Ordini Cavallereschi Crucesignati

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lunedì 24 settembre 2007

l'Arte Reale di Dante Alighieri

l’AMORE Cortese

“O voi che avete gl’intelletti sani,
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame delli versi strani!”

Da ragazzo sui banchi di scuola ho studiato Dante in versione scolastica. La mia giovane età non permetteva di entrare in sintonia profonda e capire appieno il significato di quello studio, tutto era impostato sulla memoria ripetitiva di “apprendista-scolaro”…..Sant’Agostino dottore della Chiesa, soleva dire in uno dei suoi poderosi trattati: “non ti posso Amare se prima non ti conosco” e quindi, credo che, gran parte dell’intero Universo e della sua creazione sia avvenuto sentitamente attraverso un atto d’Amore.
Detto ciò amici lettori cosa in realtà volesse trasmetterci il buon Dante Alighieri con queste frasi?. Dante ci vuole indicare in modo mirato che nella sua opera vi è un senso nascosto! forse una dottrina? In cui il senso apparente è soltanto un velo, e che deve essere “svelato” e che va ricercato da coloro i quali sono capaci di “penetrarlo”. La Divina Commedia, nel suo insieme, l’Autore, meglio qualificato di ogni altro, per informarci che il “viaggio” si possa interpretarsi in più sensi. A parte le divergenze di vedute che i vari commentatori si trovano generalmente impegnati, sono invece in accordo nel riconoscere, l’Opera di Dante Il senso filosofico, o piuttosto se vogliamo, filosofico-teologico ma, anche un senso politico sociale, inoltre credo che Dante, ci avverte di “cercare” un altro senso: che può essere un senso propriamente iniziatico e metafisico nella sua assenza, e, credo in ragione, che, questo tratto dell’Opera, può essere esplorato diversamente nella Divina Commedia e che forse sia completamente sfuggito alla maggior parte degli studiosi e amanti di tale disciplina. Vediamo di esplorare assieme, cari lettori, quest'affascinante percorso.

C’e un momento storico nella vita d’Europa che è stato deciso per la sua formazione: è il momento in cui viene istituita la corte e si sviluppa un ideale armonioso e di validità universale basato sull’amore: l’amore cortese.
Corte, nel latino medievale cortis, (dal latino antico cohors, “cortile di fattoria”), indica le costruzioni e territori adiacenti a un castello di un signore. Per sovrapposizione con un’altra parola latina, curia, che stava ad indicare il patriziato romano, la corte passò ad indicare il luogo di raduno dei cittadini più degni, la piccola nobiltà, intorno al signore.
La piccola nobiltà è costituita a corte soprattutto da giovani che il feudo paterno non basta a mantenere. Sono tutti scapoli, è una donna, la moglie del feudatario, la donna, a comandare. Le tensioni sensuali, e quelle derivanti dalla situazione sociale, economica e politica a corte fra la piccola nobiltà e l’aristocrazia, vengono superate per mezzo del più potente degli istinti umani, l’amore. L’amore diventa un principio di ordine sociale che impedisce ai singoli di abbandonarsi ai propri interessi particolari, che permette l’adattamento allo stile di corte ed è indispensabile per raggiungere la perfezione. Questo adattamento, l’obediensa di Guglielmo IX, diventa la legge suprema che permette alla piccola nobiltà e all’aristocrazia di convivere. Cortesi si diventa attraverso l’amore e la cortesia non è altro che misura (mezura).
Cortese è quindi chi si comporta secondo i valori della nobiltà, in opposizione a ciò che è basso moralmente e socialmente villano. In seguito, utilizzato come segno di distinzione della borghesia (elegante, gentile, di buone maniere), restò a definire i valori legati agli ideali cavallereschi elaborati nelle corti europee, quindi su valori laici e non, si badi bene, su valori della Chiesa.
Ma, necessariamente, l’amor cortese diventa lo spasimare dell’amante, la rinuncia incessante al desiderio dei sensi. Ciò porta da una parte ad una continua spinta alla spiritualizzazione e alla idealizzazione della donna, e dall’altra ad una proiezione dello sforzo di integrazione della piccola nobiltà nell’aristocrazia che vede nella castellana il simbolo di una nuova situazione sociale e politica da raggiungere. Forse inaspettatamente, l’amor cortese crea ideali validi universalmente fondati sull’avventura cavalleresca. L’avventura che in latino è adventura, participio futuro di advenio, “ciò che sta per accadere”, nella letteratura francese e pio nel ciclo bretone o ciclo di Artù, venne ad indicare l’esperienza assoluta del cavaliere, la ricerca di una prova che testimonia il suo valore, la singolarità del suo destino, la possibilità di perfezionamento etico e la potenza magica dell’amore.

