò l’estensione e l’efficienza della struttura termale di Roma rispetto a quella già notevole di Caracalla, impose l’uso del latino come lingua ufficiale in tutto l’impero, convinto, pare in buone fede, che il cristianesimo fosse un pericolo gravissimo per la stabilità dell’impero, lo combattè sistematicamente e con impegno finchè riuscì a sterminarlo, introdusse con successo una nuova moneta aurea, il (nummus) “solidus”, il classico “soldo” che rimase in vigore per moltissimo tempo e che nelle nostra lingua rimane ancora sinonimo di moneta.

Come può facilmente vedersi,. cari lettori, l’argomento è di enorme interesse pubblico da cenni suddetti, Diocleziano fu uno degli imperatori romani più onesti e più seri. Insieme al collega Massimiano, costituisce l’unico caso di abdicazione in tutta la storia imperiale del mondo.

Se perseguitò la Chiesa Cristiana lo fece in quanto convinto che ciò fosse necessario per il bene dell’impero e che pertanto ciò fosse un suo preciso dovere. Del resto alcuni anni prima, sempre allo stesso scopo, aveva attaccato il Manicheismo, una fede religiosa diffusa in Oriente, considerato ostile al culto delle antiche divinità e strumento di larvata propaganda persiana.

Durante i primi vent’anni del suo governo, si era dedicato anima e corpo a risolvere i grossi problemi dell’impero, lasciando indisturbati i cristiani. Ma in seguito, dal 303 in poi, scatenò una grande e terribile persecuzione nei loro confronti che superò in sistematicità e violenza tutte le altre persecuzioni ordinate dagli imperatori precedenti.

Secondo gli storici sull’argomento, le principali persecuzioni subite dalla Chiesa cristiana furono quelle volute dagli imperatori romani seguenti:
Nerone (64/68 )d.C.; Domiziano (81/96) d.C.; Traiano (98/117) d.C.; Marco Aurelio (161/180) d.C. Settimio Severo (202/211) d.C.; Massimino Trace (235/238) d.C.; Decio (249/251) d.C.; Valeriano (257/259) d.C.; Diocleziano (303/3065) d.C.

Diciamo innanzitutto che questo imperatore conosceva abbastanza bene la Chiesa di allora e in un certo senso l’apprezzava. Ma la considerava troppo invadente, come una specie di Stato nello Stato e addirittura molto pericolosa per vita e la stabilità dell’impero romano. Pare che tanto la moglie che la figlia dell’imperatore (Prisca e Valeria) stessero per battezzarsi.

Prima di infierire contro la popolazione civile, volle ripulire del pericolo cristiano l’esercizio. Iniziò una morbida campagna di epurazione, con cui i soldati cristiani furono messi all’alternativa: o sacrificare agli dèi dell’impero ed allo stesso imperatore o rinunziare alla carriera militare. In seguito passò a misure più drastiche, per cui alcuni subirono la pena capitale. Una curiosità: pare che l’obiezione di coscienza per motivi religiosi fosse abbastanza diffusa in quel periodo, specialmente nell’Africa Proconsolare. Abbiamo, cari lettori, documenti che attestano il fenomeno e possediamo anche qualche verbale del processo riguardante militari o reclute morti martiri della fede. Tra tutti è molto interessante quello riguardante una recluta, un certo Massimiliano della città di Teveste nell’attuale Algeria. Dalla lettura degli Atti emergono dettagli interessanti, quale la marchiatura della recluta consistente nell’ustione a fuoco della pelle per segarvi l’iniziale del nome dell’imperatore, la misurazione della statura, la consegna di una placca di piombo, la piastrina di riconoscimento da portare al collo, e l’iscrizione del nome della recluta nel libro matricolare. Tutti questi elementi inducono a pensare che possa trattarsi di un verbale processuale autentico o quanto meno poco manomesso. Il processo porta la data del 12 marzo del 295 d.C. E così il giovane Massimiliano fu condannato a morte per aver rifiutato il servizio militare in quanto questo gli avrebbe imposto di commettere azioni violente. Morì martire nella sua qualità di obiettore di coscienza per motivi etico-religiosi. Ci è giunto anche un altro documento di un interessante caso di obiezione di coscienza. Questa volta non si tratta di una recluta, bensì di un veterano, che aveva militato per ben 27 anni ed aveva partecipato a 7 campagne militari combattendo valorosamente, ma che, essendosi convertito alla fede cristiana, non intendeva andare contro i suoi nuovi principi morali e religiosi. Si tratta di militare di nome Giulio, che morì martire nella Mesia, l’odierna Bulgaria. Nel testo del processo manca la data. Ma è molto probabile che si tratti dell’anno 303, per un riferimento al secondo decennale dell’elezione dell’imperatore Diocleziano in esso contenuto (Cfr. Costante Berselli, Violenza di Stato nell’era dei martiri. Antologia di processi penali contro i cristiani, Edizioni Paoline.

Che dire allora di Giorgio di Cappadocia, ufficiale delle milizie, distribuisce i beni ai poveri e, davanti alla corte , si confessa Cristiano; all’invito dell’imperatore di sacrificare agli dei si rifiuta ed iniziano le numerose e spettacolari scene di martirio. Il martirio avviene sotto Daciano Imperatore dei Persiani (che però in molte recensioni è sostituito con Diocleziano, Imperatore dei Romani) il quale convoca settantadue re per decidere le misure da prendere contro i Cristiani. Circa l’anno del martirio, seguendo il Chronicon Alexandrinum seu paschale (PG, XCVI, col. 680), esso è fissato all’anno 284, altri lo individuano tra il 249 e il 251; altri ancora, interpretando come Diocleziano il nome di Daciano, lo pongono al 303. Il nome tra il IV e il V secolo si diffuse in Oriente, tanto che fu poi portato da tanti sovrani della Georgia. L’attribuzione, pertanto, del martirio di Giorgio al tempo di Diocleziano sembra la più probabile. Per quanto riguarda il Culto, forse nessun Santo ha riscosso tanta venerazione popolare quanto San Giorgio e a testimonianza di ciò sono le innumerevoli Chiese dedicate al suo nome. I Paesi che hanno il Santo Martire come Patrono sono innumerevoli: prime fra tutte le città marinare di Genova, e Venezia, dalle quali con i Crociati praticarono i commerci con l’Oriente, tra i molti ordini religiosi e cavallereschi, oltre i Benedettini a lui devoti, ricordiamo l’Ordine di Malta, l’Ordine Teutonico, l’ordine della Giarrettiera, e il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, (di cui tratterò di seguito).

Torniamo al nostro argomento principale. I danni arrecati alla Chiesa cristiana dalla persecuzione dell’imperatore Diocleziano.

Dopo una vasta operazione persecutoria nel settore militare, Diocleziano iniziò la sua persecuzione nel settore della popolazione civile. Egli emanò quattro editti persecutori, tra l’anno 303 ed il 305, e che prescrivevano rispettivamente: 1): il divieto delle riunioni di culto nei locali a ciò comunque adibiti, la confisca e la distruzione dei locali in cui tali riunioni avvenivano, la confisca dei vasi sacri, e la consegna delle Sacre Scritture perché venissero pubblicamente bruciate; 2): l’arresto dei capi delle singole circoscrizioni; 3): la liberazione degli arrestati, in caso di loro pentimento, ma solamente se questo era seguito da pubblica partecipazione ad un sacrificio agli dèi dell’impero e controllata dai magistrati; solo nei casi estremi poteva emettersi la condanna capitale; 4): ribadiva e rafforzava il controllo sui cittadini da parte dei servizi segreti, perché tutti sacrificassero agli dèi dell’impero. La pena di morte, inizialmente limitata ai capi religiosi, fu estesa a tutti i cristiani indistintamente. A discrezione del giudice o magistrato, la condanna ai lavori forzati era generalmente da preferirsi alla pena di morte.

Non sappiamo con certezza quali siano stati i danni arrecati alla Chiesa di Gesù Cristo dalla persecuzione dioclezianea. Ma c’è da dire che quelli furono anni terribili. Anni di prove molto dure e pesanti, in cui le “spighe” del campo di Dio furono sottoposte alla trebbiatura totale, per cui il “grano” potè essere riposto al sicuro nei suoi granai.

Così, infatti, dice un antico profeta cristiano, Mosia, nel v. 13 del capitolo 27, quando scrive testualmente: “Il signore ha detto: Questa è la mia Chiesa e la fortificherò; e nulla potrà annientarla, se non la trasgressione del mio popolo”.

Il che significa chiaramente che, se la Chiesa non fosse decaduta e non si fosse profondamente corrotta nei suoi membri e specialmente nei suoi dirigenti, nessuna persecuzione da parte di qualsiasi imperatore avrebbe potuto nuocere gravemente e addirittura annientarla.

Un grande storiografo cristiano Esegippo palestinese vissuto tra il 110 ed il 180 circa. Alcuni suoi frammenti ci sono giunti in quanto riferiti da autori posteri, come Eusebio di Cesarea, è utile leggere il seguente frammento molto significativo.….”quando il sacro coro degli Apostoli si spense, e la generazione di quelli che avevano avuto il privilegio di ascoltare la loro ispirata sapienza si estinse, allora sorsero le alleanze dell’empio errore per la frode e le delusioni dei falsi dottori. Questi, non essendo rimasto nessun Apostolo, da allora in poi cercarono, senza vergogna, di predicare la loro falsa dottrina contro il Vangelo di verità”

Eusebio di Cesarea, nato in Palestina nella città di Cesarea, visse tra il 265 ed il 340. Nel 313, quando Costantino fondò la sua Chiesa, Eusebio divenne lo storiografo sia dell’imperatore che della sua Chiesa. Scrisse molte opere, di cui le più importanti sono la Vita di Costantino e La Storia Ecclesiastica, in 10 libri. Lo storiografo imperiale così descrive le condizioni della Chiesa Cristiana del periodo che precedette la grande persecuzione ordinata dall’imperatore Diocleziano, ecco le sue parole:

“Ma quando, per l’eccessiva libertà, sprofondammo nell’indolenza, e l’uno invidiava ed oltraggiava l’altro in vari modi, mentre eravamo sul punto di prendere le armi per una guerra fratricida, facendo precedere quest’alba di sangue da un reciproco e veemente assalto di parole come se fossero dardi e lance, e mentre i prelati inveivano contro i prelati, ed i gruppi contro gruppi in uno sfacelo di sentimenti su cui trionfavano l’ipocrisia e la dissimilazione, allora il giudizio divino, che solitamente interviene con mano clemente, si abbattè sulla Chiesa cominciando dal suo episcopato…Ma alcuni che sembravano essere i nostri pastori, calpestando la legge della pietà, si agitarono e si posero l’un contro l’altro rotolandosi nelle ostilità, nelle minacce, nell’odio, bramosi soltanto di far valere il governo come una specie di potere sovrano per se stessi”(Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, P.G. 20,3,32).

Cipriano di Cartagine naque a Cartagine, nell’Africa Proconsolare, tra il 205 ed il 258, fu vescovo colto e di rigidi costumi, vissuto esemplarmente nella Chiesa fondata da Gesù Cristo. Fu testimone oculare dell’agonia di essa, e chiuse la sua vita morendo martire nel 258. Ecco quanto egli scrive sulla corruzione della Chiesa del suo tempo d’Africa Proconsolare: “Ciascuno si era dedicato al miglioramento del proprio patrimonio, dimenticando quello che i credenti avevano fatto sotto gli Apostoli, e quello che dovevano fare sempre; i pastori ed i diaconi avevano dimenticato il loro dovere; le opere di misericordia erano trascurate, e la disciplina era in decadenza; predominavano la lussuria e l’effeminatezza; si coltivavano le arti dell’appariscenza nell’abbigliamento; tra i fratelli si praticavano la frode e l’inganno; i cristiani si univano in matrimonio con i miscredenti; si bestemmiava senza rispetto e senza coscienza. Con altezzosa durezza venivano disprezzati i propri superiori ecclesiastici; con oltraggiosa acrimonia si inveiva l’uno contro l’altro e si litigava con grande cattiveria. Perfino molti vescovi, che dovevano essere una guida ed un esempio per gli altri, si dedicavano alle questioni secolari, trascurando i doveri della loro carica. Essi disertavano i luoghi di residenza ed i loro greggi; viaggiavano di provincia in provincia, a volte in località lontane, in cerca di piacere e di profitto; e, presi da un’insaziabile sete di denaro, trascuravano di porgere aiuto ai fratelli bisognosi. Con frode si impossessavano della proprietà altrui e praticavano l’usura”(Cfr. Cipriano di Cartagine, p.l.,4,638.


