Questo sito è a disposizione di tutti coloro che intendono inviare i loro pezzi, che dovranno essere firmati, articoli sulle gesta della Cavalleria Antica e Moderna, articoli di interesse Sociale, di Medicina,di Religione e delle Forze Armate in generale. Il sottoscritto si riserva il diritto di non pubblicare sul Blog quanto contrario alla morale ed al buon gusto. La collaborazione dei lettori è cosa gradita ed avviene a titolo volontario e gratuito, per entrambi.
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lunedì 22 ottobre 2007
Circolo Ufficiali Presidio Esercito
Il Simbolismo della Croce.
Relatore: Pietro VITALE
La croce è un segno che si traccia con la massima naturalezza. Di nessuna altra forma grafica, per quanto elementare, può dirsi altrettanto. In epoca arcaica per i Fenici era il Tau, il cui significato intrinseco era marchio, intaglio, segno grafico per eccellenza. Ora, dopo la diffusione del Cristianesimo, la croce evoca un’idea di morte, ma ciò è in contraddizione con la razionalità dell’ideografismo che le è proprio.
Cari Amici lettori, prefiggersi di trattare il simbolismo della croce in modo, appunto, razionale, prescindendo pertanto dalla sua massiccia utilizzazione nel Cristianesimo, è impresa ardua. Bisogna infatti fare i conti con la quasi bimillenaria assuefazione all’abbinamento Cristo-Croce. Dico quasi perché soltanto in epoca romanica, e dopo molte esitazioni correlate all’ignominia connessa alla crocifissione come forma di esecuzione capitale, la croce è stata accettata quale simbolo di trionfo sulla morte. In questo senso la croce più antica risale al 134, mentre il Crocifisso compare per la prima volta sulla porta sulla porta lignea di Santa Sabina in Roma ai tempi di Sisto III, ossia tra il 432 e il 440. Del pari bisogna tener conto che il Cristianesimo, così come ha reinterpretato o si è sovrapposto a numerose altre tradizioni e simbologie preesistenti, a maggior ragione si è sovrapposto al simbolo della croce, gli ha attribuito un valore culturale che prima non aveva, e in taluni e per fortuna abbastanza rari casi, è giunto a interpretare le croci presenti in altre culture come segni di una precedente presenza cristiana, poi dimenticata.
Orbene, per meglio chiarire il concetto appena esposto, e senza perciò entrate nella trattazione religiosa o, peggio, nella polemica, vale la pena riportare qualche passo dell’Enciclopedia dei Simboli. In essa, per esempio, si cita “il caso della croce a foglia d’albero del Tempio della croce di foglia, presso la città Maya di Palenque, nello Yucatàn”, che si è voluta interpretare in quel senso, ma che “in realtà rappresenta un albero cosmico”, o, nel contesto della speculazione cristiana sui simboli, “l’associazione dell’immagine di un luogo dotato di un centro ideale a quella della Croce di Cristo, come nelle “Storie del libro di Adamo”. In esso si narra che “per ordine di Noè le ossa di Adamo, dalla caverna dove sono sepolte, vengono trasportate dal figlio Sem e da suo nipote Melchisedek, sotto la guida di un angelo, in un altro luogo al centro della Terra. Qui confluiscono quattro estremi. Infatti quando Dio creò la Terra, prima venne la sua forza e da essa seguì poi da quattro parti la Terra come vento e soffio lieve. E nel centro la sua forza si arrestò e riposò. In quel luogo si compirà la redenzione (…).
Quando giunsero al Golgota, che è il centro della Terra, l’angelo mostrò a Sem questo luogo (…). Qui la terra si aprì a forma di croce e Sem e Melchisedek vi posero la salma di Adamo. Le quattro parti si mossero e racchiusero la salma del nostro progenitore Adamo e l’apertura della Terra si richiuse. Questo luogo fu chiamato ‘Calvario’, giacchè vi fu ucciso il Signore di tutti gli uomini”.
E’ questo il motivo per cui in numerose raffigurazioni della Crocifissione, sul Golgota, ai piedi della croce di Cristo viene posto il teschio di Adamo.