Nella seconda metà del 1100, Chretien de Troyes scriveva romanzi su Lancillotto, Tristano e Parsifal. In quest’ultimo romanzo, detto anche il racconto del Graal, viene illustrato quell’amore cortese che affascinerà per lungo tempo la cultura europea. Lancillotto ama Ginevra moglie di Re Artù, mentre Tristano s’innamora di Isotta, promessa allo zio, Re Marco di Cornovaglia, e muore con lei. Ma senza Parsifal neanche Tristano e Lancillotto sarebbero esistiti. Perché quest’ultimi rappresentano soltanto delle varianti della materia originaria che è Parsifal.
Parsifal, un giorno che si sfrenava a lanciare puntute lance nell’erba tutt’intorno a lui, si ritrova all’improvviso circondato da cavalieri dall’armatura luccicante. Stupito, vuole emulare tanta bellezza, diventa cavaliere e si vota alla ricerca del Graal. Parsifal è infantile, ignorante di ciò che gli altri uomini giudicano astuto e opportuno. Quanto incontra la sua donna si accontenta di baciarla e di starle accanto tutta la notte. In una delle sue avventure Parsifal vede una barca che scende il filo della corrente. Due uomini vi sono seduti. Immobile li attende. L’uomo seduto avanti pesca con la lenza infilando nell’amo come esca un pesciolino. E’ il Re pescatore, che invita Parsifal in una torre. L’uomo è ferito a un’anca. Mentre discorre con lui Parsifal vede passare dalla sala un araldo che porta una lancia di ferro bianco, una goccia di sangue cola dalla sua punta. Poi arriva una fanciulla lanciata e bella, che ha per le mani un Graal fatto dell’oro più puro. Educato a tacere Parsifal non domanda a che cosa serve quel Graal…il racconto è come un sogno interrotto che in molti hanno poi cercato di spiegare e di chiarire. Nessuno c’è riuscito.
Se Dante non si fosse commosso per personaggi come Parsifal, Lancillotto, e Tristano, neppure sarebbe esistita la Divina Commedia, né quant’altro di onorevole l’Occidente donerà poi al mondo. Dopo Cervantes e Wagner, l’ultimo ad accorgersene fu, poco prima della seconda guerra mondiale, il francese trentatreenne Denis de Rougemont. A lui si deve un titolo tra i più belli mai pensati “L’amour et l’Occident “ per un libro dalla fervida voglia di unità. Secondo de Rougemont, la storia dell’Occidente si potrebbe comprendere soltanto attraverso l’amore cortese e gli errori dell’Occidente non sarebbero altro che un fraintendimento amoroso, ed è a causa di esso che l’Occidente non riesce a realizzarsi.