Dopo la lettura di questi terribili documenti, che sono una vera e propria radiografia
del marasma totale della Chiesa, e davanti ad un quadro così grave e preoccupante dell’imminente fine di essa, che cosa ci si poteva aspettare da cristiani così scadenti e da vescovi e dirigenti così indegni? E che cosa avrebbe potuto fare, per salvare la Chiesa, i pochissimi fedeli esemplari e perseveranti?
Ad un certo punto, constatata l’irreparabilità della situazione, e dato che il marcio e l’immoralità avevano raggiunto livelli e dimensioni incredibili, Dio dovette intervenire per setacciare i resti della Sua Chiesa. Ed in quest’opera si servì del forte braccio dei persecutori romani, specialmente degli ultimi e soprattutto dell’imperatore Diocleziano.
In definitiva, quale fu l’incidenza di Diocleziano nella scomparsa della Chiesa di Gesù Cristo dalla faccia della terra? Ben poca, se non addirittura nessuna. Anzi, in un certo senso, contribuì positivamente alla selezione del “grano” dalla “paglia” e, senza volerlo, fece aumentare sino al massimo possibile il numero dei fedeli. E’, del resto, quello che in forma lapidaria, sia pure trionfalisticamente, afferma Tertulliano quando, rivolgendosi alle autorità pagane, cioè ai persecutori, dice testualmente:
“Noi cresciamo ogni volta che ci mietete. Il sangue dei martiri è un semenza di cristiani”(Cfr. Tertulliano, Apologeticum, P.L. 1,257,50,13).
La storia dell’era dei martiri è piena di episodi che confermano tale affermazione di Tertulliano. Si pensi, per esempio, a quello che avvenne a colui che aveva trascinato l’apostolo Giacomo in tribunale: sconvolto dalla testimonianza dell’apostolo, confessò di essere cristiano e volle morire martire anche lui. (Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, 2,9,3).

Lo stesso avvenne per tantissimi altri martiri, la cui morte provocò innumerevoli conversioni (Cfr.Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, P.G. 4, 13,3; 4, 5, 7; 4 60).
Il fenomeno della proliferazione del sangue dei martiri è illustrato da Tertulliano con queste parole:
“Chi, di fronte a tale spettacolo, non si sente scosso e non cerca di scoprire che cosa vì è nel fondo di questo mistero? Chi, dopo aver tentato di farlo, non si è unito a noi? Senza aspirare alla sofferenza onde possedere la pienezza della grazia divina, onde ottenere da Dio un completo perdono al prezzo del proprio sangue? (Cfr. Tertulliano, Apologeticum, P.L. 1, 257, 50, 15).

Durante le ultime persecuzioni, scatenate dai vari imperatori romani, specialmente negli anni della terribile persecuzione diocleziana, il comportamento dei cristiani fu molto vario e diversificato. Esso, comunque, può essere schematicamente ridotto e sintetizzato nelle seguenti cinque categorie.

1) MARTIRI
I martiri, come indica la parola stessa, è di origine greca e che significa letteralmente “testimoni”, sono quei membri della Chiesa primitiva che con la perdita della loro vita testimoniarono la loro assoluta fedeltà a Cristo
2) CONFESSORI
Il termine latino “confessor”, che è sinonimo del vocabolo greco “martiri”, che significa “testimone”, convenzionalmente indica colui che essendo stato denunciato come cristiano e deferito davanti al magistrato romano, a lui confessò pubblicamente di essere cristiano, ma non essendo stato subito martirizzato, ebbe una sorte diversa.
3) SACRIFICATORI
Appartengono alla categoria dei sacrificatori coloro che, essendo stati deferiti in tribunale perché accusati di essere cristiani, per esimersi dalla condanna a morte o da quella ad metalla, preferirono compiere il sacrificio prescritto in onore degli dei pagani sia mangiando pubblicamente un pezzetto di carne sacrificata che versando un pizzico d’incenso in un braciere dedicato ad una divinità dell’impero.
4)TRADITORI o consegnatari:
A questa seconda categoria di pentiti, chiamati latinamente “traditores”, che letteralmente significa “consegnatari”, appartengono coloro che consegnarono ai magistrati romani i libri sacri e tutti gli altri strumenti necessari al culto (calici, ampolline, ecc.). Ad essi, infatti, non fu richiesto formalmente di rinnegare il Cristo o la loro fede, ma solamente di “consegnare le armi”, cioè le Sacre Scritture e gli altri strumenti necessari al culto.
5) LIBELLATICI

I ”libellatici” sono coloro che appartengono alla terza categoria dei lapsi, cioè a coloro che per salvare la pelle scelsero la via del compromesso o del doppio gioco. Essi, mentre da un parte non vollero tradire ufficialmente e con i fatti la propria fede in Cristo, dall’altra a parole e per iscritto si dichiararono pagani, tutti costoro, e furono moltissimi, vollero contemporaneamente “servire due padroni”. Dei tre tipi di lapsi (sacrificati, traditores e libellatici), credo che i libellatici è il più pericoloso, più insidioso ed il più preoccupante. E’ quello per il quale Dio nell’Apocalisse dimostra maggiore repulsione ed a cui riserva la più grave condanna, quando, rivolgendosi al vescovo dirigente della chiesa di Laodicea, dice: “io conosco le tue opere: tu non sei ne caldo ne freddo. Oh fossi tu pur caldo o freddo! Così, perché sei tiepido, e non sei ne caldo e ne freddo, io ti vomiterò dalla mia bocca”(Cfr. Apocalisse, 3: 15-16, in la Sacra Bibbia). Anche in un altro libro della Bibbia, del Nuovo Testamento, del Vangelo di Luca, vi sono parole di gravissima condanna per i peccatori di cui sopra. Vi leggiamo, infatti,le seguenti testuali parole: “ Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l’uno ed amerà l’altro, o si atterrà all’uno e sprezzerà l’altro…Perché se uno ha vergogna di me e delle mie parole, il figlio dell’uomo avrà vergogna di lui, quando verrà nella gloria sua e del Padre e dei santi angeli” (Cfr. Luca ,9:24-26, in la Sacra Bibbia).

A questo punto, come può vedersi, la Chiesa di Gesù Cristo praticamente è spacciata. Viene da dire l’elettroencefalogramma completamente e irreversibilmente piatto di essa è costituito dall’enorme quantità del lapsi, specialmente dei libellatici, che caratterizza gli ultimi giorni di essa. E’ importante ricordare al lettore che il cristiano “libellatico”, in pratica, poteva bene, ma soltanto apparentemente, servire due padroni, mentre in realtà non ne serviva alcuno. Non si capisce bene perché a quell’epoca i lapsi acclarati e schedati dalla magistratura imperiale furono trattati con estrema indulgenza dal supremo vertice religioso soprattutto da quello romano, quando la Chiesa ormai era quasi del tutto scomparsa? Evidentemente quello dei lapsi, essendo un fenomeno di immense e vastissime dimensioni, mentre da una parte spaventò i dirigenti della Chiesa già corrotta di quel tempo, che temettero di ridurla numericamente ai minimi termini o addirittura di sopprimerla se avessero preso le misure disciplinari dovute. Tale scelta, ben giustificata secondo i criteri della saggezza umana, mentre da una parte ci offre un quadro desolante e squallido dei miseri resti della Chiesa di Gesù Cristo era già veramente liquidata. Orbene, nessuno di noi può meravigliarsi che i 12 Apostoli, prima di morire, avessero smesso di eleggere i propri successori. Lo stesso dicasi per i 70 Discepoli viventi, era già senza capi, acefala, praticamente morta. Non era più una chiesa viva.
Di riflesso conseguentemente anche i vescovi integri e fedeli, che erano rimasti in vita prima di scomparire vittime degli ultimi interventi da parte della magistratura romana, tempestivamente informati ed istruiti dai medesimi Apostoli, cessarono anche loro di ordinare sia altri vescovi che altri presbiteri, sacerdoti e diaconi, lasciando così nel disarmo totale ed in stato di abbandono i locali precedentemente adibiti al culto e le strutture annesse. Questa, in buona sostanza, fu la fine della Chiesa di Gesù Cristo.
E’ chiaro che il fenomeno di questo doloroso tramonto della Chiesa primitiva venne scrupolosamente controllato e verificato dai servizi segreti imperiali, che possedevano gli elenchi aggiornatissimi e dettagliate di tutte le circoscrizioni cristiane dell’impero.
Frattanto, parallelamente e contemporaneamente a ciò, l’Imperatore Diocleziano dedicò molto impegno al restauro al culto agli dèi di Roma, con misure urgenti e di grandi proporzioni. E’ potè constatarne statisticamente i risultati.
A questo punto i servizi segreti di Stato, che erano efficienti, capillari e centralizzati, avendo controllato che gli elenchi dei dirigenti e dei membri della Chiesa erano ormai ridotti a tutta una serie di cancellazioni o per morte o per rinnegamento, informano dettagliatamente l’imperatore.
Questi, a sua volta, volle assicurarsi che anche gli esuli ed i fuggitivi fossero scomparsi realmente dalla scena. Passarono ancora altri lunghi mesi, forse anche un anno, fatti di giorni terribili pieni di buio tenebroso, di silenzio di tomba e di vuoto angosciante, durante i quali sembrava che il tempo si fosse fermato.
Dopo di che Diocleziano, sicuro di aver cancellato del tutto la Chiesa di Gesù Cristo, volle cantare pubblicamente vittoria, ordinando festeggiamenti grandiosi e trionfali in tutto l’impero.

Arrivati a sapere sinora queste terribile verità morte e sepolte di millenni, amici lettori, aggiungo ancora una pietra “levigata” al parete: furono, pertanto, eretti archi di trionfo ed innalzate colonne celebrative dell’avvenimento in onore di Diocleziano nelle più importanti città dell’impero.
Ovviamente, negli anni successivi, a partire da quelli del periodo post costantiniano e deuterocattolico, quasi tutta questa struttura architettonica celebrativa, di estremo valore storico e documentario, fu fatta scomparire. Ma per fortuna i delitti “perfetti” non esistono ancora, qualcosa riuscì a sottrarsi alla scomparsa e giungere sino a noi.
Abbiamo, infatti, notizia di due colonne celebrative di tal genere, trovate in Spagna, sulle quali si leggeranno le seguenti dediche:
“PER AVERE ESTIRPATA TOTALMENTE E DAPPERTUTTO LA SUPERSTIZIONE DI CRISTO E FATTO RIFIORIRE IL CULTO DEGLI DEI”.
Ancora: “PER AVER ESTINTO IL NOME DEI CRISTIANI CHE AVEVANO PORTATO LO STATO ALLA DISTRUZIONE”.
Fu, inoltre, coniata per ordine di Diocleziano una medaglia celebrativa dell’avvenimento , il cui testo sintetico e lapidario, nella sua forma assoluta, è il seguente:
“NOMINE CHRISTIANO DELETO”. (Per aver cancellato il nome cristiano).
Se si considera l’importanza inestimabile ed unica di questa preziosissima medaglia, non può assolutamente recare meraviglia il fatto che essa sia praticamente scomparsa. Eppure molti decenni fa la sua foto era riprodotta ed esibita in un testo apologetico ad uso dei seminari cattolici, in cui trionfalisticamente si affermava che quella Chiesa che l’imperatore Diocleziano si illudeva di aver distrutto, era invece sana e vegeta come prima o meglio di prima. L’esistenza di tale medaglia, comunque, ovviamente, in seguito, mutati i tempi e soprattutto essendo mutata l’ottica dei nuovi apologeti, forse si ritenne ingenuo, pericoloso ed incauto continuare a diffondere e ad evidenziare un documento storiografico del genere, sia pure di immenso valore, ma ovviamente anche di valenza contraria o quanto meno equivoca. Per concludere amici lettori, l’esistenza di tale medaglia, comunque, è documentata dal Milner in Storia della Chiesa, sec. IV, 1: 38. (Cfr. J.E. Talmage, La grande Apostasia, Milano 1982,p.77).

La storia dell’Imperatore Flavio Valerio Costantino fondatore della Chiesa Cattolica:

Si erano così avverate le Scritture di cui mi sono occupato nella prima parte di questo lavoro. L’impero romano , con la sua legge, con la sua magistratura e con i suoi servizi segreti aveva “trebbiato” la Chiesa fondata personalmente da Gesù Cristo.
Si erano adempiute le parole di Cristo a Pietro ed agli altri apostoli che leggiamo nel vangelo di Luca (22:31), in cui dice: “Satana ha chiesto di vagliarvi come grano; ma io ho pregato affinché la tua fede non venga meno”. Anche nel Vangelo di Matteo è contenuta la profezia fatta da Giovanni Battista in cui con le parole seguenti si dice che il Cristo avrebbe trebbiato il suo campo: Egli ha il suo ventilabro in mano, e netterà interamente l’aia e raccoglierà il suo grano nel granaio” (Cfr. Matteo 3:12)

Dopo questa grande “trebbiatura”, la rigogliosa messe della Chiesa di Gesù Cristo non esisteva più su tutto il globo terrestre, al suo posto invece, in quella vasta area in tempo numerosa , erano rimaste stoppie , tanta paglia e pula, pronte per essere bruciate per fare concime il terreno.

C’erano cioè tantissimi ex cristiani, che erano cristiani solo in parte, inattivi, senza profonde convinzioni, senza una vera testimonianza. Tutta gente che poteva pur sentirsi vagamente attratta verso Cristo e il suo Vangelo, ma che non intendeva impegnarsi fattivamente, gente che alla “trincea” preferiva la retroguardia, e che forse riteneva eccessivi i sacrifici richiesti al cristianesimo vero ed integrale preferiva le altre religioni esistenti nell’impero, appunto perché per nulla o meno esigenti. E tuttavia costoro, in fondo, negli anni successivi all’immane tragedia religiosa della scomparsa della Chiesa fondata da Gesù Cristo, potevano essere dispiaciuti. Ma non più di tanto e forse pronti a salire sul un altro carro di religione diversa.