La croce è in realtà, assieme al cerchio, al quadrato ed al triangolo, un segno antichissimo risalente alla più primordiale delle tradizioni. Non appena l’uomo è stato in grado di astrarsi dalle contingenze primarie del mondo circostante ha infatti cominciato a tracciare quei semplici segni grafici, rapportandoli forse a talune simmetrie apparenti esistenti in natura, per giungere ben presto come sostengono alcuni studiosi, a travalicare il senso e la ragione per farli diventare il fondamento della geometria, sia scientifica, con i suoi teoremi e la sue dimostrazioni, che filosofica, ossia capace di stabilire un rapporto tra idee e forme, e capace di fungere da collegamento con nozioni complesse, talvolta addirittura in grado di soverchiare l’intelligenza umana. Tra quei segni primeggia la croce, sia perché è la semplice intersezione di due elementari segmenti, e sia, come si dirà più avanti, perché il cerchio ed il quadrato ne sono le naturali, quasi ovvie derivazioni. L’origine del triangolo non è invece collegabile alla croce e per essa va fatto un discorso a parte.
La croce, quindi, utilizzata isolatamente o in associazioni ad altri segni, è il simbolo fondamentale nella formazione e ad un tempo nella trasposizione del pensiero astratto (le pitture rupestri, senz’altro più complesse nella loro esecuzione, non derivano da tale tipo di pensiero, ma sono strettamente collegate agli atti ed alle necessità quotidiane). Diversamente dagli altri segni primari, che circoscrivono delle superfici, la croce appare come un segno tracciato nell’infinito. Non solo: attorno al punto d’intersezione dei due semplici segmenti che la compongono, si sviluppano concetti quali destra/sinistra e su e giù. Queste sono le ragioni per cui l’uomo, appena ha percepito la vastità dell’ambiente a sua disposizione ed ha recepito la non animalità della sua veste in quello stesso ambiente, ha dapprima utilizzato la croce per orientarsi e le ha poi assegnato un ruolo di elemento base per esprimere l’idea di spazialità e tridimensionalità. Nello sviluppo dei concetti correlati alla croce c’è la circonferenza, generata dalla rotazione attorno al suo centro. Mentre con la giunzione dinamica dei suoi bracci si genera il quadrato. Perciò ambedue le figure sono centrali e l’incontro dei loro centri costituisce il fondamento per la proiezione nell’immaginario. Un immaginario che conduce ad una molteplicità di interpretazioni veramente sorprendente, il cui apice è rappresentato dalle speculazioni più ardite della numerologia, dell’alchimia e dell’ermetismo.
Assodato che la croce, in qualità di unica figura di base a non delimitare uno spazio, è il più universale tra i simboli elementari, non sorprende affatto, invece, ch’essa sia presente in tutte le culture della Terra. Poiché un elenco in tale senso, per quanto stringato possa essere, non è neppure proponibile in questa sede, valgono per tutte alcune testimonianze abbastanza significative. Una di queste ci viene dal resoconto di Gargilaso de la Vega, discendente degli inca. Il quale scrive: “I sovrani inca possedevano una croce di marmo bianco e rosso a Cuzco, chiamata dispro cristallino, non si può dire da quando essi la possedevano. La croce era quadrata; doveva misurare tre quarti di cubito, ogni braccio era largo tre dita e altrettanto spesso. Veniva ricavata con grande bravura da un unico blocco di marmo, gli angoli erano levigati, la superficie finemente molata e splendente. Era conservata in una delle dimore reali, si chiamava huaca, che significa ‘luogo consacrato’. Non poteva essere calpestata, ed era venerata presumibilmente per la sua forma o forse per un motivo rimasto segreto”.
Parallelamente, una croce di pietra con le medesime caratteristiche è stata ritrovata sul basamento di una costruzione di forma quadrata nei resti minoici dell’isola di Creta. Ma anche in Iran esistono tavolette proto-elamitiche, risalenti al 3000 a.C. e provenienti da Susa, che recano sugelli di argilla con impressa la croce. Numerosi sono i templi delle più disparate religioni con la pianta a forma di croce. Nella già citata città maya di Palenque, per esempio, oltre al “Tempio del Sole”, anch’esso ovviamente con pianta cruciforme, che formano un complesso architettonico detto dei “piccoli gioielli”.