Gli “iniziati” o seguaci d’amore:
In Dante ritroviamo l’amore idealizzato e irraggiungibile, simbolo di perfezionamento etico e di conoscenza, secondo l’uso dell’allegoria e della simbologia in voga in quei tempi. Luigi Valli ne “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore” dice che i Fedeli d’Amore nascondevano sotto il linguaggio convenzionale dell’amore, idee mistiche ed iniziatiche. I Seguaci dell’Amore, fingendo di parlare della donna parlavano del loro tendere alla Sapienza di Dio. Così Dante identificava la Donna Gentile con la filosofia e con la teologia. La poesia mistica e filosofica pseudo amorosa, ricca anche di significati politici, giunse forse in Occidente dall’Oriente e fu assorbita dai poeti provenzali e in Italia da poeti siciliani, emiliani e toscani. I seguaci dell’Amore si basavano sulle credenze gnostiche che tanto condizionavano la vita spirituale nel medioevo. Tuttavia il loro movimento non significò soltanto gnosticismo era iniziato di una “philosophia universalis” a sfondo politico. Infatti, tutti i poeti cantori dell’amore per donne angeliche, in fondo abbastanza simili e prive di una peculiare personalità, ma sapientissime distributrici di dottrina, erano uomini d’azione e tendenzialmente ghibellini (in Italia: Federico II, Manfredi, Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini, Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Cino da Pistoia, Francesco da Barberino, Cecco d’Ascoli). Sarebbe molto strano che uomini di così netta coloritura politica e religiosa e per i quali la vita era un impegno attivo, avessero parlato d’amore in senso tradizionale soltanto. Basti pensare alla vita di Dante, al suo impegno politico a Firenze contro la Chiesa, il suo esilio affrontato con coraggio ed al quale coerentemente non rinunciò anche quando avrebbe potuto alfine tornare nella sua città. La dottrina de “iniziati” o seguaci d’Amore era quindi teologica e politica e, sebbene cristiana nello spirito, era invisa alla Chiesa che vedeva in essa una forza di coesione tra le menti migliori del tempo ed un possibile pericolo. Secondo il Valli i seguaci d’Amore non erano semplici vagheggiatori di donne angeliche ma un gruppo che meditava progetti seri. A conferma di ciò si può citare ciò che uno di questi poeti, Guido Orlandi, scrisse al suo capo, Guido Cavalcanti, proponendogli di fare una parata dei Fedeli d’Amore armati, a cavallo e a suon di trombe (usate in guerra, e non di corni, strumenti abitualmente usati nelle cavalcate di caccia) in occasione del giorno di Pasqua. Era nei giorni di Pasqua infatti che si avevano tutti quegli innamoramenti (che erano iniziazioni) come negli incontri fra Dante e Beatrice e tra Petrarca e Laura. I seguaci d’Amore appoggiarono tutti gli imperatori che tentarono di riorganizzare le cose in Italia: prima Federico II, poi Arrigo VII e poi Carlo IV. Essi peò non erano una semplice setta politica e ghibellina: si orientarono verso l’Impero perché speravano che la Chiesa corrotta fosse sconfitta e che si potesse ritornare alla purezza ed alla santità della Chiesa originaria. Quindi, il loro movimento, benché si richiamasse alle idee gnostiche ed all’antico pitagorismo italico, era profondamente cattolico nel suo spirito. E in questo ideale ritroviamo Dante nella sua globalità universale.

Ho esaminato la seguente bibliografia:

Nella Vita Nuova: “tutti li fedeli d’amore”. Seguendo, tutti i miei pensier parlano d’amore; e hanno in lor sì gran varietate…;

Donne ch’avete intelletto d’amor, / ì vò con voi de la mia donna dire/non perch’io creda sua laude finire, / ma ragionar per isfogar la mente…;

Amore e l cor gentil sono una cosa, / sì com’il saggio insuo dittare pone / e così esser l’un sanza l’altro osa, / com’alma razional sanza ragione…;

Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altrui saluta, / ch’ogne lingua deven tremando muta / e li occhi no l’ardiscon di guardare…;

Donna pietosa e di novella etate, / adorna assai di gentilezze umane, / ch’era là v’io chiamava spesso Morte, / veggendo li occhi miei pien di pietate..;

Oltre la spera che più larga gira / passa l sospiro ch’esce del mio core: / intelligenza nova, che l’Amore / piangendo mette in lui, pur su lo tira…

e ancora Rime:
Così nel mio parlar voglio esser aspro / com’è ne li atti questa bella petra, / la qual ognora impetra / maggior durezza e più natura cruda…;
la famosa canzone dell’esilio di Dante:
Tre donne intorno al cor mi son venute, / e soggonsidi fore; / chè dentro siede Amore, / lo quale è in signoria de la mia vita…(attenzione a questo passo: le tre donne rappresentano la giustizia divina, quella umana e la legge divina o positiva).

Il viaggio esoterico di Dante:

L’opera principale di Dante, La Divina Commedia, come si sa narra in prima persona il viaggio del poeta nei tre regni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, ciascuno divisibile in dieci parti. La Commedia è un’opera dottrinale, che trasmette verità religiose, morali e filosofiche. Secondo il metodo dell’allegoria le singole fasi del viaggio nascondono altri significati che non sono quelli più manifesti.
Orbene il viaggio, che inizia l’8 aprile del 1300, nella note di venerdì Santo, e dura circa una settimana, permette a Dante di capire la struttura dell’universo, di conoscere la condizione delle anime dopo la morte e di giungere alla visione di Dio. La guida di Dante è prima Vigilio nell’Inferno e Purgatorio, a rappresentare la ragione umana che guida l’uomo a un primo livello di conoscenza, e poi Beatrice nel Paradiso, immagine simbolica ed allegoria dei valori che conducono alla conoscenza di Dio, la fede e la scienza divina che consente di cogliere il mistero delle cose.

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