Abbandonato ad una sana e legittima immaginazione di quel tempo, mi sembra di sentire da vicino questa grande folla di ex fedeli di Gesù Cristo o di semplici simpatizzanti. Mi è sembrato di captare che alcuni di costoro si fossero augurati che venisse fuori qualcuno capace di riorganizzare la Chiesa scomparsa, che fosse meno rigida, meno impegnativa, poco rigida, una chiesa più popolare e terrena, molto simile insomma alle varie religioni pagane di allora.
Sempre abbandonato ad una mia sana immaginazione, amici lettori, potrebbe essere stata questa le attese o desiderata di tantissima gente della grande massa dei tiepidi e nostalgici ammiratori di Gesù Cristo. Si pensi a tutti gli ex vescovi, ex presbiteri, ex diaconi, esonerati o deposti dalle autorità generali o locali della Chiesa per provata indegnità, si pensi ai tantissimi ex membri della Chiesa. Si pensi all’enorme massa dei “lapsi”, sia sacrificatori, che consegnatari e libellatici. C’erano anche tutti gli ex dirigenti della Chiesa, che per salvare la pelle durante le persecuzioni avevano accettato la proposta di passare ad un’altra religione, ad un delle tante pagane, divenendone addirittura Flamini, cioè sacerdoti e vescovi pagani, c’erano tutti i pentiti che per qualsiasi motivo erano passate ad altre fedi evidentemente pagane. E’ molto logico pensare tutto ciò. Tutti questi ominicchi, tutta questa massa di frustrati tra i quali spiccavano alcuni desiderosi di rivalsa, avidi di potere avranno sentito ad un certo momento il bisogno di riunirsi e organizzarsi, formando delle liste e, proprio come avviene nelle file di un disciolto partito, avranno anche sognato nostalgicamente di ricostruire, in maniera e criteri diversi la Chiesa di Gesù Cristo scomparsa per sempre.

Questo quadro immaginario ed ipotetico, credo a mio avviso (riferisce il Prof. Angelo Scarpulla autore del volume Architettura, Arte e Religione ed. Nuova Stampa Riminese-Rimini) non è per nulla improbabile. Anzi, continua il Professore, lo si può addirittura ragionevolmente considerare come se fosse realmente accaduto.

Proprio a questo punto, e siamo nell’anno 313 circa dell’era cristiana, entra in gioco e nella politica e nella storia religiosa del mondo un uomo capace di captare queste aspettative anche della popolazione, valutarne la portata e di convogliare a proprio vantaggio tutto questo enorme potenziale umano, inserendolo però in un contesto completamente diverso.

Costantino, orbene, riciclando i poveri resti della Chiesa fondata da Gesù Cristo, che si era completamente estinta sulla faccia della Terra, li trasformerà in una delle tante componenti della propria nuova “Chiesa” di Stato, capace di attirare ed assorbire nel suo seno anche tutte le altre religioni dell’impero romano, alla quale darà il nome di Chiesa Cattolica o Chiesa di tutto l’impero romano o Chiesa Universale..

Quest’uomo, Costantino è un militare, un personaggio complesso e contraddittorio un ammasso di grandi qualità e di enormi vizi, ambiziosissimo, spregiudicato,violento e sanguinario, amorale, machiavellico ante litteram e cinico un imperatore romano che le due componenti della Chiesa Cattolica, sia quella Greca che quella Latina, hanno adorato come dio per tutto il tempo della sua vita.

Un grande storico inglese moderno, Michael Grant, tracciando un quadro del carattere della personalità di Costantino, dice che come uomo e come capo diStato aveva un pessimo carattere in quanto andava spesso soggetto a furibondi attacchi di collera che non avevano limiti e che facevano di lui un uomo pericoloso ed imprevedibile, crudele e spietato in maniera sconcertante, e che sarebbe stato meglio per chiunque non averlo mai avuto come nemico. Dice che era enormemente ambizioso ed assetato di popolarità, e facilmente vulnerabile dall’adulazione (Cfr. M. Grant, Gli imperatori romani-Storia e segreti, Newton & Compton editori, Roma/984,pp.297-306).

Dal suo biografo ufficiale, Eusebio di Cesarea, sappiamo che era molto vanitoso, e che sia a corte che nelle pubbliche cerimonie amava vestire come un dio, indossando abiti di seta e di porpora riccamente ricamati di pietre preziose, sui quali splendevano vistose composizioni di gioielli d’oro. Quest’uomo è l’imperatore romano Flavio Valerio Costantino, che i suoi sudditi adoravano come Dio Solare.

Cari lettori, non tutti sanno , però, che in seguito alla morte di lui e dei suoi primi successori, il vertice supremo cattolico non esitò a ridimensionare e scaricare, prima declassandolo a livello di semplice santo, venerandolo come San Costantino, ed in seguito, ai nostri giorni, dopo ulteriori declassamenti progressivi, addirittura cancellandolo dal novero dei santi del calendario della Chiesa Cattolica.

Infatti, consultando una delle più recenti opere sull’argomento, egli, ex Dio Costantino fondatore della Chiesa Cattolica ed adorato come tale per secoli e l’ex San Costantino venerato come tale nei secoli successivi, risulta del tutto assente in essa. Ed al suo posto, con meraviglia, troviamo un altro San Costantino, che, dopo essere stato re di Cornovaglia, divenne poi monaco in Irlanda e finì i suoi giorni martirizzato dai Pitti di Scozia (Cfr. Monaca del Soldato, Santi per 365 giorni, Edizioni Demetra, Colognola dei Colli (Vr) 2001, p.80).

I cristiani odierni, quindi, ignari di questa sua lunga e travagliata storia evolutiva, lo conoscono solamente come l’imperatore Costantino I il Grande. Orbene, per quanto su esposto, iniziamo l’approfondimento dei più importanti dei dati biografici di questo personaggio, alla luce delle ricerche di antichi testi bibliografici e della moderna storiografia e contemporanea.

FLAVIO VALERIO COSTANTINO nacque nella Mesia o Illiria a Naissus (Nis, nell’attuale Cossovo) il 27 febbraio nel 280 d.C. circa dal generale romano Flavio Valerio Costanzo soprannominato Cloro e da una donna di umili origini, forse una locandiera, sua concubina di nome Elena
Trascorse buona parte della sua giovinezza alla corte dell’imperatore Massimiano, a Nicodemia in Bitinia (oggi Izmit in Turchia), capitale dell’impero romano d’Oriente, in qualità di ostaggio per garantire la fedeltà del padre, Costanzo, nominato Cesare cioè vice imperatore per l’occidente. Qui ebbe l’opportunità di imparare per anni i segreti della politica di palazzo e di sposare Fausta, la figlia dell’imperatore Massimiano.
Alla morte dell’imperatore Diocleziano, suo padre Costanzo, divenuto Augusto cioè imperatore per l’Occidente, chiamò presso di sè il figlio Costantino a Boulogne in Britannia, non si sa per quale segreto fine. Ma poco dopo, nel luglio del 306, l’imperatore Costanzo morì presso Eburacum (l’attuale York), facilitando a Costantino la scalata all’impero. Infatti a soli 26 anni e precisamente il 25 luglio del 306, a dispetto della legislazione della tetrarchia che glielo vietava, fu acclamato imperatore dell’Occidente dalle sue legioni. Ma tale acclamazione da parte delle sue legioni non potè consentirgli subito l’ascesa al supremo vertice dell’impero. Vi erano parecchi ostacoli ad impedirglielo, di cui la maggiore era l’istituto giuridico della Tetrarchia, ormai funzionante.
Che cos’era l’istituto della tetrarchia.

Come avrebbe potuto funzionare la Tetrarchia: la tetrarchia è un geniale ed utopistico creato dall’imperatore Diocleziano, finalizzato a rendere più governabile l’impero romano ormai territorialmente troppo esteso, e rendere automatica la successione imperiale sottraendola alle velleità dei vari duci militari che di solito, forti delle loro legioni, riuscivano a farsi proclamare imperatore. Ecco come avrebbe dovuto funzionare la tetrarchia a quell’epoca
L’impero romano fu diviso in quattro parti, rispettivamente affidati a due imperatori Augusti ed due vice imperatori o Cesari. L’augusto per l’Occidente rimase lo stesso Diocleziano, l’augusto per l’Oriente rimase Massimiano. I due Cesari eletti rispettivamente Augusti furono Costanzo Cloro per l’Occidente e Galerio per l’Oriente.
Incredibilmente, essendo il primo e l’unico caso di abdicazione in tutta la storia dell’impero romano, i due imperatori augusti, per assicurarsi che la Tetrarchia funzionasse, abdicarono, riservandosi il diritto di controllare dall’esterno la funzionalità della tetrarchia ed eventualmente intervenire. Di conseguenza, automaticamente, i due Cesari subentrarono, diventando Augusti. Cioè CONSTANZO CLORO E GALERIO divennero imperatori augusti. Essi, pertanto, elessero il loro vice imperatore o Cesare nelle persone di SEVERO per l’Occidente e MASSIMINO DAIA per l’Oriente. E i due ex imperatori ne erano soddisfatti. Se non il nuovo imperatore per l’Occidente, Costanzo Cloro, non si sa come e perché, nel 306 muore. Da notare che nessuno dei due fondatori della Tetrarchia, cioè Diocleziano che Massimiano, avevano scelto il figlio come futuro imperatore. Tuttavia Massenzio, il figlio di Massimiano, pur essendo stato escluso dalla successione per la legge della Tetrarchia, dopo l’abdicazione del padre, si fece proclamare imperatore augusto in Roma. Anche Costantino, come abbiamo visto, alla morte del padre, l’imperatore Costanzo Cloro, si fece acclamare Augusto dalle sue legioni; ma egli, non contento di ciò, prima fece pressione sull’imperatore Galerio, ottenendo il titolo di Cesare, cioè di vice imperatore. Sbrigò contemporaneamente anche un altro vecchio imperatore, Massimiano, che era suo suocero, il quale gli offrì anche lui la possibilità di succedergli come imperatore dopo la propria morte. Ma Costantino non aveva voglia di attendere. E passò ai ferri corti. Infatti nel 310 fece imprigionare a Marsiglia il suocero e lo fece uccidere. Cerco di far fuori il giglio di lui, Massenzio, per aprirsi la strada alla successione. Ma non vi riuscì. Le cose pertanto andarono per lunghe. Gli restavano ancora altri tre rivali da stroncare: Massimino Dacia, che giuridicamente era vice imperatore, nonché Licinio, ed il cognato Massenzio. Costantino, allora, si alleò con Licinio, al quale finse di riconoscere il dominio dell’Oriente, dandogli in sposa la propria sorellastra Costanza. Il matrimonio avvenne a Milano. M l’accordo tra i due ebbe breve durata. Intanto Licinio sconfigge Massimino Dacia, che così muore. Restavano ancora due rivali da far fuori: i due cognati Licinio e Massenzio. Il duello tra Costantino e Licinio si protrasse da 313 al 324. Alla fine Licinio fu definitivamente sconfitto a Crisopoli nel 324, e l’anno successivo ucciso.

Per Costantino ormai l’ultimo ostacolo era l’altro cognato , Massenzio, che per due anni, dal 306 al 308, era stato legittimo imperatore romano e che di fatto cercava di conservare e difendere il suo sommo potere. Senza alcuna esitazione, Costantino decise lo scontro finale con lui, che dopo una lunga serie di battaglie si risolse a proprio vantaggio in quella fatidica svoltasi nei pressi di Ponte Milvio a Roma il 28 ottobre del 312. dopo di che entrò trionfalmente in Roma alla testa delle sue legioni e ricevette dal Senato il titolo di Imperatore Augusto, divenendo incontrastato ed unico imperatore di tutto l’impero romano.

Per raggiungere tale scopo e mi rivolgo ai miei pazienti e cari lettori e non tutti sanno che Costantino per raggiungere tale scopo ci erano voluti ben 18 anni di trattati, congiure, alleanze, matrimoni combinati, battaglie, delitti e tantissimo sangue versato. In tutta la storia romana e del mondo, nessun dittatore ha versato tanto sangue umano, tra cui quello del suocero e di due cognati, per andare al potere, certo, per il fondatore della nuova Chiesa Cattolica è un buon curriculum vitae. Non c’è che dire.

Costantino ha già in mano tutto l’impero. E’ il padrone di tutto il mondo civile di allora. Gli resta ora il compito di consacrarlo e rafforzarlo. A questo scopo pensò di creare un religione del tutto nuova e del tutta sua, unica per tutto l’impero, che appunto per questo chiamerà, come si chiama ancora oggi, Cattolica, cioè universale, usando un aggettivo della lingua ufficiale di allora che era quella greca.

A questo punto, sempre come riferisce il mio fraterno amico Prof. Angelo Scarpulla autore del volume: Architettura, arte e religione-Rimini: il neo imperatore Costantino dovette ricevere la delegazione di tutta quella gente che voleva restaurare la scomparsa Chiesa di Gesù Cristo, finita del tutto durante la persecuzione di Diocleziano. La riunione immaginata ed ipotizzata dall’autore del volume, probabilmente si tenne realmente nel palazzo imperiale sito in Piazza Laterano in un giorno imprecisato del 313. E’ logico immaginare che i membri di quella delegazione abbiano fatto del loro meglio per convincere Costantino dell’opportunità di “rifondare” l Chiesa Cristiana già scomparsa. Probabilmente costoro pensavano di poter facilmente di attuare il loro piano strumentalizzando l’imperatore.