Abbastanza note sono le croci di filo australiane, dal sicuro significato magico-rituale. Certamente esoterica è una scultura a forma di croce, risalente alla protostoria mesoamericana, chiamata la “Croce di Teotihuacàn”, che raffigura il dio Tlaloc. Assieme al cerchio, la croce costituisce inoltre l’elemento strutturale posto alla base di molti mandala, o figure di meditazioni. Sin dalla più primordialità, sia esotericamente che exotericamente, la croce evoca il Cosmo, ma anche il mondo, la vita concreta. Pure il paradiso biblico, con i quattro fiumi che da esso avevano origine, fu rappresentato a forma di croce. La croce iscritta in un cerchio rappresenta l’ambito del villaggio, dell’abitato, laddove il cerchio, similmente ad un orizzonte locale, delimita lo spazio interno, sicuro, da quello esterno, coltivabile, ma costellato di insidie, e la croce rappresenta i percorsi interni principali. Allo stesso modo, col cerchio viene simboleggiato l’orizzonte terrestre, delimitato dall’oceano che circonderebbe la Terra e che comunque separa un ordine interno dal mondo esterno preda di forze demoniache, mentre la croce rappresenta i suoi punti di riferimento, la sua suddivisione o le quattro direzioni di provenienza riferite alle quattro razze umane (europoidi, mongoloidi, negroidi e australoidi). E ancora: il cerchio rappresenta il Cosmo e la croce le coordinate per orientarsi nello spazio e nel tempo. Una conferma ci viene dal simbolo geroglifico egiziano formato da due strisce incrociate ad ics e racchiuse in un cerchio. Quest’ultimo rapprenderebbe l’orizzonte dell’oceano, e gli assi incrociati rappresenterebbero il Nilo e il corso del Sole. Di contro, l’allusione al villaggio o alla città, con l’incrocio delle strade, non necessita di alcun condizionale. Altrettanto certo è che allora l’impianto delle città era basato su concezioni magico cosmologiche tese a riprodurre simbolicamente l’universo. Concezioni che non erano prerogativa degli antichi egizi, tant’è che ne ritroviamo numerose testimonianze in varie dottrine indiane, ove viene stabilito che i piani della città e dei villaggi devono seguire i principi della croce cosmica, del cosiddetto “quadrato magico”. Anche le singole abitazioni devono essere costruite sul modello del corpo umano, “che è la casa dell’anima in esso contenuta”. Dal punto di vista dell’asse verticale, unendo lo zenit al nadir, la croce si pone in un rapporto simbolico con l’asse del mondo, in analogia all’albero, alla montagna, alla freccia. Sull’asse orizzontale la croce taglia qualsiasi superficie in quarti uguali. Nel centro delle città romane, per esempio, s’incrociavano le due strade principali: il cardo e il decumano. Anche in tempi meno remoti le città erano divise di fatto in quartieri (quattro quarti di una unità). Lo sono ancora oggi, ma, ovviamente, soltanto di nome. I cartografi medievali, che si proponevano di rappresentare schematicamente tutto il mondo, usavano spesso il modulo della croce con Gerusalemme al centro, senza riferimenti al Cristianesimo, bensì rifacendosi all’urbanistica romana. Alcune popolazioni africane credono che i crocevia, e per essi il simbolo della croce, siano da porre in relazione con la separazione tra le strade dei vivi e quelle dei morti. Molti esorcismi o riti magici prevedono l’uso di questi simboli proprio perché viene loro attribuito il potere di immobilizzare gli spiriti, i quali non saprebbero quale strada imboccare.
In contrapposizione alla croce iscritta nel cerchio, quella non iscritta, i cui bracci possono pertanto essere prolungati all’infinito, simboleggia la vita spirituale, astratta. E ancora: la Croce a bracci uguali simboleggia il macrocosmo, mentre quella a bracci diseguali simboleggia il microcosmo. Ma accade anche che nella croce a bracci uguali si ravvisino entrambi: la manifestazione dell’Universo, in quello verticale, che s’interseca col microcosmo dell’Umanità, con la materia viva, mobile, pensante.