Le cose, però, andarono molto diversamente, come vedremo. Quei numerosi delegati, appartenente probabilmente ai ceti più alti della buona società romana, spinte dalle loro ambizioni e mettersi in mostra, si auto candidarono come dirigenti della futura chiesa di Costantino. E non è da escludersi che alcuni di essi siano in seguito diventati effettivamente dirigenti della nuova chiesa. Sta però, di fatto, che Costantino non intese per nulla restaurare la Chiesa di Gesù Cristo, ma volle creare bensì una nuova, del tutto nuova ed esclusivamente sua. S i badi bene che Costantino, logicamente, non poteva affatto essere interessato alla rifondazione o restaurazione della ex Chiesa Cristiana. Lui, che secondo la costituzione romana era a pieno titolo dio, non poteva diventare il ministro o il funzionario, sia pure supremo, della religione di Cristo, che egli riteneva un semplice suo collega. Si limitò, pertanto, a rendere un favore al “collega” Cristo, facendo cessare le persecuzioni in atto nei confronti dei seguaci di Lui. Di più non avrebbe e potuto fare. Per la verità, la fine delle persecuzioni contro i membri della Chiesa Cristiana era stata decretata precedentemente da altri tre imperatori, cioè da Galerio, Massenzio e Licinio. Ma Costantino con la sua nuova politica voleva fare di più. Sognava che tutti i sudditi del suo impero, compresi i nostalgici della Chiesa Cristiana già scomparsa, entrassero nella sua nuova religione.

Proposito di Licinio del cosiddetto “Editto di Milano “, che sarebbe stato concordato tra Licinio e Costantino nel febbraio del 313, e poi da loro sancito in un unico documento, sul quale gli storici moderni fondavano l’origine della politica reliosa di Costantino, non ha nessuna consistenza storica. Infatti alcuni studiosi contemporanei, tra cui Otto Seeck e H. Grègorie, hanno dimostrato che non vi fu alcuno editto promulgato a Milano in tal senso. Anche i cattolici Flische e Martin nella loro pregevole Storia della Chiesa scrivono in proposito che “l’argomentazione di Otto Seeck è giuridicamente incontestabile”. E che “il documento nel quale si credette di ritrovare la sostanza di una decisione di Milano è il rescritto di Licinio, pubblicato in Oriente verso la metà dell’anno “. Comunque , l’accordo verbale tra Licinio e Costantino in materia religiosa probabilmente vi fu, o almeno lo si può supporre, anche se non fu promulgato da ambedue a Milano, ma soltanto ad Oriente da parte di Licinio. Va però subito detto che la fine delle persecuzioni contro i cristiani e la conseguente pace religiosa voluta da Costantino non mirava a trasformare i cristiani nostalgici in una chiesa favorita e protetta, ma solamente a farne un’area religiosa a cui attingere proseliti per la sua nuova religione, Cattolica. Costantino, infatti, non era un cristiano, (il padre di Costantino, Costanzo e la sua famiglia erano in realtà fervidi seguaci del culto di Mitra) e non volle mai diventarlo, a dimostrazione di questa tesi dedicherò ampio spazio in una relazione successiva.

Il battesimo di Costantino è uno dei grandi falsi della storia tramandataci dai cattolici, come era un falso clamoroso la “Donazione” di Costantino, Lorenzo Valla nel 1440 scrisse “De falso credita et ementita Costantini donatione declaratio”, edita solamente nel 1517 dal Hutten, questo argomento di grande rilevanza storia e di enorme gravità del papato cattolico che si inventò di aver ricevuto in dono dall’imperatore Costantino per se e per i suoi successori tutto l’impero d’occidente, cioè l’intera Europa. Argomento di cui che tratterò a parte. Posso comunque riferirvi che egli, in forza del titolo d’imperatore, deteneva automaticamente la suprema carica religiosa di PONTIFEX MAXIMUS, e, giusto per quella chiarezza, amor di vero vi spiego come si è arrivati a tale carica religiosa: prima dell’imperatore Ottaviano Augusto, era sempre stata affidata ad un magistrato speciale perché presiedesse il collegio di tutti i semplici pontefici delle numerosissime religioni dell’impero. Ma l’imperatore Ottaviano Augusto, volendo servirsi di tutte le religioni come strumento di potere, evocò a se tale carica. E dopo di lui tutti gli altri imperatori continuarono a farlo.

Naturalmente anche l’imperatore Costantino assunse e mantenne per tutta la vita tale carica, per la quale egli dovesse essere del tutto equidistante e “super partes” rispetto a tutte le religioni esistenti nel suo impero. Costantino, inoltre, in base alla Costituzione Romana, una volta divenuto imperatore, diventava “Augustus” , cessava, cioè, di essere un semplice uomo e diventava un essere divino, dio addirittura. Pertanto Gesù Cristo e qualsiasi divinità adorata nell’impero, nell’ottica giuridica romana e quindi di Costantino, erano suoi colleghi divini. Egli pertanto, logicamente, ed a norma del diritto romano, non poteva professarsi cristiano e quanto meno diventarlo. Questo supremo titolo di Augustus, come è noto, dalla suprema magistratura romana, cioè del Senato, fu conferito per la prima volta all’imperatore Ottaviano, nell’anno 27 a.C. Da allora esso divenne l’appellativo di Ottaviano e conseguentemente di tutti i suoi successori. Pertanto, l’imperatore Costantino, essendo Augustus, per il diritto romano era dio a tutti gli effetti giuridici. Diveniva dio sia durante la sua vita che dopo morto.

Sappiamo, infatti, come narra lo storico romano Eutropio nella sua Storia, che Costantino Imperatore, dopo la sua morte, “meruit inter divos referti”, cioè meritò di essere assunto in cielo tra gli altri dèi. Nella logica giuridica di allora era ovvio e normale pensarlo. Nell’ottica del popolo romano egli si era comportato come dio e come tale era stato adorato durante la sua vita sulla terra, e conseguentemente era ben giusto che alla sua morte meritasse di esserlo anche in cielo (Cfr.Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 10,8,2).

A conferma di ciò, ci è stata tramandata la notizia che alla morte di Costantino, avvenuta ne 337, fu coniata una moneta per celebrare l’assunzione in cielo fra gli altri dei, cioè la cosiddetta “coronatio”. Nel retro di esso era raffigurato Costantino che su una quadriga galoppa verso il cielo, da dove il padre degli dei gli da il benvenuto tenendogli la sua divina mano. Sappiamo, infatti, che durante tutta la sua vita egli pretese sempre di essere adorato come dio. Per amor del vero, come abbiamo già visto,il culto divino dovuto all’imperatore della persona non fu lui a crearlo, ma egli non fece nulla per abolirlo. Tutt’altro. Anzi lo incrementò.

Si proclamò, infatti, ufficialmente e solennemente Dio Sole. Ai nostri occhi tale decisione oggi può sembrare assurda e ridicola. Ma la cosa ci può apparire meno folle se pensiamo che, dopo di lui, tutti gli imperatori suoi successori, compresi quelli del Sacro Romano Impero e tutti i sovrani cattolici continuarono a pretendere l’adorazione da parte dei loro sudditi. Addirittura, nei secoli a noi più vicini, un re francese, Luigi XIV (1638-1715), si fece chiamare “Re Sole” e volle essere chiamato come tale. Tale adorazione gli venne tributata tranquillamente sia a Roma ed a Costantinopoli che in tutto il resto dell’impero romano. A Costantino piaceva tanto che le sue statue, di marmo o di bronzo e comunque quasi sempre d’orate, troneggiassero nelle pubbliche piazze. Nell’abside occidentale della Basilica laica di Costantino in Roma, basilica comunemente nota come basilica di Massenzio, ve n’era una sua colossale di marmo dorato. I resti di essa, come ho già detto, sono i pezzi conservati nel Museo Capitolino di Roma.

E’ da considerare certamente leggendaria ed interpolata la notizia dataci da Eusebio di Cesarea, di una statua romana di Costantino, eretta nel Foro nel 313, nella quale l’imperatore era raffigurato con in mano la croce di Cristo. Questo è assolutamente impensabile a chiunque conosce il nostro personaggio. Gli stessi Fliche e Martin, a pag. 29 del vol. III, sia pure in nota, ammettono che “l’idea di una statua imperiale ufficialmente cristiana (cioè con la croce e con lo stendardo il mano), eretta nel foro (nel 313) è di una inverosimiglianza lampante”. Ci è anche pervenuta una delle 8 colonne, alte m. 20, che una volta erano addossate ai pilastri che reggevano la volta dell’abside a nicchie nell’arcata centrale della navata della Basilica di Costantino, dove a lui personalmente ed alla sua colossale statua venivano regolarmente tributati onori divini. Nel 1614 da Papa Paolo V tale colonna fu fatta trasferire nella Piazza di Santa Maria Maggiore in Roma, in cima alla quale vi troneggia una statua della Madonna col bambino.

Si noti bene che tutto quello che ho detto e continuerò a dire in queste pagine, su Costantino, sebbene sia ancora oggetto di reticenze e rimozione da parte di tanti scrittori cattolici, è apertamente affermato e sostenuto da tanti esperti sia clericali che laici di tutto il mondo. Questi da secoli hanno messo in dubbio e negato tantissime leggende medievali su Costantino, verosimilmente inventate dai monaci cattolici, quali il famoso “Editto di Milano” del febbraio dell’anno 313 di cui ho già detto precedentemente, e la conversione e il battesimo di Costantino. Si tratta di nomi di rilievo internazionale, quali i seguenti: O. Seeck, H. Grègoire, per quanto concerne l’editto di Milano; e Maso, Burckardt, Brieger, Gorres, Schwartz, Duruy, Beugnot, Geffcken, Harnack e Costa, per quanto concerne la sua conversione.

Alcuni di essi, come V. Gardthausen e G. Costa, si sono rifiutati di scorgere nel famoso monogramma assunto da Costantino, costituito dalle due lettere dell’alfabeto greco incrociate (la Ki e la Ro), un emblema cristiano.

Quel che è molto strano in tutta questa faccenda è il fatto che, mentre da una parte il vertice istituzionale e culturale cattolico resta irremovibile davanti ad ogni tipo di suggerimento esterno a “leggere” con maggiore apertura mentale tante pagine della storia dell’era protocattolica, dall’altra addirittura si irrita e si offende se qualche esperto, quale il citato O. Seeck, si permette di calcare la mano sul personaggio Costantino, lamentandosi che si voglia “fare di lui un ritratto pieno di amarezza e di disprezzo” (Cfr. A. Fliche e Martin, Storia della Chiesa, S.A.I.E., Torino 1960,III p.26). Si noti bene, però, che lo stesso vertice cattolico, incoerentemente, ha riservato a Costantino un trattamento spietato e dissacratorio, cancellando in due grandi tappala sua precedente aureola divina e sacrale, prima rimuovendole la divinità e poi azzerandone la santità. Infatti oggi per la Chiesa Cattolica il dio Costantino di una volta non solo non è più una divinità adorata ed adorabile pubblicamente ma neppure un santo qualsiasi come lo è stato per tantissimi secoli. Per promuovere una migliore e rinnovata “lettura” del personaggio Costantino e della sua opera, può servire tra l’altro, la citazione del seguente giudizio.

“Contrariamente a quel che si crede, Costantino non fece del Cristianesimo la religione di Stato. Fu, in realtà, l’adorazione pagana del sole. E Costantino, per tutta la vita, ne fu il sommo sacerdote…..Il cristianesimo che si coagulò e prese forma all’epoca di Costantino era in effetti un ibrido: conteneva significativi tratti di pensiero derivati dal Mitraismo e dal culto del Sole…Nell’interesse dell’unità, Costantino rese deliberatamente vaghe le distinzioni tra cristianesimo, Mitraismo e Sol Invictus; scelse deliberatamente di non vedere motivo di attrito fra loro…Così costruiva una chiesa cristiana in una parte della città, e in un’altra erigeva statue alla dea madre Cibale e al Sol invictus, il Dio Sole: quest’ultimo aveva i tratti del viso di Costantino stesso” Cfr. M. Baigent, R. Leigh, H. Lincoln, L’eredità messianica, Editore M. Tropea, Milano 1999, pp. 49-49).

Del resto, vi sono numerose prove a sostegno di affermazioni come queste o di esse parallele e complementari, prove di varia natura sia architettonica e artistica che di vario altro genere, da me raccolte e di cui mi occuperò ancora ampiamente nei capitoli successivi. Soffermiamoci ora su altri aspetti della personalità di Costantino.

Sulla religiosità di Costantino si è scritto tanto. Ma lo si è fatto spesso in chiave apologetica, specialmente da parte degli scrittori cattolici. E per questo la storiografia ha potuto fare pochi progressi. Occorre, pertanto, approfondire l’indagine e svecchiare l’ottica, disfacendosi di tanti vecchi clichès.