Croce, cerchio, quadrato. Non serve davvero molta fantasia per associare a questi segni grafici la squadra ed il compasso. La squadra, simbolo di Saggezza, nel quale si conciliano il fattore orizzontale e quello verticale, è ritenuta infatti l’elemento costitutivo del quadrato e della croce (che si formano unendo per il vertice o per le estremità due squadre dai lati uguali), ma si può anche affermare ch’essa nasca dalla croce per effetto della scissione a due a due dei suoi bracci. Se la croce non può sfuggire all’accostamento con la squadra e il quadrato, analogamente, a causa del numero dei bracci e degli angoli, essa non può sfuggire neppure all’accostamento con il quattro. Difatti, secondo alcune fonti, la cifra quattro espressa in tutte le lingue indoeuropee sarebbe ricavata da una “radice indicante taglio, divisione”. Tale interpretazione, d’altro canto perfettamente assimilabile alla croce, che non a caso appare praticamente in tutte le grafie del quattro, troverebbe giustificazione anche nel greco e nello spagnolo, nel significato di spezzare, triturare. In ebraico invece l’idea della parola è resa mediante un vocabolario che in origine, analogamente al tre, indicava l’albero. La ragione della metafora andrebbe ricavata nell’usuale triforcazione o quadriforcazione (a croce) dei tronchi degli alberi. In rapporto al quattro, è utile ricordare inoltre che nel “Libro di Enoch” sono citati quattro arcangeli che, insime ad un numero incalcolabile di spiriti, se ne stanno in quattro lati del Signore degli Spiriti. Nel testo sono anche ricordate “le quattro regioni dell’Universo”, che in una successiva interpretazione vengono definite “un acrostico”, il quale permetterebbe di penetrare l’arcano simbolismo celato sotto l’antico nome di “Adam”. Per di più, se quattro sono le lettere che compongono il nome del nostro progenitore, altrettante formano il primitivo nome ebraico di Dio (il tetragramma “JHWH”). Quattro sono i Grandi Profeti e quattro gli Evangelisti, in quattro parti contrapposte è suddivisa la giornata (mattino e sera, giorno e notte), e quattro sono le componenti della vita umana (infanzia, età adulta, vecchiaia e morte), quattro sono gli umori corporei e quattro i temperamenti.
Ma torniamo alla croce. Pur essendo tanto semplice ed essenziale, è tale la molteplicità degli edeografismi di cui è ricca l’araldica e quelli che abbondano su stemmi, emblemi, insegne e stendardi, nella loro variegata espressività e suggestione, quasi sempre sono modificazioni formali della croce cristiana, ma accade anche che i significati primigeni si siano stemperati nel tempo per assumere altri correlati a fattori storico politici o a tradizioni lontane dal cristianesimo. Abbiamo così la croce gigliata e quella potenziata o di Gerusalemme, la croce ad albero, trifogliata e a freccia, la croce di Malta quella Costantiniana e quella di Lorena, la croce russa, dei cedroni (a Y ), di Ezeichiele e di S. Antonio, la croce ancorata e quella teutonica, la croce celtica, il Tau e il martello di Thor. Con la sua connessione tra croce e cerchio, merita qualche parola in più la croce irlandese, detta anche “croce della questua”, i cui bracci esorbitano dal cerchio, e che esprime l’aspirazione cavalleresca all’avventura come prova spirituale. Interessante è pure il significato dell’Ankh, la croce ansata diffusissima nell’antico Egitto. Essa. Chiamata “Chiave della Vita” ed anche “Chiave del Nilo”, simboleggia i raggi vitali del sole ed il concetto di sopravvivenza dopo la morte. Il simbolismo della croce gammata, o swastika, il segno sacro più antico della razza indoeuropea (compare per la prima volta nella ceramica protostorica orientale), sembrerebbe anch’esso ancorato a quello della squadra. Tale croce appare infatti formata da quattro squadre che, irradiandosi da un centro comune, compongono una Ruota: la ruota della Creazione, cioè il principio d’intelligenza che ha messo ordine nel caos originario, trasformando la potenza del quaternario degli elementi. Queste concezioni, direttamente collegate alla Tradizione Primordiale, presuppongono l’orizzontalità della croce e possono riferirsi alla rotazione di una sfera attorno al proprio asse. Ma la swastica suggerisce anche l’idea del rincorrersi delle stagioni che compongono l’anno solare. Dal 700 d.C. essa ha assunto il significato del numero diecimila, cosa che in se stessa direbbe poco se non che allora a tale numero era associata l’idea dell’infinità”.
Ma la croce richiama un’altra quantità di concezioni. Corrisponde alla forma umana con le braccia aperte, fa pensare con immediatezza ai quattro punti cardinali, e, in correlazione a varie culture, evoca le quattro direzioni del cielo e di conseguenza le quattro regioni dello spazio, la corrispondenza con i quattro pilastri del mondo, nonché, come appena detto per la swastica, la corrispondenza con i quattro elementi che compongono la Terra. Le “direzioni del cielo” sarebbero il luogo d’origine dei venti e li si troverebbero le quattro grandi brocche da cui proviene la pioggia. I geografi delle epoche più remote hanno sempre immaginato che la Terra divisa in quattro settori determinati dall’incrocio di un meridiano e di un parallelo. Con rispondenze analogiche alquanto sorprendenti la croce richiama poi le quattro operazioni aritmetiche e i suoni primitivi del tetracordo. In chiave esoterica, nella croce vista nel suo insieme, si ravvisano il “passaggio”, la forza centrifuga o quella centripeta, il moto rotatorio destrorso o quello sinistrorso, il turbine o la sutura dimensionale.
Prima di accennare al significato della croce in alchimia, appare doveroso scrostare dall’alchimia stessa la patina di fumosità, polverosità, illusione e vacuo sperimentalismo che le è stata appiccicata nel corso dei secoli, ricordando ch’essa era un’arte, l’arte della cultura intellettuale e morale dell’uomo, l’arte della sua elevazione spirituale. La croce semplice, dunque, in alchimia non designa alcuna sostanza. L’unica eccezione, il simbolo dell’Aceto, è una croce dalle estremità spezzate. La croce appare, pertanto, sempre in combinazione con una figura chiusa, che può essere il triangolo, col vertice volto verso l’alto o verso il basso, oppure può essere il quadrato o il cerchio. I simboli che ne derivano corrispondono a combinazioni il cui processo vitale è compiuto se è posto in alto. Tra le varie combinazioni del triangolo, non può sottacersi che la croce posta sulla sommità dello stesso triangolo col vertice rivolto verso il basso, dà il simbolo del Compimento della Grande Opera. Per quanto concerne l’abbinamento con il cerchio, che di per se simboleggia la “Sostanza primordiale indifferenziata” quando la croce lo sovrasta si forma l’ideogramma dell’antimonio, che a sua volta, oltre a simboleggiare la Terra e l’antidoto di tutti i veleni, richiama concezioni abbastanza complesse: la Sostanza primordiale diventa il supporto della Vita infinita, e insieme evocano l’Anima celeste, intellettuale e sentimentale, l’influenza spiritualizzante e l’Evoluzione, nonché, spingendosi oltre, il Grande Arcano e la Pietra del fuoco. Allorché la croce è posta al di sotto, si forma il simbolo di Venere e di una concezione contrapposta, ossia all’anima estintiva, della sessualità, della caduta dello Spirito nella materia, dell’involuzione, della Genesi. Ma la croce può essere anche inscritta nel cerchio, nel qual caso si realizza un’ideale conciliazione dei contrari, ossia l’Anima vegetativa, la Vitalità fisica, lo Spirito incarnato congiunto alla materia, la salute l’equilibrio vitale. In alchimia questo simbolo lo si ottiene sovrapponendo o spostando il simbolo del sale, padre dei sentimenti geologici, stabile (ma anche allume, il Sale filosofico per antonomasia, ossia, come detto sopra, la Sostanza Primordiale), a quella del salnitro, essenzialmente instabile, detto anche sale infernale. Interessante è poi l’accostamento al simbolismo dei “Costruttori”, l’addove i due segni del sale e del salnitro evocano le due Colonne e ricordano la livella e la perpendicolare o filo a piombo. Strumenti, questi, la cui utilizzazione richiede calma e raccoglimento. Ma l’ideogramma così ottenuto, per il suo colore riferito al Verderame, è anche simbolo della vegetazione, cioè della vita manifesta, che, per trasposizione, diventa altresì lo schema dell’ovulo fecondato. Il associazione col quadrato, che sin dall’utima preistoria porta in se il senso della solidità, del terrestre, e perciò del tangibile, del rivelato, ed è pure l’immagine dell’individuo che consegue la perfezione della sua specie, la croce, se posta al di sotto, significa l’arrivo, la giovinezza, l’apprendimento, e quindi il grado di apprendista, la pietra grezza; se posta al di sopra significa invece la partenza, la vecchiaia, l’insegnamento, il grado di Maestro, e, quale simbolo di valore assoluto in alchimia, la pietra filosofale. Inscritta nel quadrato a formare quattro quadrati più piccoli, la croce esprime ancora concetti di carattere urbanistico, ma evoca anche la solidità della Terra, divisa nelle sue quattro regioni e misurata nei suoi quattro orizzonti, inscritta a formare le diagonali, oltre a dare l’idea della piramide vista dall’alto, secondo alcuni studiosi sarebbe “la sigla tradizionale incisa nell’anello di Salomone”. Sigla in grado di generare segni e simboli d’ogni specie, tra cui le lettere e cifre del linguaggio scritto. Ma nel simbolismo alchemico esiste anche la croce al cui centro è posta una rosa a cinque petali. Tale simbolo nel riprendere l’idea dei quattro elementi, ne aggiunge un altro: la Quintessenza, ossia l’idea della sostanza vitale che impregna e tiene unito il Creato. Va da sé che questo è l’emblema della Rosacroce, ove, per i due elementi