L’autore del volume Architettura, arte e religione, del Prof. A. Scarpulla, si riferisce alla religiosità di Costantino, raccolte e scoperte e vuole enunziarle ai lettori. Le seguenti sono le più importanti:
Costantino non volle mai battezzarsi, ne mai lo fece neppure in punto di morte: glielo vietava la sua condizione di Augusto e Pontefice massimo, oltre che di Dio, secondo la Costituzione Romana Per lo stesso motivo non si battezzarono mai né la madre Sant’Elena, né la figlia Santa Costanza e neppure i quattro suoi figli maschi. Il famoso “Editto Milano” del febbraio del 313, che sarebbe stato concordato tra Licinio e Costantino, non ha alcuna consistenza storica L’editto fu emanato dal solo Licinio e valeva solamente per l’Oriente. Il famoso Editto di Milano se l’inventarono gli storiografi cattolici, regalando così a Costantino una benemerenza indebita ed immeritata.
Costantino non fondò né restaurò alcun tipo di chiesa cristiana, ma fondò una chiesa tutta sua, destinata a diventare l’unica religione dell’impero, che chiamò “Cattolica”, con una parola greca che significa “di tutto il mondo” o “di tutto l’impero” o “universale”. Questa era del tutto pagana ed il Dio di essa era Lui, il Dio Sole Costantino.
Costantino non costruì le sue numerose e stupende basiliche perché le usassero i cristiani, ma perché servissero al culto del dio Costantino nell’unica chiesa o religione dell’impero. L’attuale Basilica di San Giovanni in Laterano in Roma, quella di San Pietro in Vaticano e tante altre sorsero e furono dedicate ed intitolate al suo divino culto.
Costantino, come del resto tutti gli altri imperatori vissuti sia prima che dopo di lui, volle essere adorato come dio sia nel Foro di tutte le grandi città dell’impero che sulle pubbliche vie, come pure e soprattutto nelle sue basiliche sia in quelle laiche che in quelle religiose.
L’abside di tutte le sue basiliche religiose era rigorosamente riservata a lui ed al suo culto, dove egli curava la propria immagine sacra e divina. Per tantissimo tempo, l’abside si chiamò “Santissimo” o “Sancta Sanctorum”. Quando egli non poteva era presente personalmente al suo interno, lo surrogava la “Sancta Sedes”. Cioè la “cattedra vuota” che in tutti gli effetti in sua assenza veniva adorata come “Aghia”. Il vescovo e il clero non potevano entrare nell’abside e prendervi posto. Essi sedevano nella navata centrale. L’abside divenne “praesbyterium” solamente molti secoli dopo, quanto l’imperatore, in seguito alle lotte per le investiture, fu estromesso dall’abside. F u allora che l’antico “praesbyterium” fu regalato alla “schola cantorum”.
Originariamente nell’abside delle basiliche protocattoliche oltre alla statua dell’imperatore troneggiavano affreschi e mosaici raffiguranti unicamente le immagini dell’imperatore e dei membri della sua famiglia. Tutti costoro, quando l’imperatore lo voleva, potevano essere attorniati dalla loro corte. Originariamente era inconcepibile nella basilica e soprattutto nell’abside, la raffigurazione delle immagini di altre divinità “concorrenti”. Quando un imperatore, per un calcolo di strategia religiosa, riteneva opportuno “gemellarsi”o “allearsi” con un dio antico (Ercole, Mitra, Gesù ecc.) questo avveniva nell’ottica della “renovatio”. In tal caso, Costantino o un altro imperatore diventava il “Nuovo Ercole, il nuovo Dio Sole”, il “Nuovo Dio Mitra” il “Nuovo Dio Gesù”. La cosa funzionava come quando un nuovo dio subentrava nell’eredità paterna e gli succedeva a pieno diritto. In tal caso, il nuovo Dio Sole affianca la propria effige a quella del vecchio Dio, che legittimava la successione e quasi andava a finire in pensione.

Ciò premesso, proseguiamo l’esame su altri aspetti della religiosità di Costantino soffermandoci si di un’ipotesi di lavoro suggestiva, stimolante ed alquanto provocatoria.

Può ipotizzarsi che la Basilica costantiniana sul colle Vaticano sia nata pagana?

Certamente se un archeologo riuscisse a scoprire reperti capaci di documentare l’ipotesi che l’antica basilica costantiniana, sulla cui area fu costruita l’attuale basilica di San Pietro in Vaticano, era un tempio pagano dedicato da Costantino al culto della sua divina persona, il mondo culturale e religioso cattolico ne rimarrebbe turbato e sconvolto.
C’è da dire che scoperte archeologiche di tal genere sono quasi impossibili. Ed anche se avvenissero, qualcuno troverebbe il modo per vanificarle. Si pensi, a quel che avvenne quando una commissione di esperti sentenziò che la stoffa della “Sacra Sindone” era molto più giovane della datazione anagrafica ufficialmente attribuitale. Ma è comunque possibile che qualche documento che qualche documento, magari tra le righe, lasci trapelare una preziosa testimonianza del genere. E questo è appunto quello che è successo leggendo un noto testo medievale scritto dal vescovo di Roma Leone Magno (440-461), un insospettabile personaggio ecclesiastico di alto rango. Mi è parso di avere compiuta una scoperta che ha del sensazionale e dello sbalorditivo. Si tratta di una frase che ritengo sia sfuggita involontariamente al suo autore. Così Leone Magno scrive nel suo 7° Discorso di Natale: “Alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro apostolo, dedicata all’unico Dio, vivo e vero, dopo aver salito la scalinata che porta all’atrio superiore, si volgono verso il sole, e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto in parte per ignoranza e in parte per mentalità pagana” (Cfr. Leone Magno, 7° Sermone di Natale, in P. L. 54, 27,4).

Per quanto concerne la testimonianza suddetta, tratta dal 7° Discorso di Natale, il dato di fatto riferito è che a quei tempi (440-4461), i fedeli della Chiesa Deuterocattolica, immediatamente prima di entrare nella basilica, si comportano come se fossero fedeli pagani del culto solare mitraico, salutando religiosamente il Dio Sole. Il che, se poteva meravigliare, addolorare ed angosciare il vescovo di Roma, può farci pensare che il fenomeno non fosse sporadico e di scarse dimensioni, assumendo dimensioni preoccupanti.

A chiarificazione della situazione fortemente conflittuale creatasi tra i cattolici ed i pagani, alla fine del IV secolo successivo, che non avevano accettato il piano di globalizzazione di Costantino, voglio riferire, sia pure brevemente, gli aspetti più importanti del trattamento attuato dal vertice della Chiesa costantiniana e post costantiniana, nei confronti dei fedeli “no global” e delle loro strutture, con i loro templi e gli edifici annessi. Insieme ad esse nei decenni e nei secoli successivi furono presi di mira tutte le altre strutture pubbliche, quali le biblioteche, le terme, i teatri e tutti gli altri monumenti pubblici.

I templi delle chiese pagane di minoranza, che non avevano accettato il piano di globalizzazione imperiale, furono progressivamente investiti da una durissima serie di misure ed interventi persecutorii. Furono fatti oggetto di danneggiamenti continui ad opera di teppisti sia religiosi che laici inviati dal vertice cattolico, i quali nottetempo, armati di mazze e spranghe, si avventarono sulle statue e sulle decorazioni dei templi. In questo modo i loro templi furono parzialmente danneggiati e poi demoliti, incendiati e distrutti, senza che questo scempio del pubblico patrimonio religioso ed artistico suscitasse dispiacere ad alcun’altra sincera reazione nella pubblica autorità. A nulla valsero le proteste e le denunzie ufficiali presentate dai pontefici locali interessati ai singoli settori e casi. Stressa sorte subirono l’ara e la statua della Dea Vittoria, tanto care ai superstiti senatori pagani, situati nella Curia di Roma. Fu soppresso l’istituto delle Vestali. Furono abolite tutte le rendite e le immunità spettanti ai collegi sacerdotali delle religioni non integratesi. Gli editti persecutori non si limitarono allo scempio del patrimonio pubblico, ma infierirono duramente anche sul settore privato. Con l’editto dell’imperatore Teodosio I del 391, fu vietato il culto delle divinità pagane anche nell’intimità della propria casa. Il che indusse le famiglie a disfarsi delle loro statue e statuette distruggendole. Solamente in pochi si astennero dal farlo e le nascosero interrandole devotamente e con coraggio. Ma le misure mirate alla globalizzazione non si limitarono all’aspetto puramente religioso, ma investirono anche quello culturale, etico, estetico, comportamentale, puntando sulla conquista di quello totale. I pagani giudicarono folli e dissennati i governanti cattolici che in pochi anni distrussero tutto il prezioso patrimonio di ogni tipo creato dalla cultura e dalla civiltà dei loro padri, quali le biblioteche in lingua greca e romana esistenti in ogni città romana, le terme, i ninfei, le ville, i teatri e gli anfiteatri, i fori, i mercati, gli stadi, le palestre, la mentalità allegra e godereccia, la gioia di vivere, la libertà di pensiero e di espressione, le innumerevoli feste, in una parola tutto.

Le biblioteche pubbliche, che il vertice cattolico giudicò progressivamente sempre dannose alla nuova ideologia, subirono anch’esse misure restrittive e finirono per essere chiuse e poi soppresse. Il suo prezioso materiale, quando non fu distrutto subito,finì in depositi e ripostigli segreti grazie all’interessamento da parte di cultori e collezionisti privati, ed in seguito fu trasferito nelle biblioteche dei monasteri dei benedettini ed altri ordini religiosi. A proposito di biblioteche, è doveroso accennare alla distruzione della più grande biblioteca del mondo di allora, quella di Alessandria di Egitto, costruita dal faraone Tolomeo II Filadelfo (III sec. a.C. ), che conteneva più di 700.000 volumi e che andò completamente distrutta, pare volutamente ad opera dei cattolici d’Egitto sotto la guida del loro vescovo e patriarca di nome Teofilo nel 400 d.C. Sappiamo che essa precedentemente aveva subito danni da due altri incendi. Il primo, di modeste dimensioni, fu causato dalla plebe alessandrina, quando questa nel 48 a..C. assalì il palazzo reale in cui Giulio Cesare si era asserragliato con la Regina Cleopatra,. Il secondo, anch’esso di piccole dimensioni, avvenne nel 267 d.C., quando le truppe della regina Zenobia di Palmira si scontrarono ad Alessandria con quelle dell’imperatore Aureliano. Ma il terzo,. Quello compiuto dai cattolici locali, nel 400 d.C., intenzionale e mirato, segnò la scomparsa totale della più grande biblioteca del mondo. L’avvenimento è commentato incisivamente nel seguente brano.
“…in un solo giorno, ad Alessandria, sotto la guida del patriarca Teofilo, i cristiani (cattolici) ridussero in cenere la più grande biblioteca del sapere umano esistente al mondo. L’allora patriarca di Costantinopoli, San Giovanni Crisostomo (il cui nome, per ironia della sorte, significa “Boccadoro”), “commentando la straordinaria impresa” dell’annientamento delle idee antiquate, disse (pare con soddisfazione): “Ogni traccia della filosofia e della letterature del mondo antico è scomparsa dalla faccia della terra”(Cfr.C. Knight, R. Lomas, Il secondo Messia, Arnaldo Mondadori Editore, Milano 1998,pp.84-85).

Le terme, orgoglio della civiltà romana con cui molti imperatori romani avevano arricchito le città dell’impero, anche quelle che lo stesso Costantino aveva fatto costruire nella zona attuale del Quirinale, nello stesso periodo cioè dalla fine del IV secolo a tutto il secolo V, furono oggetto di pubblico scempio e scomparvero in tutto l’impero romano, ridotte nei pietosi ruderi giunti sino a noi.

I teatri, e gli anfiteatri, esistenti in tutto il mondo romano, spogliati di tutta la superba dotazione di statue e decorazioni varie, furono distrutti con estremo accanimento. Si pensi per un solo momento all’Anfiteatro Flavio, meglio noto come il Colosseo, il cui possiamo “leggere “ la realtà originaria grazie ad una delle tante ricostruzioni ideali.

Ed infine, scomparvero tutti gli altri superbi monumenti, vestigia imperiture della romanità, quali i fori, i mercati, gli archi, i palazzi, le colonne celebrative, i monumenti equestri, gli stadi e gli innumerevoli altri cimeli di un grande passato, che sono sopravissuti appena in parte ed in condizioni più o meno pietose.

E’ da notare che i cattolici, specialmente i membri che facevano parte del vertice di quellq Chiesa, ormai divenuta religione di maggioranza, non ebbero alcuna pietà per i pagani diventati membri di una minoranza perseguitata. In tale mutata situazione non solamente non mossero un dito per soccorrere e difendere la libertà religiosa delle varie chiese pagane che avevano contestato e respinto il piano statale di globalizzazione religiosa, ma anzi condivisero in pieno la linea della politica religiosa dello Stato, addirittura stimolandola e spingendola verso l’integralismo e l’intolleranza.
Si noti bene che a ispirare, proporre e condurre questa linea di politica religiosa intollerante ed integralista non furono dei semplici fedeli, ignoranti e fanatici, ma eminenti vescovi cattolici in genere sono molto istruiti e colti, tra i quali ne scelgo due, che ritengo molto rappresentativi, e cioè Sant’Agostino e Sant’Ambrogio.

Sant’Agostino, passato alla storia come uno degli uomini più colti della Chiesa Cattolica, autore di innumerevoli opere di carattere filosofico e teologico, considerato uno dei più importanti Padri del Cattolicesimo ed insignito in seguito del titolo di Dottore della Chiesa Cattolica, nacque a Tagaste nell’Africa Proconsolare Romana nel 354 e morì nel 430 ad Ippona dove occupava la cattedra vescovile.

Fu uno dei più autorevoli suggeritori dell’imperatore nella politica religiosa di chiaro indirizzo globalizzante. Basti pensare che, dopo che in Africa i pagani si erano ribellati per protestare contro la chiusura dei loro templi (399), Agostino insieme agli altri vescovi non esitò a chiedere al governo imperiale nuove leggi per “estirpare gli ultimi resti della idolatria” (401). E queste nuove leggi, mirate a completare l’attuazione della globalizzazione religiosa, puntualmente vennero. Fu emanata, infatti, una legge che escuteva i non cattolici sia dalla corte che dall’esercito. Nel 407 – 408 ancora una volta la libertà religiosa fu dichiarata pubblico reato, in quanto giudicata, secondo l’ottica di Sant’Agostino, offesa alla Chiesa Cattolica considerata l’unica divina religione, “perché le offese contro la divina religione sono ferite all’intera comunità”. Furono poi emanati altri editti mirati al completamento del processo di globalizzazione religiosa e furono presi provvedimenti penali contro Gamaliele VII, ultimo patriarca degli Ebrei (415).

Sant’Ambrogio, nacque a Treviri nel 339 e morì nel 397 a Milano, della cui città fu vescovo. E’ uno dei personaggi più eminenti del cattolicesimo e uno dei Dottori della Chiesa Cattolica. Dal punto di vista della sua intransigenza sono noti alcuni episodi della sua vita politico religiosa. Fu un accorto ed abile uomo politico. Approfittò dell’opportunità che l’imperatore Graziano nel 382 risiedette a Milano, per influenzarlo fortemente a vantaggio della Chiesa Cattolica. Persuase l’imperatore Graziano a portare avanti e completare la legislazione antipagana (382 – 383), ed ottenne che l’altere e la statua della Dea Vittoria fossero nuovamente rimosse dall’aula senatoriale della Curia in Roma, dove erano state fatte ricollocare dall’imperatore Giuliano l’Apostata dopo la prima rimozione. Si noti il seguente dettaglio che è molto importante.

Fu l’imperatore Graziano che per primo abbandonò l’antico titolo di Pontifex Maximus, che da Ottaviano Augusto in poi era stato assunto da tutti gli imperatori romani, e che da questo momento in poi fu usurpato dal vescovo di Roma.
Si noti che tale titolo che per nessun motivo era dovuto al vescovo di Roma e di cui da allora in poi tutti i suoi successori si sono fregiati e si fregiano ancora ai nostri giorni. Alla morte di Graziano, avvenuta a Lungunum nel 383, gli succedette il cugino Teodosio I. Anche durante il regno di costui, il vescovo Ambrogio continuò ad esercitare sull’imperatore un notevole influsso di intolleranza religiosa che emerge, tra l’altro, dai seguenti due documenti. 1° documento: Siamo nella città di Nicephorium Callinicum, in Mesopotamia. Alcuni cattolici avevano dato alle fiamme una sinagoga ebraica, per ordine o quanto meno con la complicità del proprio vescovo. In seguito alla denunzia del fatto eseguita da parte del rabbino, l’imperatore Teodosio, che risiedeva a Milano, constatata la veridicità dell’accaduto, non potè sottrarsi ad emettere una sentenza che ordinava che ordinava al vescovo cattolico di ricostruire la sinagoga a sue spese. Il verdetto imperiale non piacque al vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, che protestò energicamente contro il provvedimento imperiale e non si arrese finchè l’imperatore non ebbe revocata la punizione inflitta al vescovo colpevole e non venne annullato l’ordine di ricostruire la sinagoga a spese del vescovo di Nicephorium Callinicum (Cfr. M. Grant, Gli imperatori romani, Newton & Compoton Editori, Roma 2001.p. 356).

Ancora, una lettera-denunzia, inviata all’imperatore Teodosio I da un certo Libanio, uno scrittore pagano tra l’anno 314 ed il 398. E’ scritta in greco e così dice tra l’altro: “…..questi uomini (si tratta di alcuni monaci cattolici particolarmente fanatici ed intolleranti), vestiti di nero, che mangiano più degli elefanti, e che, a uria di bere, stancano le mani degli chiaviche loro servono il vino fra canti; questi uomini che nascondono i loro disordini sotto un pallore procuratosi con certi artifizi.
Si, sono costoro, o imperatore, che, a dispetto della legge sempre in vigore, muovono guerra ai templi (nostri, cioè delle minoranze che avevano rifiutato la politica di globalizzazione religiosa). Essi portano legna per appiccarvi il fuoco, pietre e ferro per rovinarli: costoro che non ne hanno si servono dei propri piedi e delle proprie mani. Abbattono i tetti, demoliscono i muri, rovesciano le statue, strappano di terra gli altari: è questo un bottino degno dei Misiani (rozzi abitanti della Misia). Quanto ai (nostri) sacerdoti, bisogna che essi tacciano se non vogliono perire!Distrutto un tempio si corre ad un altro, poi ad un terzo e così di seguito. Essi accumulano trofei, a dispetto delle leggi…(Cfr. Libanio, Orazione II, 32, in A.Fliche e Martin, Storia della Chiesa, III, S.A.I.E..,Torino, 1960,p.444

Dopo questa ampia panoramica di dure violenze e di sistematica intolleranza da parte del vertice di maggioranza religiosa nei confronti di tutte le religioni di minoranze, è impensabile che i pagani potessero convertirsi alla religione dei loro persecutori, cioè alla Chiesa Cattolica.
Si noti bene che i pagani superstiti, numericamente molto ridotti, sia come collettività che come individui, generalmente erano più convinti, più motivati, e qualitativamente molto diversi dai loro padri. Le banderuole, i tradizionalisti, gli opportunisti, i superficiali si erano già “convertiti” per paura o per interesse ai primi editti cattolici. I pagani di questo periodo erano più veri di quelli delle generazioni precedenti, essendosi affinati e selezionati, e guardavano dall’alto in basso i cattolici e il loro globalismo totalitario. Tra le file dei pagani superstiti vi erano anche molti intellettuali, senatori, scienziati, filosofi, che però il governo finse di ignorare.
Tutti costoro ebbero ben poco da ammirare nel comportamento intransigente ed ostile dei loro amministratori e persecutori. Si convinsero ben presto della grande differenza che intercorreva tra essi ed i cristiani della scomparsa chiesa primitiva, e conseguentemente non poterono concepire nei confronti della Chiesa Cattolica se non sentimenti di disprezzo, disistima, ostilità e rancore. Dai quali sentimenti ovviamente è molto difficile che possono nascere libere e sincere conversioni religiose.
Così stando le cose, quindi, non mi sembra logico concludere che il gesto pagano, lamentato da Leone Magno ne 7° Discorso di Natale, possa riferirsi ai cattolici neoconvertiti provenienti dal paganesimo. Come ho già detto, si sostiene che il comportamento lamentato nel 7° Discorso di Natale di Leone Magno riveli una gestualità tradizionale molto diffusa e ben radicata, che fa supporre origini molto antiche risalenti al periodo protocattolico, quando la Basilica Vaticana non era stata ancora dedicata San Pietro, ma era bensì dedicata al Dio Sole, cioè al Dio Costantino.
In altri termini, a mio parere, i presunti neocattolici, di cui Leone Magno si rammarica nel 7° Discorso di Natale, non sono dei pagani neoconvertiti al Cattolicesimo, ma dei vecchi protocattolici, immobili nelle abitudini gestuali tipiche delle loro Chiesa Cattolica, ma che non riescono a tenere il passo richiesto da una chiesa che si evolve in fretta. Sono, molto probabilmente, dei protocattolici che stentano a diventare deuterocattolici.

Cinque sono i punti con i seguenti argomenti complementari: il primo argomento poggia sulla scelta cattolica della data annuale in cui festeggiare la nascita di Gesù. Sappiamo, infatti, che Gesù non nacque il 25 dicembre in un clima ed in un paesaggio invernale, ma in primavera, come sostiene una antichissima tradizione, tanto è vero che, come narrano i Vangeli, i pastori stavano di notte all’aperto in campagna insieme al loro gregge. Tutti sappiamo poi che la scelta del 25 dicembre per festeggiare il Santo Natale risale alla religione mitraica, tanto diffusa nell’impero romano e particolarmente cara ai militari e allo stesso Costantino, il quale ultimo per tutta la sua vita si atteggiò a Dio Solare e fece di tale religione una delle più importanti componenti della sua nuova religione, la Cattolica.

Il secondo argomento, a completamento di quello pecedente, a proposito del culto per il dio orientale Mitra e per il Sol Invictus, poggia sulla monetazione costantiniana che rimase sempre decisamente pagana. Il che può vedersi in tante monete, fatte coniare da Costantino, in cui la sua immagine si affianca e si sovrappone parzialmente a quella del Dio Sole. Una di queste è la moneta aurea romana di 9 solidi.

Il terzo argomento è dato dalla legge costantiniana del 3 luglio 321, per cui venne decretato che il primo giorno della settimana, cioè l’attuale domenica, diventasse giorno di riposo obbligatorio e festivo in onore di Costantino, nella sua qualità di dio Sole ed in quella di Deus ac Dominus, per cui tale giorno finì per essere chiamato per sempre “Dies Domenica”.

Conseguentemente da allora, accanto agli altri giorni della settimana, che dal lunedì al sabato conservano ancora oggi intatto il nome degli dei pagani ai quali erano stati dedicati nei millenni passati, anche il nome della domenica si chiama domenica Dies o Solis Dies, in quanto dedicata non già a nostro Signore Gesù Cristo, ma a Costantino che pubblicamente era adorato come Dominus ac Deus.

Ma in seguito, a cominciare dal periodo deutorocattolico, mentre gli altri giorni della settimana continuarono a conservare intatti i loro nomi pagani, cioè continuarono a chiamarsi Lunae dies, Martis dies, Mercuri dies, Jovis dies, Veneris dies, Saturni dies, il giorno dedicato al dio Sole cioè a Costantino cessò di essere dedicato a lui e fu trasformato nel giorno consacrato al dio dei cristiani, cioè a nostro Signore Gesù Cristo.

Il quarto argomento nasce da un noto dettaglio della decorazione dell’antichissimo pavimento che dopo quasi due millenni è ancora esistente nella Basilica della Natività a Betlemme. Chi ha visto, cari lettori, di presenza o soltanto per immagine la Sacra Grotta della Natività a Betlemme conosce questo dettaglio. L’ambiente della Sacra Grotta di Betlemme è di forma quasi rettangolare, è lungo 12,5 metri e largo 3,5. E’ abitualmente profumato da un intenso odore di incenso orientale.
Sul suo pavimento campeggia ampio e solenne un grande Sole d’orato con i suoi 14 raggi, ad indicare il luogo in cui naque Gesù. La raffigurazione solare, risale al periodo protocattolico o costantiniano. E probabilmente anteriore all’epoca crociata ed anche a quella francescana che inizia dal 1347. Il motivo più importante sul quale si basa la mia ipotesi di datazione, è l’assoluta singolarità dell’uso del simbolo solare sulla Grotta della Natività. Nella plurisecolare tradizione iconografica cattolica del simbolo solare è del tutto nuovo ed estraneo. L’iconografia deuterocattolica ignora e mai utilizza il simbolo solare, preferendo sempre quello della santa croce. E poichè il simbolo della croce, nella Chiesa Cattolica nasce alcuni secoli dopo, è probabile che quello solare, che abbiamo sul pavimento della Natività della Basilica costantiniana di Betlemme sia antichissimo ed originario, risalendo al periodo protocattolico o costantiniano.

Il Quinto argomento poggia sul fatto che Costantino per tutta la sua vita di militare, sì comportò da sincero devoto del dio Mitra. La religione mitraica a quei tempi era diventata la religione di quasi tutti i soldati. Sembrava la religione fatta per loro: esaltava infatti le virtù tipiche dei militari, quali la forza, ol sacrificio, il coraggio, la dedizione al dovere, la fedeltà agli impegni assunti. E poi era la religione dei protagonisti della società, i maschi, i forti e gli eroi. Religione in cui non c’era posto per le donne. Ma quand’anche la religione mitraica non fosse gradita a Costantino, non è pensabile che il nostro imperatore come Costantino, politicamente tanto accorto, che nel 306 era stato acclamato imperatore dalle sue legioni, potesse disfarsi del culto per il Sole, che era la religione di tutti i suoi legionari, la religione di tutti i suoi soldati e conseguentemente di tutte le loro famiglie. La religione di Cristo per coloro che la conoscevano anche superficialmente poteva essere scambiata per quella dei deboli, dei rinunciatari, dei sofferenti e delle donne. Si sapeva che nei mitrei e nei locali di riunione della religione mitraica non erano ammesse le donne. Il primo timido ingresso ufficiale delle donne nelle basiliche paleocattoliche avvenne in ambiti architettonici ben separarti grazie alla struttura del matroneo, che per alcuni secoli costituì il rigido “locale di clausura” riservato alle matrone.
Costantino, quindi, non potè sottrarsi dalla convenveniente opportunità di dedicare le sue prime basiliche al culto del Dio Sole.

Per quali arcani motivi l’Imperatore Costantino sì trasferì a Costantinopoli.