di cui è composto, evoca la restaurazione dello stato primordiale e quindi l’integrazione in esso, attraverso l’espansione delle possibilità individuali dell’Essere. Espansione collettiva di persone pervenute allo stesso grado di iniziazione e detentrici degli stessi caratteri interiori. Nell’Ermetismo, ossia nella filosofia che maggiormente si distacca dalle parole, nella filosofia che vede nell’Universo null’altro che energia in azione, nella filosofia la cui penetrazione è riservata ai veri iniziati, la chiave è racchiusa proprio in quelle formule grafiche che, essendo atte a facilitare la formazione del pensiero, trovano rispondenza nei segni alchemici. Ancora una volta, quindi, troviamo che la tetrade ermetica è formata dalla croce, dal cerchio, dal quadrato e dal triangolo. Il braccio orizzontale della croce rappresenta di volta in volta la materia, la passività, l’inerzia, la resistenza, l’uomo dormiente disteso al suolo, mentre quello verticale evoca lo spirito, l’elemento attivo, l’energia, l’azione, la forza, l’uomo eretto, “svegliato”, cosciente. Da ciò deriva l’immagine del rapporto tra idea e intelligenza ricettiva. Questa, indicata dal braccio orizzontale, viene ovviamente fecondata dalla prima, indicata da quello verticale. Allo stesso modo si ha l’immagine della Divinità che si unisce alla Natura per generare il Creato o l’energia che sposa l’organismo affinché questo agisca. Tornando per un momento alla croce inscritta nel cerchio, va detto che gli ermetismi ravvisano in essa il simbolo dell’equilibrio e della sostanza vitalizzata. Limitata dal cerchio, la croce allude quindi alla vita concreta, alla vita che anima la materia e le individualità. La croce è quindi segno di vita e di azione nelle loro più ampie eccezioni e non di morte. Nella croce si ha inoltre la prima e forse la più semplice e valida sintesi del concetto di unificazione dei molti sistemi dualistici sotto forma di una totalità. Di quei dualismi che caratterizzano tutti gli aspetti della vita materiale e spirituale, dei dualismi che in buona sostanza reggono l’Universo. Sintesi meno appariscente, ma certamente più efficace del pavimento a scacchi e dello stesso simbolo orientale “Yin e Yang”. Ma ancora più dell’idea di unificazione dei sistemi dualistici, con il suo punto d’intersezione, la croce aiuta ad esprimere un concetto a rigore inesprimibile, ossia l’Unità. Pur non essendo considerata dagli alchimisti, né dagli ermetismi, una rotazione la merita anche la croce obliqua, detta di S. Andrea. Poiché essa fa pensare a due spade incrociate, le è stato semplicemente attribuito il significato di battaglia. Esotericamente simboleggia l’incontro di due fattori similari, ma opposti nella loro azione, l’uno inclinato verso destra, l’altro verso sinistra. In campo esoterico si trova altresì la croce in tre dimensioni. Essa raffigura sul piano equatoriale il campo di espansione della sfera. Dal suo canto, il polo meridionale dell’asse verticale (Tamas, la tendenza discendente), rappresenta l’oscurità e l’ignoranza. Di contro il polo settentrionale dell’asse (Sattwa, la tendenza ascendente, elemento luminoso del fuoco), rappresenta la conformità all’essenza pura dell’essere e si identifica con la luce intelligibile, ovvero con la conoscenza. Sia in forma tridimensionale che bidimensionale accade sovente d’imbattersi nel globo segnato sul piano equatoriale da una linea e con un emisfero superiore diviso a metà da un’altra linea passante per sommità. Sommità a sua volta sormontata da una croce a bracci uguali. Questo simbolo appare in prevalenza nell’architettura di stampo cristiano (all’apice delle cupole) e nel’’iconografia sempre cristiana (l’oggetto viene posto per lo più nelle mani di Gesù Bambino). Orbene questo non è, come comunemente si crede, il simbolo del trionfo del Cristianesimo sul mondo, ma è l’insegna del potere imperiale, considerato iniziaticamente, esercitato sull’Anima del Mondo e detiene il supremo potere magico, inteso naturalmente nel senso proprio di sapienza, il fatto che tanti artisti abbiano utilizzato questo simbolo la dice lunga sul livello della loro preparazione e sul grado iniziatici della loro conoscenza.