Altro importante quesito è quello di chiarire le motivazioni che indussero Costantino a trasferire in Oriente la capitale dell’unico impero, fissando la sua sede a Costantinopoli. Fu per motivi esclusivamente strategici e politici oppure ebbe il suo peso in tale scelta, come qualcuno sostiene, la sua simpatia per l’Oriente? Oppure la sua volontà di donare a Papa Silvestro la metà del territorio del suo impero, per ringraziarlo di averlo guarito dalla lebbra e di averlo battezzato, come vuole la leggenda medievale fissata nel falso documento della Falsa Donazione di Costantino?
Per quanto concerne il primo quesito, è bene che si dica chiaramente che a Costantino piacesse poco abitare a Roma e che la sua partenza definitiva da essa non gli abbia causato il minimo dispiacere. Come, del resto, non gli dispiacque la previsione, peraltro molto facile, che, in seguito alla sua partenza, Roma e tutto il territorio d’Occidente sarebbero stati abbandonati al loro destino, finendo alla mercè dei barberi. Il che se potè dispiacere al senato ed al popolo romano, non dispiacque a coloro che ne avrebbero tratto vantaggi incalcolabili grazie all’allontanamento delle strutture dell’impero dalla Città Eterna, cioè ai dirigenti della Chiesa Protocattolica e soprattutto a quelli della Chiesa Deuterocattolica. L’imperatore a Roma, ci stette poco e vi trascorse appena il tempo necessario alla costruzione della nuova città capitale, Costantinopoli. Egli intanto potè dedicarsi a riorganizzare l’impero e preparare il trasferimento dell’unica capitale dell’impero a Bisanzio, che chiamerà Costantinopoli o Nuova Roma. Costantino era certo che questa mossa strategica fosse necessario ed urgente farla. A Roma, infatti, non trasferì neppure provvisoriamente la sua corte e si fece vedere in giro abbastanza poco. Perché il Grande Costantino lasciava Roma? Nella sua decisione di trasferire la capitale del suo impero a Costantinopoli non fu minimamente influenzato da motivi religiosi e dall’eventuale progetto di dividere in due il suo unico impero e di donare la metà, cioè l’intero Occidente, a papa Silvestro. A Costantino non poteva passare neppure lontanamente per l’anticamera del cervello di farne donazione a papa Silvestro. Questa leggenda, come tutti sappiamo è una storiella medievale, anzi è una delle spudorate menzogne non ancora del tutto tolta dalla circolazione, e che avremo modo di esaminare meglio in seguito.
Non c’è che dire. Costantino abbandonando al suo destino la vecchia capitale, trasferendosi a Costantinopoli, egli si dedicò anima e corpo a migliorare l’organizzazione del suo vastissimo impero.

Data la precarietà della permanenza di Costantino a Roma e la sua volontà di risolvere tutti i problemi del suo impero in seguito al suo trasferimento nella nuova capitale, Costantinopoli, ne consegue che anche il problema religioso fu affrontato in modo definitivo e globale a Costantinopoli. E’ infatti a Costantinopoli che veramente nacque la Chiesa Cattolica. E’ a Costantinopoli che egli realizzò il proprio culto come divinità solare. L’Oriente, per gli influssi culturali ivi consolidati e preminenti, era più disponibile all’incremento di tale culto, per cui egli continuò a comportarsi come Theos Elios, meglio di come avesse cominciato a farlo a Roma. A Costantinopoli volle che nella piazza maggiore, al centro del Foro, venisse eretta un’enorme colonna sulla quale una statua rivestita d’oro in cui lo si raffigurava come Dio Sole. L’esistenza di questa statua ci è testimoniata sia da una celeberrima mappa, la Tabula Peutingeriana, che dallo storico Filostorgio. La Tabula Peutingeriana, è antichissima e prende il nome dall’umanista tedesco Konrad Peutinger, che ne era venuto in possesso. Questa, pur essendo una copia eseguita da un monaco di Colmar verso il 1265, fu tratta da un generale romano più antico che risale all’epoca costantiniana. Da questa importantissima mappa è chiaramente documentata questa statua posta su un’alta colonna. Per la medesima statua abbiamo anche la testimonianza di Filostorgio, storiografo ecclesiastico del V secolo, nato nel 370 in Cappadocia, che nella sua opera giunta sino a noi in un riassunto ad opera di Fonzio, ci fornisce in merito notizie interessanti. Sappiamo che era posta in cima ad un’enorme colonna del tipo di quelle due esistenti ancora oggi a Roma rispettivamente in onore di Traiano e Marco Aurelio.
Del resto nell’attuale piazza di Bisanzio c’è ancora il Foro di Costantino al cui centro si staglia la Colonna in suo onore, ancora, e che tale statua in onore del dio Costantino, situata in pieno centro a Costantinopoli, era alta circa 30 metri, e che all’interno del suo basamento vi era un altare dove gli si tributava continuamente il culto di adorazione come dio, gli si accendevano lampade e gli si bruciava incenso. Da recenti studi compiuti da esperti sappiamo che Costantino addirittura amava esibirsi teatralmente per i suoi sudditi, all’alba, come se fosse l’incarnazione del Dio Sole.

Sappiamo, inoltre, che a Costantinopoli, all’apertura dei giochi circensi, con i quali vennero aperti i festeggiamenti per l’inaugurazione della nuova capitale, l’imperatore Costantino volle che questi fossero preceduti da una cerimonia di culto in suo onore. Per l’occasione una statua di legno dorato, raffigurante il dio Costantino come divinità solare, posta su un percolo e portata a spalle dai suoi devoti, acclamata dalla folla presente nello stadio, attraverso il perimetro del circo. La statua del dio era affiancata da soldati in grande uniforme e recanti ceri accesi, alla maniera delle processioni in onore di altre divinità pagane. Il tutto avvenne con un sottofondo di canti religiosi inneggianti a Costantino (Cfr. R. Budrieri, Fonti e monumenti del Cristianesimo delle origini in Occidente, in La diffusione del Cristianesimo nei primi secoli, Itaca Tools, Castel Bolognese 1997).
E’ da notare che il culto divino tributato a Costantino da parte della Chiesa Protocattolica si estese ugualmente sia in Occidente nella città di Roma che in Oriente e soprattutto nella città di Costantinopoli.
Esso, inoltre, non si limitò alla persona di Costantino, ma fu esteso, come al solito, ai membri della sua famiglia mentre erano ancora in vita, ovviamente a quelli non caduti in disgrazia (come invece avvenne per il figlio primogenito Crispo e per la moglie Fausta, dai quali si senti tradito e che fece fuori inesorabilmente), o dei quali poteva fidarsi, cioè alla madre Elena, che ebbe dedicata la basilica Anacoeli in Roma ed un tempio mausoleo ed una basilica nella via Casilina nell’attuale zona di Tor Pignattara in Roma, ed alla figlia Costanza nel cui onore fece costruire un grande tempio a Roma nell’antica Via Nomentana ed un magnifico tempio mausoleo ad essa attiguo. A questi templi, dedicati ai membri della famiglia imperiali a Roma, in gran parte rimaneggiati dalla Chiesa Deuterocattolica.
Costantino, dunque, iniziò la sua carriera di imperatore come tutti gli altri imperatori pagani. Pretese di essere adorato come dio, e certamente lo fu.
Tale culto gli venne tributato in tutti i modi allora usati, sia alla sua persona reale e ad ogni forma di sua immagine. E’ importante precisare che, per quanto concerne il culto all’imperatore, la sua persona fisica e il suo ritratto di qualsiasi tipo erano assolutamente equiparati. Per secoli, l’imago imperialis, cioè il suo ritratto, incorniciato in uno scudo rotondo o clipeo lo si soleva inviare nelle province dell’impero per affermare la propria autorità.
Vediamo in che cosa consisteva il rito ufficiale dell’adorazione della persona fisica dell’imperatore, che gli veniva tributato, in occasione dei ricevimenti ufficiali nella sala del trono del suo palazzo imperiale, che nelle basiliche laiche e religiose e nelle are pubbliche esistenti nel basamento nelle colonne o davanti a statue ed altre immagini a ciò destinate, situate nelle pubbliche piazze o nei templi dedicati alla sua persona. Così leggiamo in un’opera autorevole sull’argomento:

“In effetti, ai primordi dell’icona, il culto statale dell’effigie dell’imperatore è ben attestato e, quando il cristianesimo divenne religione di Stato, i cristiani se lo trovarono di fronte come un oggetto di potenziale conflitto. Ma ciò che essi avevano rifiutato all’imperatore pagano divinizzato, lo concessero volentieri al rappresentante cristiano dello Stato”(Cfr. Hans Belting, il culto delle immagini, Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Carocci editore, Roma 2001 p. 135).
Tale culto della persona dell’imperatore da parte dei fedeli della Chiesa Protocattolica fu accettato pacificamente sin dall’inizio e non fu mai messo in discussione da nessuno. Infatti nel Concilio di Nicea (787), che si occupò dell’uso delle immagini e pose fine all’iconoclastia, si da per scontato che il culto per l’immagine dell’imperatore sia una cosa giusta, ragionevole ed incontestabile. E queste sono le parole usate nel documento che lo riguardano, e che troviamo riportate nell’opera suddetta: “ Se il popolo accorre con candele e incenso a onorare le immagini e le icone coronate dell’imperatore, inviate in giro nelle città e nelle regioni, questi onori sono rivolti non alla tavola dipinta con colori ad encausto ma all’imperatore in persona “(Cfr. H. Belting, Opera cit.p.135).
Da notare che il culto che il culto di adorazione all’imperatore risale agli antichi imperatori romani, col passare del tempo e sino al secolo XII, non solo non si estinse o quantomeno si attenuò, ma addirittura si consolidò diventando un consuetudine usuale e cerimoniale nell’età degli imperatori tedeschi Ottoni. Di ciò abbiamo notizie in Liutprando (sec. XII), uno storiografo longobardo di famiglia nobile nativo di Pavia che fu per anni Cancelliere di Berengario, e che passò poi al servizio dell’imperatore Ottone I che lo creò vescovo di Cremona.
Infatti, in una miniatura bizantina contenuta in un salterio del 1066, emergono dettagli preziosi riguardanti il culto della persona dell’imperatore. Come gli veniva ancora tributato pieno secolo XI. Così ci viene riferito dal citato Hans Belting:

“A quel tempo, la persona dell’imperatore era ancora soggetto di culto rituale: in occasione di ricevimenti ufficiali, egli sedeva immobile sul trono ad accogliere le prosternazioni come un’icona, che veniva scoperta e coperta da una tenda, secondo una regia fissa. Come mostra la miniatura dell’imperatore Basilio II (976-1025), in un salterio DI Venezia, nel cerimoniale del trionfo militare, la genuflessione esprime la sottomissione alla “statua vivente” (Cfr. H. Belting, O.C. p. 133).

A questo punto, dopo le testimonianze d’avanguardia rese da esperti del settore e dallo Scarpulla riportate per documentare il culto di adorazione tranquillamente tributato dalla Chiesa Cattolica alla persona dell’imperatore romano, sorprende la posizione generalmente assunta dagli scrittori cattolici del nostro Paese, che quando trattano lo stesso argomento lo fanno con scarsa apertura di fronte ai progressi conseguiti in questi ultimi decenni dalla steriografia riguardanti i primi secoli del cattolicesimo. Per cui o preferiscono esimersi dal farlo, oppure quando si trovano a irrefutabili documenti in cui si dimostra la volontà di Costantino di prendere per se stesso il culto divino in qualità di Sol Invictus, fanno di tutto per minimizzarlo e per darne una lettura evasiva. Così, per esempio, leggiamo in un moderno manuale di storia della Chiesa Cattolica, dove si cerca di far passare il fatto che Costantino si fregi del titolo di dio, titolo da lui posseduto legittimamente in quanto imperatore ed augustus, come se tale dio non fosse lui ma una divinità a lui estranea che lo proteggesse dall’alto e fosse il suo patrono. La divinità solare di Costantino, cioè a sentir loro, altro non sarebbe che un dio diverso da lui e che egli considera suo ceste patrono o protettore. E queste sono le sue testuali parole.

“Nel 310 (Costantino) scelse come sua divinità (protettrice) il Sol Invictus al posto di Ercole: il Dio Sole era venerato in tutto l’impero, ma il patrono di Costantino ha la figura dell’Apollo gallico” (Cfr. A.M. Erba-P.L.Guiducci, Storia della Chiesa, Editrice Elle Di Ci, Leuman (Torino) 1989,p.98)
Merita un chiarimento la fase surriferita, che appare un po’ equivoca e sfuggente. Innanzi tutto è da evidenziare il tentativo da parte degli autori della frase in oggetto, di far credere che Costantino, (a differenza degli imperatori Diocleziano e Massimiano, che si erano attribuiti il titolo divino di discendenti di Giove e di Ercole), avesse rinunziato al titolo divino di Erculeo e di Giovio, limitandosi a considerarsi un semplice “protetto” o “fedele” del Dio Sole. Con ciò evidentemente si vorrebbe far credere ai cristiani odierni che Costantino non si considerò mai un dio vero e proprio e che mai pretese di essere considerato e trattato come tale da tutti i sudditi dell’impero. Il che, come tutti sappiamo, è del tutto falso.
Ed ancora, gli stessi due citati autori, nella stessa loro storia della Chiesa Cattolica, continuano a raccontare leggende di stampo medievale, già superate da parecchio dalla moderna steriografia, senza neppure darsi pena di criticarle o quanto meno di filtrarle o attenuarle.
Queste infatti sono le loro testuali parole:

“Il 28 ottobre 312, Costantino vince clamorosamente Massenzio presso il Ponte Milvio (a Roma), entra nella prestigiosa capitale dell’Occidente e si apre la strada alla sovranità universale. Nel corso di questa campagna avviene il suo definitivo passaggio al Dio dei cristiani.”