Riferisce Renè Guènon, dal quale è stata peraltro ricavata la penultima enunciazione del paragrafo precedente: “La realizzazione dell’Uomo Universale viene simboleggiata dalla maggior parte delle dottrine tradizionali con segno che è dappertutto il medesimo: si tratta del segno della Croce”.
Per concludere, senza tuttavia pretendere d’aver esaurito l’argomento, vista la miriade di concezioni legate alla croce esistenti in ogni angolo della Terra e collocabili in ogni epoca, giova riflettere qualche istante sugli accostamenti della croce ai simboli classici della Libera Muratoria ricordati nel corso di questa trattazione ed in particolare sulla livella e sulla perpendicolare, che sono gli strumenti sui quali si articola tutta la scienza delle costruzioni e per essa della Massoneria operativa, cui, per legittimare l’appellativo di “accettata”, devono fare da riscontro le attività di quella speculativa. E’ altresì utile rammentare che il simbolo è qualcosa che può sottrarsi ai nostri sensi, ha tanta capacità d’imporsi all’intelletto da modificare il modo d’intendere. Difatti la mente, applicandosi per dare un senso a dei semplici tracciati, si pone in grado di risalire alle concezioni fondamentali dell’intelligenza umana e, sublimando costantemente il pensiero individuale, si pone alla ricerca in se stessa della Verità. La croce, principe dei simboli grazie appunto alla propria estrema semplicità, esercita perciò un ruolo tanto sottile quanto essenziale nel contesto degli elementi che contribuiscono a formare la materia prima necessaria al compimento della Grande Opera. Materia prima che il profano neppure intravede, ma intuita ovunque, innanzi tutto in se stesso, dall’iniziato massone nel suo percorso verso la vera consapevolezza e verso la spiritualità.
La “Croce” e la spiritualità dei Massoni d’Oggi:
Nel loro percorso storico i massoni si sono sempre posti come punto di riferimento per gli uomini che avvertono l’urgenza di un proprio perfezionamento e si pongono l’obbiettivo di essere liberi e di cooperare al miglioramento della condizione umana, mettendo in campo nuovi valori e storicizzando quelli tradizionali e perenni, cioè applicandoli in modo originale alle condizioni attuali dell’umanità.
Se guardiamo al passato ci accorgiamo per esempio che, nel XVIII secolo, la Massoneria contribuì in modo importante alla rottura degli schemi sociali preesistenti. L’inghilterra abbracciò per esempio il concetto Newtoniano dell’Universo. La scienza e la ragione prevalsero sugli antichi schemi e sugli antichi concetti medievali. Anche oltre oceano la Massoneria si trovò intimamente coinvolta con i moti rivoluzionari americani. A quel tempo i Massoni avevano una visione concreta del futuro ed erano determinati ad applicare i loro ideali anche al mondo profano con l’aspirazione di voler contribuire alla creazione di una società migliore non solo per i Massoni ma per tutta l’umanità. Questa importante spinta socio-politica andò però affievolendosi progressivamente con l’affermarsi dello Stato di diritto e questo declino del coinvolgimento concreto e fattivo dei Massoni a favore dello Stato migliore iniziò praticamente in concomitanza con la fine della seconda guerra mondiale.
Sembra quasi chè, a partire dal dopoguerra, i Massoni si limitano unicamente allo sviluppo morale del singolo individuo e si allontanino dal mondo profano in modo simile forse solamente a quello di certi monaci Buddisti! E tale impressione capita proprio in un momento in cui il mondo profano avrebbe profondamente bisogno dei nostri principi, dei nostri ideali di tolleranza e comprensione delle idee altrui, di fratellanza fra popoli e razze diverse, di uguaglianza fra persone di estrazione e culture diverse. I processi di globalizzazione, infatti, tendono ad aggravare le profonde ingiustizie che provocano nette separazioni tra gli uomini del nord e quelli del sud del pianeta; tra coloro che possiedono un lavoro e coloro che lo hanno perso o aspirano ad averlo; tra coloro che consumano le risorse del pianeta e coloro che no dispongono nemmeno del minimo sostentamento per sopravvivere; tra coloro che, con l’uso sempre più frequente della forza, impongono i loro settari interessi economici o religiosi e coloro che nella loro condizione di debolezza non possono fare altro che subire. Ed allora è necessario che oggi la Massoneria sia più vicina al mondo reale, a quel mondo che, proprio secondo i nostri ideali e secondo i nostri Principi Massonici noi vorremmo migliore!