Anche questa frase contiene un evidente e grave falso storico. Infatti non è per nulla vero che Costantino il 28 ottobre del 312 sia passato definitivamente da pagano a cristiano. Questa della conversione di Costantino durante la battaglia di Ponte Milvio è una leggenda, riferita acriticamente dagli autori suddetti in pieno secolo ventesimo, e che il vertice culturale cattolico attuale stenta a cancellare anche dai libri seri, forse per non contraddire tanti documenti falsi sia letterari che artistici precedentemente creati da altri. Si pensi ai tanti stupendi affreschi celebrativi e trionfalistici esistenti nei palazzi vaticani e lateranensi, nella chiesa dei Santi Quattro Coronati ed anche altrove, dove Costantino viene fatto passare per l’uomo della provvidenza.
Orbene, si passa ora a riferire la continuazione del brano, il cui contenuto non può non suscitare stupore in chi legga. Ecco il testo: “Lattanzio (uno storiografo dell’epoca (costantiniana) racconta che durante il sonno Costantino è ammonito di far porre sugli scudi dei suoi soldati un “signum caeleste Dei” , cioè un’abbreviazione di Cristus. La X traversa con una crocetta che, curvata in cima diventa la crux monogrammatica, di Cristo. L’imperatore eseguisce l’ordine, e la vittoria che ottiene è appunto attribuita alla protezione del Dio dei cristiani. Lattanzio, che scrive nel 318, non parla di “miracolo”. Lo stesso evento è narrato, 25 anni dopo, da Eusebio della “Vita”, ma con abbondanza di dettagli: Costantino prega il Dio dei cristiani di aiutarlo, ed ecco, alla sera, tutto l’esercito vede in cielo, “al di sopra del sole, come segno di vittoria, una croce luminosa” con le parole “In hoc signo vinces”; la notte seguente gli appare Cristo con la croce, gli comanda di far riprodurre quel segno e di portarlo con sé, Costantino fa eseguire uno stendardo legato ad una lunga asta, con al centro una corona e il monogramma di Cristo, più tardi posto anche sull’elmo; un drappo pendeva dall’asta con le immagini dell’imperatore e dei suoi figli. Quello stendardo diventerà vessillo imperiale e sarà chiamato “labaro”. Mi sembra utile fornire alcune precisazioni a proposito delle notizie che nei due brani testè riferiti vengono riportate acriticamente e senza alcun commento. Va detto, innanzi tutto, che la leggenda della comparsa della croce in cielo ci viene narrata da seguenti tre scrittori: Lattanzio, Eusebio di Cesarea e Filostorgio. Mentre per Lattanzio la croce in cielo fu vista solamente in sogno, per Eusebio si trattò di una visione vera e proprio durante la veglia. Luogo per la visione per Lattanzio è Roma, mentre per Eusebio è la Gallia – il tempo della visione per Lattanzio è la vigilia della battaglia sul Ponte Milvio, mentre per Eusebio è alcune settimane prima di tale battaglia – l’orario della visione per Lattanzio è in pieno giorno, mentre per Eusebio e per Filostorgio è la notte.
Come abbiamo già detto, i dati fondamentali delle tre versioni sono molto diversi e contrastanti. Se si trattasse delle testimonianze rese in tribunale durante un processo riguardante un delitto, il valore e l’attendibilità di esse non avrebbero alcun valore o quanto meno susciterebbero molti dubbi. Occupiamoci ora, sia pur brevemente, del testo di Lattanzio e di quello di Eusebio di Cesarea, con un cenno ai loro autori, aggiungendo poi un breve commento.
Lucio Cecilio Ferminiano, nato in Africa nel 250 circa, e convertitosi al cristianesimo, trascorse gli ultimi anni della sua vita alla corte di Costantino in qualità di precettore di Crispo, figlio dell’imperatore. Fu un retore ed un apologista. Delle sue opere ci sono pervenuti scarsi frammenti e qualche titolo. L’opera che ci interessa, intitolata De mortibus persecutorem, in cui ci è pervenuto solo un frammento, è comunemente considerata “di discussa autenticità per il tono e lo stile di violenta polemica” per la notevole diversità stilistica e formale rispetto alle altre sue opere.
Sono, inoltre, numerose ed evidenti le interpolazioni e manomissioni ivi contenute che rasentano il puerile ed il ridicolo, come quando si parla della leggenda del segno della croce apparsa in cielo. L’infondatezza e l’assurdità di questo racconto, evidentemente posteriore ed interpolato, è stata fatta notare da tanti esperti contemporanei. Mi limito a citare Stein, . Seeck, e H. Grègorie. G.Costa sostiene che il segno inciso sugli scudi non avesse nulla di cristiano, in quanto chiaramente estraneo alla croce, essendo un simbolo del culto solare (Cfr G. Costa, Religione e politica dell’impero romano).
Di questo simbolo avrò modo di occuparmi più diffusamente in seguito quando compirò una ricerca della croce cristiana. Occupiamoci ora di Eusebio di Cesarea.
Eusebio di Cesarea, nato nel 265 circa in Cesarea di Palestina, fu nominato Vescovo da Costantino. Dedicò la sua vita alla composizione delle sue numerose opere. Di queste ci interessano la Storia Ecclesiastica e la Vita di Costantino.
Prima di dare un mio giudizio su Eusebio di Cesarea, preferisco far notare che la scarsa considerazione in cui sono tenuti gli scritti di storia a lui attribuiti non è un’invenzione odierna, ma la si riscontra in addetti ai lavori dei secoli scorsi. Mi riferisco per esempio, all’opera del Crivellucci, Della fede storica di Eusebio, Livorno 1888. Si noti bene che anche autori anche il cattolico di stretta osservanza, Cayrè, in un importante manuale intitolato “Patrologia e Storia della Teologia”, adottato come libro di testo nel corso teologico di tanti seminari cattolici, non gli risparmia le sue critiche. Questa è la sintesi del suo pensiero a proposito:

La Storia ecclesiastica, che è il lavoro più importante e lo scritto più citato di Eusebio, comprende 10 libri. In esso non mancano le omissioni tendenziose suggerite dalle sue simpatie. Sarebbe ingenuo sostenere che la Storia di Eusebio sia un’opera del tutto perfetta. Eusebio è pochissimo informato circa le cose d’Occidente: lacuna da attribuirsi al fatto che il vescovo di Cesarea sapeva mediocremente il latino. Ma tutte queste mende, d’altra parte assai lievi, saranno subito dimenticate, quando si consideri la grandezza complessiva di un’opera che ha avvalso ad Eusebio il titolo di “Erodono cristiano” e di “Padre della storia ecclesiastica(Cfr. Fulberto Cayrè, Patrologia Teologica, Ed. Pontifici.

E’ doveroso spendere alcune parole a commento del precedente brano del Cayrè, che per motivi di spazio è stato riferito solo nei punti ritenuti più importanti. Del resto tutti gli esperti di storia ecclesiastica hanno sempre messo in dubbio, più o meno, l’attendibilità dell’opera di Eusebio di Cesarea e l’hanno ritenuta ampiamente inficiata di falso, per cui è doveroso leggerla con spirito critico e con somma cautela e diffidenza. Spesso non solamente vi abbondano le “omissioni tendenziose”, come ammette lo stesso Cayrè, ma sono numerosissime e palesi le Adulterazioni e le falsificazioni di verità. Passiamo ora a riferire il giudizio dello stesso Cayrè sull’altra opera di Eusebio di Cesarea, cioè sulla vita di Costantino.

“La vita di Costantino, in 5 libri, scritta intorno al 335-340, per vendicare il grande imperatore dalle beffe pagane a proposito della sua conversione, s’occupa del suo eroe unicamente in merito alle sue relazioni col cristianesimo. Eusebio non parla che delle virtù di Costantino e delle sue azioni degne di encomio, svisando da cotal punto di vista i fatti, se pur non debba aggiungersi che, qualche volta, per eccesso di parzialità, li snatura. Né si taccia che le lodi a Costantino varano tutti i limiti consentiti all’iperbole. Tuttavia, prescindendo dai giudizi dell’autore, si troveranno in queste pagine molti fatti ammissibili, non trascurando però di controllarli e di completarli col sussidio d’altre fonti documentarie. L’autenticità dei 16 documenti riferiti nell’epoca non è assolutamente sicura”(F.C. A.A. Ed. Pontifici).

Cari lettori, a commento di questo brano, va detto innanzi tutto che quanto in merito ha scritto il Cayrè è il meno che si potesse obbiettare e criticare in proposito. E tuttavia gli sono sfuggiti a denti stretti, giudizi molto pesanti. Si dice, infatti, che Eusebio di Cesarea svisa i fatti e li snatura, e che quindi il lettore faccia bene a controllare criticamente il contenuto ed a completarlo con altre fonti. Dice, infine, che la parte più importante, quella dei 16 “documenti” riferiti nell’opera, non è assolutamente sicura sotto l’aspetto dell’autenticità. Il che significa che la Storia di Costantino, anche per gli esperti ecclesiastici di parte cattolica, merita scarsa affidabilità ma è anche sostanzialmente falso, tendenzioso e deviante.
A conclusione di questa importante premessa e per amore della verità storica sull’attendibilità dei testi che ci hanno tramandato la notizia della visione della croce in cielo, sappiamo che dai dati desunti risulta già chiaro che si tratta di notizie inattendibili. Altri motivi con i quali si dimostra ulteriormente la falsità del racconto della visione della croce in cielo:

1) Dato e non concesso che Dio abbia voluto compiere un miracolo a favore di uno dei due contendenti in campo, durante la battaglia di Ponte Milvio a Roma, cioè o di Massenzio oppure di Costantino, apparendo visibilmente in cielo, cosa che in tutta la plurisecolare storia delle battaglie combattute dai cristiani fra di loro o contro i Mussulmani non è mai successa, mi chiedo: Perchè mai Dio avrebbe dovuto farlo a favore di un personaggio truce e criminale quale Costantino, che per giungere al potere, come sappiamo, impiegò ben 18 anni di continue guerre e delitti di ogni genere e che notoriamente non esitò ad ammazzare la moglie Fausta ed il figlio Crispo, i due cognati Licinio e Massenzio, oltre al suocero e padre adottivo l’imperatore Massimiano?
Nell’ottica odierna, poi, Costantino non è più considerato unanimemente il restauratore della religione cristiana, ma lo si considera da tanti come il fondatore di una religione totalmente pagana, il che riduce le sue probabilità di essere considerato benemerito ed amico agli occhi del Dio dei cristiani.
2) Da studi seri compiuti sull’argomento, di cui mi occuperò in seguito di questa ricerca, risulta storicamente provato che l’introduzione della Croce di Cristo e del suo culto pubblico e privato nella Chiesa Cattolica risale ad epoca molto posteriore di quella costantiniana. Conseguentemente sono da considerare volgari falsificazioni i racconti leggendari medievali narrati nell’epoca di discussa autenticità attribuita al Lattanzio, (De mortibus persecutorum)
3) Merita poi due parole di chiarificazione la storiella del “Monogramma” di Cristo, cioè di quel simbolo che si continua a chiamare “monogramma” quando invece costa di due gramma, (due lettere) dell’alfabeto greco, la “K” e la “P” (la Ki e la Ro), interpretate erroneamente come le due prime lettere iniziali incrociate della parola Kristos, che Costantino avrebbe visto in cielo e che egli avrebbe adottato sui suoi labari e sugli scudi dei suoi soldati. Si tratta evidentemente di una infelice invenzione e falsa lettura, che la storiografia cattolica e di manuali di storia e quelli di storia dell’arte si tramandano di molti secoli, in quanto un’iscrizione con questo identico “monogramma” la si trova in una tomba dell’antica Pompei, che risale a due secoli prima delle leggende raccontate su Costantino, come può leggersi nell’opera di un noto esperto, insieme al quale possiamo concludere che tutte le millantate visioni o apparizioni celesti attribuite a Costantino siano ovviamente nate nel medioevo, e che essendo prive di credibilità, il vertice culturale cattolico farebbe bene a cassare per sempre a vantaggio della propria reputazione (Cfr. E.R. Goodenough, Jewish Symbols in the Greco-Roma Period. New York 1953, vol VII, pp. 178 ss.).
Allora quale può essere l’origine di questo pseudo monogramma di Cristo, costituito dalle due note lettere dell’alfabeto greco, la Ki e la Ro? Non lo sappiamo con certezza, ma possiamo tentare di immaginarlo. In merito ho una mia ipotesi, che ritengo verosimile e comunque interessante, che desidero qui esporre. E’ molto probabile che Costantino, in ossequio al Dio solare Mitra tanto caro a sé ed ai suoi soldati, ed in seguito alla sua vittoria finale sul rivale Massenzio ed alla conquista ufficiale del trono imperiale, avesse iniziato a ritenersi Dio Sole ed avesse incominciato a comportarsi conseguentemente, sovrapponendo la lettera iniziale del suo nome, la C (in greco la K), al simbolo del Sole radiante, erroneamente scambiato con il sole di Cristo. Nasce così il monogramma vero di Costantino, che resterà tale per qualche secolo.
E’ anche opinabile che, alcuni secoli dopo, nel periodo deuterocattolico, dato che sia il nome di Kostantino che quello di Tristo avevano nella lingua greca la stessa iniziale, la Ki, il vertice deutorocattolico abbia aggiunto al monogramma costantiniano una seconda iniziale, la R o Ro, con cui il monogramma originario cessava di essere quello proprio di Costantino e diventava chiaramente quello di Cristo. Con questo trucchetto si inventava l’improvvisa e miracolosa conversione e cristianizzazione di Costantino. E nasceva nel contempo la puerile e ridicola leggenda della croce in cielo vista da Costantino. I monaci cattolici erano capace di questa invenzione. Contemporaneamente nacquero le interpolazioni documentarie a sostegno di questa leggenda. Il tutto è molto verosimile, fratelli miei. E’comunque certo che si tratta di insostenibili leggende medievali. La cosa più grave in questa faccenda è data dal fatto che tale evidente falsificazione, per tanti cattolici, in buona o mala fede che essi siano, nonostante tutto quello cha da secoli si scopre e si scrive su Costantino, sia ancora moneta corrente.

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