E’ necessario quindi, che la Massoneria non consideri i temi etico-morali ed i temi socio-politici appartenenti a due mondi diversi ed è imperativo per noi Massoni non disattendere ulteriormente i problemi di politica socio-economica e quelli di politica culturale del mondo in cui viviamo.
Essere Massone oggi significa quindi non rimanere spettatore acritico ed avulso rispetto a ciò che accade ma, trovare nelle proprie tradizioni e nel proprio percorso iniziatico una fonte sicura per una continua critica e verifica delle proprie azioni, punto di equilibrio fra Tradizione ed Innovazione.
Essere Massone oggi deve intendersi come uomo del futuro, in grado di coniugare in sé e di trasmettere sempre più incisivamente spiritualità e scientificità.
Essere Massone oggi vuol dire adempiere al proprio compito di non comunicare certezze, ma di educare gli uomini ad affrontare situazioni nuove applicando principi perenni e ricercando se stessi non solo nel proprio mondo interiore, ma anche negli altri.
Essere Massoni oggi vuol dire guardare avanti e saper discutere di idee nuove per dare al nostro sodalizio nuova vitalità e partecipazione costruttiva al bene e al progresso dell’umanità.
Essere Massone oggi vuol dire essere promotore di un dialogo tra i sostenitori opposte, dialogo che rappresenta l’unica via per far incontrare gli uomini, per farli conoscere per far mutare e negoziare possibili soluzioni ai più diversi problemi.
La conoscenza, il rispetto reciproco e l’incontro non sono però il punto di arrivo, ma il punto di partenza per superare i conflitti, per coniugare i diversi aspetti ed opinioni e, permettendo tutti di esprimersi, trovare una comune via di intesa per il benessere dell’umanità. Il dialogo che senza rinunciare ai propri valori consideri con aperto atteggiamento le altrui ragioni cercando sempre ciò che unisce e non ciò che divide.
Essere Massone oggi vuol dire svolgere una nuova e più efficace azione di tutela dell’umanità. In un contesto in cui sembra affermarsi un mercato globale privo di valori, esiste il rischio che i popoli più poveri, oltre ad essere colpiti dalla riduzione dei diritti, siano anche privati delle ricchezze derivanti dalle risorse naturali e da quelle frutto del progresso scientifico internazionale cui non possono accedere.
Nel tempo in cui noi tutti viviamo e nel quale impera presunzione ed egoismo occorre, invece, sottolineare l’ineludibile esigenza di dare corpo, in modo forte e chiaro, ad iniziare di socializzazione ovverosia unione e partecipazione, unica fonte di arricchimento ed antidoto a razzismi e fondamentalismi.
La marginalizzazione sempre più marcata di interi popoli dalle ricchezze, non vale solo per le materie prime energetiche – petrolio in testa – ma anche per quelle essenziali alla stessa sopravvivenza, quali l’acqua per la quale già oggi si rischiano veri e propri conflitti, al momento forse minori e locali, ma destinati a deflagrare in guerre nei prossimi decenni.
Essere Massone oggi quindi, ancora più che ieri, vuol dire essere portatore della tutela dei diritti di tutti all’accesso e all’uso delle ricchezze naturali, di quelle risorse che non possono essere mercanteggiate ma realmente globalizzate, nel senso di renderle fruibili a tutti.
Essere Massone oggi vuol dire adoperarsi innanzitutto per la creazione di un fondo che potrebbe essere costituito attraverso l’introduzione di royalties sulle risorse naturali, ad esempio quelle petrolifere, da utilizzare innanzitutto per i Paesi più poveri per la raccolta e la distribuzione di beni di sostentamento e farmaci.
Essere Massone oggi quindi vuol dire anche riaffermare l’indipendenza del pensiero laico che proprio oggi è minato dal profilarsi all’orizzonte di nuovi integralismi, sia politici che religiosi, oltre che da nuove e sempre più subdole forme di censura.
Basta pensare ai tentativi sempre più pressanti di mettere in discussione la libera ricerca scientifica, espressione primaria della libertà dell’uomo, in nome di pregiudizi e paure che, nascondendosi dietro gli appelli tesi ad evitare un uso distorto delle scoperte scientifiche, vogliono di fatto impedire alla scienza e agli uomini di progredire.
“Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che gettava due spiccioli e disse: In verità vi dico questa povera vedova ha messo più di tutti” (Luca 21,1-3)
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